35. The end is the beginning
Et mihi forsan, tibi quod negarit, Porriget hora. – Orazio
E il tempo forse concederà a me, ciò che ha negato a te
ANDREW
Il 25 di dicembre era arrivato in fretta, prendendoci tutti alla sprovvista nel costatare che anche quell'anno stava ormai giungendo ad una giusta fine. Gli ultimi mesi erano stati un massacro emotivo per molti di noi; lo shock iniziale per la sorte di Aiden aveva gradualmente lasciato posto alla speranza di un risveglio che, a sua volta, adesso veniva oscurata dalla possibilità che non ci sarebbe stato più nulla da fare per lui.
Non avevo mai amato il natale, nel corso degli ultimi anni mi ero sempre impegnato con tutto me stesso per passare quel periodo in missione, lontano da casa, lontano dagli affetti. Niente nostalgia, niente pentimenti ... il mio distacco mi rendeva più forte, quasi impassibile di fronte agli altri. Ero un'isola lontana ed inesplorata, con un oceano in tempesta che circondava le mie coste e impediva a chiunque di avvicinarsi troppo.
Ma le cose erano cambiate, quella dannata tragedia si era portata dietro troppe conseguenze che non avevo voluto vedere o fermare. Come Levin.
Abbassai in automatico lo sguardo su Aiden, gli occhi chiusi come se stesse dormendo serenamente, la pelle tanto bianca da sembrare trasparente ... poi quel dannato respiratore che lo teneva in vita, scandendo quei respiri artificiali che spezzavano il silenzio altrimenti assoluto della stanza.
Mi avrebbe mai perdonato? Anzi, avrebbe mai avuto la possibilità di perdonarmi? O la fine era semplicemente quella? Un coma che diventava morte, un silenzio che si protraeva fino a quando qualcuno non avesse deciso di porre fine a quell'agonia, staccando l'ultima connessione tra Aiden e questo mondo?
- Mi dispiace ...
Ed era così davvero, senza averne avuto intenzione mi stavo riprendendo la mia vita e, nonostante fossi roso dai sensi di colpa, era troppo tardi per voltare le spalle a quel tipo di cambiamento.
C'era Levin adesso, la sua presenza diventava ogni giorno più necessaria per me e quel pensiero mi terrorizzava ed esaltava allo stesso tempo... era come un bisogno che non avevo mai sperimentato in tutta la mia vita, mi rendeva debole e insicuro. Non era il momento per innamorarsi, mi dicevo, non di Levin, non mentre Aiden stava morendo e la mia bussola sembrava aver smesso di funzionare. Eppure stava succedendo e tutto quello non si sarebbe fermato con niente.
Fu il vibrare del telefono a risvegliarmi da quei pensieri, lo tirai fuori e me lo portai all'orecchio. Era mia madre.
- Andrew caro, passi tu in pasticceria a prendere il dolce per stasera? Te lo ricordi, vero?
Il dolce per stasera. Il mondo andava avanti, sempre e comunque. Non c'era morte tanto dolorosa o tanto illustre da arrestare il tempo.
- Certo, faccio io. Serve altro?
Presi una nota mentale di quello che serviva, il mio sguardo era ancora posato sul corpo immobile di Aiden, non mi era mai sembrato così piccolo e indifeso come durante la sua degenza lì. E pensai che nonostante i loro errori, i Berg non meritavano di trascorrere il Natale in ospedale, a vegliare sul loro bambino e a rimpiangere quello che non avrebbero più avuto.
- Fa con calma. Martha e i ragazzi sono già qui, ti aspettiamo!
L'entusiasmo di mia madre si percepiva perfino dal telefono, finalmente si tornava a trascorrere un natale con la famiglia al completo, come non succedeva ormai da circa cinque anni. Sarebbe stata bene almeno lei, mentre io avrei finto di cavarmela per non dare troppo nell'occhio e gettare un'ombra scura sull'entusiasmo di tutti gli altri. Poi Levin sarebbe venuto a salvarmi, o meglio, toccava a me salvare lui dalla sua cena in famiglia e rapirlo. Avremmo passato la notte insieme dopo troppo tempo in cui ci eravamo visti in modo sporadico per non far preoccupare troppo gli Eickam.
Dovevo cominciare a mettermi in cammino e passare a ritirare ogni genere di cosa nel tragitto verso casa. Mi piegai per baciare Aiden sulla fronte, vederlo in quelle condizioni era sempre un colpo al cuore, non c'era modo di accettare quello che gli stava succedendo.
Ero quasi quasi in auto quando vidi Keno avanzare verso di me in fretta, non capivo cosa volesse fare, semplicemente si frappose tra me e la portiera che stavo per afferrare. Lo guardai
- Che c'è? Cosa diavolo vuoi adesso?
Glielo leggevo sul viso, la supponenza del suo sguardo avrebbe dovuto provocare qualcosa in me, ma non successe. Ero stanco dei suoi assalti
- Da quanto tempo va avanti?
- Va avanti cosa? – chiesi confusamente
Il suo sguardo ebbe un guizzo rabbioso, sentii il mio polso stretto nella sua morsa – Tra te e Eickam, fottuti figli di puttana
Ero sorpreso che se ne fosse accorto, ma non feci nulla per nascondere la freddezza che prendeva possesso dei miei occhi attimo dopo attimo. Non avrei negato, non mi sarei neanche difeso. Chi diavolo era Keno per potermi giudicare? Non gli dovevo niente.
- Non sono affari che ti riguardano. Adesso spostati
- Non sono affari che mi riguardano?
