14. You don't know me
Alis volat propriis - Proverbio
Si vola con le proprie ali
CALLUM
Ero immerso in uno strano torpore, svegliarmi sembrava un'impresa impossibile ma riuscii ad aprire gli occhi, purtroppo, mettendomi a sedere sul letto, compresi ancora una volta che non era casa mia. Ero di nuovo nell'appartamento di Alencar, nella sua stanza, nel suo letto, uno strano sollievo mi colse quando notai che indossavo ancora l'intimo. Ispezionai la camera con lo sguardo ma era deserta, scesi cautamente, notai la parrucca poggiata sul comodino, un preservativo ancora sigillato per terra e un suono leggero. Quando arrivai davanti alla porta della stanza mi resi conto che si trattava dello scrosciare dall'acqua, lui doveva essere sotto la doccia.
Recuperai i miei vestiti e li indossai frettolosamente, ero già in ritardo per la scuola ma quando passai davanti alla porta del bagno notai che era accostata. Non riuscii a superarla immediatamente, mi ritrovai lì ad osservare timidamente dallo spiraglio aperto, c'era parecchio vapore ma riuscivo a distinguere i suoi lineamenti all'interno del box appannato. Poi il rumore d'acqua cessò e lo vidi uscire ancora gocciolante, passò un telo lungo il corpo per asciugarsi sommariamente e poi lo legò in vita. I suoi capelli rossi erano bagnati e luccicanti, li portò indietro aiutandosi con il pettine e poi si voltò.
Per una manciata di secondi i nostri sguardi si incrociarono, io rimasi lì inerte, incapace di muovermi e lui non disse niente, poi si avvicinò e a quel punto anche io mi spostai prontamente. Feci qualche passo indietro allontanandomi dalla porta per dirigermi verso l'uscita, volevo provare a scappare prima che mi raggiungesse.
- Callum!
Quando sentii quella voce e quel tono serio il mio corpo si piantò al suolo, come se di colpo del cemento si fosse solidificato sulle mie gambe, mi voltai timidamente mentre cercavo di pensare a cosa dire.
- Io ... sono in ritardo ... per la scuola – abbozzai alla fine mentre cercavo di evitare il suo sguardo diretto.
- Ti serve un passaggio?
Continuavo a tenere lo sguardo basso, feci segno di no con la testa ma poi qualcosa di totalmente inappropriato mi uscì di bocca.
- Siete andati a letto insieme? - mi maledii nell'esatto istante in cui quelle parole uscirono dalle mie labbra.
- No – la sua risposta arrivò dopo qualche secondo, in un tono così calmo che ebbi finalmente il coraggio di guardarlo.
Era ancora nudo, con soltanto il telo legato in vita, un ciuffo di capelli bagnati che gli era ricaduto sulla fronte e la pelle umida.
Continuai ad aprire bocca, contro ogni legge della logica – è successo qualcosa a causa mia?
- Non è niente che ti riguarda – rispose con tono secco.
- Voglio solo provare a vivere una vita normale, so che credi che io non ne abbia il diritto ma
- Tu non sai cosa credo Callum, non parlare al mio posto – disse quello interrompendomi – so bene dove vuoi arrivare
- Invece no – dissi bruscamente e lui restò interdetto per qualche istante – tu non sai niente di me, non hai mai perso tempo a cercare di conoscermi, di capirmi. Penso che in questi anni ho imparato più io cose su di te che il contrario, semplicemente perché quando ti guardo io ti vedo, ti considero, mentre quando tu guardi me non vedi niente
Avevo il cuore in gola, mi voltai e questa volta non arrivò nessuna voce a fermare la mia fuga, lasciai la casa il più velocemente possibile con quella dannata parrucca stratta nel pugno. Gli occhi profondi di Alencar mi avrebbero perseguitato per tutto il giorno, però ero lieto di aver messo io il punto per una volta.
È una brutta vita, ma può ancora essere la mia.
Era l'unica speranza che mi faceva ancora muovere, qualcosa a cui aggrapparmi, forse potevo ancora conquistare un briciolo di normalità, provare almeno a battermi per averla. Cercavo di tenere strette le parole che mi aveva rivolto Levin, ribellarsi era qualcosa che non credevo di riuscire a fare, eppure in qualche modo, con minuscoli gesti quotidiani sentivo qualcosa cambiare nel mio folle mondo.
Ero tremendamente in ritardo quando arrivai a scuola quella mattina, avevo saltato le prime due ore ed ero certo che avrei preso un richiamo per quello. Mentre attraversavo rapidamente il cortile per raggiungere l'aula di matematica vidi la figura di Levin in attesa del suo turno per svolgere l'esercizio di ginnastica. I nostri sguardi si incrociarono, lo vidi accennare un gesto con la testa, come una sorta di saluto e poi portò due dita alle labbra come se reggesse una sigaretta, infine fece roteare l'indice. Voleva fumare una sigaretta con me più tardi? Quella prospettiva mi fece emozionare leggermente, qualcuno aveva voglia di passare del tempo con me? Mi affrettai a fare un cenno d'assenso prima che l'attenzione del biondo tornasse verso l'insegnante.
Non riuscivo a smettere di sorridere per quell'avvenimento, riuscivo persino a pregustare la pausa pranzo in compagnia di un'altra persona. Da quando il mio inferno personale era cominciato non avevo più avuto un amico e anche se Levin non potevo ancora definirlo tale, era ciò che ci somigliava di più.
Quando presi posto nell'aula di matematica quella lieve gioia che mi aveva pervaso la mente fu spazzata via da un paio di occhi furiosi che mi fissavano. Maxwell era uscito dall'ospedale, non era ancora perfettamente in forma, anzi, la sua faccia sembrava uno spettacolo dell'orrore. C'erano parti ancora gonfie, il naso era coperto da uno spasso cerotto di garza bianco e i suoi occhi come alcune parti degli zigomi erano violacee. Questo era solo la parte visibile, ero pronto a scommettere che sotto i vestiti la situazione non fosse differente.
