Hidden
"Puoi venire a stare da me e Shisui, se vuoi; ne saremmo molto felici, solo fino a quando non torna Naruto."
"Non ha importanza, davvero, ci vediamo praticamente tutti i giorni in palestra e poi... Kisame si è già reso disponibile per farsi ricoprire il divano di briciole di patatine e a fargli cambiare colore a suon di bevute rovesciate."
Nagato si sforzò di ridere guardando il cappuccino che stava girando da un quarto d'ora buono senza decidersi a berlo. Per sciogliere cosa, poi? Non aveva aggiunto né zucchero né dolcificanti artificiali. Yahiko lo aveva visto finire in preda al terrore quando, dopo aver chiesto del latte scremato, la barista si era scusata dicendo di non averlo. Il maggiore non rise alla sua battuta sul divano di Kisame, anche l'espressione di Nagato morì in una smorfia asimmetrica vedendo la disapprovazione sul viso del fratello. Senza smettere di fissarlo, Yahiko strinse un attimo i denti, la contrazione si apprezzò al livello delle tempie e sotto le orecchie. Nagato sapeva che quando faceva così non c'era da scherzare, d'altronde lo conosceva da quando era nato e, vista quanto era stata scostante, suo malgrado, la madre, il maggiore aveva rappresentato il suo unico punto di riferimento per anni. Yahiko aveva significato diversi aspetti per Nagato, il modello da seguire, lo scoglio da superare, quello che aveva il carattere giusto perché era così che si doveva fare. Più bello e più bravo in tutto in gioventù, non riusciva a comprendere perché il fratello minore non riusciva a riemergere dalla fossa che si era scavato con le sue mani. Poi, quando il suo dolore aveva raggiunto l'apice in seguito alla fine della relazione con Itachi, Yahiko aveva visto tutti quegli anni chiaramente e in un solo colpo, lui e Nagato erano diventati tutto ciò che avrebbero dovuto essere e non erano mai stati. Yahiko aveva ammesso il fatto che l'anima di Nagato funzionava diversamente sia dalla sua che da quella della maggior parte delle persone. Tutti desiderano liberarsi dal dolore, ma Nagato accetta difficilmente di lasciarlo andare credendo, in questo modo, di perdere l'amore e l'affetto degli altri. E così aveva fatto Naruto, il biondo era riuscito a leggere dentro anche a lui trovando le chiavi del suo cuore martoriato. Ma Naruto era il sindaco e aveva, per questo, un sacco di impegni. Qualunque persona aveva una vita o problemi fisici, come nel caso di Itachi. Il moro aveva perso peso di nuovo e certamente a Nagato non era sfuggito, lui percepiva tutto questo con un'invalidazione della sua sofferenza e della sua persona. Itachi si stava facendo in quattro per nascondere chissà cosa, i problemi di Sasuke sembravano risolti per cui doveva trattarsi di qualche conseguenza dell'aggressione subita. Yahiko e Shisui ne avevano parlato a lungo, probabilmente Itachi aveva già compreso di essere la causa inconsapevole della nuova discesa di Nagato e avrebbe dato via un braccio pur di non ferirlo di nuovo.
"Mio cugino è sempre il sostegno di tutti ma finisce ad essere distruttivo per sé stesso."
Shisui aveva fatto questa osservazione a metà tra il rassegnato e il disperato. Itachi nascondeva il suo malessere, Shisui la preoccupazione e Nagato ancora quello sconfinato dolore così grande da essere stato smangiato solo in parte dalla vicinanza di Naruto. Probabilmente il biondo stava attraversando una forte sensazione di fallimento personale avendo scoperto questo, stava certamente avvertendo dei vuoti che detestava ammettere. Si era certamente pentito amaramente di aver organizzato quella tournée.
Non dovresti, Naruto, il tuo è stato un bellissimo gesto, come sempre.
A Yahiko non era sfuggito nemmeno l'impegno di Naruto per evitare di incontrare Itachi nella palestra, quel biondo amava Nagato anche più di sé stesso, certamente avrebbe sofferto molto più lui durante quel mese. Al suo ritorno, esisteva la possibilità che avesse perso Nagato per sempre. Naruto aveva accettato questo senza fare una piega pur di rendere onore a tutti gli impegni presi e alle promesse fatte. Nagato poteva interpretare ciò come un essere scavalcato. Il rischio era vicino, Yahiko lo percepiva come, certamente, aveva fatto Naruto.