Mi aveva spinto indietro – Aiden sta combattendo per rimanere aggrappato alla vita! E' in quel dannato letto da un mese e tu invece cosa pensi bene di fare? Di scoparti Eickam! Non ti importa un cazzo di niente e nessuno, non hai neanche un briciolo di rispetto per quella persona! Sapevo che non te ne era mai sbattuto di lui, ma non avrei mai immaginato che saresti caduto così in basso da
- Sta zitto, Keno – lo avvisai con un filo di voce
- Sei un figlio di puttana! N-non hai perso un attimo di tempo prima di trovarti qualcun altro da sbattere, ma doveva essere proprio Eickam? Siete malati! Con che coraggio osi presentarti qui? Cosa diavolo pensi di dimostrare? A te non importa un cazzo di lui! L-l'unica cosa che sai fare è pagare e pagare! Tirare fuori i tuoi soldi sporchi per dare una parvenza di interesse! Ma io ti ho scoperto, io ti conosco!
Non riuscii più a trattenermi, senza rendermene conto lo avevo colpito e lo avevo fatto con talmente tanta forza da farlo cadere a terra. Le nocche mi facevano male, avevo il respiro affannato e un tremore incontrollabile al braccio. Keno era sull'asfalto, con il palmo asciugò un rivolo di sangue sul labbro, i suoi occhi erano furiosi e sofferenti allo stesso tempo
- E' tutto tuo adesso, come hai sempre voluto. Sei l'unico degno di lui, l'unico che non ha ceduto. Credevo che fosse tutto quello che volevi ... dimostrare che nessuno era degno di lui quanto te. Adesso hai raggiunto il tuo obiettivo ... adesso siete rimasti tu e lui soltanto
Keno non si sollevò, lo lasciai lì, mentre le sue accuse si facevano sempre più serrate e spaventose. Mi voltai un'ultima volta – E lascia in pace Levin, non provare a prendertela con lui.
Non ascoltavo più, mi diressi velocemente in auto e ripartì. Stavo male, ogni singola parola di Keno era stata una pugnalata diretta al petto. I miei dubbi e le mie parole erano ancora tutte lì, sempre più evidenti e brucianti come se fossero state risvegliate dallo sguardo rabbioso e folle di Keno. Camminavamo sul filo del rasoio, temevo che anche la minima sciocchezza avesse potuto spingere Levin a tenersi lontano da me, anche non sentirlo per poco tempo mi metteva in allarme e mi atterriva. Volevo che tutto andasse bene, che sapesse che c'eravamo dentro insieme. Sempre. Avrei diviso il peso della nostra storia con lui, anzi ero pronto a farmi carico da solo di tutto ciò che quei sensi di colpa si portavano dietro.
La serata trascorse tra brindisi e chiacchiere, finsi meglio che potevo, ma il dolore alle nocche non faceva altro che ricordarmi quanto era successo nel pomeriggio e le parole che Keno mi aveva scagliato addosso.
- Zio! Di nuovo, fammelo fare di nuovo!
Stavo giocando con i miei nipoti, sentivo lo sguardo di mia sorella posarsi ad intermittenza su di me quando credeva che non me ne sarei accorto. Anche lei sapeva di Aiden, ma non ne parlò, mi rimase accanto, ogni tanto posandomi una mano sulla spalla nei momenti in cui il mio viso falliva di mantenere un'espressione divertita. La ringraziai mentalmente per quel silenzio pieno di comprensione, per i miei nipoti sempre pieni di vita e capaci con la loro felicità travolgente di trascinarmi via dai miei pensieri, seppure per breve tempo.
I brindisi andarono avanti per un po', feci una foto al cane e la inviai a Levin, la sua risposta arrivò in fretta, risi quando vidi lo schermo ricoprirsi di emoticon con gli occhi a forma di cuori. Gli chiesi cosa stesse facendo e subito ricevetti una sua foto. Reggeva un flute di champagne e sembrava lievemente alticcio mentre sorrideva verso la fotocamera. Gli scrissi di non esagerare e di aspettarmi per completare l'opera
- Tesoro, dove andrai dopo?
Mi voltai verso mia madre, dovevo ancora avere l'ultimo guizzo di un sorriso impresso sulle labbra quando risposi
- Faccio un giro in centro
- Sei con i ragazzi?
Mi guardai intorno un attimo, tutti i grandi erano riuniti intorno al solito tavolo da poker, i loro schiamazzi erano così alti che non era neanche necessario abbassare la voce
- Con un ragazzo – precisai, senza sapere esattamente perché avevo deciso di essere sincero fino a quel momento.
Mia madre non riuscì a nascondere un principio di sorpresa, ma si riprese in fretta – Oh! Tu e un altro ragazzo? Me lo farai conoscere stavolta?
Doveva essere strano per lei non sentirmi tergiversare, non era così che mi comportavo di solito di fronte a quel genere di domande. I miei non avevano mai conosciuto Aiden, né nessun altro prima di lui. Non ero quel tipo di persona, ma allo stesso tempo non volevo più commettere gli stessi errori del passato
- Più avanti se gli andrà ... - concessi con uno strano sorriso sul viso
- Certo che gli andrà! E lui com'è? Cosa fa? E' affascinante?
- Mamma ...
- Cosa? Sono curiosa!
Mi venne da ridere – Lui è un artista, dovresti sentirlo suonare ... è bravissimo.
Gli occhi di mia madre si illuminarono, non glielo dissi in modo esplicito, ma dentro di me ero certo che lo avrebbe apprezzato immediatamente se lo avesse conosciuto. Possedevano la stessa sensibilità e quello era un dono molto raro per un ragazzo tanto giovane.
- Allora devo proprio conoscerlo. Perché non lo porti qui una di queste sere? Per una cena tranquilla! Solo una cena. Giuro che non ti metterò in imbarazzo e non farò troppe domande! Cosa suona?
- La chitarra
Le domande continuarono per un po', alla fine, in un modo quasi paradossale, quella conversazione era riuscita a strapparmi una risata e a migliorare il mio umore. Mia madre smise di interrogarmi su Levin soltanto quando presi il giubbotto ed annunciai che stavo per uscire.