La parte davvero preoccupante era che il suo sguardo traboccante di odio non smetteva di fissarmi. Cercai di prestare attenzione, spostare gli occhi dalla sua figura ma per tutta la lezione potevo sentire il suo sguardo su di me, la rabbia che trasudava.
Appena la campanella suonò mi sollevai immediatamente e schizzai via sperando che non mi seguisse, non volevo finire nei guai, non volevo avere a che fare con qualche grossa faida. Non avevo chiesto io ad Alencar di picchiarlo ma questo ovviamente Maxwell non lo sapeva o probabilmente non gli sarebbe importato a prescindere, dovevo riuscire a evitarlo.
Scappa e nasconditi.
Non mi voltai indietro, camminai svelto per i corridoi e salii al secondo piano, chiudendomi nel bagno dei ragazzi. Sentivo le gambe tremare leggermente e avevo il fiato corto, mi spostai verso il lavandino e, dopo aver fatto scorrere l'acqua fresca, mi sciacquai il viso un paio di volte per cercare di calmarmi.
Avevo ancora le goccioline d'acqua che imperlavano la mia pelle quando la porta del bagno si aprì rivelando la figura di Maxwell, non ero fuggito abbastanza in fretta.
- Eccoti qua Fimmel, quasi temevo che oggi saltassi la scuola – mormorò con voce carica di sadismo.
Io indietreggiai istintivamente, non c'era scampo, non potevo nemmeno illudermi di arrivare alla porta – senti io ... - la bocca mi si seccò – quello che ti è successo non è colpa mia
- Tu dici? - commentò lui facendo un passo avanti – e cosa mi è successo secondo te? sentiamo!
Tacqui, non avevo il coraggio di dire o fare niente, vederlo avanzare mi provocava infinite fitte allo stomaco, riuscivo quasi a sentire il dolore dei pugni che sarebbero arrivati sulla mia pelle.
- Quello psicopatico di merda mi ha pestato! – ringhiò – sono finito in ospedale per colpa sua
- Lui non – tentai di dire – io non c'entro niente ...
- Risparmiami i tentativi di scuse, quello stronzo mi ha chiarito bene che non posso toccare il povero Callum nemmeno con una piuma – disse sputando quelle parole a pochi centimetri dal mio viso – e sai cosa pensavo mentre ero sdraiato su quel letto del cazzo a mangiare sbobba da ospedale? – ringhiò – pensavo a quella diceria, quella voce che gira secondo cui il caro Alencar si scopa il tuo culo secco. Qualcuno dice che non sono stato il solo a finire in ospedale a causa sua, anni fa qualcun altro si è preso il trattamento completo! – le sue labbra si tesero come due corde ai lati della bocca in un ghigno malevolo – è questa la verità? Ti fai scopare da lui in cambio di protezione?
Mi portai la meni alle orecchie per cercare di smettere di sentire quelle parole che mi piovevano addosso come aghi conficcandosi ovunque.
- Smettila! Non è vero! Non è vero! Tu non sai niente, smettila! – urlai cercando di coprire la sua risata soddisfatta.
Il mio corpo era di nuovo prossimo al tracollo, il respiro mi si mozzava, la bocca era più arida del deserto e mi veniva da vomitare. Sentii una forte pressione al braccio destro e quando sollevai i miei occhi pieni di terrore vidi Maxwell che mi teneva il polso e mi strattonava verso di lui.
-Ascoltami bene piccolo stronzo malato, se credi che mi faccia mettere i piedi in testa da quello psicopatico ti sbagli di grosso – ringhiò – tu riprenderai a fare i saggi che ti chiedo e tutto quello che cazzo mi serve che tu faccia, altrimenti io mi metto a spargere la voce sul tuo segretuccio perverso. Mi hai capito? Dico a tutti quanti come ti fai scopare e mi assicurerò che non resti solo una voce lontana, farò in modo che nessuno vorrà più sedersi nemmeno a due metri da te. I vostri genitori non vivono insieme? Pensa un po' se arrivasse anche a loro la voce! Se il preside e i professori sapessero di voi e di lui. Ti piacerebbe se raccontassi in giro i suoi traffici, potrei anche denunciarlo per quell'aggressione!
Poi mi lasciò andare e io mi afflosciai come un pupazzo schiacciato dalla forza di gravità, non lo guardavo, tenevo gli occhi fissi sulle mattonelle, notai solo la sua ombra sparire dalla visuale e dei passi che accompagnavano la porta del bagno mentre sbatteva.
Restai così, a terra e in silenzio, non riuscivo a trovare la forza o una motivazione qualsiasi per sollevarmi e camminare.
Click.
Un suono leggero mi fece tremare ancora più delle parole che Maxwell mi aveva rivolto qualche istante prima, c'era qualcuno nel bagno. Mi ci volle tutto il coraggio che mi era rimasto per spostare lo sguardo in alto e fissare la figura che usciva dal cubicolo silenziosamente.
Era Levin, lo sgomento e la disperazione che mi afferrarono quando quella consapevolezza fu chiara erano devastanti. Proprio lui fra tanti aveva assistito a quella discussione, aveva sentito quelle parole, quella verità sconcertante su ciò che mi riguardava. L'unica persona con cui avevo sperato di costruire qualcosa di buono conosceva la verità più disgustosa di me, perché anche se io non avevo il controllo su ciò che Alencar e Celia facevano, la faccia che tutti vedevano era la mia.
Era colpa mia, ero io il viscido disgustoso, ero io quello che si fa fottere dal figlio del fidanzato della madre in cambio di protezione.
Levin mi fissava in silenzio, dal suo volto non riuscivo a intravedere nessuna emozione precisa e questo forse mi faceva più paura del dovermi confrontare con il suo disgusto. Lo vidi muoversi leggermente, un accenno nella mia direzione mentre le sue labbra si schiudevano appena.
Non potevo sentire quello che aveva da dire, anzi, non volevo, non era in grado di affrontare l'ennesimo smacco quel giorno, l'ennesimo sputo. Arrancai a fatica e mi misi in piedi, prima che lui potesse aggiungere delle parole in quel denso silenzio mi gettai sulla porta e fuggii.