"Perché non sei più andato a fare volontariato insieme a Naruto?"
Quella di aiutare gli altri, era stata una cosa che aveva giocato un ruolo fondamentale per tirare fuori Nagato dalle grinfie dei suoi mostri, concentrarsi sul dolore degli altri lo aveva distolto da suo. Tuttavia nessuno aveva previsto la tempesta che si sarebbe scatenata in seguito allo straordinario impegno di Naruto. Nagato sembrava essere andato a posto completamente, il mostro che viveva dentro di lui pareva sconfitto e non solo addormentato. Ecco perché Naruto si era preso questa, per così dire, libertà.
"Lo sai che ho un sacco di lavoro in estate, Yahiko" lo sguardo di Nagato si era abbassato su quella tazza che ancora non si era deciso a toccare, i capelli rossi di nuovo a nascondergli metà del viso "Strano ma vero, questa città attrae una marea di turisti. Merito anche di Naruto."
"In realtà, hai smesso da diverso tempo." il viso del maggiore lo squadrava impassibile.
"Andiamo, Yahiko, mi sembra di essere tornato all'inquisizione spagnola."
Nagato si sforzò ancora di ridere osservando il fratello. Allungò le dita sottili in direzione del muffin al cioccolato che aveva posato su un piattino di fianco alla tazza, ne staccò un minuscolo pezzo che poi portò alle labbra con una lentezza estenuante, sembrava voler dire: sto mangiando, sei contento?
Il maggiore lasciò andare un sospiro di rassegnazione, molto improbabile che Nagato accettasse la sua proposta ad andare a stare da loro, ora. Era senz'altro più facile farlo partecipare alle serate organizzate quotidianamente da Kisame, il suo desiderio di controllo su Naruto e Itachi ne sarebbe stato in parte appagato, anche se non soddisfatto del tutto. Una volta finita la trasmissione televisiva, Nagato sarebbe ripiombato nella sua angoscia e Naruto nei sensi di colpa, dovunque fosse stato.
"Allora rimaniamo così, Nagato, ci incontriamo a casa di Kisame insieme agli altri, va bene? Ci divertiremo moltissimo sicuramente."
"Perfetto, Yahiko, ci sarò ogni sera." Nagato sorrideva ancora di falsa rassicurazione.
Non avevo dubbi.
Anche se a malincuore, Yahiko si alzò per salutare suo fratello onde evitare che quel suo atteggiamento da sto mangiando, sei contento? gli facesse venire il desiderio di una visitina al bagno.
"Allora ci vediamo domani da Kisame, la prima esibizione di tutti i nostri artisti, ora sarà meglio che andiamo a guadagnarci la pagnotta tutti e due."
Nonostante Yahiko si sentisse divorare dall'apprensione, dedicò al fratello un ultimo sorriso e una pacca affettuosa prima di uscire. Il dolore che adesso Nagato stava cercando di nascondere sarebbe esploso, l'unica cosa che Yahiko poteva fare sarebbe stata essere presente in quel momento.