Sapere che stavo per incontrare Levin servì a calmare i miei nervi, ultimamente stare con lui era come un sedativo naturale per qualsiasi problema mi fosse arrivato addosso. Sperai di potergli dare anche solo la metà del sollievo che lui donava a me, ma lui non parlava mai molto, erano i suoi sguardi che andavano letti.
Avevo lasciato la mia auto in uno dei grossi parcheggi custoditi del centro per poi risalire la strada a ritroso. Per la prima volta ero stato io ad arrivare per secondo, Levin era già lì, la sua testa biondissima risaltava tra quelle degli altri passanti riversati in strada per festeggiare la vigilia. Quello era il nostro punto di incontro, proprio sotto gli Studios con le loro insegne digitali brillanti, dove Times Square illuminava il cielo in tutta la sua magnificenza. Mi feci largo tra la calca di gente, i miei occhi erano fissi su di lui, sul viso magro e solitamente serio, ma adesso aperto in un sorrisino appena accennato.
- Pensavo che sarei dovuto venire a prelevarti a casa dopo tutte le foto di quelle bottiglie vuote di champagne ...
Avevo parlato contro il suo orecchio mentre Levin mi passava le braccia intorno alla vita e mi piazzava un bacio quasi impercettibile sulla guancia.
- E invece sono riuscito a prendere la metro e a trovare la via. Non sei fiero di me?
Era così bello, bloccai il suo viso tra le mani e lo baciai sulle labbra senza pensarci un istante in più.
- Incredibilmente fiero – confermai dopo un bacio fin troppo coinvolgente. Le mie capacità mentali erano già state messe a dura prova dopo quel contatto. Levin tornò al contrattacco, passandomi le braccia intorno alle spalle, eravamo stretti contro il muro, riparati dalla pioggia gelata che presto si sarebbe trasformata in neve, considerato le temperature sotto lo zero. Eppure non importava, non percepivo niente che non fosse Levin e le sue labbra calde e morbide contro le mie. Sarei rimasto lì per sempre se avessi potuto, era un attimo di irraggiungibile perfezione e completezza che non avrei scambiato con nient'altro al mondo.
- Buon natale comunque – sussurrò lui ad un centimetro dalle mie labbra
- Buon natale anche a te. Ci resterei parecchio male se spogliandoti non trovassi un bel paio di boxer rossi con una renna stampata sopra, ma capisco che verrebbe meno ai tuoi princìpi di ragazzo dark ed impassibile.
Levin rise piano e scosse la testa – Sei un coglione
- Un coglione? A casa Wolfhart è obbligatorio indossare mutande rosse e di dubbio gusto durante la vigilia!
- Non ci credo ... - continuava a ridere, ma adesso stava trafficando con la cerniera del mio cappotto per poter vedere sotto. Glielo lasciai fare, amavo vederlo così spontaneo, come se avesse deciso di abbassare le difese soltanto per accogliere me nel suo mondo, dentro quelle mura altissime che ci tenevano entrambi protetti dal resto.
Aveva sollevato prima il maglione e poi la camicia che portavo sotto
- Non ci credo
- Boxer rossi ed imbarazzanti, te l'ho detto. Ti divertirai un sacco a sfilarmeli più tardi. Li ha scelti mia madre, non mi stupirei se ci fosse una renna da qualche parte
Poi lo attirai a me e lo baciai tra le risate, in quell'euforia della notte, in mezzo alla folla di gente che ci circondava e ammassava l'incrocio. E gli occhi di Levin erano scuri di desiderio e di parole non dette, le sue mani mi sfioravano il viso, mi contemplava come se fossi la persona più degna del mondo e, se avesse continuato a guardarmi in quel modo, ero certo che avrei finito per sentirmi anch'io all'altezza del mondo.
LEVIN
- Dove vuoi andare?
Non eravamo ancora riusciti a staccarci l'uno dall'altro, avevo talmente voglia di lui da non riuscire neanche a parlare. Il profumo della sua colonia aveva offuscato le mie capacità di intendere e di volere, così come i suoi baci infuocati con cui cospargeva il mio collo. Avevo i brividi, ma non erano dovuti al freddo, era la sua presenza, era il tono basso ed eccitato della sua voce e quegli occhi traboccanti di desiderio e previsioni di quello che sarebbe successo non appena fossimo stati lontani da quella folla.
- Andiamo a casa tua
Andrew rise, lusingato – Sicuro di non voler fare un giro prima? Non vorrei essere accusato di essere un fottuto pervertito che come unico pensiero ha quello di condurti nel comodissimo letto di casa
- E' esattamente quello che sei però – gli feci notare, ridendo di rimando – e non mi sentirai mai lamentarmi di questo, te lo assicuro
- Affare fatto
Il suo braccio si strinse intorno alle mie spalle mentre camminavamo in fretta verso la strada. Lo guardai un attimo, sembrava soddisfatto e lievemente divertito
- Perché gongoli tanto? Che c'è?
Un attimo di silenzio, poi mi guardò ed il suo sorriso si fece più grande – Mia madre vuole conoscerti
- Cosa? Perché? – senza volerlo ero stato preso dal panico
- Perché stasera ha saputo casualmente che uscivo con un ragazzo, quindi mi ha chiesto di invitarti a cena una di queste sere.
- Lo ha saputo casualmente, eh? Non mi sembri il tipo di persona che si lascia scappare qualcosa che non vuole far sapere – dissi con una punta di accusa nella voce.
Andrew rise, un'espressione colpevole apparve sul suo viso mentre scuotevo la testa e mi lasciavo stringere un po' di più contro la sua spalla
- E va bene, gliel'ho detto io! Che male c'è? E' la verità, no? Non devi accettare per forza, sta tranquillo.