Stavo perdendo il controllo, sentivo il mio cuore battere forte e l'attacco di panico incasinarmi il cervello, sentivo come se fossi immerso in un pozzo senza che potessi avere speranza di raggiungere la superficie. Mi sentivo come se il mondo fosse lo spettatore del mio annegamento, del mio personale annientamento mentale, barcollavo e intorno a me non riuscivo nemmeno a capire dove fossi diretto. Le persone erano lontane, la realtà era una tempesta gelida e la fioca candela che reggevo per illuminarmi la strada si era spenta, con un'ultima folata di vento siderale.
Ero solo, ero al buio.
KENO
- Diavolo, hai un'espressione così soddisfatta e abbagliante che devo iniziare a mettere degli occhiali da sole in tua presenza – dissi al mio amico che in tutta risposta rise facendomi un dito medio.
- Sei davvero esilarante, Keno – commentò Aiden portandosi una forchettata di insalata alle labbra.
- Beh, diciamo che da quando ne ho memoria non ti ho mai visto così tranquillo e rilassato durante l'assenza di Andrew. Perché non mi aggiorni sui dettagli piccanti?
Era vero, sembrava che la solita irrequietezza di Aiden fosse sotto controllo, appariva calmo, sorridente, completamente a suo agio. I suoi occhi chiari risplendevano, non erano incupiti o carichi di amarezza, questo rendeva felice anche me.
Lo vidi scuotere le spalle – te l'ho detto, ho smesso di preoccuparmi delle conseguenze e di certo non ho più voglia di perdere il mio tempo dietro le cause perse.
Io sorrisi, mi trovavo perfettamente d'accordo con lui – Certo, sono anche sicuro che la presenza di un certo biondino arrapante nella tua vita ti abbia ridato l'energia giusta! Ovviamente non sto parlando di me – gli feci l'occhiolino.
Lui scosse la testa e mi rifilò un altro dito medio, era una bella giornata, la mensa non era proprio affollata e grazie al cielo Shannon e James erano ancora occupati con dei laboratori, avevamo il tavolo tutto per noi. Vidi un altro gruppetto di studenti fare il suo ingresso e fra loro c'era il bello e fin troppo di poche parole Levin Eickam. Notai subito come l'attenzione di Aiden si spostò rapidamente su di lui anche se con molta discrezione, persino il ragazzo guardò nella nostra direzione. Non fu una lunga occhiata, fu un gesto rapido, un sorriso appena accennato verso il mio amico, poi passò oltre e andò a sedersi dall'altra parte della sala.
- Di certo è un gran figo – dissi tornando con la mia attenzione ad Aiden che rise leggermente.
- Lo è ... - mormorò consapevole.
- E a letto?
Quello sollevò gli occhi al cielo – lo è anche lì
- Ma come siamo di poche parole!
- Vuoi il resoconto delle mie scopate perché tu non scopi abbastanza, per caso? – mi provocò Aiden, adesso divertito.
Prima che potessi tormentare ancora il mio amico, il telefono prese a vibrare, era il mio turno adesso, la mia dose di castigo universale. Il nome di Noah appariva insistentemente sullo schermo, segno che aveva finito con le lezioni e aveva tutta l'intenzione di assillarmi.
- Non intendi rispondere? – mi chiese Aiden con sguardo attento.
- Siamo alle solite, preferisco evitarlo – mormorai girando il telefono al contrario sul tavolo, con lo schermo rivolto in basso.
- Che cos'è successo stavolta? – scosse le spalle – sembrava stesse andando tutto bene
- Le solite cose, è troppo appiccicoso. Non rispetta i miei spazi, mi sento come se fossi trascinato in fondo all'oceano dal Kraken – ringhiai.
- Dovresti dirglielo – commentò – prova ad essere il più chiaro possibile e smettila di mandargli dei segnali contrastanti, così lo confondi e basta. Non risolverai niente
- Non ho voglia di parlare con lui di come mi sento
Non voglio che lui capisca qualcosa di me, non lo voglio ancora più radicato nella mia esistenza.
Voltai lo sguardo verso la finestra e mi lasciai distrarre dal paesaggio del cortile, gli alberi stavano cominciando a perdere a perdere le foglie ingiallite e, proprio mentre seguivo il percorso di una verso terra, mi resi conto che qualcuno si stava contorcendo sotto di esso.
- Lo sai che inizierà a chiamare me al telefono! Che cosa dovrei dirgli? Keno? Mi stai ascoltando? – le voca insistente di Aiden mi riportò con la mente alla mensa.
- Cosa?
- Ho detto, se chiama anche me, cosa faccio?
- Digli che non sai dove sono, che non mi hai visto – risposi sollevandomi.
- Col cazzo che mi crederebbe! E adesso dove stai andando? – cominciavo ad apparirgli bizzarro, mi fissava con sguardo dubbioso.
- Ancora non lo so – dissi mentre prendevo il mio vassoio e mi allontanavo dal tavolo, lo posai nella pila insieme agli altri e poi lasciai la mensa.
Non mi ero sbagliato, quando mi fermai a pochi passi dal ragazzo rannicchiato a terra ebbi la conferma che si trattava di lui, Callum, il tipo degli attacchi di panico. Dubitavo si fosse reso conto che c'era qualcuno vicino a lui, nonostante fossi al massimo ad un metro dalla sua testa. Aveva gli occhi serrati e si teneva il petto, rannicchiato in posizione fetale. Non si lamentava, non capivo se stesse provando dolore, le sue labbra compivano solo dei leggeri movimenti, come se stesse sussurrando a sé stesso.
Allungai la punta del piede e lo colpii leggermente sulla spalla, il suo corpo sussultò e lentamente la testa si sollevò, le palpebre si aprirono timorose e i suoi grandi occhi grigi pieni di timore incrociarono i miei.