Capire sé stessi è sempre stata la cosa più difficile del mondo, tanto che a volte si danno dei bellissimi consigli agli amici quando dei nostri problemi non sappiamo cosa farcene. A volte penso ironicamente che, quando si presenta qualche difficoltà in cui non sappiamo dove mettere le mani, dovremmo sforzarci immaginando noi stessi al posto di questo amico che ci chiede aiuto. Che poi, pensandoci bene, tanto ironico non è, ma si tratta di una triste verità. Nessuno, me compreso, è in grado di capire sé stesso fino in fondo. Sembra che il destino di amore, dolore, emozioni e sentimenti, sia sempre quello di venire inesorabilmente non accettati e nascosti da chi li prova, quasi potessero essere una vergogna. Ammettere di avere diritti e bisogni è, da sempre, la cosa più complicata del mondo. Nei casi più estremi, quando famiglia e amici arrivano a capire con esattezza quello che proviamo, affermiamo tutto il contrario per sviare l'attenzione dalla verità. La persona da me conosciuta capace di capirsi meglio di tutti è, senza dubbio, Nagato. Nonostante l'impressione iniziale negli altri sia tutto il contrario, Nagato è cresciuto convinto che bearsi del proprio dolore, senza nasconderlo, potesse essere la soluzione migliore. Mentre di solito le persone cercano di allontanare il più possibile il dolore, Nagato sembrava essere una mosca impigliata in una ragnatela. Essa sa benissimo che, dibattendosi disperatamente, non fa che peggiorare la sua situazione, eppure non riesce a smettere di provarci. Così Nagato si contorceva nel suo dolore perché non avrebbe sopportato quello ancora più grande di non poter più dimostrare agli altri che soffre. Nagato non solo rende visibile sé stesso, ma anche tutte le grandi verità su cui ci ha costretto ad aprire gli occhi. Il dolore emotivo che non viene né visto e né compreso, il fatto che alcune persone possono funzionare in modo molto diverso dalla maggior parte degli individui, ma non per questo non debbano essere degne dello stesso rispetto. "Prima di giudicarmi prova a camminare un giorno con le mie scarpe", Nagato ha sempre voluto gridare tutto questo al mondo. Non deve cambiare ma solo accettarsi per quello che è avendo la pazienza necessaria affinché tutti i suoi preziosi insegnamenti vengano compresi. Ma soprattutto, Nagato, devi comprendere che anche tu hai diritto ad essere felice, noi ti vorremo tutti bene lo stesso, forse anche di più.
"Tra le pagine della nostra vita" di Madara Uchiha.
Uno sguardo dai rari riflessi viola si era sollevato aggrottato da quelle pagine, lo stordimento provocato dal calo di zuccheri era come una piacevole droga. Non c'era dubbio che Madara fosse bravissimo con le parole, tuttavia sembrava essersi perso almeno la metà di quello che si trovava nel cuore di Nagato. A lui non avrebbe voluto mai bene nessuno, non succedeva adesso figuriamoci se fosse stato felice e senza nessun tipo di problema. Non era lui a funzionare in modo diverso dalla maggior parte delle persone, ma il mondo che andava decisamente nella direzione sbagliata. Nessuno comprendeva il dolore semplicemente perché erano pochissimi ad aver sperimentato quello vero e devastante. Le persone che avevano davvero guardato in faccia il dolore si potevano contare sulla punta delle dita, erano sparse per la Terra chissà dove e nessuna di loro aveva mai incrociato Nagato. No, nessuna di loro faceva parte della sua famiglia e del suo gruppo di amici. Naruto seguiva la sua naturale propensione ad aiutare il prossimo, ma questo non significava necessariamente la sua piena comprensione del dolore dell'anima.
"Prima di giudicarmi prova a camminare un giorno con le mie scarpe"
Chi si era preso la briga di farlo davvero? Nessuno.
Nagato si era persuaso che nessuno potesse amarlo veramente poiché impossibile da comprendere fino in fondo. Solo Itachi sembrava possedere la dote innata di ingraziarsi tutti con estrema facilità sin dal primo momento. Non esisteva nessuno a cui Itachi non piacesse. Questa, per Nagato, era l'ennesima conferma di come il dolore fisico passasse, erroneamente, sempre al primo posto. Per completare l'opera c'era anche il fatto che Itachi aveva attraversato, inoltre, un dolore emotivo facilmente identificabile e inconfutabile.
Il mio, invece, è dolore allo stato puro. Nella sua essenza primitiva, semplicemente dolore in quanto tale.
Impossibile da capire da chiunque non lo avesse mai sperimentato, la gente tendeva a voler ricercare per forza una causa, un evento scatenante e, in assenza di questo, ecco che la sofferenza veniva immediatamente invalidata, derisa, creduta inesistente e inventata. Madara, su quelle pagine, lo aveva addirittura ringraziato per aver elargito preziosi insegnamenti a chiunque legga, salvo poi lui stesso fuorviare il lettore attraverso le sue parole e l' interpretazione personale.
No, il dolore non lo si può interpretare, o lo si conosce o non lo si conosce, io intendo sul serio.
