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18. Trick or Treat

Cum grano salis

(Con un pizzico di sale, con un po' di prudenza)


KENO
- Allora, ci viene il tuo spasimante? – chiesi divertito quando sentii la voce di Aiden rispondere alla chiamata.
- Ho fatto un lavoro di persuasione molto accurato – rise – penso proprio che mi farà contento. Pensi che dovremmo travestirci da qualcosa?
Ci riflettei – No, è da sfigati, tira fuori il completo più figo del tuo repertorio e sarai perfetto
Lo sentii sghignazzare – e tu invece? Cosa indosserai? Sbaglio o anche tu devi fare colpo su qualcuno?
- Non devo fare colpo su nessuno, non mi serve – replicai con il mio solito tono superbo che lo faceva divertire – piuttosto, spero che il mio sesto senso non mi abbia ingannato e quel tipo sia interessante come sembra
Ripensai a Callum e al suo fare del tutto non convenzionale, alle volte appariva l'ingenuità fatta persona, completamente sprovveduto nei confronti di qualsiasi cosa. Eppure, altre volte, ti inchiodava con uno sguardo tremendamente profondo, come se potesse guardarti dentro e sconvolgerti.
- Non sono neanche sicuro che senza un'ulteriore sollecitazione venga sul serio – confessai – passerò a prenderlo per sicurezza
- Incredibile, qualcuno che non fa quello che dici in due secondi – mi derise – questa sì che è una novità interessante
- Piantala di fare lo stronzetto. Ci vediamo lì allora? – brontolai.
- Perfetto, chiamami quando arrivi, ci becchiamo all'ingresso.
Staccammo la chiamata con la consapevolezza che ci saremmo visti fra non molto, mi sollevai e cominciai a prepararmi. Quella sera il bravo e ubbidiente Keno aveva ottenuto il permesso di usare la macchina, potevo andare a prendere Callum una volta pronto e così feci.
Mentre guidavo sapevo di non essermi sbagliato quando avevo reputato Callum una persona bizzarra, non aveva mai dato l'impressione di essere un figlio di papà ma, a giudicare dal quartiere in cui viveva la sua famiglia, doveva esserlo.
Quando accostai vicino al vialetto lo trovai già fuori, non aveva in dosso nulla di speciale ma il sorriso che mi dedicò sembrava qualcosa di estremamente prezioso. Era lieve, quasi stentato, come se non sapesse esattamente se lo stesse facendo bene. Poteva una persona non sapere come si sorride?
- Ehi ciao – lo salutai – Sali, stasera si fa baldoria
Lo fece, si mise la cintura e mi lanciò qualche altra occhiata di sfuggita mentre mettevo in moto e mi dirigevo verso il luogo della festa.  

  Quando parcheggiai lo vidi immediatamente farsi nervoso, non mi aveva sorpreso il suo mutismo ma vederlo strofinare la mano tremante sul tessuto dei jeans mi convinse a parlare per primo.
- Ti senti bene? – chiesi interrompendo il silenzio – non devi avere paura, siamo qui per divertirci
Non rispose subito, diede prima una lunga occhiata alla spiaggia – dobbiamo andare lì?
- Non proprio, il locale è sulla spiaggia ma si passa da un ballatoio. Non dobbiamo scendere giù – la mia spiegazione lo aveva rincuorato leggermente.
- Il mare non mi piace – sibilò.
Scesi dall'auto e feci il giro aprendo il suo sportello, lui rimase sorpreso ma io gli dedicai un sorriso incoraggiante.
- Andiamo principessa, giù dalla carrozza
Stentò ma alla fine scese e si avvinò a me cominciando a seguirmi, era davvero parecchio alto, soprattutto accanto a me, ma il suo corpo faceva di tutto per occupare il minor spazio possibile. Dopo pochi passi iniziammo ad arrivare fra la gente, la folla era già all'ingresso e intorno al locale, il chiasso dell'interno era chiaramente udibile anche fuori. In quel momento sentii la mano di Callum scivolare nella mia, stringendola leggermente, quel contatto mi fece voltare.
- Va tutto bene – dissi ancora una volta mentre lui annuiva rinsaldando la stretta.
Quando arrivammo all'entrata principale del locale sentii chiaramente una voce ben conosciuta chiamarmi.
- Keno!
Aiden ci stava venendo incontro con un sorrisino pieno di cattive intenzioni stampato sulle labbra, gli diedi una pacca sulla spalla e mi voltai per presentargli il mio accompagnatore.
- Ehi amico, lui è Callum. Viene alla Tech con noi
I due si guardarono per un momento, poi Aiden gli assestò una pacca sulla spalla – ehi, piacere di conoscerti
L'altro fece un gesto timido con la mano – ciao, sono l'amico di Levin. Ti ricordi di me? Viene anche lui stasera?
- Vi conoscete? – chiesi allibito mentre Aiden mi passò una mano intorno alle spalle.
- Giusto, è vero, mi ero dimenticato di te! – poi si rivolse a me - non te la prendere, il mondo gira anche senza il tuo intervento – commentò divertito e puntò gli occhi su Callum – certo che ci siamo già conosciuti, ero troppo fatto quel giorno però. Chiedo umilmente perdono
- Allora io sono l'unico al mondo che ancora non conosce il famoso Levin – commentai lievemente infastidito – si farà vivo questo cavaliere del mistero?
A quel punto Aiden fece una leggera smorfia – dovevamo vederci qui, ma è già in ritardo ...
Io scossi la testa - intanto noi tre andiamo dentro e ci divertiamo. Avanti, non dovremmo essere sobri a quest'ora
Così facemmo, nonostante Callum fosse ancora incerto ci seguì dentro e ci lasciammo avvolgere dalla musica e il caos. Corpi che ballavano e si muovevano al ritmo di una musica assordante, risate e alcol a fiumi.