Rimasi un attimo a pensare a quella possibilità. Non avevo mai conosciuto i genitori di nessuno, sarebbe stato imbarazzante e mi avrebbe anche messo un'ansia pazzesca addosso. Non ero granché loquace con gli sconosciuti, soprattutto con gli adulti ... non avevo esperienza in quel genere di cose e questo mi atterriva.
- Ti ho messo in una brutta situazione?
Sentivo lo sguardo di Andrew addosso, ancora per metà divertito.
- Se vengo a casa tua questo cosa farebbe di me? – decisi di ribaltare la domanda e tornai a guardarlo, stavolta in modo sfrontato
- In che senso?
- Non fingere di non aver afferrato. Voglio capire come mi presenteresti ai tuoi ... come un amico? Un amico speciale? – non riuscivo neanche a pronunciare quella parola che iniziava per "f" e finiva per "o" – illuminami, sicuramente hai più esperienza tu di me in questo
- Ah, ti sbagli. Non ho mai portato nessuno a casa
Quell'ammissione mi confuse e agitò ancora di più. Venni pervaso da una strana sensazione di orgoglio che lasciò subito posto al panico.
- E hai deciso di iniziare proprio quando esci con me? Che culo!
Andrew rise forte e mi posò un bacio sulla guancia – Non fare il melodrammatico. I miei non hanno bisogno di alcuna etichetta per capire che tipo di relazione abbiamo. Non sono degli idioti e sanno che sono gay più o meno dai tempi in cui ho iniziato le superiori, quindi non vedo dove sia il problema. Se poi non ti va è un altro conto, ma non devi preoccuparti di loro, sono molto aperti.
- E che faresti se io ti portassi dagli Eickam?
Lo vidi arricciare appena la fronte in un'espressione meditabonda, poi tornò a sorridere
- Ti chiederei che tipo di bottiglia piace a tuo padre e gliela porterei.
- Col cazzo ...
- Perché tanto scetticismo? Preferiresti una torta? Allora che torta sia. Quando posso venire?
Lo guardai per un attimo in modo mortalmente serio, ma era impossibile tentare quel genere di approccio quando Andrew sembrava di un uomo talmente buono da far paura. Tornò a ridere subito dopo e mi trascinò con sé nella sua euforia idiota
- Fanculo. Non lo faresti davvero, non ti credo. Mi hai appena detto che non hai mai portato nessuno a casa dai tuoi, quindi perché dovresti voler portare uno che hai conosciuto un mese fa?
- Perché c'è sempre una prima volta, no? E poi che diavolo c'entra l'averti conosciuto da poco? Questo non cambia le cose
Ci eravamo fermati senza rendercene conto, Andrew era venuto a fronteggiarmi, passandomi le mani intorno alle spalle, su e giù, in un movimento ritmico che avrebbe dovuto calmarmi e forse anche scaldarmi. I suoi occhi cercavano i miei, mi lasciai accarezzare la guancia e attirare un po' verso di lui.
- Che cosa ti preoccupa in particolare? Ho già pensato di farmi vedere dai tuoi. Forse se mi conoscessero sarebbero anche più tranquilli e ti lascerebbero più libero sapendo il motivo per cui stai spesso fuori fino a tardi, forse sarebbe meglio per entrambi. Posso fare una buona impressione se mi impegno. Credimi
Quelle parole mi travolsero letteralmente. Rimasi imbambolato a riflettere su quanto Andrew stesse facendo sul serio. Non si trattava più di battute idiote e provocazioni, mi resi conto che lui aveva pensato seriamente alla cosa.
- Vuoi conoscere i miei per rassicurarli?
- Perché no? Potresti rimanere da me quando ti pare ... sarebbero tranquilli, no? Non penserebbero che hai ripreso il tuo vecchio giro o che diavolo ne so. Ma forse sto correndo troppo per te
Scossi la testa, ero confuso, Andrew aveva una capacità assurda di cogliermi del tutto impreparato e di uscirsene con certe novità a cui pensava da solo e chissà per quanto tempo.
- Questo renderebbe le cose più complicate – parlai con un tono consapevole e maturo, come se mi stessi rivolgendo ad un bambino con idee strampalate per la testa. Andrew mi fulminò con lo sguardo
- Per te? Perché nel rapporto con i tuoi le semplificherebbe di gran lunga. Comunque non insisto, la mia era soltanto una proposta, forse anche stupida
- Cazzo, Andrew. Hai capito cosa sto cercando di dirti! Poi penserebbero che stiamo insieme ... proprio insieme, intendo.
Andrew mi fissò come se fossi particolarmente stupido – E non stiamo insieme?
- Sì, però ... però lo sai come stiamo - però cosa? Non riuscii a dire niente di sensato, le parole mi morirono in bocca. Sentii il mio viso bruciare per la vergogna, mi stavo comportando come un idiota e non avevo un rimedio per mettere chiarezza nei miei pensieri. Provai a prendere fiato e dopo un po' riuscii finalmente a fissarlo negli occhi. Andrew era in attesa
- Vuoi stare con me seriamente? – gli chiesi alla fine con un tono drammatico più di quanto ne necessitasse la situazione.
- Perché tu no?
- Cazzo! Smettila di rigirarmi le domande che ti faccio e rispondi!
- Certo che lo voglio, altrimenti perché diavolo avrei tirato fuori questo discorso? Per me è chiaro, bisogna solo capire cosa diavolo passa per la mente a te adesso
Eccolo, a parlare di cose che a me risultava difficile soltanto nominare, mentre per Andrew non lo era mai. Voleva una cosa e andava a prendersela, in modo sempre diretto, mai tramite sotterfugi e parole non dette ... voleva mettere in chiaro le cose e lo stava facendo con la sua solita calma e spavalderia.