Il dolore di Madara era stato generato dalla solitudine, dal suo modo di affezionarsi e da un amore perduto, una volta risolta la prima e smussato gli angoli del secondo, tutto si sarebbe sistemato e un nuovo amore sarebbe arrivato di conseguenza. Ma per Nagato non esisteva speranza; dal momento che la causa scatenante pareva non esserci mai stata, non la si poteva risolvere. Lui era nato con il dolore direttamente nei suoi geni e basta, un individuo condannato a soffrire qualunque cosa fosse successa. Forse questo aspetto, non era stato compreso fino in fondo nemmeno da Naruto. Persone come Itachi, invece, destinate ad essere amate in qualsiasi situazione, con gli errori commessi sempre e comunque perdonati.
E ora Itachi avrebbe trascorso un intero mese con Naruto. È vero che si trattava di un grosso gruppo di persone, ma Nagato non si sarebbe certo stupito se il moro fosse riuscito ad averli tutti più o meno ai suoi piedi, sia pure involontariamente. Naruto sarebbe stato la sua prima preda, il suo carattere altruista lo avrebbe fatto cadere ad occhi chiusi nella trappola. Malgrado lo sguardo di Nagato fosse saldo e lui certo di quali trascorsi lo avessero reso la persona che era, nonostante la sua convinzione che quel povero individuo spezzato dalla vita non andasse rinnegato e fosse degno di rispetto, Nagato scivolava. La lenta discesa che lo stava riportando dritto tra le fauci di quei famelici mostri che credeva sconfitti, era talmente ingannevole da sembrare la cosa più piacevole del mondo. Così gradevole che Nagato sorrise sentendosi stordito.
Per quanto tempo si può resistere a nascondere sé stessi per il bene di chi ami?
Quanto a lungo si può tacere pensando che questa persona ti tenga nascoste alcune cose?
Fino a che punto si può accettare di essere frenati?
Io? Sarei stato diverso? Quanto grideranno le domande rimaste senza risposta?
Kisame sentiva i suoi piedi perdere presa di giorno in giorno. Di ora in ora. La splendida banchisa ingannevole e scintillante lo aveva attirato, e ora era là, giunto sul ghiaccio senza nemmeno essersene accorto. Tuttavia si trovava ancora nella fase iniziale, quella in cui si cerca di nascondere il tumulto, di sopravvivere. Per farlo si serviva dell'immagine di quando lui era tornato a casa dopo aver baciato Madara in macchina, Itachi lo aveva atteso preparandogli una deliziosa cena che poi avevano gustato insieme. Il moro aveva seguito impeccabilmente i suoi gusti, lo aveva accolto con tutte le premure necessarie e preoccupandosi della stanchezza che poteva aver accumulato dal momento che aveva fatto tardi.
Già, e io perché avevo fatto tardi?
Più Kisame si sentiva scivolare, più cercava disperatamente di attaccarsi alla sensazione di essere deplorevole provata in quel momento.
Se non fossero passati Tayuya e Hidan come sarebbe finita?
Madara, prima di andare via, lo aveva ringraziato e, ad oggi, ancora Kisame non aveva avuto modo di capire per cosa. Forse dopo quell'episodio, Madara aveva capito di amare Kakuzu e questo, magari, spiegava perché finalmente l'omone si fosse deciso a frequentare la palestra insieme a Obito e Rin. Kakuzu si allenava ma passava del tempo anche ammirando Madara impegnato nelle sue lezioni di Taekwondo. Dagli occhi verdi non scaturiva altro che ammirazione. Madara, sebbene risultasse tranquillo, sembrava non fare caso alle sue attenzioni. A volte Kakuzu gli afferrava la mano, ma l'altro scivolava dentro la sua presa come se fosse fatto di aria. Questi atteggiamenti non facevano che mandare ancora più in crisi Kisame, il motivo per cui Madara lo aveva ringraziato, quella sera, diventava sempre più incomprensibile. Vedendo che anche Obito e Rin lo trattavano con il massimo tatto, Kisame si domandò se per caso non si fosse pentito di qualche altra cosa scritta in Tra le pagine della nostra vita, a parte le poche famigerate righe su Sasuke.
