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16. You, me and the other people

Expertus metuit.

(Colui che ha esperienza teme)


CALLUM
Come in un incubo che si sussegue senza sosta, io mi ritrovavo a percorrere quei corridoi, giorno dopo giorno. Il tempo non aveva reso quel posto meno insopportabile, anzi, c'era chi aveva come missione rendermelo anche peggiore.
Sentivo gli occhi di Maxwell perennemente addosso, ero stato sveglio fino a tardi la sera prima per preparare la sua ricerca di Storia ed ero persino indietro con i miei compiti. Non c'era nulla che potessi fare purtroppo, sapevo che quelli come lui non potevano essere sconfitti da quelli come me. Non mi restava altro che ingoiare la sensazione schifosa che mi risaliva nella gola ogni volta che si fermava a parlare con me e cercare un modo di accontentarlo. Ribellarsi ormai era impossibile, non dopo quello che Maxwell sospettava, non se c'era di mezzo anche lui.
A metà giornata mi rintanai nel mio posto preferito, sul retro della scuola e come di consueto ormai, non ero solo. Vedere lì Levin, dopo tutte quelle settimane, stava diventando una piacevole abitudine. Mi ero ritrovato ad aspettare prima di accendere la sigaretta se non lo trovavo già lì, quella piccola realtà mi piaceva. Sembrava come prendere un grosso respiro, un momento di assoluta tranquillità dove potevo parlare con qualcuno liberamente, era come se mi prendessi una pausa dalla mia esistenza.
- Hai una faccia distrutta – mi disse accendendo la sigaretta.
- Sono stato sveglio fino a tardi ieri ... - mormorai.
Quello scosse la testa tirando una boccata di fumo e lasciandolo andare fuori lentamente, libero. Essere fumo, essere niente, questo è rassicurante.
- Le pressioni del tuo amico non ti hanno tenuto al sicuro a lungo – notò ed io abbassai lo sguardo.
- Credimi, ho grande esperienza in questo genere di cose. Conosco i tipi come Maxwell e non c'è niente da fare, sono io quello che ...avrebbe qualcosa da perdere.
Restammo di nuovo in silenzio, entrambi ad assaporare il gusto acre del fumo in bocca, fissando le nuvole che si spostavano pigramente. Voltai lo sguardo e osservai per un momento il volto di Levin, sembrava sempre così stranamente calmo anche se sentivo che non era questa la sua natura. Non era uno come me, non lasciava che il mondo gli crollasse addosso, non si faceva schiacciare dai detriti, Levin aveva ancora delle spalle forti e forse per questo stare al suo fianco mi dava un senso di sicurezza.
Sei sempre il solito parassita, pronto ad attaccarti alle altre persone per sentirti meglio.
- Deve comunque tenerci abbastanza a te, quel tipo – disse ad un tratto.
Rimasi interdetto per una manciata di secondi – come?
- Il tipo che ha pestato Maxwell, almeno deve tenerci a te
- Alencar ... - pronunciare il suo nome mi diede una strana sensazione – non so cosa pensi di me, insomma ... mi detesta, però è anche gentile. È più gentile di tutti gli altri almeno
Triste ma vero, ecco cosa mi ero ritrovato a pensare, più passava il tempo e più sentivo la sua mancanza in quella casa, come se la sua presenza fosse l'unica a non farmi sentire trasparente.
- Non gli dirai quello che è successo con Maxwell? – chiese – non sei proprio uno che cerca vendetta tu.
Io scossi la testa – va bene così. Se glielo dicessi finirebbe per mettersi nei guai per colpa mia, lui ... è un po' impulsivo
Non è per te che lo farebbe.
Per un momento mi chiesi quanto Levin avrebbe pensato che fossi pazzo se gli avessi raccontato davvero la verità su quello che accadeva fra me, Alencar e Celia.
- Sei uno tosto, Callum – disse alla fine spegnendo la sigaretta – se fossi un debole andresti a piagnucolare da lui. Tienilo a mente questo, nonostante tu ti veda una mezza sega lo stai proteggendo. Questo le mezze seghe non lo fanno
Io lo guardai, io che proteggevo Alencar? Era davvero buffo ma sorrisi mentre scuotevo le spalle – se riesco a proteggere qualcuno non sono del tutto da buttare allora.
- Non lo sei – mi assicurò.
Poi iniziammo a camminare nuovamente verso il cortile e, prima di separarci, promettemmo di vederci dopo cena nel giardino di casa mia per una sigaretta serale.
Quando tornai nel corridoio la mia consueta apatia mi riavvolse, vedevo gli altri studenti sfilarmi accanto velocemente, divisi fra chi nemmeno considerava la mia esistenza e chi cercava volutamente di evitarmi.
Ad un tratto sentii un tocco leggero sulla mia spalla e mi voltai confuso, non sembrava un gesto minaccioso e non capii chi potesse essere. Quegli occhi di un azzurro simile al ghiaccio incrociarono i miei immediatamente, Keno era uno che ti fissava sempre dritto in faccia e non abbassava mai lo sguardo. Questo non valeva per me.
- Ciao – mormorai mentre spostavo gli occhi dal suo viso al mio armadietto e cominciavo a trafficare con i libri.
- Ciao a te, ho una fantastica proposta per questo fine settimana – disse poggiandosi allo sportello per recuperare il contatto visivo – ci vieni a una festa?
Quella proposta mi gettò completamente nel panico – festa? Questo fine settimana?