- Voglio una birra e due shot di tequila
Mi trovai perfettamente d'accordo con Aiden.
- Andiamo, coraggio – dissi a Callum trascinandolo con noi.

  Cominciammo il nostro giro di bevute e chiacchiere, fui grato ad Aiden della sua iniziale discrezione, non fece battute su Callum e quanto mi stesse incollato, né sul fatto che non me ne stessi lamentando. Alla fine eravamo già belli che alticci.
- Voglio ballare – esclamai ad un tratto, avevo caldo e quella terrazza sembrava molto invitante.
- Andate pure ... io resto qui, davvero – mormorò Callum.
- Andiamo, è la tua prima festa. Non resterai tutto solo a rimuginare – dissi.
- Resto io – il tono di Aiden mi fece preoccupare leggermente – provo a chiamare Levin per capire che diavolo sta combinando
Rimasi immobile e lo fissai, lui intuì che lo stavo aspettando, non mi sarei mosso senza capire se stesse bene, se quel tipo gli aveva dato buca o meno, così compose il numero davanti a me.
- Pronto? Mi senti? – disse quando lui prese la chiamata – ma dove sei? – altra pausa – Levin, c'era la dannata festa, dovevamo vederci qui! – ancora qualche minuto di silenzio – senti, ci vediamo al negozio di dischi e veniamo qui insieme, non esiste che stasera faccia il terzo incomodo. C'è pure il tuo amico Callum, muovi il culo ed esci –
Chiuse la chiamata e io scossi la testa – non sei il terzo incomodo di nessuno, non dire stronzate
Quello annuì – Vado a raccattare quello stronzo snob. Ci vediamo fra poco, voi andate in pista
Lo salutai e restammo solo io e Callum, gli sorrisi nuovamente perché il vederlo lì, circondato dal chiasso e con il viso leggermente arrossato per l'alcol, mi mise una strana allegria. Strinsi nuovamente la sua mano e lo trascinai verso la terrazza dove i ragazzi affollavano la pista.
- Almeno, ti stai divertendo o mi odi da morire? – chiesi mentre mi avvicinavo a lui e cingevo la sua vita.
- Questa è ... la prima volta che partecipo ad una festa – il suo tono era indeciso ma il suo sguardo profondo – grazie per questo. Ero incerto, ma è stato bello incontrarti e venire qui, mi fai sentire normale
Chi sei?
Quella domanda mi si formò in mente da sola mentre fissavo quegli occhi grigi sfavillanti, lo sentii ondeggiare insieme a me.
- Perché non lo sei? – sussurrai.
Il suo viso mutò ancora, adesso non sembrava più intimidito dalla festa e dal chiasso, anzi, sembrava quasi che non lo sentisse. Iniziò a fissare oltre la gente, oltre le luci, verso il bordo della terrazza dove il mare si muoveva nell'oscurità.
Non so cosa accadde in quel momento, sentivo che dovevo tirarlo fuori da lì, da quei pensieri che lo stavano intrappolando.
- Callum ... - mormorai sfiorandogli il braccio.
- Non so se me lo merito – sibilò, lo sentivo a stento e forse non stava nemmeno parlando con me – questo è bello, ma io ... io
Riportalo indietro.
Mossi le braccia di scatto e gli afferrai il viso fra le mani e lo feci voltare verso di me, non mi aveva mai fissato con una tale intensità, nessuno lo aveva mai fatto. Mi sollevai appena sulle punte dei piedi e unì le nostre labbra, un bacio molto leggero che speravo lo facesse tornare con la mente al presente e lo fece. Sentii le sue mani afferrare le mie spalle e quel gesto delicato divenne in pochi istanti feroce e passionale. Sentivo le sue labbra danzare sicure e le mie quasi faticavano a seguirlo, il pensiero che potesse nascondere una natura tanto vorace non mi aveva mai nemmeno sfiorato. Come avevo sospettato, Callum era un ragazzo che nascondeva tante sfumature.
Il bacio durò finché riuscimmo a trattenere il fiato, poi ci staccammo violentemente ed il mio cuore stava battendo forte per quell'improvvisa scossa di adrenalina. Fissare nuovamente il suo viso fu la parte più assurda, sembrava quasi non esserci traccia della persona che mi aveva baciato qualche istante prima. Nei suoi occhi c'era solo il panico.
- Ehi, ti senti bene? Va tutto bene Callum – cercai di dire tornando a sfiorargli il viso.
Il suo sguardo era disorientato e il suo respiro iniziava a farsi corto – la mia testa ... mi sento ... io
Iniziò ad indietreggiare e questo cominciò a spaventare anche me – ti senti bene? Possiamo andare via, parlami
Poi il suo voltò sbiancò e la sua bocca iniziò ad aprirsi e chiudersi senza che riuscisse a parlare, si portò una mano al petto e si accovacciò leggermente. Era quello l'attacco di panico? Non riflettei, lo trascinai via da quella calca e mi feci largo fra la folla di ubriachi per portarlo lontano dal chiasso. Si reggeva a stento in piedi e il suo viso sembrava ogni istante più provato, quando arrivammo fuori dal locale, si gettò a terra.
Quel rantolio aveva un suono agghiacciante, sembrava che lo stessero strangolando e fissare quella scena senza fare nulla mi fece sentire insignificante.
Era stata colpa mia?
Ad un tratto smise di ansimare, il suo viso e il suo corpo avevano cessato di contrarsi e lui rimase steso a terra per una manciata di secondi, rigido come un cadavere, mi chiesi se non fosse morto davvero.
Alla fine si sollevò lentamente reggendosi alla parete – mi dispiace – sibilò con la voce ancora roca.
Io scossi la testa – Era un attacco? Stai bene?