Kisame cercava di mantenere l'equilibrio sullo splendido ghiaccio, per farlo ripensava a quando lui e Itachi avevano fatto l'amore prima di recarsi alla cena organizzata da Naruto per fare finalmente parlare Sasuke con Sakura. Lo scricchiolio del pantaloni di pelle indossati dal moro, mentre lo usava praticamente da pertica standogli abbarbicato addosso, gli aveva fatto perdere letteralmente la ragione. La tentazione di ammirare Madara, di parlare con lui, di chiedersi se in sua compagna la sua vita potesse essere stata diversa e se lui fosse finito inesorabilmente a tenerlo escluso da qualche aspetto della sua vita, stava nascosta a fatica dietro questi ricordi.
C'è qualcuno più importante di me, Itachi?
Kisame si percepì terribilmente ignobile subito dopo averlo pensato. Le lacrime che spuntarono immediatamente dopo negli occhi celesti lo indussero a lasciare la sala bodybuilding per rifugiarsi nello spogliatoio. Sperò solo che il suo comportamento anomalo non fosse stato notato da nessuno.
Mentre stava rivolto con la faccia contro il muro, la presenza quasi evanescente che gli si era materializzata dietro lo costrinse ad asciugarsi velocemente le lacrime con il dorso della mano. Pur essendo stato completamente silenzioso, era entrato qualcuno, Kisame lo aveva percepito quasi come una lieve distorsione del tempo.
"Ho mandato i ragazzi in pausa, ne approfittiamo anche noi?"
La voce profonda e gentile era inconfondibile, apparteneva alla persona che Kisame conosceva da più tempo, là dentro. Rimase esterrefatto e, forse, questo non fu in grado di nasconderlo, Madara appariva quasi raggiante da quanto era sereno.
Kisame stava per rispondere affermativamente, ma le parole gli morirono in gola non appena vide Madara togliersi il sopra della divisa per infilarsi una normale maglietta. Attimi che sembrarono interminabili, Kisame non lo vedeva a petto nudo da anni, si era fatto imponente nonostante non fosse esagerato, le spalle larghe, la vita si andava assottigliando pur rimanendo robusta, non aveva comunque un filo di grasso addosso. Le gambe rimasero coperte dai pantaloni della divisa ma, da vicino, si vedeva che erano lunghe e slanciate. Pur essendo qualche centimetro più basso di Kisame, l'illusione ottica del fisico asciutto lo faceva apparire comunque lungo. Kisame deglutì a secco vedendo il suo braccio destro liberare i lunghissimi capelli dal tessuto, per farli scendere di nuovo fino a quasi metà delle cosce. Sasuke era praticamente identico a Izuna di viso, ma fisicamente stava prendendo la strada del cugino maggiore.
Nella sua immaginazione, Madara gli tendeva una mano ridendo, alle sue spalle un bellissimo ghiaccio così scintillante da sembrare essere fatto di diamanti, le note di Floe riempivano l'aria.
"Mi cambio la maglietta e arrivo." gli rispose Kisame senza riuscire a riprendere il controllo dei muscoli facciali.
Una seconda persona, non certamente silenziosa come Madara, fece irruzione nella stanza. Il moro imboccò l'uscita facendo un sorriso e un occhiolino a Kisame, mentre un terremoto biondo veniva avanti.
Deidara prelevò una delle sue adorate gomme alla fragola dal taschino della camicia appesa al muro senza scollare gli occhi dal pietrificato Kisame, le iridi celesti mandavano lampi di rimprovero. Si sedette sulla panca di legno iniziando beatamente a masticare.
"Kisame, alla fine del mese anche io mi unirò a Naruto per la serata conclusiva, vorrei evitare di essere un cattivo ambasciatore."
"Ma che diavolo ti viene in mente, Deidara?"
"Quasi sempre le cose più care che abbiamo sono quelle che stanno sotto al nostro naso, ma, per qualche assurda ragione, sono anche le più difficili da vedere. Vedi di non dimenticartelo, Kisame, e spiega anche a Madara che dovrebbe fare lo stesso."
Kisame sospirò avviandosi ciondolante verso la porta, sentiva quello sguardo azzurro incollato alle spalle, avvertiva il suo ammonimento ma anche una punta di soddisfazione, ora. Deidara non era certo il tipo a cui piaceva indorare la pillola quando c'era da dire qualcosa. Kisame non si diresse in giardino dove si trovava Madara, ma riprese i suoi allenamenti. Aveva riacquistato l'equilibrio per un soffio, il tempo gli avrebbe detto se era anche uscito o no dalla lastra di ghiaccio.
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