- Stai di nuovo non morendo? – gli chiesi con un leggero sorriso mentre lui cercava di accennare qualche parola con scarso risultato.
Scossi la testa e decisi di tendergli la mano, lui la lasciò lì a mezzaria per un po' ed io, spazientito, la agitai davanti ai suoi occhi per incitarlo ad afferrarla. Alla fine lo fece e lo misi in piedi, nonostante tenesse la schiena leggermente ricurva era più alto di me, aveva il viso arrossato, come se fosse in imbarazzo.
- Mi sento ... meglio – mormorò – scusa il disturbo
- Se vuoi davvero scusarti vieni con me – dissi voltandomi senza aspettare che fosse d'accordo, lo trascinai per un braccio.
- Ma dove ... dove andiamo? – era perplesso e leggermente intimidito.
Non risposi, continuai a trascinarlo lontano dalla scuola, non potevo tornare a casa né restare per delle attività pomeridiane, sapevo che in quel caso Noah sarebbe riuscito ad intercettarmi. Mi serviva solo qualcuno con cui passare un po' di tempo in attesa che si calmassero le acque.
Fu così che ci ritrovammo seduti al tavolino di ferro di un chiosco con due bicchieri di milk-shake davanti, uno alla vaniglia per lui e uno alla fragola per me.
Stava giocherellando con la cannuccia mentre mi lanciava occhiate dubbiose, sembrava sul punto di voler dire qualcosa ma non lo fece per diversi minuti, solo alla fine tirò fuori la voce.
- Ma quindi che facciamo qui?
- Passiamo il tempo – dissi semplicemente – c'è una persona che voglio evitare, quindi mi farai compagnia per un po'.
Quello strinse appena le spalle – e vuoi che sia io a stare qui perché ...?
Sbuffai – certo che fai tante domande per essere uno senza fiato
Rividi nuovamente l'imbarazzo sul suo viso e quella cosa mi fece sorridere, sapevo che era più grande di me ma non sembrava per niente. Forse non era abituato a parlare con qualcuno, provando a sforzare la mia mente non ricordavo di averlo visto inserito nei tanti gruppetti a scuola.
- Mi ricordi il tuo nome? – chiese alla fine timidamente – sai, cerco di ricordarlo ma ...
Sollevai un sopracciglio vagamente risentito – Keno. K.E.N.O. – ribadii sorridendo e bevendo dalla cannuccia – cerca di non scordartelo questa volta, o hai una lista di amici troppo lunga per ricordare un altro nome?
Quello scosse la testa in imbarazzo.
- Come supponevo – mormorai scuotendo la testa – quindi Callum, che fai nella vita?
Continuava a giocherellare con la cannuccia anche se non aveva bevuto nemmeno un sorso, si limitò a scuotere le spalle ma alla fine aggiunse anche qualche parola.
- Vado a scuola
- Tutto qui? – lo incitai bevendo ancora – amici? Hobby? Fai sport?
Quello scosse la testa – non ho amici, sto da solo di solito. A casa ...
- Cazzo che depressione, un ragazzo non ce l'hai? Non esci mai per divertirti? – insistetti.
Quella domanda lo sorprese particolarmente – ragazzo?
Io scossi le spalle – con quelle mani così sottile e affusolate, toccare una donna mi sembra uno spreco. Se mi sbaglio scusa tanto! – risi facendogli l'occhiolino.
Callum cominciò a tormentarsi una ciocca di capelli dietro la nuca – no, non esco per divertimi, non sto con nessuno – fu la sua risposta, senza chiarire se preferisse gli uomini o le donne.
- Sicuramente avresti bisogno di vedere un po' di mondo – commentai.
Lui restò ancora lì impalato, il suo milk-shake era perfettamente intatto mentre il suo sguardo vagava per il locale, solo brevemente si soffermava su di me.
- Non ti piace? – chiesi reclinando la testa di lato.
Lo vidi stringere appena le labbra, come se si stesse sforzando nel portare un peso, poi le schiuse e parlò – posso chiederti perché fai questo? Stai qui con me...
- Te l'ho detto, devo evitare una persona
- Si ma ... scommetto che tu hai una lista di amici abbastanza lunga da non doverti ridurre a prendere un frullato con uno sconosciuto – disse di getto e mi inchiodò con lo sguardo.
Adesso quegli occhi grigi non sembravano più così timidi e irrequieti, improvvisamente il suo viso sembrava più serio e maturo, il suo sguardo profondo.
Questo è interessante.
- Mi piace espandere i miei orizzonti – dissi semplicemente lasciando che le mie labbra si schiudessero in un sorriso seducente – e credo proprio che tu debba fare lo stesso. Non mi sembri uno che si gode la vita, perché non ti fai degli amici?
- Nessuno vorrebbe passare il tempo con me, non sono interessante né di compagnia – mormorò e finalmente portò le labbra alla cannuccia bevendo giusto un po' di frullato.
- Io sto passando il mio tempo con te, non mi sembra così atroce. Fidati, ne ho incontrate di persone noiose
Scosse la testa – lo dici solo perché non mi conosci – mormorò amaramente – io sono ...
- Facciamo una cosa – dissi interrompendolo – scambiamoci i numeri, se trovo qualcosa di divertente da fare ti chiamo, scommetto che non sei così male
- Davvero, io non credo che ...
Mi toccò interromperlo di nuovo – allora facciamo che non te lo chiedo ma te lo ordino, mollami il tuo numero Callum – dissi incitandolo con la mano.
Alla fine lo fece, mi dettò il numero, io feci uno squillo e salvai il mio sul suo telefono, restammo ancora un po' lì anche se era ovvio che non avrebbe mai finito quel milk-shake.
- Offro io – esclamai prontamente quando il cameriere arrivò con il conto.
- Non devi – mormorò anche se non ebbe la forza di allungare una mano per fermare la mia mentre consegnavo i soldi – non mi piace essere in debito.
