Queste porte aperte
Se può spaventare vedere la propria vita prendere una direzione ben precisa, Kiba ne sapeva certamente qualcosa. È completamente normale che, con il passare degli anni, i ruoli di ogni persona cambino. Il bambino diventa ragazzino, poi adolescente e giovane adulto. Una volta completata la crescita e ultimato il corso di studi, entra nel mondo del lavoro. La ricerca di un partner stabile arriva subito dopo, successivamente il desiderio di una famiglia, dei figli. Questi ultimi poi diventano grandi, lasciano la casa dei genitori che rimangono a guardarsi sereni negli occhi invecchiando insieme, sentendosi integri e realizzati per le impronte positive lasciate e condivise. Ogni volta la persona deve cambiare ruolo, l'anziano non è più il ragazzino che era. Ci sono stati dei momenti precisi, nella vita, in cui si è presentato quel gradino da salire. Quel gradino da cui non si più più scendere, come se una porta si chiudesse alla spalle murandosi. Errori commessi o no, non la si poteva più riaprire per tornare a rimediare o fare le cose diversamente.
Kiba era terrorizzato da questo, dalla possibilità di chiudere qualche porta lasciando dietro di essa qualcosa di sbagliato, di non risolto, un'occasione persa qualunque che non avrebbe più potuto rivivere. Questi i motivi per cui cercava di mantenerle aperte il più a lungo possibile. Non aveva mai accettato i cambiamenti di ruolo che impone la vita. Già a sei anni, con l'ingresso alla scuola elementare, Kiba si era ritrovato a chiedersi se avesse vissuto pienamente il periodo precedente. La porta della prima infanzia si era murata alla sue spalle senza che lui ne fosse pienamente soddisfatto, non aveva sfruttato al meglio la prima parte della sua esistenza, a suo avviso. Per la prima vola comprese che non si più tornare indietro, ogni periodo della vita è un buona la prima che ci porteremo dietro per sempre; se non ci piace, affari nostri.
L'insoddisfazione sembrava fare parte di lui. Continuò a trascinarsi dietro questa sensazione anche nell'adolescenza, essendo convinto che, fino a lì, non aveva vissuto tutte le sue tappe come avrebbe dovuto.
Come gli altri.
Non si trattava di veri e propri errori o di occasioni mancate dal momento che il suo percorso era stato uguale a quello di tutti gli altri, questa insaziabilità che si portava dietro era parte del suo carattere, avrebbe trovato comunque sempre qualcosa di cui ritenersi scontento. Il giorno del suo diciottesimo compleanno lo visse come un trauma. Mentre i suoi compagni di classe pensavano a come organizzare la loro festa, quella che capita una volta sola nella vita, lui stava lì a lambiccarsi il cervello su cosa avesse mancato di fare nelle fasi precedenti. Invece di guardare al futuro, rimuginava su quali porte si murassero quel giorno. Un'arma a doppio taglio, anni dopo si era ritrovato amaramente pentito per aver trascorso quella giornata chiuso in casa a disperarsi.
Non gli piaceva mutare di ruolo, non lo accettava, i rami che gli altri potavano lui desiderava portarseli dietro tutti quanti. Un timore della perdita che cresceva con lui, non aveva fatto nemmeno l'università a causa della sua fobia di crescere.
Anche per questo Naruto gli era sembrato da sempre l'amico perfetto, così solare e positivo, di sicuro in sua compagnia Kiba avrebbe vissuto tutto nel migliore dei modi non perdendosi più nessuna occasione. L'errore commesso di aver passato il diciottesimo compleanno in solitudine non doveva ripetersi più, certamente il biondo gli avrebbe impedito di fare un'altra sciocchezza del genere.
Kiba voleva sempre consumare e sfruttare tutto fino in fondo, in modo che, al sigillarsi dell'ennesima porta, non dovesse più avere rimpianti. Ammirava Naruto così tanto che addirittura arrivò a farsi un taglio di capelli molto simile. Ogni mattina tirava su i suoi, castani, con il gel, ma quelli di Naruto, oltre ad essere dello stesso colore del sole, erano anche molto sottili. Imitava anche un po' il suo modo di vestire. Solo che le camicie di Naruto, pur finendo con le maniche arrotolate, stropicciate o macchiate da qualche ballerino di lap dance con la maschera da donnola, facevano sempre la loro figura, mentre Kiba pareva proprio fisicamente refrattario a questi capi di abbigliamento. Alla fine dovette accettare che i lupetti gli donavano molto di più.
Tu sei il sole, Naruto, lo hai sia dentro che fuori; in un certo senso ti invidio. Con la tua personalità è pressoché impossibile che tu non riesca in qualcosa.