- I miei non sanno che sono gay – dissi soltanto
- E poi sarei io quello che elude le risposte ... - Andrew scosse la testa e sospirò, aveva perfino ritirato il braccio dalle mie spalle – lasciamo perdere, non importa. E' troppo presto per parlare di questo
Continuammo a camminare, adesso ad una certa distanza l'uno dall'altro. Le sue parole mi avevano zittito e messo di cattivo umore. Di tanto in tanto lanciavo un'occhiata verso di lui che adesso aveva tirato fuori il cellulare e leggeva qualcosa su uno dei suoi social.
- Perché mi stai ignorando?
- Non ti sto ignorando – disse un attimo dopo con un tono tanto calmo quanto poco credibile
- Allora posa quel cazzo di cellulare!
Andrew portò gli occhi al cielo, ma fece come gli avevo detto. Eccoci al nostro primo litigio di coppia, pensai, atterrito e anche imbarazzato dal modo in cui avevo iniziato a comportarmi. Avevo una dannata paura di perdere quello che avevo con lui, stavo fin troppo bene in quell'ultimo periodo per non temere che fosse soltanto una fase passeggera, il gioco di un paio di mesi che a lungo andare lo avrebbe stancato. Ma allora perché si sarebbe spinto a chiedermi di stare insieme? Quello che avevamo adesso era fin troppo comodo per uno che non aveva alcuna intenzione di impegnarsi in qualcosa di diverso e più complicato.
Forse ero soltanto impulsivo e presto se ne sarebbe pentito. E poi c'era Aiden.
- Andrew, come la mettiamo con lui?
Le mie parole riecheggiarono nel silenzio della stradina che stavamo percorrendo. Lui si voltò verso di me, il suo viso era cupo e preoccupato
- E' questo che mi frena ... solo questo – chiarii con più coraggio di quanto pensavo di avere.
Avevo voglia di toccarlo, lo raggiunsi in fretta, passandogli le braccia intorno alle spalle per stringerlo a me. Andrew si sciolse in fretta, lo sentii sospirare piano, con il viso contro il mio
- Mi dispiace di aver reagito male. Non so neanch'io come affrontare tutto questo ... ma credi che servirebbe a qualcosa vederci in questo modo? Nasconderci da tutti come se fossimo dei ladri quando in realtà non c'è niente di male. Io voglio stare con te
- Ma lui è lì ...
- Lo so
Lo accarezzai piano, poi lo baciai, lasciai che i miei pensieri andassero alla deriva per un po', ero stanco di preoccuparmi di tutto quello che mi circondava. Avevo un dannato pezzo di paradiso su cui non potevo avanzare pretese fino a quando le cose non si fossero fatte più chiare per entrambi. Non potevamo fingere che Aiden non fosse presente nelle nostre vite. C'era e dovevamo fare i conti con la sua presenza spettrale.
- Lasciamo passare un altro po' di tempo ... - proposi a fatica, tra un bacio appassionato ed un altro. Respirare era difficile, ero confuso e accaldato. Volevo Andrew e non avevo idea di dove fossimo finiti a furia di camminare pur di non rivolgerci la parola.
- Faremo come vorrai
Un sorriso mite, poi mi aveva dato un ultimo bacio delicato a fior di pelle prima di continuare ad avanzare
- Dove siamo esattamente? Credevo che la tua auto fosse al solito posto
- Non stiamo andando alla mia auto infatti. Ti porto nel mio secondo appartamento
Strabuzzai gli occhi – Secondo appartamento? Quanti ne hai?
Andrew rise – Solo due se non contiamo quello che ho affittato a Coney Island. E' vicino a casa mia, ma comunque dovrò venderlo presto. Così potrò continuare a pagare le cure di Aiden
Mi si strinse il cuore nel petto, non c'era un solo istante in cui la mia mente non tornasse a quella dannata notte. Perché era toccato a me ed Aiden finire su quella strada? Se soltanto quell'auto non ci fosse venuta addosso a quella velocità ... tutto quello non sarebbe mai successo. Aiden sarebbe stato vivo ed io ... io non avrei neanche conosciuto Andrew, pensai un attimo dopo. Il futuro sarebbe stato del tutto diverso, forse io ed Aiden avremmo finito per non vederci più, forse sarei stato in qualche vicolo a farmi perfino alla vigilia di Natale. Eppure non riuscivo ad immaginare un percorso diverso da quello. Mi sembrava assurdo pensare ad un mondo in cui non avrei mai conosciuto Andrew nel modo in cui lo conoscevo adesso.
- Comunque perché i tuoi non sanno niente?
Feci mente locale, mi ero perso nei miei pensieri e soltanto dopo un paio di secondi riuscii a capire a cosa stesse facendo riferimento con quella domanda.
- Loro non mi hanno mai chiesto se sono gay, così io non ho mai detto niente – dissi semplicemente
Andrew annuì, sembrava divertito – Beh, ci sta.
- Non credo che ne farebbero un dramma, ma non sono neanche così sensibili all'argomento, quindi ho preferito evitare i problemi. Noi Eickam ne abbiamo già abbastanza
Lo sentii ridere, poi mi passò un braccio intorno al collo e mi spinse verso di lui in modo poco gentile. Lo lasciai arruffarmi i capelli, protestando debolmente fino a quando non mollò la presa
- Però i miei lo sanno. Puoi venire lo stesso a cena da noi.
- Non ti arrendi mai, vero?
Era riuscito a rigirarmi come desiderava, alla fine non trovai più nessuna obiezione sensata.
- Dovresti andarne fiero, Levin. Ti sto facendo conoscere il mio mondo come non ho mai fatto con nessuno ...