Quello scosse la testa – devi consultare la tua agenda? Lo sappiamo entrambi che non hai niente da fare Callum – poi rise.
- Non sono molto abituato ad andare alle feste – dissi sperando che desistesse ma Keno non era una persona abituata a sentire rifiuti, lo capii da quella luce che aveva negli occhi.
-Non ti serve mica un brevetto! – protestò – senti ci sono io con te, ci andiamo insieme. Ti presento anche un po' di amici, ci divertiamo e balliamo. In queste feste c'è sempre un gran casino e nessuno si ricorda di nessuno, se ti preoccupa questo.
Non sapevo nemmeno cosa mi preoccupasse di preciso, restai lì a fissarlo senza essere in grado di spiegare neanche a me stesso perché mi stessi opponendo. Avevo paura di qualsiasi cosa, ero fatto così, troppe esperienze negative mi avevano insegnato sempre a temere qualsiasi cosa si presentasse.
- Se ... dovesse succedere – dissi a stento – sai ...
- L'attacco di panico? – chiese quello con aria meditabonda – beh, fanculo! Se succede filiamo via in un posto tranquillo. Tanto mica ti uccide, no? Poi ti rimetti in piedi
Poi ti rimetti in piedi.
Quelle semplici parole illuminarono la mia mente, io mi rimettevo in piedi, sembrava strano, un pensiero che non mi apparteneva eppure era quello che facevo sempre. Crollavo, soffocavo, morivo e poi mi rimettevo in piedi, potevo farlo.
Mi ritrovai ad annuire senza rendermene conto – ok, se restiamo insieme ci vengo.
Il volto di Keno si illuminò soddisfatto – certo che restiamo insieme! Ti ho promesso che ti avrei fatto vivere un po', mantengo sempre la parola
Avrei voluto replicare che non doveva fare promesse del genere ma lui era già corso via lasciandomi il volantino della festa in mano. Halloween? Improvvisamente non mi sembrava più una grande idea, peccato che non c'era più nessuno a cui dirlo, sembrava che mi sarei dovuto gettare in quell'impresa senza poter tornare sui miei passi.  


  Quando rientrai a casa quella sera l'odore proveniente dalla cucina mi sorprese, qualcuno stava preparando la cena. Non succedeva quasi mai, quella casa sembrava sempre disabitata, non c'erano odori, luci o voci quando varcavi quella soglia eppure in quel momento riuscivo a sentire quel profumo. Andai verso la porta della cucina e con mio grande stupore trovai l'avvocato Loss ai fornelli intento a mescolare qualcosa in una pentola.
- Buona sera – mormorai timidamente.
Lui si voltò accennando qualcosa simile ad un sorriso – Callum, ho preparato un minestrone, ceni con me?
Io annuii andando a sedermi al tavolo mentre lui portava due piatti fondi con il minestrone, la cena iniziò in silenzio e sarebbe continuata così se non fosse stato lui a prendere la parola.
- Mi ha chiamato tua madre oggi – disse fra un boccone e l'altro – rientra la prossima settimana
Posai il cucchiaio a quel punto, un crampo allo stomaco mi impedì di ingerire un altro boccone, lui lo notò, sapevo che aveva compreso ormai i problemi che c'erano fra me e lei anche se aveva stoicamente deciso di non fare niente.
Non fare niente è quello che sa fare meglio.
Era un pensiero più di Alencar che mio ma mi ritrovai ad essere d'accordo con lui, forse non aveva potuto salvare sua moglie dal cancro ma non stava muovendo un dito per salvare suo figlio dalla vita.
- Hai avuto sue notizie per caso?
Quella domanda mi fece alzare gli occhi dal piatto e incrociare i suoi, era evidente che parlava del figlio anche se non lo nominava direttamente.
- Sta bene – risposi in un sussurro.
- Mi chiedo cosa faccia esattamente per potersi mantenere – sbuffò – anzi forse è meglio che non me lo chieda
- Dovrebbe invece – quelle parole mi sfuggirono di bocca senza che potessi frenarle – dovrebbe incominciare a comportarsi da padre con lui
Il volto dell'uomo divenne immediatamente severo e teso – cosa hai detto?
Mi sollevai – devo andare a fare i compiti – dissi cambiando rapidamente discorso, questo lo rasserenò per un momento.
- Non ne hai mangiato nemmeno metà
- Non ho fame. Grazie per la cena – mormorai mentre mi dirigevo verso l'uscita della cucina.
- Callum ... - non mi stava davvero chiamando perché voleva parlami, solo perché forse sapeva di dover dire altro, perché era suo dovere farlo e non c'era più nessun altro lì.
Io non mi voltai, parlai rapidamente prima di uscire dalla cucina – lo scalderò più tardi se ho fame, va bene così. Buonanotte
Prima di salire in camera mia uscii in giardino dove sapevo che Levin mi avrebbe raggiunto e lo fece dopo pochi minuti di attesa.
- Serataccia? – chiese mentre si appoggiava al muro e mi dava una lieve occhiata.
- Cena in famiglia
Fece una leggera smorfia, segno che capiva quanto quella frase significasse, poi accese la sua sigaretta e io feci lo stesso con la mia. Non ci furono altre parole, solo fumo e quiete.


ALENCAR
La puzza di sterile e disinfettante infestava persino l'aria del reparto prenatale, questo mi stupì ma non lo trovai poi così insolito. Un ospedale è pur sempre un ospedale, dovunque andassi, anche nei reparti in cui si celebrava la vita, la puzza di morte aleggiava comunque.