Era vero. Uscivano a fare bevute, delle grandi baraonde fino all'alba, tuttavia Naruto aveva già le idee chiare sul suo futuro, voleva studiare scienze politiche per diventare sindaco. Non lo desiderava per una mera sete di potere come avrebbe fatto la maggior parte delle persone, no, lui lo anelava per sistemarla, quella città. Non sopportava le ingiustizie, la gente che non riesce ad essere felice per inseguire stereotipi e per compiacere gli altri.
Accidenti se è impegnativo tutto questo, di certo non fa per me. Non posso che ammirarti, Naruto.
E diamine se Naruto c'era riuscito, in tutto. Aveva preso sotto la sua ala protettiva Kisame ai tempi del suo matrimonio di facciata, per poi far diventare all'avanguardia tutta la città sposando personalmente sia lui che un'altra coppia. Nessuno aveva avuto da ridire, Naruto era istintivamente benvoluto e seguito da tutti in maniera naturale. Ovviamente, aveva la capacità di sbloccare la serratura della felicità di ogni persona in pochi secondi.
Il fuoriclasse delle chiavi.
Naruto era poco più di una ragazzo e già aveva ben chiaro tutto questo, per lui il cambiamento di ruolo rappresentava qualcosa che non vedeva l'ora di raggiungere, trovarsi murate le porte dell'adolescenza e della giovinezza per lui costituiva quasi la liberazione da un peso, da delle catene che gli impedivano di conquistare i suoi obiettivi. Kiba, invece, pensava solo a cosa si sarebbe perso non facendo quella bevuta in più che lo avrebbe portato al limite della sbronza, stava solo attento a non perdersi opportunità che, magari, da adulto non avrebbe potuto riavere. Cercava di conquistarsi a tutti i costi qualche ballerino del Susanoo al pensiero di quando mi ricapita l'occasione? Il suo unico problema era che tutto questo finisse nella lunga processione dei rimpianti.
Diventare adulti è un vantaggio per tutti, è il momento della vita in cui puoi finalmente realizzare le tue aspirazioni. Allora perché io non la vedo così? Perché lo percepisco soltanto come la fine di qualcosa che non potrò più riavere? Io non sono tenuto ad accettarlo salendo il gradino del ruolo.
Così Kiba si era sempre rifiutato. Sguazzava nel limbo dell'eterno ragazzo non avendo ambizioni lavorative importanti, si accontentava di stare al nastro di cernita in una fabbrica che lavorava frutti di bosco, un impiego che non impegnava troppo la mente, giusto perché gli permetteva di campare. Una volta terminato il turno, tornava a correre con la macchina e lo stereo a tutto volume, a gonfiarsi i muscoli nella palestra di Kisame cercando intanto qualcuno con cui concludere la serata in qualche pub. All'inizio le occasioni non erano mancate, alla fine la palestra era diventata un po' il punto di ritrovo di tutti gli amici, fino a che la vita di ognuno di loro non aveva iniziato a delinearsi prendendo strade ben precise. Si erano tutti sposati, coltivavano ambizioni vere e impegnative. Itachi aveva avuto un sacco di problemi con la famiglia e di salute, Naruto una marea di pensieri con Nagato, Kisame realizzato il sogno di una vita.
Problemi seri, insomma, vita vera.
Kiba non sapeva se esserne felice o sentirsene defraudato, la sua eterna sensazione di insoddisfazione non lo aveva mai abbandonato. Non aveva mai allacciato un legame stabile con nessuno, l'argomentazione che tirava fuori per giustificarsi era il suo essere bisessuale e, sul momento, ci aveva creduto anche lui stesso che quella fosse la verità. Tuttavia, durante le serate in casa che gli capitavano sempre più spesso, guardando un film con la sola compagnia del suo cane Akamaru, affioravano tutte quelle risposte che non aveva mai voluto vedere per non dover essere costretto a salire la scalinata dei ruoli. Tutti i suoi amici, ma proprio tutti, si erano costruiti una posizione ben strutturata, tranne lui.
Cosa ho realizzato nella mia vita? Niente. Non sono nient'altro che un fallito.