Quelle parole vennero fuori in modo apparentemente giocoso, ma c'era un senso più profondo da cogliere dietro. Era un'ammissione bella e buona di quanto facesse sul serio nonostante avessimo deciso di prenderci dell'altro tempo. Ero felice, la sua insistenza mi faceva sentire al sicuro e molto di più. Non si sarebbe arreso tanto facilmente, Andrew avrebbe combattuto contro le mie paure e le avrebbe vinte, era un leone, un guerriero ... qualcuno a cui potersi appoggiare. Dovevo solo trovare il coraggio di farlo.
- Eccoci qui
Lanciai uno sguardo sul palazzo elegante verso il quale stavamo avanzando. Un posto talmente centrale, ma allo stesso tempo posizionato in una zona silenziosa e strategica. Non avevo dubbi su quanto dovesse costare un affitto lì. Entrammo in fretta, ormai quasi gelati per la neve, poi Andrew chiamò l'ascensore e non appena arrivò salimmo su. Eravamo da soli adesso, ci misi un attimo a realizzarlo e ancora meno a catapultarmi su Andrew non appena si rivolse verso di me. Lo sentii ridere sulla mia bocca, il mio assalto doveva averlo divertito, ma ben presto il divertimento si trasformò in altro. Volevo toccarlo e sentire le sue mani intorno al mio corpo, volevo che mi scaldasse e che mi facesse andare a fuoco senza fatica, soltanto con i suoi baci e la sua pelle.
Non vidi il corridoio, né tutto il resto, sentii soltanto una porta sbattere e il calore di un camino artificiale che scaldava e illuminava la stanza, altrimenti buia, di un rosso vivido come sangue. Le pareti erano rosse, tutto sembrava andare a fuoco e divorarci intorno a noi. In un momento di lucidità destinata a morire vidi il bellissimo skyline di Brooklyn aprirsi davanti ai miei occhi, ma era già troppo tardi per aggrapparmi alla ragione, stava scivolando via insieme ai nostri vestiti.
- Ti ho pensato tutta la notte ... - ammisi, rabbrividendo per ogni singolo bacio che stava posando sul mio petto
- Io ti ho pensato tutta la settimana.
Il vibrare lontano del telefono non ci fermò, niente poteva distoglierci dalla sensazione dei nostri corpi uniti e stretti l'uno all'altro.
KENO
La notte di Natale, l'unico motivo per cui in passato ero riuscito a sopportare quella festività era perché poi potevo sgattaiolare fuori casa e girovagare con Aiden. Ogni anno mi ero sempre sorbito la cena con i miei genitori, i nonni e qualche zio, chiacchiere futili, domande invadenti e preghiere sterili. Poi i rintocchi della mezzanotte facevano aumentare il mio battito cardiaco, il sangue scorreva più velocemente mentre mi sollevavo dal divano, recuperavo la giacca, il regalo e uscire fuori, per andare da lui.
Ogni Natale compravamo zabaione caldo e ce ne andavamo in giro per Coney Island tutta addobbata di luci colorate, fumavamo vicino al molo e scartavamo i regali.
Ogni Natale tranne quello.
Era arrivato il 25 Dicembre e tutto ciò per cui avevo supplicato non era successo, ogni giorno avevo stretto la mano di Aiden sperando che i suoi occhi si aprissero ma non ci sarebbe stato nessun fottuto miracolo di Natale per me.
Erano le dieci e mezza del 25 Dicembre ed io ero solo, sul tetto del palazzo dove abitavo con l'ultima canna della scorta di Aiden, l'ultima cosa che mi era rimasta di lui. Il fumo saliva denso e accanto a me c'erano i fumetti che gli avevo comprato, quella piccola sorpresa che non sarei riuscito a dargli.
Non ero andato alla cena di famiglia quella sera, avevo ancora una volta litigato con i miei e alla fine mi ero chiuso in camera sbattendo la porta, uscendo solo quando li avevo sentiti andare via. Poi avevo preso una birra dal frigo e il sacchetto con l'erba, mi ero diretto sul terrazzo con i fumetti di Aiden a fissare quel cielo cupo.
Mi ero seduto sul cornicione con le gambe che penzolavano nel vuoto, il gusto amaro dello spinello e la mente piena di pensieri, piena di Aiden. L'ennesimo giorno che passava in ospedale, l'ennesimo giorno in cui il suo cervello sprofondava nell'oblio.
Ad un tratto fissai in basso, verso la strada sotto di me, con le auto colorate, la mia mente era leggera e un sorriso apparve sul mio volto, un gesto vuoto che stonava terribilmente con il mio stato d'animo.
Chissà cosa si prova ...
Me lo chiesi, mentre fissavo il mondo da quel terrazzo, mi chiesi cosa stesse provando Aiden in quel momento, con la mente immersa nel buio. Era più semplice? Smettevi di avere paura? Di sentirti frustrato e solo? Forse era per quello che il mio amico non tornava, forse stava vivendo una realtà migliore, forse era immerso in un sogno dove ogni suo desiderio era stato esaudito.
Mi misi in piedi, con le punte delle scarpe leggermente fuori dal bordo del terrazzo. Non era male pensai per un attimo, non era male chiudere gli occhi e basta, senza essere più torturato dalle emozioni di ogni giorno. Smettere di essere schiacciato da una realtà che non dà scampo, tirai l'ultima boccata di fumo e poi gettai il mozzicone oltre il palazzo, lo vidi cadere giù lentamente lasciandosi dietro una scia luminosa.
Potresti farlo anche tu e metterti a dormire come Aiden...
Cosa avevo da perdere in fondo? Cosa mai mi era rimasto di tanto importante? A chi sarei mai potuto mancare? Ogni istante la mia mente si faceva più audace nel fantasticare quel momento, un solo gesto, un solo passo e sarei andato giù e addio notti insonni e sensi di colpa.