Annuì debolmente – Devo andare
- E' colpa mia? – quella domanda mi uscì di bocca incontrollata – è stato quel bacio? Io ...
- Non fa niente, solo che ... - si interruppe – sono io, sono sbagliato e non ho diritto a stare qui. Né con te né con nessuno
Non riuscivo a mettere insieme quello che mi aveva detto, sentivo che c'era qualcosa che mi mancava, qualcosa che tormentava la vita di Callum ma che allo stesso tempo lui cercava di nascondere agli altri.
Ognuno vive prigioniero del proprio inferno personale.
Lui forse aveva un inferno più brutale degli altri e in qualche modo ci stava sguazzando dentro in quel momento. Lo vidi accennare dei passi lungo la strada e io lo seguii ma lui arrestò subito il passo.
- Vado da solo
- No, non se ne parla, non ti lascio andare via così – insistetti.
Mi riservò l'ennesima occhiata ma questa volta fu di freddezza e distacco – ho detto che vado da solo, so badare a me stesso
Quel tono non ammetteva repliche e lui non ne attese, si voltò nuovamente e proseguì per la sua strada barcollante ma senza voltarsi.
Io rimasi lì, mi presi la testa fra le mani chiedendomi se questa volta non avessi esagerato, se non avessi fatto qualche mossa falsa. Mi piaceva fare lo stronzo, adoravo vedere la gente annaspante e in difficoltà ma avevo un'etica: prendersela con chi lo meritava davvero. Callum era solo un ragazzo estremamente fragile che aveva bisogno di qualcuno che lo coinvolgesse, che lo aiutasse a vivere e io non ne ero stato capace.
Sei troppo superficiale Keno, tu non aiuti le persone, le sai solo ferire.

Forse era così mi dissi mentre mi sedevo all'ingresso del locale, circondato da ragazzi ubriachi e allegri, forse ero solo fatto per sputtanare le vite delle altre persone e non per essere d'aiuto davvero. Mi chiesi se Aiden non stesse tornando per quello, perché non aveva voglia di presentarmi il suo nuovo amico per paura che io lo deridessi o lo mettessi in imbarazzo. D'altronde non avevo fatto che disprezzare Andrew da quando lo conoscevo, perché smentirmi? Forse il mio vero me, stanco di allontanare la gente inutile, aveva iniziato ad allontanare anche Aiden.


 AIDEN
Stavo correndo all'impazzata lungo la strada piena di ragazzini in costume. Non volevo perdermi la festa e, allo stesso tempo, volevo trovare Levin e trascinarmelo dietro il prima possibile. Come poteva una persona essere tanto introversa da non voler partecipare ad una dannata festa talmente piena di gente che nessuno avrebbe pensato a lui? Non poteva essere stato sempre così, forse era la compagnia a preoccuparlo, forse se fosse stato con i suoi vecchi amici sarebbe già stato in pista, mezzo ubriaco e felice. Non potevo pensare a quello, odiavo torturarmi quando potevo semplicemente chiederglielo con calma o vedere da me come reagiva di fronte alla gente della festa.
L'insegna luminosa del nostro negozio di dischi preferito gettava su Levin una strana luce violetta, lui era uscito proprio in quel momento e, dopo aver lanciato uno sguardo sommario ai ragazzini che correvano ovunque, si accingeva ad accendersi una sigaretta, incurante dell'atmosfera festosa che lo circondava.
Mi diressi verso di lui con passo trafelato, sembrava divertito quando mi vide corrergli incontro con un'espressione tutt'altro che felice impressa sul volto
- Cazzo Levin, ti stavo aspettando alla festa come un coglione. Sapevi che era questa sera. Non faccio altro che parlartene da giorni, che cazzo ti prende?
Quello continuava a sorridere, calmissimo come sempre – E io ti avevo risposto che ci avrei pensato, come vedi alla fine ci ho pensato e ho optato per non passare. Voi e questa mania di organizzare una festa ogni dannato fine settimana
- Ma è Halloween stavolta, idiota
- Halloween? Questo spiega perché la gente qui in centro sembri vestita peggio del solito – Levin scosse la testa, poi proseguì – e comunque, per tua informazione, non festeggio Halloween da quando avevo dieci anni e già a quell'età stavo iniziando a trovarlo patetico.
Era un caso perso in partenza – Ed io che pensavo che la mia infanzia fosse stata una merda, con te però si raggiunge l'apoteosi! – poi lo guardai dritto in quegli occhi all'apparenza neri come pozzi e pieni di ilarità, doveva trovare divertente i miei sforzi per trascinarlo nella società. Peccato che stavolta avevo un asso da giocarmi, Levin sarebbe venuto con me volendo o nolente.
- Sai chi c'è con il mio gruppo alla festa? Quel tuo amico strambo, il tuo vicino di casa! Anche quel tipo a quanto pare riesce a farsi un giro di amici!
- Parli di Callum? C'è davvero o mi stai prendendo per il culo?
Quel suo atteggiamento mi infastidì più del resto, mi mise di cattivo umore
- Quello moro e magro che sembra soffrire di venti malattie mentali diverse! – sapevo bene come si chiamava ormai, ma qualcosa dentro di me si dibatteva, così continuai - se non vieni per me, potresti almeno partecipare per lui ... quindi vedi di darti una mossa e seguirmi in auto, abbiamo già perso troppo tempo che avremmo potuto investire in altro.
Levin era pensieroso, ma l'idea che Callum fosse davvero a quella festa sembrava averlo incuriosito parecchio. Doveva conoscere quel ragazzo meglio di quanto avevo immaginato in un primo momento, iniziai a chiedermi perché sia Levin che Keno lo reputassero degno di attenzioni ... c'era qualcosa che mi sfuggiva. Non tanto in Keno, lui tendeva sempre a ricercare la compagnia di persone che reputava più deboli di lui, forse perché sarebbe stato più comodo poterli gestire in base al suo volere, ma soprattutto mi chiedevo perché Levin avesse preso in simpatia uno come Callum. Doveva essere quella sua inclinazione che lo spingeva ad avvicinarsi a tutti quelli che sembravano portarsi dietro dei problemi. O c'era dell'altro? E quanto altro?