Eppure ogni volta scuoteva la testa cercando ancora di autoconvincersi che una relazione stabile gli avrebbe inesorabilmente murato un sacco di porte alle spalle. Possibilità che lui voleva assolutamente tenere aperte per tornare, eventualmente, a correggere qualche sbaglio o a rifare qualcosa che non era venuto bene. Il rifiuto di cambiare ruolo forse lo si può trascinare avanti per diversi anni, anche tanti, ma ad un certo punto si riceve quel calcio nel sedere che lo scalino lo fa salire per forza. Il mondo è una realtà dinamica, chi non si muove rimane stritolato negli ingranaggi. La sera in cui aveva formulato quel pensiero. Kiba si era addormentato sul divano con un braccio dietro alla testa, era rimasto a fissare il soffitto fino a che gli occhi non si erano chiusi. Per la prima volta un sogno aveva avuto il coraggio di affacciarsi nella sua mente. In realtà era là da tanto, aspettava soltanto che i tempi fossero maturi.
Non ci posso credere, persino i miei sogni sono più responsabili di me.
Un bellissimo bianco e nero era venuto a fargli visita quella notte, la classe e la delicatezza di un disegno che però aveva la capacità di volare. Qualcosa dal sapore antico tuttavia suggestivo. Un'immagine silenziosa.
Parli anche meno di Itachi. A dire la verità, la tua voce non la conosco proprio.
Occhi neri, pelle bianchissima. Un foglio su cui Kiba avrebbe voluto scrivere tutte le canzoni d'amore del mondo solo con la punta delle dita. Le note di una banchisa, prima bellissima e scintillante, ma poi, una volta che ti aveva catturato con il suo splendore iniziava a farti scivolare inesorabilmente sempre più in basso. Non potevi sottrarti, non desideravi nemmeno fuggire.
Una banchisa può essere musica?
Sì lo era, quell'incantevole bianco e nero era felice di scivolarci sopra, sorrideva tendendo la mano a Kiba per iniziare a farlo slittare con lui.
No, mi farò male. La banchisa si arrosserà del mio sangue.
Deidara, dopo aver notato Kiba tornare nella sala del bodybuilding con un'espressione delusa sul volto, capì che Naruto ci aveva visto giusto per l'ennesima volta. Itachi e Sai erano infatti in pausa quel giorno, solo Shisui e Yahiko stavano tenendo i loro corsi di danza. Il biondo seguì con gli occhi Kiba mentre si ritirava nello spogliatoio ancora prima di aver terminato la sua sessione di allenamento, l'asciugarsi il sudore con un piccolo asciugamano bianco sembrava essere solo una scusa per nascondere il viso.
Non sia mai che tu ti smuova dalle tue idee, sei talmente testone da riuscire ad andare contro te stesso.
Deidara interruppe l'esercizio per i bicipiti per andargli a parlare. Naruto, quella volta, aveva deciso di non interagire direttamente con il suo amico, Deidara rappresentava l'ambasciatore più adatto e c'era un motivo più che valido.
"Già finito, oggi?" il biondo si era seduto sulla panca di legno osservando il castano dirigersi verso la doccia con un asciugamano stretto in vita.
"Sì, sono un po' stanco." Kiba non lo aveva nemmeno guardato in faccia.
"In questo caso ci penso io farti riprendere, ti invito a cena" Deidara e Naruto sapevano bene che Kiba non avrebbe mai rifiutato una serata, avevano sogghignato entrambi mettendosi d'accordo. "Stasera, nel miglior ristorante di sushi della città. Solo io e te. Lascerò a casa persino Karin, un rifiuto non è contemplato. Ricordati di vestirti elegante, insomma, è un posto di classe."
Il biondo si alzò per tornare ai suoi allenamenti, rivolse un saluto ad uno sconcertato Kiba con una mano.
Naruto ci vedeva sempre giusto, non solo Kiba aveva accettato l'invito ma era arrivato davanti al ristorante con ben un quarto d'ora di anticipo. Quando arrivò Deidara, Kiba quasi non lo riconobbe. Ecco un altro a cui le camicie calzavano a pennello, era arancione acceso ma non stonava per niente andando a fondersi perfettamente con l'oro dei capelli. Li aveva raccolti in una coda di cavallo alta, asciugati con il diffusore per conferire un leggero effetto cotonato, il ciuffo stava sempre sull'occhio sinistro ma, il nuovo volume dato, lo lasciava scoperto. Camminava sorridente con le mani appena infilate nelle tasche dei pantaloni neri, i pollici fuori in una posa studiata, le unghie pitturate di nero brillante, colore che decisamente in pochi sapevano portare senza essere stonati. Una cintura di metallo lucido, formata da una successione di placche ovali, gli avvolgeva la vita. Ben lungi da quel ragazzo appariscente che molto spesso masticava sgraziatamente la gomma.
"Buonasera, Kiba, non posso credere che la tua idea di eleganza sia questa" Disse Deidara sfiorando il colletto della polo rosso fuoco del castano "Va bene, sono felicissimo lo stesso, si vede che non vedevi l'ora di venire."