Individuare Jonas non fu difficile, il suo corpo afflosciato sulla sedia era l'unico che non ammassava il vetro che dava sul nido. I suoi occhi stanchi erano gli unici che non puntavano i bambini che si agitavano nelle culle, il mio amico non se la stava passando bene e io non avevo notizie migliori per lui.
Mi accomodai nella sedia accanto a lui in silenzio e quello si appoggiò appena alla mia spalla con la sua, come se non riuscisse più a sorreggersi.
- Come stai? – chiesi in un sussurro – te la stai cavando?
- E' un fottuto incubo Alencar - e lo disse con un tono che non credevo che la sua voce potesse assumere.
Mi voltai leggermente, lui non mi guardava, fissava il muro bianco davanti a sé, totalmente assente.
- La bambina?
- E' ancora nell'incubatrice, ha problemi a respirare – faceva persino fatica ad articolare le parole – quel parto è stato un casino totale
- Le si sono rotte le acque in anticipo? Quanto mancava ancora, un mese?
- Un mese e mezzo. Credevamo fossero quelle ma poi il medico ci ha detto che può succedere, una specie di falso allarme – il suo tono si faceva sempre più cupo -il dottore ha fatto una ecografia per sicurezza e ... cazzo, la bambina si stava strozzando. Aveva il dannato cordone ombelicale attorcigliato ovunque, totalmente bloccata ...
- Le hanno fatto un cesareo d'urgenza? – lo aiutai, faceva sempre più fatica a raccontarmi tutto senza scoppiare in lacrime.
Annuì – sono arrivati appena in tempo ... ma è nell'incubatrice da quel giorno. I polmoni non sono ancora ben sviluppati, poi i punti stanno dando a Liz un casino di problemi – l'ennesimo profondo sospiro – le spese mediche ci stanno distruggendo. L'assicurazione di Liz non copre tutto, che cazzo di casino. Ho persino cercato qualche lavoro ma figurati, quei bastardi vogliono farti lavorare in nero e appena sentono che hai un neonato e ti serve l'assicurazione sanitaria ti indicano l'uscita
- Tu ce l'hai un lavoro, cerca di non dimenticartelo
Ci fissammo molto attentamente prima che lui decidesse di riaprire bocca – è questo che sei venuto a dirmi? Sei qui come amico o come scagnozzo di Kurt?
- Sono qui per darti un consiglio: non tirare la corda – commentai e il mio tono era duro.
Che genere di uomo sei diventato?
Uno che non aveva pietà probabilmente, che non restava toccato davanti ad un uomo la cui vita stava andando a puttane più rapidamente del previsto. Ero il genere di persona che conosceva bene le conseguenze di certe azioni.
- Che vuoi dirmi? La prossima volta che ti vedrò mi spezzerai una gamba? – c'era persino superbia in quel tono e questo mi faceva capire quanto Jonas fosse ancora un ragazzino.
- Dovresti essere grato se mandasse me a romperti una gamba – i miei occhi non lasciarono i suoi – se per caso decidesse di mandare qualcun altro prenderebbero più delle tue gambe
- Alencar ... - era sgomento – come cazzo puoi dire una cosa del genere!
- Perché questa è la realtà Jonas - dissi serio – devi smetterla di credere che tutto andrà bene, che le sfortune capitano una volta sola, che essere un fottuto uomo di Kurt non sia come avere una pistola perennemente puntata al cranio – sospirai – ha chiesto di te all'ultimo incontro. Noi ti stiamo coprendo ma siamo osservati, quando capirà che batti la fiacca allora gli sembrerai superfluo
- Cazzo ...
- Ci stai arrivando finalmente. A lui non importa di Liz, della bambina, dell'assicurazione sanitaria e dei parti. Non gli importa di un cazzo di niente, vuole che facciamo il lavoro per cui ci paga, tutti quanti – gli diedi una pacca sulla spalla – il pensionamento arriva solo con la morte, amico mio, e se succede mentre fai il tuo lavoro almeno Liz e la bambina staranno bene. Ma se è Kurt ad ammazzarti perché non ti ritiene utile allora ammazzerà tutta la famiglia
Smettila adesso, non passare il limite, non farlo crollare.
- Vattene – la voce gli uscì a fatica mentre le lacrime stavano rigando il suo viso.
Io non me lo feci ripetere due volte, mi sollevai e mossi qualche passo per allontanarmi – la prossima volta che ti chiamo per un lavoro vedi di presentarti – dissi – se ti servono soldi in più posso darti qualcosa, ne ho da parte.
- Cazzo, vedi di sparire
A quel punto lasciai il corridoio dirigendomi verso l'uscita dell'ospedale.
Che posto del cazzo.


  Avrei preferito che la promessa di un po' di tempo libero che Kurt aveva fatto durante l'ultimo incontro fosse reale ma evidentemente non era così. Quando quel telefono squillava era ora di un nuovo incarico e non aveva smesso di vibrare nella mia mano da quando ero salito in auto. Presi quella chiamata a malincuore mentre la voce dello scagnozzo del grande capo mi parlava con la sua voce autoritaria.
- Kurt vuole parlarti. Da solo
Fine conversazione, inspirai pregando che si trattasse della promozione che aveva decantato l'ultima volta e non dell'ennesimo problema con Jonas.
