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Io e te senza di te

Kisame aveva visto progressivamente affievolirsi la luce attraverso le vetrate della palestra; dopo che Kakuzu era venuto a prenderlo a fine turno, Madara aveva salutato tutti con la mano per poi baciare il compagno nel mondo senza suoni separato dal vetro. Nessuno dei due pronunciò una parola.

Le luci cambiarono improvvisamente angolazione mente Kisame, seduto sconsolato e con le spalle curve al macchinario dei dorsali, non riusciva a combinare niente; era Karin che aveva spento l'illuminazione dentro il suo piccolo ufficio. Un a domani e un gesto con la mano prima che uscisse in compagnia di Deidara, il marito aveva terminato il suo programma da un pezzo ma era rimasto ad attenderla, sembrava quasi volesse evitare di rimanere solo.

Shisui e Yahiko avevano ancora un gruppo di allievi a lezione, loro erano solitamente sempre gli ultimi a terminare. Kisame non riusciva a capire se la musica fosse davvero più bassa del solito e se si trattasse solo di una sua impressione. Le loro voci erano più spente, questo era certo.

Tutti gli altri erano andati via progressivamente, compreso Sasuke, per raggiungere ognuno il proprio posto isolato in cui attendere quella chiamata che non era ancora arrivata, tuttavia nessuno aveva il coraggio di ammettere che li stava tendendo da ore con il fiato sospeso.

Kisame non se la sentiva di restare solo in quella casa silenziosa e vuota, comunque non poteva certo passare la notte nella palestra. Nonostante non avesse mangiato niente tutto il giorno, si sentiva lo stomaco chiuso e una fastidiosa sensazione di corpo estraneo a ostruirgli la gola.

La tua presenza è così discreta, il tuo corpo così esile eppure riuscivi a riempire sia quelle stanze che il mio cuore.

Uscì in compagnia di Shisui e Yahiko quando ormai era giunta l'ora di chiudere definitivamente la palestra.

Kisame accompagnò i due alla macchina camminando lentamente per allontanare il più possibile il momento del distacco. Nel parcheggio i lampioni si erano ormai accesi in modo automatico. Osservò Shisui e Yahiko mentre caricavano le loro borse in macchina, stava per aprire la bocca per chiedere se per caso avessero voluto andare a fare una bevuta, o per autoinvitarsi sfacciatamente a casa loro, quando finalmente il suo telefono squillò.

Era Tsunade, Shisui e Yahiko si pietrificarono guardando Kisame mentre infilava la mano in tasca per estrarre il telefono, rispose senza dire niente, solo schiacciando il tasto di conferma e restando in silenzio.

"Kisame, è andato tutto bene, domani Itachi dovrebbe svegliarsi."

Shisui e Yahiko non sentivano le parole di Tsunade, ma fu la scintilla di speranza negli occhi di Kisame a parlare per lei.

"Andate pure tutti a riposare, è importante che Itachi trovi delle persone amiche al suo fianco appena apre gli occhi."

"Allora potrà tornare a vedere."

"Kisame, la sua vita è salva, in alcuni casi è meglio non correre troppo."

"Va bene, domani saremo tutti lì."

Kisame disse quella frase più che altro come spiegazione agli altri due.

L'angoscia era come se rendesse rigidi sia i muscoli che la mente, tutto quello che riuscirono a fare Shisui e Yahiko per salutare Kisame fu un breve gesto con la mano con le labbra compresse e gli occhi disperati. Kisame non si mosse finché la loro macchina non fu uscita dal parcheggio, i suoi occhi di ghiaccio seguirono ancora le nuvole di fine polvere bianca in quella stradina che non era mai stata né asfaltata e né imbrecciata. Restò ancora là finché l'aria della sera non divenne di nuovo limpida.

Almeno voi due potete stringervi la mano sotto le coperte, nonostante tutto. La mia mano da stringere è là da sola su quel misero lettino e io non l'ho afferrata abbastanza quando avrei potuto farlo.

Il parcheggio era deserto, le vetrate buie, persino i grilli e le cicale avevano smesso i loro concerti notturni avvertendo l'avvicinarsi dell'autunno. Kisame si asciugò con rabbia le lacrime usando l'avambraccio, si rimproverò per essere così sciocco; a Itachi, l'indomani, non sarebbe servito questo, ma una persona pronta ad accoglierlo a braccia aperte e con il sorriso.