- E va bene, ma ti conviene trovare un modo fantasioso per ripagare il mio disturbo – cedette alla fine.
Non mi sfuggii il tono lievemente malizioso usato da Levin. Gli lanciai un'occhiata attenta
- Beh, tu ed io ubriachi ad una festa ... ti chiedi ancora perché abbia insistito tanto a volerti con me? Cavolo Eickam, non ti facevo così ingenuotto – lo provocai, mettendomi un po' più vicino a lui fino a sfiorare il suo giubbotto di pelle. Adoravo quella sensazione sotto le dita e, ancora di più, il profumo acre del cuoio. Ma non andai oltre, mi limitai a guardare il suo bel viso pallido fremere appena, anche lui doveva avere voglia di lasciarsi andare un po'.
- La macchina è dell'altra parte della strada, ho dovuto lasciarla al parcheggio.
- E se facessimo una piccola digressione prima? – ancora quel tono malizioso di chi era bravo ad ottenere ciò che voleva e, dovevo ammettere, lo avevo reso io quel mostro che era diventato. Sapevo cosa aveva in mente, io e lui in auto stava iniziando a diventare il mio modo preferito di trascorrere la serata, ma non quella volta, mi intimai, quella volta lo avrei portato in società e presentato a Keno.
Così sghignazzai piano e mi intimai di non fiatare, anzi iniziai a camminare a passo spedito verso i parcheggi in fondo alla strada. Il buio, il silenzio e la mancanza di gente nei dintorni mi faceva venire voglia di voltarmi verso Levin e mandare al diavolo tutti quei buoni propositi, forse lo avrei anche fatto se la mia attenzione non fosse stata attirata da un gruppetto di persone alle nostre spalle. Era in quattro, molto piazzati e muniti di cappucci neri e passamontagna che nascondevano del tutto i loro volti. Dentro di me capii immediatamente che qualcosa non andava, ma quando vidi Levin irrigidirsi accanto a me ne ebbi la certezza assoluta. Ecco dove mi sembrava di aver già visto il tipo in mezzo, la sua postura ricordava quella di Polanski. Non c'era dubbio, nonostante il viso coperto ed il silenzio assoluto che stavano mantenendo, quelli erano Polanski e i suoi amici.
Rimasi atterrito mentre li vedevo avvicinarsi a noi, in fondo al parcheggio che sembrava dannatamente buio e deserto adesso. Levin si lasciò sfuggire un'imprecazione, poi si fece avanti verso il gruppetto che continuava a chiudersi intorno a noi due.
- Levin? Che diavolo ...
Stava succedendo tutto troppo in fretta, li vidi tirare fuori le mani dalle tasche e subito la mia attenzione fu attirata dal luccichio dei loro tirapugni di metallo. Eravamo accerchiati
- Sentite, sono io quello da pestare, fate andar via lui almeno – Levin parlò con un tono talmente calmo che mi fece gelare il sangue più della prospettiva di venire effettivamente picchiato da quei tipi. Sembrava talmente certo dell'inevitabilità della cosa da aver già optato per il male minore.
Due anni di carcere e Levin si trovava ancora lì, costretto a lasciarsi picchiare da chi credeva che lui meritasse quel genere di trattamento, una vendetta personale da dover soddisfare a qualsiasi costo. Quei tipi lì davanti non erano poi così diversi da molti altri criminali, forse loro erano stati abbastanza fortunati da non finire in carcere, ma probabilmente lo meritavano più di molti altri
- Fanculo. Io resto – dissi invece e nel momento stesso in cui sentii quelle parole venire fuori da me mi sembrò quasi che mi fossi scavato una dannata fossa da solo. Non potevo lasciare Levin lì contro quattro bestie. Ci avrebbero massacrati insieme
- Non fare il coglione. Vattene, Aiden. Sono serio. Tu non c'entri con questa storia di merda. Togliti dalle palle
- Sta zitto, non ti lascio qui da solo – dissi imperterrito. Mi sentivo male, Levin era sgomento quanto me, ma non erano quei tipi a preoccuparlo, capii che ciò che più lo atterriva era sapere che alla fine anche io le avrei prese.
Neanche tutto il tempo del mondo avrebbe potuto prepararmi per sopportare quello che stava per succedere.
- E va bene, se proprio dobbiamo farlo – un ghigno inquietante fece capolino dal viso spaventoso di Levin mentre tirava fuori dalle tasche del giubbotto un coltellino a serramanico – andiamo Polanski, vediamo se sei fatto della stessa pasta di merda di tuo fratello
Bastarono quelle semplici parole per farli scattare immediatamente. Mi gettai nella mischia con l'intento di trascinarne almeno uno lontano da Levin che adesso era stato attaccato e spinto indietro. Mi aggrappai alle spalle di uno dei ragazzi e con tutta la mia forza lo trascinai a terra dove iniziai a colpirlo con una rabbia cieca, dettata dalla paura di quello che stavano facendo a Levin. Il tipo reagì in fretta, sentii delle braccia tirarmi indietro e soltanto a quel punto realizzai che era stato uno dei suoi compari a farlo. Con una forza immane venni lanciato a terra dove andai a sbattere con violenza con le ginocchia contro il cemento della strada. Non ebbi il tempo di pensare o provare a reagire, un altro calcio sulla schiena che mi fece finire a terra con i palmi. Dolore, rabbia, poi un pugno in pieno stomaco che mi fece perdere il respiro. Ero piegato su me stesso, mentre intorno a me non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Le mie braccia mi furono torte all'indietro
- Due contro uno. Figli di puttana! Che c'è Polanski, avevi paura di farti vedere da solo? Credevi che tua madre avrebbe dovuto accudire anche te poi? Che fa il tuo fratellino ritardato? Ha imparato a mangiare da solo o continua a sbrodolarsi come un bebè? Sono curioso, chi cambia i suoi pannolini? Tu o quella puttana di tua madre? – risi forte, mi sentivo così pieno di rabbia che se avessi avuto modo di ucciderli tutti lo avrei fatto. Avevo usato le parole giuste, perché immediatamente vidi quello che doveva essere Polanski voltarsi verso di me. Levin era a terra, era stato tenuto fermo mentre Polanski lo aveva picchiato a sangue. Era ansante, non si reggeva in piedi ed il suo viso era una maschera di sangue.