- Beh, la prossima volta che usciremo mi offrirai qualcosa, a meno che tu non stia già meditando di darmi buca
Lui scosse la testa prontamente e ci dirigemmo fuori dal locale, cominciammo a percorrere un po' di strada insieme senza che nessuno dicesse una parola. Vidi che ci stavamo avvinando al lungomare e mi preparai ad attraversare la strada per proseguire il percorso costeggiando la spiaggia ma mi sentii frenare.
Callum era leggermente impietrito e mi teneva forte un braccio con la mano – non di là ... per favore
Non obbiettai, era persino più pallido di prima e deviai il mio percorso insieme a lui restando accanto ai palazzi. Ci fermammo nuovamente solo più avanti, davanti all'ingresso della metro, vidi Callum tornare a tormentarsi una ciocca di capelli.
- Allora io vado, devo rientrare a casa – disse leggermente incerto.
- Prego, non ti ho mica sequestrato – risi e vidi apparire anche nel suo viso un leggero divertimento – ci si vede allora. Cerca di non svenire in metro
Lui abbassò gli occhi per poi tornare a guardarmi dritto in faccia – è stato ... divertente
Non aggiunse altro, filò via scomparendo dalla mia vista qualche minuto dopo, divertente certamente non era il termine che avrei usato ma era stata un'esperienza interessante.
Quando rientrai in casa e mi gettai sul letto dovetti fare i conti con una situazione tutt'altro che esaltante, la segreteria del mio telefono era completamente piena di messaggi. Cominciai a sentirne alcuni giusto per ricordare in quali patetiche acque mi ero messo a galleggiare.
- Keno, sono io. Ma che ti prende? Hai ricominciato ad ignorarmi?
- Keno, sono Noah, ti vuoi decidere a rispondere?
- So che sei in pausa pranzo, dannazione! Che ti ho fatto stavolta?
- Aiden mi ha detto che non siete insieme, sono fuori casa tua. Con chi sei? Cristo, rispondimi almeno! Se si tratta ancora dell'altra sera dovremmo parlarne! – un lungo sospiro – so che ti fanno paura certe cose, so che non vorresti avvicinarti così, ma sta succedendo ok? Non c'è niente di male. Richiamami
Sapere, cosa credeva di sapere? Niente, solo quello che io volevo che comprendesse.
Non sai niente di me, non illuderti. Riesci solo a sfinirmi.
Cancellai con stizza il resto dei messaggi senza neanche ascoltarli, ovviamente aveva lasciato qualcosa anche di scritto ma lo ignorai, tutto quello che replicai a quella sfilza di parole fu: Vedi di lasciarmi in pace per un po', sei soffocante. Smettila di credere che io abbia bisogno di te, non sei il centro dell'universo di nessuno.
Poi gettai il telefono in un angolo e nonostante il vibrare non presi nessuna delle sue chiamate.
AIDEN
La corsa campestre delle undici del mattino era quasi giunta al termine ed io ero semplicemente esausto. Mi accostai piano a Keno, sempre tenendo il passo con il gruppetto di coraggiosi che riusciva a stare dietro all'allenatore. La pelle di Keno era ancora più traslucida del normale, probabilmente saremmo svenuti nel giro di pochi minuti. Gli feci segno che mi serviva una flebo, mentre il mio amico non aveva neanche la forza di ribattere; per fortuna il fischio prolungato di Mratz decretò la fine di quella terribile mezz'ora di corsa intorno all'enorme campo da football. Crollammo tutti a terra, sfiniti e incapaci di muoverci.
- Grazie a Dio – esalò Keno
Sentivo il sangue pompare velocissimo nelle mie vene mentre tentavo disperatamente di riprendere il respiro
- Se qualcuno di voi ha mai avuto in mente di fare una strage scolastica, questo è il momento perfetto! Uccidetemi adesso, prometto che non opporrò resistenza – dissi alla volta degli altri studenti nelle mie stesse condizioni fisiche.
- Berg, vedo che hai ancora fiato. Vuoi farti un altro paio di giri di campo? – sbraitò il professore, lanciandomi un'occhiataccia per via della mia battuta che però fece ridere gli altri
- Grazie, prof. Sto bene così ... se non mi viene un infarto
- Pensavo volessi vivere per poter sbavare un altro po' sul tuo bel adone – Keno era riuscito a riprendersi quel tanto che bastava per tirare fuori le sue solite insinuazioni. Seguii il suo sguardo lungo il campo fino a trovare Levin, giusto dall'altra parte.
Quello, proprio in quel momento, aveva sollevato la t-shirt per ripulirsi il viso dal sudore, lasciando in bella vista una fantastica porzione di pelle pallida e addominali appena scolpiti. Forse, dopotutto, le lezioni di educazioni fisica non erano poi così male ...
- Sei di nuovo arrapato? Cristo! – Keno scosse la testa e distolse lo sguardo dal mio pantaloncino che a quanto pare non si era rivelato abbastanza coprente.
- Che c'è? Sei geloso perché non riesci a trovare qualcuno di altrettanto arrapante? Sei arrivato tardi, Keno. Il più figo della scuola è mio!
Il mio amico scosse la testa, io risi, incurante di tutto. Avrei fatto meglio a trovare un po' di tempo da dedicare a Levin il prima possibile.
Dopo una bella doccia ci dirigemmo direttamente verso l'aula d'arte, per fortuna si trattava dell'ultima lezione del giorno. Eravamo stanchi e insonnoliti, avevo deciso di non sollevare la situazione "Noah" per quel giorno, era chiaro che Keno fosse a conoscenza di tutte le chiamate del suo pseudo ragazzo. Forse avrei dovuto parlare con quel tipo prima o poi, quanto meno per spiegargli che quello non era il modo migliore per tenersi uno come Keno.
- Ehi ragazzi! – Shannon e James presero posto accanto a noi. Lei sembrava aver raggiunto una sorta di equilibrio interiore che l'aveva trattenuta dallo scocciarmi per ogni dannata cosa, ma non si potevano mica chiedere dei miracoli.
- Ehi Shan, ehi Jam – dissi con poco entusiasmo e non tentai neanche di nasconderlo.