Addio dolore.
Addio attesa.
Addio amarezza e rabbia.
Addio paura, panico, nausea e sconforto.
Addio impotenza.
Sollevai le braccia e poi un piede, sorrisi mentre giocavo a tenermi maldestramente in equilibrio su quel cornicione.
- AIDEN!- urlai improvvisamente con tutto il fiato che avevo nei polmoni, tanto da assordarmi per un istante.
Ad un tratto iniziò un lungo vibrare sulla mia coscia, proprio dopo pochi secondi da quell'urlo, mi riscossi. Poggiai il piede sul davanzale e recuperai un lampo di lucidità, indietreggiai dal bordo ed estrassi il telefono dalla tasca, conoscevo quel numero.
- Signora Berg ...- mormorai portando il cellulare all'orecchio.
- Keno! – la voce della donna era squillante, piena di un'energia che non sentivo in lei da settimane, l'emozione con cui mi chiamò attraversò il dispositivo e fece aumentare persino il battito del mio cuore – A-aiden ... i-il mio bambino si è svegliato.
-Aiden ... - ripetei mentre nel mio cervello si espandeva il nulla assoluto, ero totalmente sopraffatto – lui ... è sveglio? Adesso?
- S-sì! I medici sono qui - spiegò concitata – sei il primo a cui l'ho detto, so che non ti sei mai arreso, che tutto quello che hai fatto per lui ogni giorno lo ha aiutato tanto ...
- Vengo lì – dissi secco mentre mi allontanavo dal bordo del terrazzo e recuperavo la busta di fumetti – arrivo subito
- Lo stanno portando via, non so quando ce lo faranno vedere, devono fargli delle analisi subito – mi riferì tra un singhiozzo di gioia e l'altro.
- Non importa, io vengo lo stesso, sto arrivando – le assicurai e chiusi la chiamata.
Mi mossi tanto in fretta da non rendermi nemmeno conto dei singoli movimenti che stavo compiendo. Ad un tratto mi ritrovai seduto in auto, questo significava che avevo corso giù per le scale di tutto il palazzo, e poi avevo messo in moto, inoltrandomi nel traffico di Brooklyn.
Quella strada che conoscevo a memoria non mi era mai sembrata tanto interminabile, ma alla fine spensi il motore dell'auto nel parcheggio dell'ospedale. Smontai con quella busta ancora stretta nel pugno e corsi verso l'ascensore e poi lungo il corridoio.
E' sveglio, è sveglio, è sveglio ...
Vidi la signora Berg appoggiata al muro davanti alla camera di Aiden, le corsi in contro e lei si voltò abbracciandomi forte.
- E' tornato da noi – mormorò stringendomi.
- Mi dispiace ... - sussurrai – stavo cominciando a credere che non lo avrebbe fatto ...
Lei scosse la testa e asciugò le lacrime che non mi ero reso conto di stare versando, poi mi diede un bacio gentile sulla fronte – aspettiamo insieme
Io annuii, tentando di mantenere un briciolo di contegno, vidi anche tornare il padre di Aiden dalla toilette e stringere la mano della donna.
- Cosa gli stanno facendo? – chiesi a bassa voce.
Fu proprio l'uomo a rispondere – prima lo hanno portato in radiologia, penso che gli abbiano fatto una tac, ora con lui c'è il neurologo e altri infermieri. Devono fare le analisi del sangue e dei test per vedere ... se ci sono danni
Calò il silenzio e tornammo tutti a fissare quella porta, diversi medici e infermieri entrarono ed uscirono per un po' prima che il medico di Aiden si fermasse a parlare con noi chiaramente.
- Frank – disse la signora Berg fissandolo dritto negli occhi – allora? Come sta?
- E' cosciente e da una prima analisi sembra non aver riportato danni – dichiarò e quelle parole mi sciolsero, sentii come se i miei muscoli potessero evaporare e il mio corpo collassare in se stesso, mi poggiai al muro – è ancora presto per dirlo ma fin ora risponde bene ai test, dentro il neurologo gli sta facendo delle prove per i riflessi e fra qualche ora avremo anche i risultati delle altre analisi. Sicuramente è parecchio sotto shock e turbato, i suoi ricordi sono confusi e non si sentirà meglio prima di qualche giorno. È provato e stanco, ma la cosa importante che dovete tenere a mente è che il vero lavoro inizia ora. Aiden dovrà affrontare una riabilitazione impegnativa, anche se è giovane e forte, questo non gli impedirà di soffrire.
- Non lo permetterò – dissi ad un tratto attirando l'attenzione di tutti – farò tutto quello che posso per aiutarlo, con le terapie e la riabilitazione ...
Il dottore mi sorrise bonariamente – so che ti sei impegnato tanto. Aiden è fortunato ad avere un amico come te – poi ci guardò tutti nuovamente – adesso vi lascio, faremo altri test e poi lo lasceremo riposare per evitare che la sua mente si affatichi troppo. Potete scegliere se andare a casa o restare qui ma potrete vederlo solo domani mattina, niente visite adesso.
Ovviamente nessuno di noi si mosse, non potevamo allontanarci ora che sapevamo che lui era lì, sveglio oltre quella porta, sperammo solo di poterlo vedere il prima possibile.
- Ho provato a chiamare Andrew – disse la donna ad Alan – ma non ha risposto, però gli ho lasciato un messaggio in segreteria, almeno avrà la bella notizia.
I due si abbracciavano ancora una volta.
Forse avrà avuto di meglio da fare.
Il mio disprezzo per Andrew e per quella piccola tresca che aveva allestito durò solo qualche istante nella mia mente, prima di essere rimpiazzata nuovamente dalla consapevolezza che Aiden fosse davvero tornato. Non c'era niente di più importante ormai.