- Lasciatelo, io sono ancora qui – la sua voce era flebile, non so con quale forza riuscì a mettersi di nuovo in piedi. Stava barcollando verso di me, ma era troppo tardi, adesso toccava a me prenderle e Polanski era lì, tremante dalla rabbia per quello che avevo detto.
Immaginai che alla fine sarei veramente morto in quel dannato parcheggio. Immobilizzato com'ero dai suoi amici, non avevo la possibilità di provare a reagire, no, avrei soltanto dovuto subire fino alla fine. Lanciai un'occhiata a Levin, ci eravamo battuti ed era finita.
Poi successe qualcosa di totalmente inaspettato. Un'auto si stava avvicinando a noi, le luci dei fari ci investirono, illuminandoci tutti. Doveva essere uno scenario da film horror per quelle persone ignare, ma era chiaro che tutto quello era dannatamente reale nonostante fosse la notte di Halloween. Polanski e gli altri si misero subito in fuga mentre un nuovo gruppetto di ragazzi veniva verso di noi. Stavo di merda, non riuscivo a capire cosa stessero dicendo, ma Levin era di nuovo in piedi e adesso mi stava tirando su. Stavo tremando ed ero così sconvolto per essere ancora vivo e tutto intero da non riuscire a mettere in fila neanche un pensiero sensato
- Aiden, d-dobbiamo andare.
- Andare? Dobbiamo chiamare un'ambulanza! Quei ragazzi vi hanno pestati a sangue, dovete farvi vedere da un dottore – disse qualcuno di quei ragazzi. Una di loro mi stava controllando il viso, dovevo essere uno scenario pietoso se il mio corpo mostrava anche solo la metà del dolore che sentivo nelle ossa.
- Niente ambulanze – il tono di Levin suonò autoritario da far paura nonostante avesse parlato con un filo di voce – tu come stai Aiden? Rimani con loro e aspetta l'ambulanza, ok? Non raccontare di me, non parlare di Polanski. Io devo andare
- Andare? – ero sconvolto, non volevo rimanere lì – v-vengo con te. Dove?
Mi tirai su a forza, spingendo via il ragazzo che continuava a controllarmi. Le mie mani erano escoriate e sporche di sangue, così come le mie ginocchia. I miei jeans erano sporchi e distrutti, il viso mi faceva male e al tatto capii che era gonfio, oltre che bollente. Ma mi reggevo in piedi ed anche Levin sembrava in grado di trascinarsi, sebbene si reggesse un fianco
- Levin? Cosa diavolo pensi di fare?
La situazione si fece caotica, i nostri soccorritori insistevano per chiamare l'ambulanza, mentre Levin continuava ad assicurare a tutti che stavamo bene. Un dottore non gli avrebbe fatto male, soltanto ad una seconda occhiata notai che perdeva sangue da un fianco. Durante il pestaggio era riuscito a ferire qualcuno dei ragazzi con il suo coltellino, c'era una grossa pozza di sangue a terra e non apparteneva a Levin, ma le sue condizioni non erano buone. Poi sentii uno stridere lontano di ruote sull'asfalto, un furgone scuro correva all'impazzata per il parcheggio davanti ai nostri sguardi atterriti. Si fermò davanti a noi con una frenata brusca e subito, dal portellone posteriore, vennero fuori due ragazzi
- Big bro, che cazzo hai fatto?
Kai Eickam corse verso il fratello e, con l'auto di un rosso alto e palestrato, lo caricò sul furgone. Ero immobile, vidi Levin dire qualcosa all'orecchio del fratello e poi fu il mio turno di venire trascinato dentro. Era buio e caotico lì dentro, fummo sistemati nel fondo del furgone, poi partimmo in fretta e furia. Levin era stato sistemato a terra, la sua maglia bianca era zuppa di sangue in direzione del basso ventre. Quella visione mi fece gelare il sangue, provai ad alzarmi ma un tipo mi fece segno di rimanere dov'ero. In effetti mi veniva da vomitare. Kai stava tamponando la ferita del fratello con un'espressione omicida sul volto mentre l'altro cercava di trattenersi dall'urlare. Era un taglio lungo dieci centimetri e forse anche profondo.
- Gran bel taglio, ti rimarrà una cicatrice fighissima. Cristo, chiamo subito Zarko per fargli sapere che devi essere ricucito, questa roba non può essere sistemata alla bell'è meglio da noi. Te lo dicevo che quel figlio di puttana di Polanski ti avrebbe dato problemi presto o tardi! Potevamo sistemarlo prima,dovevamo sistemarlo prima ed evitare tutta questa merda, ma no. Levin vuole ambire alla santificazione quest'anno! Inginocchiamoci davanti a Santo Levin!
- Come stai?
Mi voltai verso il ragazzo rosso che mi aveva parlato, ero confuso, anche Levin mi aveva appena rivolto la stessa domanda
- Riesco a camminare. C-credo bene
- Hai preso un pugno in faccia, potresti avere una commozione cerebrale. Stanotte non addormentarti, ok? E' pericoloso. Puoi andare da un dottore, Aiden. Non dire niente su questa storia, ok?