- Tra poco sarà Halloween! Dobbiamo organizzare qualcosa –
Eccola tornare alla carica con le sue stronzate, pensai, intercettando lo sguardo altrettanto infastidito di Keno.
- Del tipo? – chiesi con un tono talmente cupo che non lasciava dubbi.
- Una festa ovviamente! I miei non saranno in città. Ho la casa libera. Potremmo organizzarla lì, se mi aiuterete a procurarmi tutto quello che serve. Verranno tutti, ne sono certa – era sempre più eccitata ormai, sembrava un cagnolino pronto a balzarmi addosso per farmi le feste
- Wow, che piano meraviglioso – Keno mi precedette, c'era dell'evidente derisione nelle sue parole che subito colpì Shannon
- E tu che diavolo vuoi? Stavo parlando con Aiden, mi pare
- Patetica – era stato solo un sibilo, ma che non sfuggì a nessuno
- Ragazzi, andiamo. Non cominciate con le solite stronzate - le debolissime lamentele di James si persero tra il vociare dei nostri compagni di corso.
- Io sarei patetica? Sentiamo perché!
- Lasciamo perdere, ok? C'è ancora tempo per organizzare questa festa, vediamo più avanti – mi ero messo in mezzo, lanciai un'occhiataccia in direzione di Keno, ma era già troppo tardi
- Vuoi sapere perché sei patetica? – continuò imperterrito il mio amico
- Oh, non vedo l'ora! – ribatté Shannon, adesso con le mani puntate sui fianchi e un'espressione combattiva sul viso.
- Bene, allora ti darò delle delucidazioni al riguardo, visto che sei così idiota da non arrivarci da sola. Tu, Shannon, sei la persona più appiccicosa e meno interessante della città probabilmente. Non fai altro che sbavare dietro Aiden come una bambina delle elementari! Tutte quelle ripicche, quei ragazzi con cui esci sperando di attirare la sua attenzione ... sei soltanto patetica e non credere che sia l'unico a pensarlo! Vero, Aiden? – a quel punto Keno mi fissò, le labbra aperte in un sorriso sadico
- Diamoci un taglio, ok?
Nessuno mi diede ascolto, anzi il mio amico continuò imperterrito
- Dimmi, quale sarebbe il motivo per cui vuoi organizzare questa festa? Speri di poterlo attirare nella tua stanza a fine serata? Speri che Aiden si decida a scoparti? Intendi anche pregarlo, forse? Già ti ci vedo "Oh, ti prego Aiden, scopami almeno per una sera! Fammi tua! Accetta questo bigliottone da cento!"
Era successo tutto terribilmente in fretta, Shannon aveva colpito Keno dritto al volto con uno schiaffo. Ci eravamo ritrovati in piedi, le occhiate di tutti erano puntate su quello che stava succedendo negli ultimi banchi. Keno aveva parlato a voce talmente alta che nessuno dei presenti aveva potuto perdersi anche solo una parola di quello che era appena stato detto.
Gli occhi di Shannon si erano riempiti di lacrime, un attimo dopo era corsa via.
- Sei un bastardo, Keno. Perché cazzo devi scontartela con lei? Datti una regolata, cazzo – sentivo James urlare dietro le mie spalle, mentre io lasciavo il mio posto e correvo fuori. Incrociai lo sguardo confuso della professoressa che stava per entrare in aula, ma non mi fermai.
Che cosa diavolo eravamo diventati? Quando, per la prima volta, avevamo perso il controllo sulla nostra cattiveria? Perché ci scagliavamo contro i nostri stessi amici? Ma quelli non erano mai stati amici, erano solo persone di comodo, qualcuno con cui uscire per ammazzare il tempo. C'era mai stato spazio per qualcuno all'infuori di Keno e me? Non credevo.
Lei era corsa in bagno, vidi la sua scarpa sparire oltre la porta e subito mi fiondai dietro. Entrai incurante delle occhiate sconvolte delle altre ragazze e tempestai la porta che Shannon mi aveva appena chiuso davanti
- Va via!
- Shannon, andiamo ...
- T-tu ... quello che ha detto Keno ... gli permetti tutto! – stava singhiozzando forte, nel frattempo eravamo rimasti da soli.
- Non posso controllare quello che dice, lo sai meglio di me.
- Tanto è quello che pensi anche tu, no? Q-quella sera ... quando mi hai baciato ...
Un errore. Solo un dannato errore. Spinsi giù la maniglia e finalmente Shannon venne fuori, stava tremando di rabbia.
- Credevo che fossi diverso, che fossi migliore di Keno ... almeno con noi ... eravamo i tuoi dannati amici. Credevo che quel bacio significasse qualcosa, che avessi capito quanto tu fossi importante per me. Io ti ho aspettato per anni, Aiden ... sai che ti amo da una vita, forse dal primo giorno in cui ci siamo incontrati qui a scuola. Q-quando hai fatto a pugni con quello stronzo di Holden e gli hai intimato di starmi lontano ...
Lo avevo fatto davvero. Avevo dato una mano a Shannon, più per pietà che per altro. Ma da quel momento in poi aveva iniziato a frequentare il nostro gruppo ... in fin dei conti ero stato io a portarla lì. Avrei anche dovuto proteggerla dal resto.
- Mi dispiace. Ho commesso degli errori e credo sia troppo tardi per rimediare. L'ho fatto senza pensarci, ero ubriaco e credevo che avresti capito ... – dissi con sincerità, guardando gli occhi chiari e adesso sgranati di Shannon.
- Questo è tutto quello che hai da dire? – era sconvolta – m-mi hai baciata per pura noia, è così? Pur sapendo quanto fossi innamorata di te! Hai deciso di giocare con i miei sentimenti come se fossi la prima ragazza conosciuta ad una festa e non la tua dannata amica! Avrei fatto qualsiasi cosa per te!