In quegli ultimi giorni Kisame aveva dovuto fare i conti con una eterna mancanza di sonno. Si trascinava con le palpebre gonfie e il cuore pesante di angoscia, tuttavia quella mattina avrebbe dovuto lasciarli a casa per Itachi. Si fece una doccia con l'acqua gelata per schiarirsi la testa annebbiata dagli incubi; non riusciva a capire perché, durante quella terribile notte, avesse sognato una schiera di sottili canne di bambù, tagliate cortissime, che danzavano al ritmo di una demenziale canzoncina. Comunque il sonno era stato così frammentato che sarebbe stato meno esausto se non avesse proprio dormito.

Nonostante non avesse appetito, come sempre da quando non vedeva più gli occhi di Itachi, Kisame si sforzò di fare colazione nel modo corretto. La stessa fatica immane la provò radendosi, sistemandosi i capelli e scegliendo i vestiti con una minima attenzione anche se si trattava di una polo bianca e di un paio di jeans.

Oggi, per te, devo essere il solito me.

Gli costò fatica persino chiamare Karin per dirle che non aveva importanza se avesse deciso di non aprire la palestra, ma lei rispose che almeno la parte del bodybuilding poteva essere attiva visto che già tutti gli altri insegnanti non potevano esserci.

"Grazie, Karin, non so come farei senza di te."

Amore mio, sto arrivando.

Il viaggio gli sembrò infinito come se la strada già percorsa gli ritornasse davanti per sommarsi a quella ancora da fare, un incubo come ormai era diventato ogni aspetto della sua vita, persino il più piccolo gesto quotidiano.

Quando arrivò stava appena nascendo il sole, raggiunse la stanza di Itachi certo di essere il primo ma invece c'era chi già lo aveva anticipato. Attraverso il vetro scorse Sasuke seduto su quella sedia con la mano del fratello tra le sue. Era chino e gli stava parlando, Kisame si avvicinò il più possibile al vetro per capire se Itachi fosse vigile quando si sentì chiamare alle spalle.

"Kisame, potresti venire un attimo nel mio studio?"

Poche parole ma pronunciate con una dolcezza disarmante, Kisame si voltò trovandosi di fronte il bel viso di Tsunade, era posata ma lasciava trasparire volontariamente qualcosa di importante. Inutile fare domande, avrebbe solo prolungato l'angosciante attesa. Kisame si sedette come un automa di fronte a lei a quella scrivania ancora piegata dalla sua sfuriata di due giorni prima davanti a Kabuto. Trascorsero degli attimi infiniti prima che la dottoressa gli spiegasse il motivo di quel colloquio.

"Kisame, perdonami ma devo essere franca con te. L'intervento è andato bene, il suo cuore sta andando avanti autonomamente, ma purtroppo non sappiamo per quanto tempo il cervello di Itachi sia rimasto in carenza di ossigeno e nutrienti."

"In che senso?" Kisame si sentiva la testa leggera e svuotata, come se quelle parole le avesse pronunciare qualche estraneo lontano anni luce. Purtroppo non aveva trovato niente di meglio da dire.

"Ha avuto un grave scompenso, più tempo impiega per svegliarsi meno sono le possibilità che ritorni come prima."

O che muoia? Magari rimarrà in stato vegetativo per sempre? Stai chiedendo il mio permesso per staccare la spina?

"Kisame..."

La piccola mano che si posò sulla sua lo tirò fuori da quel loop stritolante di interrogativi.

"Va' da lui."

Attraversò il corridoio ancora svuotato dell'anima, vide Sasuke uscire dalla stanza di Itachi in quell'esatto momento, con il viso pallido annuì leggermente in direzione di Kisame per comunicargli che poteva entrare. Si sentiva talmente leggero da non percepire nemmeno più il proprio respiro. Si lasciò cadere su quella sedia occupata da Sasuke fino a pochi momenti prima. Restò interminabili secondi a osservare il marito. Itachi adesso sembrava davvero solo riposare, non aveva più quel tubo di plastica infilato nella gola. Gli avevano messo una divisa blu di cotone che, aperta sul davanti, rendeva visibile il petto fasciato.

Adesso sei un cyborg?