Quando arrivai al covo mi resi conto immediatamente che non si trattava della solita riunione, non c'erano altre auto oltre la mia e questo mi parve strano. Smontai dal mezzo e oltrepassai le guardie all'ingresso, scendendo nella stanza degli incontri mi resi conto che non c'erano altri uomini armati.
La situazione non aveva smesso di essere bizzarra, seduto al grosso tavolo Kurt era solo, nella stanza c'era un fastidioso silenzio che non interruppi. Mi piazzai davanti a lui e attesi che fosse il grande capo a prendere la parola.
- Alencar, puntuale come sempre – disse con tono bonario – c'è qualcosa di cui voglio parlarti
- Sono qui per questo – replicai – come posso esserti utile?
- Ho intensificato i miei giri e mi serve un nuovo gruppo responsabile dell'eroina. Tu e i tuoi fate un lavoro molto preciso qui a Brooklyn. Ti interessa la cosa?
Spacciare eroina? Col cazzo.
Questo era ciò che pensavo in quel momento mentre i suoi occhi scuri mi scrutavano attentamente, ma di certo non era quello che potevo dirgli. L'eroina era un pessimo affare per quelli come noi, attirava molta più gente e ti faceva entrare nel mirino di sbirri meno propensi all'essere corrotti.
È la merda che ti sei fatto per anni e ti ha quasi ucciso.
- Sarebbe un onore – risposi contrariamente al mio buon senso – ma l'eroina è un affare grosso e noi siamo in pochi, pensi che sia il caso?
- Ovviamente vi fornirò altri uomini. Dei sottoposti, una piccola scorta che vi aiuti a gestire il carico e proteggere i soldi
Altre spie per tenerci d'occhio, vecchio bastardo.
- Se saremo coperti andrà bene
Il suo sorriso si allargò ancora più compiaciuto – ottimo, sarai tu il capo di questo nuovo settore di espansione
Il tipo a cui sparare se qualcosa va male.
Presi un respiro profondo e mi mostrai risoluto mentre annuivo, sentivo dentro di me non poteva essere finito tutto lì. Quell'incontro era fin troppo intimo e riservato per trattarsi semplicemente di un carico di eroina, la busta che Kurt tirò fuori pochi istanti dopo mi portò a credere di avere ragione.
- C'è un'altra questione – disse e il suo tono mutò.
Non avevo mai visto un'espressione del genere sul volto di quell'uomo e compresi perché nemmeno le guardie erano presenti. Il grande capo, la persona più spietata e feroce della città, aveva un lato vulnerabile. La stessa persona che aveva seppellito senza battere ciglio decine di uomini e donne mi stava passando quella busta con il volto ricolmo di preoccupazione.
- Questa persona – disse con tono serio ma apprensivo – è molto importante per me. Voglio che tu sia il suo angelo custode ...
Sollevai la busta e tirai fuori la foto che conteneva, si trattava di una giovane ragazza dai tratti asiatici, nella parte anteriore dell'immagine c'erano segnati un nome e un indirizzo. June Inoue era il mio obiettivo.
- Devo pedinarla?
- Sì, più spesso che puoi. Compatibilmente con i tuoi compiti, voglio sapere con chi è, cosa fa, i posti in cui si reca – precisò – tutto il possibile e se lei avesse bisogno di aiuto, ovviamente proteggila.
- Molto bene, mi metterò al lavoro
- Ogni settimana voglio un resoconto, scheda le persone con cui parla. Fotografa tutto e non farti beccare.
Mi chiesi chi potesse essere quella ragazza, pensai ad una possibile amante ma la trovavo fin troppo giovane per Kurt e non mi dava l'idea di un uomo che perdeva tempo dietro le ragazzine.
- Ovviamente questo compito è strettamente confidenziale. – mise in chiaro – non coinvolgere nessuno della tua banda e non parlarne con altri miei uomini. Consegnerai quel materiale solo a me, in persona
- Va bene
- Puoi andare
Così terminò quell'assurdo incontro, tornai in macchina e misi la foto sul sedile del passeggero, tutta questa faccenda mi dava l'idea di essere un casino enorme. Misi in moto e chiamai Tian, non potevo dirgli nulla della misteriosa ragazza ma sicuramente l'affare dell'eroina era un argomento urgente di cui discutere.
- Pronto? – la sua voce arrivò al mio orecchio priva di emozione, ancora più del solito.
- Sono appena stato ad un incontro con Kurt – gli dissi secco.
Quella frase lo fece tacere per qualche secondo – non dirmi che sa già come premiarci, quale merda ci butta addosso? –
- Eroina
- Vaffanculo, porca puttana
Era molto raro sentire Tian imprecare, lui non perdeva mia la sua compostezza, se non quando era davvero agitato e quella notizia non lasciava molto spazio alla compostezza.
- Meglio quella che il traffico di essere umani – gli feci notare.
- Gli hai detto che ci sta bene? – riprese cercando di tornare calmo.
- Cosa potevo dire? No scusa, questo non lo facciamo? – commentai ironico – saremo affiancati da altri uomini, per la sicurezza
- Se qualcosa va storta ci spareranno direttamente, senza avere nemmeno l'incontro di cortesia con Kurt.
- Niente andrà storto, ce la faremo. – dissi tentando di dissipare i dubbi di entrambi – non ricomincerò a farmi.
- Non l'ho mai pensato e non sei tu che mi preoccupi
- Ho parlato con Jonas oggi. Gli ho ricordato un po' di cose
- Prima o dopo l'aggiunta dell'eroina?