Soltanto la mattina seguente un'infermiera si avvicino a noi con il volto sorridente informandoci che Aiden adesso stava meglio e poteva ricevere le prime visite. Vidi i coniugi Berg scattare in piedi e seguire la donna dentro la stanza mentre a me toccò aspettare ancora.
Attesi in silenzio senza spostare lo sguardo da quella porta chiusa, stringevo ancora la busta con i fumetti e il cuore continuava a battermi forte, tanto da assordarmi le orecchie. Poi vidi l'infermiera uscire e venire verso di me, così scattai in piedi.
- Puoi venire anche tu ora – mi comunicò – ma mi raccomando, sii cauto. Potrebbe non riconoscerti immediatamente, è normale. Ha difficoltà a parlare e a muoversi, parlagli lentamente, è un momento molto delicato
Io annuii e la seguii, ogni passo verso quella stanza mi faceva sudare freddo.
Poi finalmente varcai la soglia e rividi i genitori di Aiden seduti di fronte al letto e poi, spostando lo sguardo, vidi lui. Aiden era lì, con gli occhi aperti, seduto sul letto con due cuscini che gli reggevano la schiena. Il suo volto sembrava estremamente provato, il colore della sua pelle era di un pallido spaventoso e, quando spostò la testa per guardare nella mia direzione, il mio cuore perse un battito.
In un solo istante tutte le paure che mi ero lasciato alle spalle mi assalirono nuovamente, ripensando agli ultimi giorni in cui ci eravamo disprezzati, in cui lui mi aveva chiarito quanto mi detestasse, mi chiesi se non lo provasse ancora. Mi chiesi se facevo bene ad essere lì oppure non avrei fatto altro che irritarlo e farlo soffrire.
Poi i nostri sguardi si incrociarono e quei pensieri nella mia mente si dissiparono nel momento in cui vidi la luce negli occhi azzurri di Aiden, sembravano confusi ma alla ricerca di qualcosa. Sembravano invitarmi, chiedermi chi fossi, perché non mi facessi più vicino ed io lo feci.
Stentai ma mi avvicinai al suo letto, non riuscivo a crederci, a comprendere che lui fosse davvero cosciente finalmente.
- Aiden ... - alla fine parlai e quasi non riconobbi la mia voce traboccante di stupore ed emozione – come ti senti?
Quella domanda rimase lì ad aleggiare, non rispose, continuava a fissarmi, poi osservò il sacchetto che tenevo fra le mani ed io ripresi nuovamente a parlare.
- Li ho presi per te, tutti i tuoi fumetti preferiti ... - dissi a fatica – non ne hai perso nemmeno un numero – mormorai mentre posavo la busta sul suo comodino.
Poi appoggiai una mano sul letto, vicino il suo braccio, non sapevo se potevo toccarlo o meno, se mi stesse capendo o se mi avesse riconosciuto, così non osai sfiorarlo. Ma qualcosa altro accadde, qualcosa che non mi aspettavo e mi lasciò stupito, la mano di Aiden si mosse, solo di pochi centimetri per avvicinarsi al mio braccio. Il suo dito tremante fece un gesto, lo stesso che io avevo ripetuto su di lui per giorni e giorni, mi sfiorò l'avambraccio e poi scese giù fino alla mano, a quel punto le nostre mani furono una sull'altra.
Lo fissai negli occhi ancora una volta con i brividi lungo la schiena mentre finalmente sentivo il calore della mano di Aiden, poi vidi la sua bocca aprirsi, prima un paio di volte senza che ne uscisse nulla, come se gli sfuggisse ciò che voleva dire. Alla fine parlò, fu quasi un sussurro:
- Ironman
Solo quello. Sentii la sua mano provare a stringere la mia con più forza mentre i suoi occhi tentavano di comunicare ciò che le sue parole non riuscivano ad esprimere.
- Ironman – ripeté strattonandomi appena le dita.
Ed un sorriso enorme mi si dipinse in volto mentre riportavo alla mente i nostri ricordi, mentre ritornavo a quei pomeriggi d'infanzia dove sognavamo di essere dei supereroi dei fumetti. Ed io ero Ironman, l'affasciante ed egocentrico Tony Stark e lui Spiderman, quella testa calda impulsiva di Peter Parker.
- Sono io – dissi con la voce strozzata – sì, sono io ... maledetto Peter Parker, ce ne hai messo di tempo a tornare da me.
Poi lo abbracciai, strinsi il suo corpo al mio il più possibile, inspirai l'odore della sua pelle e sentii le sue braccia aggrapparsi a me per qualche istante. Poi il ronzio delle macchine si fece più forte, ci staccammo ed il valore dell'elettrocardiogramma erano in aumento, vidi Aiden ansimare e il suo volto si dipinse di paura mentre portava una mano alla testa.
Urlò mentre le lacrime gli scendevano lungo le guance e l'infermiera si frapponeva tra noi due spingendo il pulsante delle emergenze.
- Ora tutti fuori – dichiarò – è stato troppo intenso, aspettate di fuori.
Io e i genitori di Aiden fummo trascinati via e lasciammo il posto ad altri medici, prima di quanto pensassi mi ritrovai nuovamente fuori da quella porta, ma ormai tutto era cambiato.
Nel giro di una notte sia io che Aiden avevamo ricominciato a vivere.
ANGOLO AUTRICI:
Buongiornooo! In questi giorni di resurrezione non potevamo non aggiornare questo capitolo XD in una sola notte sono cambiate tante cose, chissà che conseguenze avrà questo risveglio nelle vite dei nostri protagonisti, chissà cosa il futuro riserverà allo stesso Aiden. Ovviamente per saperlo non vi resta che attendere i nostri aggiornamenti. Come sempre aspettiamo con ansia i vostri commenti e vi mandiamo un bacio! Alla prossima.
BLACKSTEEL
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