Kisame sfiorò quelle bende con la punta delle dita. Gli elettrodi per tenerlo sotto controllo erano diminuiti e si trovavano in una specie di braccialetto al polso sinistro, sul dorso della mano destra ancora la flebo, d'altronde Itachi non poteva alimentarsi in altri modi.

"Ehi, mascalzone, ha deciso che me li farai vedere ancora questi bellissimi occhi?" Kisame sfiorò piano le splendide ciglia di Itachi. Adesso erano abbassate sugli zigomi.

"Ci hai fatto prendere uno spavento, lo sai?" ora gli accarezzava i capelli sparsi sul cuscino, ad ogni frase la voce di Kisame diventava sempre più dolce.

"Non vedo l'ora di sentirti raccontare tutto sui tuoi spettacoli, sei stato fantastico, sono orgoglioso di te." una lacrima scese lentamente sulle guance di Kisame, ma lui riuscì ad evitare che la voce gli tremasse.

Sfiorò le labbra di Itachi con le sue, quelle del moro erano sempre uguali al velluto. Si soffermò ancora qualche istante per guardarlo respirare così tranquillo. Non poteva non svegliarsi mai più. Non doveva.

"Sei stanco, vero? Hai combattuto tanto, guerriero, sei bravissimo. Ti lascio riposare ora, torno più tardi."

Prima di alzarsi lo baciò sulla fronte.

Non ti metto fretta, Tsunade ha detto di non correre.

Kisame uscì dalla stanza pensando che c'era qualcosa di importante da fare per lui. Ringraziò quell'incarico datogli involontariamente da Itachi, se non ci fosse stato molto probabilmente sarebbe impazzito.


Gaara, nel suo ufficio, si mordicchiò le labbra fissando distrattamente il laptop. Con le mani incrociare sotto il mento si sforzava di concentrarsi senza venire a capo di niente. Non avrebbe mai detto che Temari potesse arrivare a quel punto, addirittura faceva appostamenti nel parcheggio della palestra di Kisame pur di raggiungere i suoi scopi; per non parlare di quando si era spacciata per una dottoressa affermando falsità su Madara. Gaara era rimasto davvero sconvolto, aveva pensato persino di chiedere scusa a Kisame e Sasuke a nome della sorella ma poi era giunto alla conclusione che l'integrità della famiglia era molto più urgente. Da quando non c'erano più i genitori erano rimasti solo loro tre, tra lavoro e impegni vari, nessuno aveva mai avuto praticamente tempo per uno straccio di vita privata e, di conseguenza, di legami sentimentali. Forse anche per questo Temari era rimasta arroccata sulle vecchie dinamiche vissute nella giovinezza portandosi dietro il suo infondato complesso di inferiorità nei confronti dei fratelli. Andava assolutamente tirata fuori da quel circolo vizioso il prima possibile, Gaara non avrebbe mai detto che fosse scivolata in un livello di sofferenza simile. Nemmeno Kankuro, il più calmo e comprensivo dei tre, era riuscito a farla smettere di tormentare quella famiglia, coinvolgerla in qualsiasi attività di svago era sempre un buco nell'acqua. Il problema era che Temari non si rendeva conto del male che faceva accecata dai suoi complessi. Era giunta a questo perché, sempre rimasta sola, si era crogiolata nelle domande e nelle risposte che si dava in autonomia, ovviamente sbagliando.

Per essere i numeri uno a volte bisogna anche capire quando è il momento di arrendersi, Temari.

Gaara capitolò decidendo di alzarsi per andarsi a prendere un caffè, l'esperienza gli aveva insegnato che più ci si logora la mente, più diventa complicato afferrare qualche buona idea.

"Buongiorno, avvocato." lo salutò il nuovo impiegato che era stato assunto nello studio legale.

Gaara non poté fare a meno di sorridere a quel ragazzo sempre positivo e simpatico. Si chiamava Choji e non aveva certo avuto una vita facile.

Come te, Temari, ma lui non ha perso la positività e l'apertura verso gli altri.