- Lo so – dissi a malincuore
- Ma non è quello che vuoi, no? A te piace Andrew! Ecco, il tipo di persona che fa per te! Un menefreghista che ti mette i piedi addosso e ti fa vivere perennemente in un dannato limbo che somiglia troppo all'inferno! Siete tutti marci dentro, Aiden! Tu, Keno e tutti quelli che vi circondano ... ma non preoccupatevi, presto rimarrete da soli. Ne sono certa – Shannon sputò fuori quelle parole con una rabbia inaudita, sperai che alla fine avrebbe deciso di colpire anche me, ma non successe. Mi diede una spallata, poi lasciò il bagno con la stessa furia con cui si era catapultata dentro.
Era stata una pessima giornata, era quello che continuavo a ripetermi, forse con la vana speranza di sentire qualcosa vagamente assimilabile a dei sensi di colpa. Non stava succedendo, non mi importava abbastanza per stare male ... che diavolo di persona ero? Shannon non si sbagliava nei suoi giudizi, aveva fatto una perfetta descrizione del nostro gruppetto. Non tornai a lezione, un richiamo in più non mi avrebbe cambiato niente ormai. Andai fuori, dove incrociai un paio di studenti più fortunati di me, già liberi di tornare a casa.
- Che ci fai tu qui?
La voce bassa e calma di Levin mi colse di sorpresa, mi voltai per incontrare il suo viso imperscrutabile. Anche lui stava per andare via
- Diciamo che ho avuto un quarto d'ora movimentato
Era dannatamente affascinante e la cosa più irritante è che non avevo ancora smesso di stupirmi per quello. Levin si protese appena verso di me, era un gesto lievemente intimo.
- Che hai combinato stavolta?
Feci spallucce – Ho trattato di merda una persona. Credo che alla fine rimarremo davvero soltanto Keno ed io
- Chi? La ragazza che ti viene dietro? -
- Te ne sei accorto anche tu? – ero sorpreso
- Io vedo tutto
- Quindi mi osservi ... - lo guardai con il mio migliore sguardo malizioso che gli fece roteare gli occhi – non riesci a smettere, vero? Quante volte mi hai guardato mentre facevo educazione fisica oggi?
- Se sai che ero lì fuori significa che mi hai visto e poi guardato anche tu – ribatté lui in fretta.
- Sta zitto. Puoi baciarmi se vuoi – cosa mi era preso? Dovevo essere impazzito. Mentre dicevo quelle parole la folla di studenti non aveva mai smesso di muoversi intorno a noi.
- Cosa? – Levin era accigliato
- Sì. Baciami se hai il coraggio. Davanti a tutti, che cazzo ce ne importa? So che vorresti farlo ...
- Sei impazzito?
Era ancora confuso, ma adesso stava tentennando, il suo sguardo si era fatto più intenso. Pensare troppo alle mie labbra lo aveva destabilizzato almeno quanto stava succedendo a me.
- Sì, forse sono pazzo. Quindi che diavolo vuoi fare? Sto aspettando
Non lo avrebbe fatto, Levin non era così impulsivo. Invece mi passò una mano sulle spalle e mi fece ruotare verso l'uscita – Perché non ti dai una calmata? Non ho bisogno di altri scandali nella mia vita e pomiciare con un ragazzo davanti l'entrata della scuola non mi sembra il modo migliore per mantenere un basso profilo
- Però sarebbe divertente – gli feci notare
- Possiamo sempre divertirci in privato – adesso era Levin ad usare un tono vagamente provocatorio. Tirò fuori i suoi occhiali neri a specchio e li inforcò, aveva un dannato controllo di sé invidiabile.
- Quand'è che mi fai provare il tuo letto principesco?
- Quando riuscirai a non gridare mentre lo facciamo
Un colpo basso che mi fece rabbrividire. Perfino parlarne mi eccitava.
- Prevedi di farcela? – ancora quel tono provocatorio e malizioso, gli occhiali mi impedivano di vedere cosa stava guardando, ma sapevo che tutta la sua attenzione era ancora fissa su di me.
- Fanculo
- La prossima settimana mio padre avrà un'altra delle sue cene noiose, mia madre andrà con lui e io potrò restarmene a casa. Magari potrei farti usare perfino il loro letto ... -
Dio, quel pensiero mi fece bloccare sul posto – Di che letto si tratta?
Levin allargò le labbra in un bel sorriso – Un letto a baldacchino ... molto comodo e con un'infinita di colonnine a cui poterti legare ... credo che potrai avere modo di urlare quanto ti pare
Ero fermo ormai, mentre Levin continuava ad avanzare. Un ultimo sorriso divertito prima di dileguarsi tra la folla di studenti che abbandonava in fretta il cortile. Quel pensiero mi avrebbe accompagnato fino a quando non fossi riuscito a metterlo in pratica. Levin aveva già capito come prendermi e questo mi piaceva e spaventava allo stesso tempo.
Era da un po' di tempo che non mi fermavo a pensare ad il mio ben noto problema. Andrew era dannatamente distante, per la prima volta mi sembrava che ci fosse davvero dell'altro nella mia vita. Come i provini per quelle nuove agenzie di moda che a quanto pare erano interessate ad incontrarmi ... dovevo provarci, pensai, il mio futuro dipendeva da quello adesso. Mi sentivo patetico a sperarci, in fin dei conti non era un lavoro stabile. Che cosa avrei fatto dopo? Non provavo neanche un minimo di interesse per quel mondo che però poteva permettermi di mantenermi e vivere da solo o almeno provarci per qualche periodo.
Stavo tornando a casa, soltanto vagamente pensai a quello che era successo poco prima. Keno aveva esagerato, ma sapevamo entrambi che prima o poi sarebbe successo qualcosa del genere. James avrebbe preso le difese di Shannon, da qualche mese passavano molto tempo insieme, forse perché in parte entrambi si erano sentiti tagliati fuori. Non eravamo sempre stati così però, fino a pochi anni fa eravamo ancora un bel gruppo di gente che si voleva bene o almeno ci provava ... forse crescendo si finisce per rimanere sempre più soli.