Parlava in fretta, soltanto a quel punto capii che io non avrei seguito Levin ovunque fosse diretto. La mia corsa finiva lì.
- V-voglio venire pure io – dissi debolmente, continuavo a guardare con orrore il panno zuppo di sangue che Kai continuava a premere sul fianco di Levin. Era pallidissimo, ancora più del normale.
- Non puoi, devi starne fuori tu. Va dal tuo amico, ok? Rimani con lui stanotte e ricorda di non addormentarti perché potresti non svegliarti. Fatti dare una ripulita dal sangue e fatti disinfettare a dovere, noi ci sentiremo domani. Andrà tutto bene – Levin parlava concitatamente. Eravamo fermi adesso e soltanto in quel momento potei percepire il rumore della musica proveniente dalla festa.
- L-levin, fammi sapere. Appena puoi
Un sorriso lieve, poi soffocato da un'espressione di dolore puro. Levin si era piegato su sé stesso ed io ero stato trascinato fuori ancora una volta
- Quello che hai fatto stasera ... tu sei pazzo Aiden Berg. Pazzo – furono le sue ultime parole prima che il portellone del furgone mi fosse stato chiuso davanti.
Ero immerso di nuovo nel caos della festa, quasi in mezzo alla strada. Dovevo trovare Keno in fretta e al diavolo la sua serata con quel tipo, ma fu lui a trovare me per primo. Mi voltai in tempo per vedere il suo viso sconvolto e i suoi occhi sbarrati e confusi, puntati sulla mia figura che doveva apparire la visione più spaventosa di tutti i costumi della festa. Si sollevò dai gradini sul quale era seduto e mi corse incontro in fretta e furia
- Ma cosa diavolo? Che cazzo è successo? Cristo, Aiden – sembrò volermi toccare il viso, ma dovette ripensarci quando realizzò quanto fosse ridotto di merda
- Siamo stati pestati mentre cercavamo di raggiungere l'auto per venire qui. Polanski e altri tre – spiegai, mi sentivo una merda – ho bisogno di sedermi, non riesco più a reggermi
Keno era sgomento come non lo vedevo da secoli, al diavolo la sua rinomata calma, sembrava nel panico totale, mi passò una birra ghiacciata che a quanto pare stava bevendo e mi mise un braccio intorno alla vita. Gliene fui segretamente grato
- P-premila sulla faccia in mancanza di qualcosa di più efficace. Sei uno spettacolo da film horror, Aiden. Sei sicuro di non avere niente di rotto? Cristo, adesso mi aspetti in spiaggia e ce ne andiamo subito a casa
- N-no, non posso tornare in queste condizioni. Mia madre ha il giorno libero oggi
- Starai da me – disse seccamente Keno. Un'altra occhiata penetrante e preoccupata, poi mi accompagnò fino ad un muretto basso sul quale potei accasciarmi. Stavo di merda, sperai di non essermi rotto nessuna costola perché ero dolorante su ogni centimetro del mio corpo.
- M-mi dispiace. Ti ho rovinato la serata. Se avessi qualcun altro da cui andare non verrei a rompere a te, eri qui con quel tipo
- Quel tipo che ti ostini a non chiamare con il suo nome se n'è andato – Keno non mi permise neanche di concludere la frase, poi sentii lo vidi scuotere la testa, sembrava incazzato, ma quella non era una novità
- Quel bastardo ...
- Polanski? Già. Levin è stato trascinato Dio solo sa dove da suo fratello e altri ragazzi. Deve farsi ricucire, ma a quanto pare quelli del suo gruppo non vanno in ospedale. Dovevi vedere com'era ridotto lui, a me a confronto è andata bene
- Chi se ne fotte di Levin Eickam! E' a causa sua che sei stato ridotto così. Intendi farti trascinare in tutte quelle sue cazzo di risse da criminale da ora in poi? - la reazione di Keno mi sorprese, non furono tanto le parole che aveva usato, quanto la rabbia che c'era dietro. Gli avevo rovinato la serata, era giusto che se la prendesse dopotutto
- Potevo andare via, mi aveva chiesto di farlo, ma non l'ho fatto. Non potevo lasciarlo da solo contro quattro ... lo avrebbero finito. Avrebbero finito anche me se non fossero arrivati dei ragazzi a soccorrerci. Che diavolo avrei potuto fare?
Dalla faccia di Keno seppi che la sua mente aveva formulato una lunga lista di cose che avrei potuto fare invece di prendere parte ad una rissa dove le possibilità di uscirne vivo o anche solo integro erano scarse. Non parlò più, sembrò decidere di non infierire ulteriormente e, dentro di me, gliene fui grato.
- Recupero la macchina e ce ne andiamo da qui. Ho un kit del pronto soccorso a casa, ti darò una sistemata

Così lo guardai allontanarsi, chiedendomi da quale esatto momento la mia vita avesse iniziato a prendere quella strana piega.  


CALLUM

Era tutto così buio e freddo, non sapevo perché ma mi sentivo avvolto da quella sensazione di opprimente oscurità. Ero riuscito a camminare in linea retta per pochi isolati, poi il mio demone personale mi aveva raggiunto, mozzandomi il respiro.
Ero crollato a terra, preda degli spasmi, avevo sbattuto la testa e, soltanto diverso tempo dopo, mi ero trascinato su una panchina, rannicchiandomi.
Le immagini di quello che era successo quella sera continuavano a scorrere davanti ai miei occhi e mi facevano quasi paura. Quella sensazione che avevo provato era quanto di più destabilizzante la mia mente avesse mai percepito.
Quel bacio.