Mentre attendeva il suo caffè alla macchinetta a gettoni, Gaara rammentò come Choji, il suo primo giorno di lavoro lì appena pochi mesi prima, lo avesse invitato a bere una birra dopo il avere staccato. La sua simpatia impedì a Gaara di rifiutare nonostante lo avesse conosciuto quello stesso giorno. Nel corso della serata, il rosso rimase sempre più sorpreso della spontaneità con cui Choji raccontava del bullismo ricevuto in gioventù a causa del suo corpo robusto nonostante gli allenamenti di wrestling amatoriale che svolgeva con passione; gli anni passati da cabarettista al Susanoo, anche lì canzonato di continuo dai clienti maleducati.

"Meno male che sapevo rispondere per le rime, non hai idea di che facce gli facevo fare."

Per Gaara fu naturale farsi trascinare in una gioiosa risata.

Choji, avendo saputo che Gaara li aveva incontrati per lavoro, gli aveva parlato anche di Itachi, Shisui e Yahiko che ai tempi lavoravano lì con lui.

"Mi piacerebbe rivederli. Purtroppo, non avendo mai scambiato i numeri, ci siamo persi di vista."

"Perché no? Una di queste sere organizziamo qualcosa tutti insieme."


Purtroppo Gaara non aveva potuto mantenere quella promessa, Choji non sapeva niente di quanto accaduto a Itachi, quel ragazzo era talmente simpatico e solare che il rosso non aveva avuto il coraggio di raccontargli niente.

Sarebbe un vero peccato spegnere la luce del tuo viso.

Mentre allungava la mano per ritirare il suo caffè, Gaara sentì il cellulare squillare, strano che qualcuno lo chiamasse sul numero privato durante l'orario di lavoro. Era Kisame, non poté fare a meno di iniziare a sorseggiarsi il caffè prima di rispondere, sarebbe stata una notizia forte di sicuro, forse voleva dargli novità su Itachi.

"Gaara, ti devo parlare" niente informazioni. Una richiesta così secca e concisa con la voce allarmata non presagiva niente di buono.

"Ma certo, Kisame, ci vediamo in pausa pranzo."

Non poteva aspettare la sera, nonostante cercasse di nasconderlo si intuiva che Kisame era distrutto.


Rigirandosi il cellulare di Itachi tra le mani, Gaara non aveva fatto minimamente caso che Kisame non aveva toccato praticamente niente del suo pollo al curry, d'altronde anche a lui si era chiuso lo stomaco appena finito di leggere quella frase.

Temari, non oso immaginare quanto tu abbia sofferto, ma non è generando altra sofferenza che questo si può risolvere.

Gaara impiegò alcuni minuti per uscire dalla paralisi in cui si era infognata la sua incredula mente. Itachi aveva davvero l'anima di un eroe, nonostante avesse realisticamente ponderato la possibilità di non uscire vivo da quella situazione, il suo pensiero era andato ad una persona così tormentata da sciocchezze inventate da rovinarsi l'esistenza con le proprie mani. Quella stessa persona stava rendendo impossibile la vita al suo amato fratello minore, ma, nonostante tutto questo, Itachi non aveva ritenuto giusto che Temari non potesse afferrare quella felicità che le stava a pochi centimetri a causa di errori così banali e risolvibili.

Itachi, tu sì che sai cosa sia una famiglia. Grazie.

Quando gli occhi verdi di Gaara si sollevarono su Kisame erano profondamente cambiati, un mutamento che lo avrebbe accompagnato per il resto della vita.

Il mento di Kisame tremava mentre le lacrime gli rigavano le guance ormai impossibili da trattenere: "Gaara, naturalmente sono solo appunti scritti frettolosamente, ma..."

"Grazie, Kisame" le parole del rosso accompagnarono la sua mano su quella di Kisame "Fare qualcosa per mia sorella è un mio solenne dovere. Io e Kankuro non avevamo idea che fosse arrivata ad un punto simile, ci dispiace per essere stati così ciechi per cui adesso rimediare sarà l'impegno più importante della nostra vita. Lo dobbiamo sia a Temari che a Itachi."

Kisame chinò la testa singhiozzando ormai senza freni.

Che importanza ha la dignità se devo stare senza di te? Sto facendo quello che avresti voluto. In questo momento siamo insieme io e te solo che siamo... senza di te.

Sentì le braccia di Gaara avvolgergli le spalle da dietro, le sue labbra gli si posarono sulla testa.

"Quando Itachi aprirà gli occhi saremo tutti e tre lì e con un bel sorriso."

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