C'erano ancora i nostri nomi incisi nel tronco di un vecchio albero del mio giardino. Ero troppo giovane per provare quella malinconia insensata, eppure non potei fare a meno di lasciar scorrere il mio sguardo su quelle scritte che anche a distanza di quattro anni si leggevano benissimo. Mi ero quasi tagliato l'indice per incidere il mio nome, sembrava che quel semplice atto avesse potuto legarci insieme a vita e forse era quello che speravamo tutti. Non era mai così.
Quando rientrai a casa mi aspettavo di non trovare nessuno, ma mi sbagliai. La figura ben nota di mio padre era piegata sul pavimento semi allagato della cucina. Stava trafficando con una chiave inglese quando si voltò verso di me e tentò di sorridermi.
- Dio, la ciliegina sulla torta ad una giornata già di merda – ero pronto a fare dietro front e a tornarmene da dove ero venuto
- Aspetta Aiden. E' stata tua madre a chiamarmi e speravo anche che avremmo avuto modo di parlare
Perché si fingeva così gentile e disponibile?
- Parlare di cosa? Non verrò a vivere con te e la ventenne. – dissi seccamente, con l'intento di frenare qualsiasi cazzata fosse venuta fuori dalla sua bocca bugiarda.
La mia risposta non gli piacque, i suoi occhi si fecero più freddi, quello era il vero Alan.
- E dimmi un po', com'è che vorresti mantenerti qui in città? Ti credi tanto maturo tu, ma non hai fatto altro che evitarmi per tutti questi mesi. Dai, illuminami un po' sui tuoi progetti futuri
- Perché? Se venissi da voi mi manterresti tu? – risi forte, una risata cinica e glaciale – Dio, non credevo che quella sanguisuga ti lasciasse qualche dollaro in tasca. Non le stai pagando quei costosissimi corsi di recitazione alla Stella Adler? E i vestiti firmati? E le borse? Senza tralasciare le vostre romantiche fughe d'amore in località esotiche!
- Quella ha un nome. Si chiama Cherry – ribatté lui, adesso la finta gentilezza era morta del tutto
- Un nome di merda, se proprio vuoi saperlo
- Cristo Aiden, sei sempre così dannatamente pieno di rabbia! Qualsiasi cosa faccia o dica non va mai bene per te! Non mi hai mai dato un cazzo di chance! Credi che sia semplice essere un padre?
- Tu osi definirti un padre? E poi dici che ti tratto di merda, te lo sei mai chiesto il perché? – stavo perdendo la calma anch'io, gli andai incontro – ci hai lasciati qui e te ne sei andato con un'altra! Ci hai mollati con una montagna di debiti e non ti sei mai guardato indietro. Che cosa diavolo pretendi da me adesso? Non avrai un cazzo!
- Hai idea di quante coppie si separino ormai? Credi che tu sia l'unico ragazzo di Brooklyn con una famiglia divisa? Apri bene le orecchie perché sto per darti una notizia sensazionale: Non gira tutto intorno a te, ragazzino. E poi questa storia dell'agenzia di moda! Cazzo, è ridicolo! – rise di scherno e questo mi fece molto male – ti rendi conto di quanto suoni comico? Perché non ti rimbocchi le maniche e trovi un lavoro come si deve? Non sia mai che il piccolo Aiden debba sporcarsi le mani! Oh no, lui aspetta che sia il paparino a sistemare tutto!
- Esci da questa casa immediatamente – aprii la porta con uno scatto violento e la tenni aperta per lui. Ancora pochi minuti e non avrei risposto delle mie azioni, me la sentivo dentro, una dannata e schiumante rabbia che si faceva strada in me.
- Questa casa è mia.
- Allora inizia a pagare il fottuto mutuo! Ci hai lasciati qui, cazzo! Quella donna che hai sposato per chissà quale ragione fa dei dannati doppi turni da anni e non riesce comunque a mantenerci! E quel lavoro che tu definisci ridicolo mi ha permesso di pagare gli ultimi mesi di affitto, testa di cazzo! Ti sei mai preso una sola responsabilità nella tua inutile esistenza, Alan? Hai mollato tuo figlio per una donna che ti sfrutta! Che razza di essere umano sei? – mi ero mosso senza neanche accorgermene, lo spinsi via con rabbia, fino a farlo cozzare contro il tavolo della cucina. Mio padre era sgomento adesso, non mi aveva mai visto in quelle condizioni.
- Come diavolo puoi ancora permetterti di giudicarci? Puoi anche essere il mio dannato padre biologico, ma tu per me conti meno di una pisciata. Adesso vattene immediatamente o giuro che ti spacco quella faccia di merda su questo dannato tavolo
- Ti senti? Sei pazzo! Sapevo che quella debole di tua madre non avrebbe avuto la stoffa per impartirti un po' di educazione. Ma se fossi passato sotto le mie mani invece ...
- Non osare parlare di lei!
Non so cosa mi stava trattenendo dal colpirlo, ero sul punto di farlo. Adesso il suo sguardo si fece sgomento, doveva averlo capito anche lui.
- Sei pazzo
- Sì, lo hai capito alla fine. Togliti dalle palle adesso. Non verrei a vivere con te neanche se l'alternativa fosse finire sotto un ponte
- E probabilmente succederà
Con quell'ultima frase raccattò in fretta la sua cassetta degli attrezzi e si diresse verso la porta. Lo guardai andar via con uno strano formicolio alle mani. Mi chiesi che cosa si provasse a far del male ad un uomo che si odia davvero ... Levin lo sapeva? Lui aveva fatto del male e pagato, ma non avevo mai capito come fosse successo. Forse non aveva mai odiato nessuno lui ... ma quello che sentivo io dentro era qualcosa di terribile.
Volevo che pagasse. Volevo che quel bastardo soffrisse almeno la metà di quanto stavamo soffrendo io e mia madre. Ma no, Dio sembrava proteggere quelli come lui, sembrava totalmente incurante alla cattiveria che certe persone infliggevano agli altri. Allora forse avrei dovuto pensarci io.
BLACKSTEEL
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