La sensazione improvvisa di quelle labbra sulle mie era stata indescrivibile, perché lo aveva fatto? Gli piacevo forse? Come potevo piacere a qualcuno?
Lui non lo sa.
Si era questa la verità, Keno non sapeva che genere di persona ero, di quale orrore ero stato capace, vedeva solo un ragazzo qualunque. Eppure qualcosa era scattato in me ed era la parte più spaventosa di tutta la faccenda, quando lui mi aveva baciato avevo sentito come se avessi perso il controllo. Era strisciata una brama da dentro le mie viscere ed era risalita lungo il corpo, una voglia di sentire di più, di avere di più, qualcosa che neanche mi apparteneva.
O forse non apparteneva al Callum di adesso.
Forse era questo che mi aveva spaventato più di ogni altra cosa, il modo in cui quel bacio mi aveva fatto sentire: come se non avessi niente da rimproverarmi. Per un momento mi ero di nuovo sentito me stesso, il vecchio me, il bambino che nuota verso lo scoglio, quello che non teme niente, che vuole sentire qualsiasi cosa sulla pelle. Non era morto, quella parte di me era ancora lì, nascosta, e forse era stata quella consapevolezza a farmi davvero paura. Quella persona tanto egoista era sopravvissuta persino alla morte della sua stessa sorella.

- Callum? –
Quella voce, non riuscivo ad alzarmi ancora ma spostai leggermente la testa e cercai nella penombra la persona che mi aveva chiamato, non fu difficile trovarlo. Alencar era lì, a qualche metro dalla panchina sulla quale ero sdraiato.
Si avvicinò, piegano le ginocchia e portando i nostri sguardi alla stessa altezza, mi sfiorò la ferita che avevo alla fronte con la punta delle dita.
- Ma che diavolo ti è successo? Non dovevi essere ad una festa?
Non sembrava arrabbiato, anzi, per la prima volta il suo tono mi sembrò preoccupato.
- Io ... sono andato via – mormorai a stento – c'era tanta gente, il mare ... non ce l'ho fatta
- Ma il tipo con cui andavi? Ti ha mollato qui? Perché non sei tornato a casa?
- Io sono scappato, non volevo che nessuno mi vedesse ... - cercai di spiegare, anche se sembravano confusi anche a me i miei pensieri – ho sentito qualcosa ... del vecchio me
Lo sguardo di Alencar divenne serio e consapevole, come se almeno lui riuscisse a trovare qualcosa di sensato in quel delirio.
- Ti porto a casa, andiamo – disse passandomi una mano sotto le ginocchia e una dietro le spalle.
Io mi irrigidii – non farlo, lasciami qui
- Non fare l'idiota, non puoi trascorrere la notte su una panchina – commentò con tono severo.
- Ma lei ... si arrabbierà! Perché continui ad essere gentile? Perché ti prendi il disturbo di pensare ad un essere come me? – chiesi disperato – io non sono cambiato, non cambio mai!
Lui tacque ma rinsaldò la sua presa su di me – ti porto a casa mia
Mi sollevò senza troppo sforzo ed io mi ritrovai stupidamente a reggermi dalle sue spalle, fu un tragitto breve fino alla sua macchina. Entrai senza fare storie e in silenzio ci dirigemmo al suo appartamento, cercai di lanciargli qualche occhiata ma lui manteneva sempre lo sguardo sulla strada.
L'appartamento era silenzioso ed io mi limitai a seguirlo lungo l'ingresso, fino al bagno, poi mi indicò il gabinetto e mi sedetti senza fare domande. Alencar aprì il piccolo mobiletto sopra il lavandino dove teneva l'occorrente per le medicazioni. C'era un po' di tutto: garze, cerotti, cotone idrofilo, bende, disinfettante, persino i punti adesivi e poi c'erano pillole, parecchi flaconi per essere soltanto aspirine.
- Stai male? – quella domanda mi sfuggì dalle labbra mentre sentivo il cotone bagnato pulirmi la tempia ferita.
Lui provò ad ignorarmi continuando a strofinare leggermente sulla mia pelle, poi passò una pomata fresca e alla fine parlò.
- Questa aiuterà a cicatrizzare
Sapevo cosa stava facendo ma non mi arresi – tutte quelle pillole servono a qualcosa in particolare?
Nuovamente quello sguardo irritato, erano settimane che non compariva sul suo viso e mi sembrò di rivedere il vecchio Alencar, anche se adesso non mi faceva più gelare il sangue.
- Sì, servono a curarmi – disse vago, poi si sollevò e uscì dal bagno.
Io inspirai e lo seguii, non sapevo perché volessi continuare quel braccio di ferro ma sentivo che in qualche modo noi due ci stavamo prendendo cura l'uno dell'altro, sentivo che quello che gli accadeva in qualche modo mi riguardava.
- E' una cosa grave? – chiesi mentre entravo nel salottino e mi sedevo nella poltrona davanti a lui.
- Mi stai interrogando? Non devi andare a casa o qualcosa del genere?
- Lo voglio sapere – insistetti – lei lo sai, vero?
Quella domanda lo fece irrigidire leggermente ma annuì.
- Voglio sapere quello che sa lei – dissi con decisione.
Il suo sguardo si fece intenso, quegli occhi ambrati che un tempo temevo di incrociare ora erano fissi nei miei e, nonostante il batticuore, non avevo intensione di evitarli.
- Perché? – mi chiese e il tono che usò mi fece comprendere quanto quella situazione fosse nuova e assurda anche per lui, quanto io fossi diverso ai suoi occhi.