Sbuffai e Tian capì di aver fatto centro – ci penseremo dopo. Nessuno di noi ha scelta ormai, siamo dentro e fine della discussione
- Mi piacerebbe capire come ci sei finito tu in questo casino. Mi sembri decisamente il più intelligente qui, come ha fatto a prenderti? – chiesi davvero curioso.
Sentii il suo respiro pensante sulla cornetta – un giorno te lo racconterò, promesso ...
- Ci sentiamo Tian
- A domani, ci parlo io con Miles
Quella conversazione si chiuse ma di certo il mio animo non era più sereno, quella situazione non faceva altro che riempire la mia mente di domande. Non sarei riuscito a chiudermi nel mio appartamento facendo finta di niente, così continuai a guidare nel vano tentativo di rilassarmi.
Fissavo la gente passeggiare e guardare le vetrine, svoltavo agli incroci incurante di una destinazione precisa eppure stavo andando da qualche parte. Me ne resi conto quando finii in quella strada a senso unico che mi guidò dritta fino alle vilette, ero a casa. Spensi il motore e mi presi il volto fra le mani, cosa diavolo ci facevo lì?
Non sei stanco di farti del male?
Decisi di scendere dall'auto e salire lungo il vialetto, mi chiesi se Callum fosse dentro, se con lui ci fosse qualcuno e le luci in cucina mi diedero modo di rispondere a quelle domande. Mi accostai alla finestra badando a non farmi notare e vidi mio padre che portava intavola del minestrone.
Callum era pallido e rigido come sempre, non ci furono molti scambi di battute, qualcosa fece tremare il corpo del più giovane dopo qualche cucchiaiata di minestra. Lo vidi smettere di mangiare ma non di parlare, dopo pochi minuti però si diresse verso la porta della cucina e lasciò la stanza. Mi spostai per evitare che mi vedesse, era uscito in giardino e io seguii i suoi movimenti con attenzione.
C'era un altro ragazzo sul retro, avevano iniziato a fumare insieme e Callum sembrava a suo agio.
Perché diavolo sei ancora qui?
Bella domanda, perché ero lì? Perché non me ne stavo neanche andando? Continuai a fissare quei due per tutto il tempo, non si dicevano molto, non riuscivo a sentirli ma le loro labbra erano chiuse per la maggior parte del tempo.
Alla fine si salutarono e Callum tornò verso l'ingresso, questa volta non mi spostai, lasciai che mi vedesse e il suo viso si riempì di stupore quando si accorse della mia presenza.
I suoi occhi sembravano chiedermi: che ci fai qui? Fui grato del fatto che non espresse quella domanda ad alta voce, nemmeno io avevo una risposta.
- Ciao – fu tutto quello che gli uscì di bocca alla fine.
- Ciao – mormorai – è un tuo amico?
Si strinse leggermente nelle spalle, come se si sentisse a disagio davanti a quella domanda ma poi rispose – una specie
- A scuola va bene? Ho sentito che Maxwell è uscito dall'ospedale
- Sì nessun problema – mormorò – sai ... sabato vado ad una festa
- Una festa? – ci fu più che un leggero stupore nel mio tono.
Quello annuì e portò una delle dita ai capelli, cominciando a giocare con una ciocca leggermente nervoso – mi hanno invitato, non se ... ti dà fastidio, io però, ecco, ci volevo andare
- Ti ha invitato quel tipo?
- No, un altro
- Cazzo, sei popolare – c'era un leggero tono di scherno, qualcosa che lo fece rilassare e sorridere.
- E' strano andare ad una festa. Sono nervoso a dire il vero – commentò alla fine.
- Stai alla larga dalle pasticche e andrà bene. Quella merda non devi prenderla, ok? - dissi seriamente e lui annuì.
- Ti serve qualcosa da casa? C'è tuo padre dentro, posso prenderla io se non vuoi vederlo
- No, non mi serve niente
Allora perché diavolo sei ancora qui?
Allungai una mano e tolsi delicatamente dai suoi capelli una foglia sottile caduta dai grossi alberi nel nostro giardino.
- Stai bene Alencar? – mi chiese e per la prima volta i suoi occhi mi fissarono direttamente.
Era davvero preoccupato per me? La persona che avevo perseguitato e spaventato da quando aveva messo piede in quella casa, adesso era preoccupata? Gli importava di me?
- Perché ti importa? – chiesi incapace di darmi una risposta.
- Perché siamo te e io, è sempre stato così – scosse le spalle – lo sai che sono un po' suonato. Non stupirti se mi manchi
- Se ti manca una persona come me sei più pazzo di quanto credessi – gli feci notare e lui sorride.
- Sono completamente fuori dalla mia cazzo di testa – disse alla fine mentre i suoi occhi si caricavano di una profondità che non avevo mai notato prima, un grigio quasi fluido.
- Torna dentro, Callum
Lui annuì senza dire altro e spostò lo sguardo ai suoi piedi, accennò un saluto e si diresse dentro la casa, chiuse la porta e scomparve dalla mia vista. Il mio corpo invece non accennava ancora a muoversi, rimasi in attesa e vidi la luce della sua scrivania accendersi dopo qualche minuto. Tirai fuori una sigaretta e la accesi.
Una soltanto e poi vado.