Il biondo circondò le spalle dell'altro con un braccio conducendolo nel ristorante. Aveva ragione Deidara, si trattava di un posto di classe, c'era un sacco di gente ma il fatto che parlassero tutti sommessamente manteneva la tranquillità tipica del posto. Luci soffuse che venivano da lampadari rivestiti di carta rossa con decorazioni floreali dorate, musica in filodiffusione. Il fatto che i piatti fossero tutti di legno limitava il rumore, i tavoli quadrati da due o da quattro posti, dello stesso materiale. Il pavimento in parquet assorbiva il resto dei suoni. Al centro della sala un acquario incastonato nel pavimento, la luce bianca che lo rischiarava era quasi più intensa delle lampade rosse. Deidara aveva ordinato una barca di legno grande con sopra prelibatezze di ogni tipo.
"Allora, Kiba, che mi racconti di bello? Come procede la tua vita? Il lavoro?"
Il castano aveva abbassato gli occhi sui pesci variopinti che nuotavano tranquillamente nel pavimento : "Tutto normale, grazie"
"Che significa normale?" il biondo aveva aggrottato le sopracciglia chiare "È la parola che detesto di più, non spiega assolutamente niente, se fosse per me la toglierei dal dizionario."
Kiba aveva sospirato passando gli occhi dall'acquario al piatto.
"La mia procede a gonfie vele" Deidara decise di dare una dimostrazione del perché odiasse così tanto il termine normale "Il fatto che la mia sia l'unica ditta di fuochi artificiali della città mi rende orgoglioso e, diciamoci la verità, mi consente anche d guadagnare bene. Era la mia passione fin da quando ero un bambino, ti ricordi i botti artigianali che portai quel Capodanno a casa tua? Ho trasformato quel divertimento nella mia vita ora, non so se mi spiego."
"Ma certo" Kiba si infilò in bocca un pezzo di sushi al salmone "Chi riesce a svolgere il lavoro dei sogni è sempre fortunato."
"Non si tratta di fortuna, Kiba, questo capita quando si converte la forma base di qualcosa in quella successiva. Accade anche con l'amore, ricordi che scapestrato ero da giovane? Ogni ragazza che vedevo era la mia, compresa Hinata. Ma ora che ho la mia Karin ho trasformato quello nella sua sua forma migliore. Ogni aspetto della vita ce l'ha purché si abbandoni quella precedente."
Kiba annuì sorridendo, iniziava a intuire lo zampino di Naruto dietro a quella cena.
Anche un fallito come me ha delle persone che tengono a lui, e chi lo avrebbe mai detto? Vi ringrazio entrambi.
"Che tu ci creda o no, Kiba, anche le persone sono in continua evoluzione" Gli occhi celesti di Deidara ora scintillavano "È come una scalinata che ognuno di noi sale, gli obiettivi si trovano tutti in cima. Quando li raggiungi non ti rammaricherai più di non poter tornare indietro semplicemente perché non ne avrai più voglia. Guarda dentro di te, io dico che tu sai già cosa ti rende appagato."
L'immensa felicità che provai quel giorno scaturì soprattutto dal fatto di vederli finalmente contenti e realizzati. Concepii l'idea di questo libro sentendoli ridere e divertirsi. Ognuno di loro aveva raggiunto gli obiettivi che aveva sempre avuto. Avevano lottato, pianto, sofferto, sanguinato, ma alla fine, raggiunto la vetta di quella lunga scalinata che ognuno di noi ha davanti. Mi resi conto che anche per me era stato esattamente così. Arrivi a quel punto in cui gli sbagli del passato non ti interessano più, a quel momento in cui i ricordi migliori ti basta tenerli nello scrigno della memoria lieto di averli vissuti. Non importa se quasi tutte le situazioni e le persone che si trovano in quel cassetto sono andate perse per la strada, è normale, il mondo è in continuo mutamento, se da un lato chiude una porta dall'altro ne apre un'altra. A renderti felice basterà la consapevolezza di averli avuti, quei ricordi, anche solo per poco. In quell'istante si cessa definitivamente di rimuginare sul passato, d'altronde chi non ne fa di errori? Portarsi dietro il buono e il cattivo andando avanti con un sorriso, questo è lo scopo. Che poi di veramente negativo non esiste mai niente, ogni avvenimento che si trova dentro quello scrigno ha contribuito a farci diventare le persone che siamo. Davvero merita di essere cambiato e rinnegato? Forse no.
"Tra le pagine della nostra vita" di Madara Uchiha.
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