- Perché siamo noi due Alencar, che ti piaccia o no. Siamo gli unici rimasti di famiglie intere che si sono fatte a pezzi e sono collassate in sé stesse. – mormorai mentre un nuovo peso si formava nel mio petto – io mi chiedo ogni giorno perché sono ancora vivo, mi chiedo per quale motivo sto esistendo. Quando ho pensato che fosse davvero finita, su quella spiaggia, tu sei venuto da me e mi hai detto di lottare, fammi sentire che la mia vita almeno sta aiutando te
- Sono sieropositivo- disse di getto, senza aspettare che formulassi altri pensieri.
Quella notizia mi terrorizzò, mi presi il volto fra le mani ma il suo viso sembrava totalmente calmo, come se quella realtà non lo riguardasse.
- L'ho beccata quando mi facevo, l'infezione intendo. – mi spiegò – ero un tale casino prima, quando mia madre è morta. Eroina soprattutto, ho fatto sesso anche con altri tossici, per non parlare di quelle siringhe schifose che usavo. Forse stavo cercando un modo alternativo di morire
Mi si gelò il sangue eppure non fu un' immagine difficile da crearmi in mente: mesi di agonia al capezzale della madre morente, sentimenti orribili sulle spalle, senza nessuno che potesse aiutarlo a esprimerli o che tentasse di alleviare quel peso.
- Mi dispiace che tu abbia affrontato tutto quello schifo da solo – mormorai – so come ci si sente ad essere al centro di qualcosa di spiacevole
- Eppure tu mi hai salvato la vita – disse ad un tratto come se si dispiacesse.
Lo fissai interdetto – come?
- Celia ... tu e lei, il vostro arrivo in casa mia – continuò – non volevo nessuno, non cercavo l'aiuto di nessuno eppure lei si è fatta largo nel caos e mi ha tirato fuori. Ho fatto il test perché lei mi ha dato il tormento e così l'ho scoperto – fece una breve pausa – ho sempre usato il preservativo, sei pulito non preoccuparti
- Non sono preoccupato – mormorai mentre tornavo a percorrere il suo viso con lo sguardo – grazie per avermelo detto. Come stai?
- Bene, dall'ultimo controllo non risulto nemmeno contagioso. La terapia funziona perfettamente – rispose e poi toccò a lui soffermarsi con gli occhi su di me – adesso me lo dici cos'è successo stasera?
Cominciai a sfregare le mani nervosamente, non sapevo cosa dire esattamente ma non potevo sottrarmi a quella domanda.
- Tutte quelle persone ... la spiaggia – cercai di articolare – sono state troppo per me e anche ...
Ti sembra sensato dirglielo?
Fremetti leggermente, dovevo raccontargli di Keno?
- Anche cosa? – mi incalzò.
- Ho baciato una persona – lo dissi come se avessi dovuto vergognarmene e forse era così.
Cercai degli indizi sul volto di Alencar ma lui sembrava una statua impenetrabile, non mi fece altre domande ma sapevo che stava attendendo il resto della storia, i suoi occhi erano impazienti.
- Mi sono sentito strano, io non so ... - stentai – non so nemmeno come ci si dovrebbe sentire quando si bacia qualcuno, ero così ... impaziente – restai in silenzio per alcuni istanti e alla fine abbassai la testa – mi dispiace
- Perché ti scusi?
Quella domanda mi stupì – non lo so. Pensi che sia giusto che lo faccia? Che mi leghi a qualcuno?
- Questo tipo ti piace?
Annuii – è bizzarro, insomma ... è così diretto e non sembra spaventato da me. Non mi trova repellente e non mi giudica con sufficienza come le altre persone, sembra diverso. Mi sono sentito così ... coinvolto mentre lo baciavo, io ho sentito il desiderio
- E' Levin Eickam? – ancora quel tono neutro e quegli occhi indagatori.
Quella domanda mi fece arrossire e contemporaneamente fece scattare un campanello d'allarme nella mia testa, non potevo dimenticare che genere di uomo era Alencar.
- Non si tratta di lui
- E chi è? Il ragazzo misterioso di cui non vuoi dirmi il nome? Quello della festa
- Perché vuoi sapere chi è?
- Perché non dovresti dirmelo?
Eravamo in una fase di stallo e capii chiaramente quanto non fosse contento della mia reticenza, lui voleva sapere tutto, ogni dettaglio.
- E' tardi – disse poi – dormirai qui stanotte ma domani mattina torni a casa.
- Posso usare il divano
- No, vai in camera da letto – disse sollevandosi – prendo delle lenzuola pulite
- Non dovresti dormire sul divano – insistetti – è casa tua
Lo vidi compiere due grandi falcate nella mia direzione, tanto che finimmo l'uno davanti all'altro ad una distanza quasi inesistente, soffiò quelle parole ad un millimetro dal mio viso.
- Allora vorrà dire che divideremo il letto – sibilò – ti sta bene? Al tuo nuovo pretendente dà fastidio?
- Non ho nessun pretendente – mormorai sforzandomi di non tremare – sono certo che dopo stasera neanche vorrà parlarmi
- Tanto meglio, giusto? – il suo tono si era fatto pungente e quasi derisorio – non siamo sempre e soltanto tu e io?
Tu e lei. Sempre pronti a condizionarmi la vita.
Io annuii e mi feci trascinare in quella camera, sapevo che non sarebbe successo niente fra noi quella notte, d'altronde non ero io l'oggetto dei suoi desideri.
Quella doveva essere la sera dei demoni e degli spettri, gli uomini dovevano indossare delle maschere per scacciarli e restare in salvo, questo era lo spirito di Halloween. Quanto accadde fra me e Alencar quella notte fu il confronto fra le nostre paure più grandi ma stavamo indossando maschere troppo spesse perché ce ne rendessimo conto davvero. Ci stavamo nascondendo nel buio aspettando che quelle debolezza sparissero e se solo ci fossimo tolti prima quella maschera di finzione, saremmo stati in grado di vivere davvero.


Angolo delle autrici: Buona lettura e buon anno.

BLACKSTEEL

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