AIDEN

La telefonata che stavo attendendo arrivò quel pomeriggio. Sentii mia madre rispondere ed immediatamente mi immobilizzai. Volevo godermi ogni istante, fare il pieno di quel dolore che, in qualche modo, anch'io avevo provocato, immergermi nella desolazione di mia madre e nella rabbia di mio padre, fino a sguazzarci dentro.
Non avevo potuto assistere personalmente al suo declino e questo mi rammaricava, però avevo ancora un biglietto in prima fila nelle mie tasche ed era stato Levin a regalarmelo.
Non riuscivo a captare molto della conversazione, mia madre stava perlopiù in silenzio, lentamente mi sollevai dalla postazione al computer e andai in corridoio con fare casuale. Volevo essere lì, dovevoessere lì. Scesi in cucina e la conversazione venne interrotta proprio in quel momento.
- Dio mio, che disastro – si lasciò sfuggire mia madre, portando una mano al volto stanco.
Come poteva dispiacerle per un verme del genere? Quanto ancora doveva subire prima di realizzare quello che ci era stato fatto? Non dissi nulla, nascosi la rabbia e mostrai la mia migliore espressione confusa
- Cosa?
Lei scosse la testa, mi sembrava perfino più pallida del normale – Ha chiamato tuo padre. Sembra che due notti fa qualcuno sia entrato a casa sua ... dei ladri. Hanno preso tutto
- Ah, davvero. Che dispiacere – commentai, ironico. Non sarebbe stato verosimile fingermi anche dispiaciuto per l'accaduto
- Non fare così, Aiden. Hanno bruciato tutto! Hanno dato fuoco a tutto! Ti rendi conto?
Quello mi sorprese davvero, Levin aveva deciso di lasciare il segno e allo stesso tempo di lasciare mio padre senza un luogo dove vivere. Aveva fatto molto di più di quanto mi aspettassi, era stato un vero e proprio attacco d'arte. Sublime!
- Cazzo, brutta storia
- Non capisco il perché. Va bene, hanno preso i suoi soldi e tutto il resto, ma perché dare fuoco alla casa? E' rischioso e non ha senso
- Forse ha fatto incazzare qualcuno. Cosa vuoi che ti dica, è sempre stato una testa di cazzo, lo sai – feci spallucce – beh, vuoi prenderti pena anche per lui adesso? Ti ricordo che noi ce l'abbiamo una casa, ma va mantenuta e direi che non ce la stiamo cavando particolarmente bene.
- Non devi mai augurargli il male, Aiden. Lui è pur sempre tuo padre
- Il fantasma di mio padre – la corressi, ma era tutto inutile.
Troppo buona, lo era sempre stata. Mia madre era tutto ciò che non avrei mai voluto diventare per paura di finire come lei: sfruttata e senza una dannata soddisfazione. Dovevo andare via da lì prima che quelle sue dannate lacrime mi dessero davvero sui nervi, era così che faceva, si preoccupava talmente tanto per gli altri da non vedere lo sfacelo che era diventata la sua vita. Non c'era alcun vantaggio nell'essere delle persone decenti, ecco cosa avevo imparato da lei. E al diavolo chiunque diceva che i cattivi perdono due volte, perché non era così ... non era mai così.
Avevo voglia di vedere Levin, l'unico che sembrava avere idea di quello che stavo passando, così presi le chiavi dell'auto e partii. Mi chiesi che cosa avrebbe fatto mio padre a quel punto e, soprattutto, mi chiesi quanto avrebbe sopportato la cara Cherry prima di filarsela con un uomo più giovane e fortunato di mio padre. Non sarebbe stata una lunga ricerca, era solo questione di tempo prima che anche ad Alan venisse dato il benservito. E poi avrebbe capito cosa si provava a venire lasciati indietro, senza niente a cui aggrapparsi, a parte una lunga serie di debiti e bollette da pagare per poter rimanere a galla.
Quella sera i genitori di Levin non erano in casa, ne avevamo parlato brevemente tramite sms e non mi ci era voluto molto per autoinvitarmi da lui. Avevo bisogno di vederlo, di perdermi nel calore del suo corpo e in quei suoi dannati baci intensi. Se c'era una sola cosa che andava bene nella mia vita era proprio lui.
La villetta degli Eickam trasudava perfezione da ogni angolo dal quale la si guardasse, la realtà di quella famiglia doveva essere ben diversa da ciò che il resto del mondo poteva vedere, non conoscevo una sola persona che fosse soddisfatta della propria vita. Così parcheggiai la mia auto e mi incamminai lungo il vialetto.
Levin in tuta era uno spettacolo mozzafiato, la canottiera nera lasciava le sue spalle ampie e muscolose libere. Gli lanciai una lunga occhiata di apprezzamento e subito vidi il suo viso aprirsi in un lieve sorriso
- Allora? Piaciuta la sorpresa?
- Se mi è piaciuta? Cazzo, ti sei superato. Aspetta, stai parlando di quanto sei figo oggi o di quello che hai fatto a mio padre?
Ancora un altro sorriso – Entra, ho qualcosa per te
- Anch'io ho qualcosa per te – non potei fare a meno di lasciar vagare la mia mano lungo il suo sedere sodo e perfetto, messo in risalto ulteriormente dai pantaloni della tuta. Lui si voltò verso di me, piazzandomi un bacio veloce sul collo prima di chiudere la porta alle mie spalle. Non gli permisi di fare un altro passo, lo volevo immediatamente, lui ed il pensiero di tutto quello che aveva fatto per me mi eccitavano da morire.
- Calma un attimo i tuoi bollenti spiriti e vieni su con me – disse in un sussurro basso, quanto provocante. Mi costrinsi ad interrompermi e a seguirlo verso le scale che avrebbero portato alla sua stanza.
Levin stava cercando qualcosa nel fondo del suo armadio, qualsiasi cosa fosse non avrebbe potuto eccitarmi quanto il guizzo dei muscoli della sua schiena mentre si abbassava e tirava fuori una busta da lettera.
- E questa?
- Apri. Non è molto, ma è tutto quello che ho trovato ... dovrebbe andare bene per qualche mese di affitto, credo
Era denaro, parecchi pezzi da cento e qualcuno da cinquanta, evidentemente mio padre aveva deciso di portarsi avanti con qualche lavoretto in nero.
- Non dovevi, puoi prenderli tu. Per il disturbo
Levin scosse la testa – Nah, i ragazzi sono a posto così. Rivenderanno un po' di roba, non è andato affatto male come furto improvvisato. Questi sono per te e tua madre o per farci quello che vuoi. Non vederlo come un disturbo, almeno ho impedito a Kai di fare qualche stronzata, derubando un posto meno sicuro. Forse, alla fine, dovrei essere io a ringraziare te
Kai, il fratello adottivo ancora più scapestrato di Levin. Quel ragazzo aveva fin troppe preoccupazioni sulle proprie spalle ... ed io non avevo fatto altro che aggiungermi ad un'equazione già disastrosa di suo. Non avevo creduto che lo avrebbe fatto sul serio, fino a quel momento non avevo ben capito quanto Levin fosse fuori da ogni dannata categoria di gente che avessi mai conosciuto.
- Nessuno ha mai fatto niente del genere per me
- Non stupirti, significa che sei circondato da gente normale, per lo più – scherzò Levin
- Quindi è strano che lo trovi romantico ed eccitante allo stesso tempo?
Anche sul suo viso si era dipinta un'espressione maliziosa e provocatrice, lo vidi dirigersi verso di me in fretta, ma fui io a bloccare il suo viso tra le mani e a baciarlo subito dopo. Mi aveva ignorato per tre lunghi giorni, perché Levin era fatto così, ma adesso era lì ed era mio. Totalmente mio. Mi spinsi contro il suo corpo e bastò quel semplice gesto per farmi gemere appena, mentre non smettevo un istante di assaggiare le sue labbra fresche, insinuando la mia lunga nella sua bocca, fino a farla danzare con la sua. Il suo sapore mi faceva impazzire e, più di ogni altra cosa, adoravo il suo tocco leggero e deciso sulla mia pelle, lo sentivo stringermi e spingermi giù, le sue mani scivolavano sul mio corpo, mi spogliavano in fretta e furia di ogni dannato indumento ed io cercavo di rispondere con la stessa forza, mentre la mia mente andava piano piano alla deriva.
- Prova a farmi dimenticare tutto, Aiden. Sei bravo a farlo
Un invito, un sussurro basso e roco, poi Levin era finito con le spalle contro il letto, in attesa che facessi la mia magia. Ed io non vedevo l'ora di rispondere, di accontentarlo in ogni modo possibile e immaginabile. Sentivo il mio basso ventre contrarsi dalla voglia che quel dannato corpo nudo provocava in me. Come poteva essere tanto eccitante? Non ero una ragazzina alle prime armi, avevo visto altri uomini nudi, ma Levin ...
- Da bravo. Così
Non me lo lasciai ripetere una seconda volta. Mi inginocchiai sul letto e mi abbassai sulla sua erezione, già pronta e desiderosa di me. Adoravo il suo sapore, ma, più di ogni altra cosa, andavo pazzo per quei leggeri gemiti e sospiri che Levin si lasciava sfuggire ogni volta che lo prendevo in bocca. Poi le sue mani che artigliavano i miei capelli, mi spingevano in basso, incontro alla sua erezione e mi davano un ritmo perfetto, teso ad appagarlo tanto da far muovere il suo bacino in avanti, come se volesse sempre di più.
- S-se continui così ti verrò in bocca
Un sussurro basso e roco. Alzai gli occhi per incontrare il suo viso arrossato e in difficoltà. Le sue labbra umide erano appena dischiuse in un'espressione confusa e allo stesso tempo soddisfatta, con le mani aveva preso ad artigliare le lenzuola, segno che lo avevo spinto al limite. Ma io lo volevo, volevo fargli perdere il controllo e dare sollievo a tutto quello che la sua mente si rifiutava di cacciare via. Così continuai a succhiare, seguendo un ritmo tutto mio adesso, sempre più serrato, fino a quando non sentii il suo seme bollente sgorgare sulla mia lingua ed i suoi gemiti farsi più alti e stanchi. Mandai giù tutto con un sorrisino soddisfatto che non mitigava per niente il dolore al basso ventre, ero troppo eccitato per fingere.
- Tu sai come farti volere bene, Aiden
Levin aveva aperto le labbra in un sorrisetto beato mentre la sua mano mi sfiorava piano il viso
- Bene? Quindi mi vuoi bene? – azzardai
- Certo che te ne voglio
Qualcosa si mosse dentro di me, non pensavo che Levin avesse mentito su quel punto, qualcosa nel suo sguardo mi diceva che tutto ciò che eravamo e che avremmo potuto essere era già lì: solo due ragazzi desiderosi di ammazzare il tempo ed i pensieri in un letto. Ma non mi diede modo di riflettere, né forse volevo farlo, avevo bisogno di evadere anch'io e Levin era lì per quello.
- Adesso tocca a te mostrarmi quanto puoi farti volere bene – biascicai, confuso e distratto dal suo dannato petto pallido e dai muscoli appena accennati. Mi sovrastò in fretta, appropriandosi della mia bocca che adesso sapeva anche di lui e questo non sembrava dispiacergli neanche un po'. Dio, come mi eccitava.
Le sue mani cominciarono a vagare ovunque, lasciando scie bollenti sulla mia pelle fin troppo ricettiva, poi, dopo un ultimo bacio violento che mi fece gemere forte, lasciò la mia bocca per scendere lungo il mio petto e cospargerlo di baci, morsi leggeri e leccate. Era uno spettacolo sensazionale, i suoi capelli biondissimi tra le mie dita, poi, quegli occhi resi più scuri dal desiderio, che passavano in rassegna il mio corpo. Amavo il modo in cui mi guardava, come se fossi una dannata oasi in un deserto.
Le sue braccia avevano bloccato le mie cosce, costringendomi ad allargarle. Sapevo cosa stava per succedere, ignorò del tutto la mia erezione e si concentrò più giù, premendo la sua lingua bagnata sulla mia entrata e facendomi subito ansimare forte. Stavo iniziando a toccarmi, nonostante fossi in paradiso, volevo più di quello.
- Entra, ti prego
Non mi ascoltava, Levin continuava a leccare e premere, il suo viso era soddisfatto, voleva portarmi allo stremo, spingermi ad implorare? Mi morsi le labbra e tentai di sopravvivere a quell'assalto fantastico. Poi fece qualcosa di inaspettato, mi bloccò i polsi e un attimo dopo iniziò a penetrarmi. Avevo perso il respiro e inarcato la schiena, sentirlo farsi strada dentro di me, tra dolore e piacere, era una sensazione fantastica. E Levin era lì, fermo e concentrato, intento a cospargere di baci la mia gamba che aveva appoggiato sulla sua spalla per penetrarmi meglio.
- Ti piace?
Non riuscii a parlare, qualsiasi cosa stessi pensando sembrava sfuggire alla mia comprensione. Mi ritrovai a gemere e annuire, poi Levin si spinse dentro del tutto e mi abbracciò stretto. Era il paradiso, ogni spinta si trasformava in una scossa di piacere che coinvolgeva tutto il mio corpo. E la sua bocca mi impediva di respirare, gemevo contro di lui, stringendolo sempre più forte e piazzando qualche morso contro la pelle dura delle sue spalle. Levin non mi stava toccando, eppure mi sentivo sul punto di venire soltanto con le sue spinte. Era il massimo, non avevo mai immaginato che qualcuno all'infuori di Andrew avrebbe potuto farmi provare tanto piacere, ma stava succedendo. Succedeva sempre con Levin.
Era finita, venni un attimo dopo, seguito qualche attimo dopo da Levin che si era spinto dentro di me per un'ultima volta. Gemette forte e rimase immobile, anche lui intento a riprendere fiato dopo l'orgasmo. Ero ancora sconvolto e tremante quando Levin uscì dal mio corpo e, con passo traballante, andò a prendere il suo pacchetto di Marlboro dalla scrivania. Era distrutto almeno quanto me, me ne passò una e andò ad occupare l'altra estremità del letto, ben attento a non sporcare le lenzuola.
- Il tuo petto è un'opera d'arte contemporanea adesso – gli feci notare, senza riuscire a soffocare una risata bassa
Levin rise appena – Vuoi leccarlo?
- E' mio, che schifo! – commentai, ridendo più forte
- Quindi ti piace bere soltanto il mio
– Già, puoi vantartene in giro, se ti va. E poi non voglio ripulirti, mi avevi promesso che mi avresti fatto provare la vasca idromassaggio nel bagno dei tuoi ...
- Dio, che ragazzino pretenzioso che sei – disse con un tono di finta irritazione. Mi stava fissando dritto negli occhi, Dio solo sapeva a cosa stava pensando Levin in quel preciso momento. Era un dannato mistero, anche il modo in cui si mostrava così attento durante il sesso. Non perdeva la testa neanche per un attimo.
- Come fai ad essere sempre così controllato? – chiesi, ispirando una boccata di fumo dalla sigaretta che Levin mi stava passando
Quello sembrò rifletterci un attimo – Fa parte di me. Non abbasso mai la guardia
- Neanche durante il sesso, a quanto pare. Forse è questione di allenamento. Hai avuto un buon maestro?
Avevo chiesto troppo, lo capii dal modo in cui i suoi occhi fuggirono dai miei. Afferrò nuovamente la sua sigaretta e ne prese una boccata
- Lo era – disse con semplicità
Riflettei un attimo sul da farsi, potevo procedere con le domande forse, ma non sapevo fino a che punto ... Levin non sembrava ancora irritato.
- Dov'è adesso?
- Al Crossroad, a scontare ciò che rimane della sua pena. Basta chiacchiere, ok? Ti porto a ripulirti.
Discorso chiuso, non potevo neanche prendermela dopotutto. Levin era e restava un mistero, mi lasciai poggiare un bacio delicato sulla spalla, poi non mi rimase che seguirlo lungo il corridoio di casa sua.


BLACKSTEEL  

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