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8. fuga

«Mia signora».

L'accento spigoloso dell'uomo la riscosse. Aveva già sentito quel modo ruvido di parlare, privo di ogni musicalità, ma dove?

«Mia signora, deve svegliarsi subito».

Kiriyo aprì gli occhi lentamente, aggrottando le piccole sopracciglia curate. Sollevò la mancina per proteggersi gli occhi dalla luce dei lampioni, intensa ai suoi occhi indeboliti come un chiodo luminoso che affondava nel suo cervello.

Il viso squadrato della guardia del Louvre riempì la sua visuale sfocata. Sentì le sue mani forti sulla pelle aiutarla a mettersi seduta, le dita spostarle i lunghi capelli dietro un orecchio, i suoi occhi scrutarla preoccupati in cerca di ferite.

Davvero cavalleresco. Se solo non fosse stato sotto l'influsso di Shukra.

«La custodia...» mormorò lei, riprendendo finalmente il controllo del suo corpo. Si guardò intorno con panico crescente, gli arti formicolanti che pian piano tornavano normali. Dove diavolo era finito il quadro?

L'uomo aggrottò le sopracciglia per un breve istante, forse cercando di capire il significato di ciò che la sciamana aveva appena detto. Poi si voltò, indicandole la parete dietro di lei. «È qui, mia signora» le disse in un sussurro.

Oh, grazie a Dio."

PREGO.

La sciamana non perse tempo a roteare gli occhi al cielo alla battuta di Surya, anche se il resto dei suoi Dei si stavano sbellicando nel suo cervello. Agguantò il braccio muscoloso del suo schiavo, usandolo per aiutarsi ad alzarsi e raggiungere la custodia metallica che aveva rubato con tanta fatica. Per fortuna a quell'ora della sera c'era poca gente in giro e, considerando dove si era piazzata, anche i pochi che passeggiavano nei dintorni non stavano facendo per nulla caso a lei. Solo in pochi avrebbero potuto capire cosa significasse quel grosso rettangolo metallico appoggiato al muro e anche i più curiosi al massimo avrebbero solo visto una coppietta appartarsi.

Potevi evitare di finire tutto il tuo tempo, Stupidhani!” sbottò Kalindi, che non perdeva mai l'occasione per prendere in giro suo fratello maggiore. Ketu schioccò la lingua subito dopo, rincarando la dose: non che avesse torto, ma Kiriyo era piuttosto convinta che lo avrebbe fatto anche in quel caso, solo per il gusto di seminare zizzania. Non era un Dio malvagio per finta, in fondo.

Sssssi, infatti adesssso sssssiamo nei guai…

Quanto tempo gli rimane, Shukra?

Gli Dei borbottarono per qualche secondo, mentre le mani fredde della sciamana si stringevano attorno al suo bottino. Si sforzò di sorridere all'uomo che le stava accanto, ben conscia che se il verdetto del Dio dell'amore fosse stato sfavorevole quello stesso uomo si sarebbe tramutato da cavaliere ad aguzzino.

Venti minuti, Kiri.

La bionda espirò lentamente, sentendosi improvvisamente più rilassata. Il problema delle trance era solo uno: se il Dio che la possedeva usava tutto il suo tempo a disposizione, che di solito ammontava a circa un'ora, per la seguente mezz'ora nessuno poteva prendere il suo posto. Niente possessioni significava niente intrusi, certo, ma anche niente poteri divini. In quella mezz'ora di vuoto, Kiriyo sarebbe stata sola, senza l'assicurazione della protezione dei suoi Dei. Solo il suo fumo incantato avrebbe potuto difenderla.

Per fortuna, le proprietà che gli Dei avevano conferito a quel fumo erano permanenti. Ogni Dio vi aveva infuso una caratteristica, qualcosa di speciale che derivasse dal proprio Dominio. Quello di Shukra, che aveva usato per sedurre la guardia che ora la sorreggeva, aveva la capacità di incantare e sedurre chiunque lo respirasse per qualche attimo. Magia che, fortunatamente, sarebbe durata ancora un po'.

«Dimmi, mio amato» bisbigliò la sciamana in un orecchio della guardia, sfiorandogli la pelle con le labbra e provocandogli piccoli brividi di piacere con il suo respiro caldo. «Puoi portarmi via di qui? Al Ritz? Ti assicuro che...» sorrise a fior di labbra, mordendo delicatamente il lobo dell'uomo con infinita lentezza. Si prese tutto il tempo necessario per rendere quell'istante un motivo convincente per il suo piccolo schiavo, magari convincendo nel frattempo anche i passanti del loro essere solo una coppietta in vena di effusioni. «Avrai la tua ricompensa, se mi porterai lì».

L'uomo sorrise, piegando il viso verso di lei e divorandola con gli occhi. Era sotto l'influsso del Dio dell'amore, il che significava che avrebbe eseguito ogni ordine di Kiriyo e che avrebbe cercato in ogni modo di pretendere il suo premio. Le accarezzò una guancia delicatamente, passandole il pollice ruvido sullo zigomo come fosse la sua unica ragione di vita e avvicinò il viso a quello di lei. Li separava solo un soffio, labbra contro labbra, ma non era ancora il momento di rubarle un bacio.

«Venga con me, mia signora».

A malincuore si allontanò da lei: le sue mani grandi e calde le scivolarono sul corpo come acqua, l'una ricadendo lungo i fianchi e l'altra a tuffarsi in quella di lei, piccola e pallida. Gliela prese, gentile come un vero cavaliere, prima di voltarsi per portarla lontano da lì.

Tirandola gentilmente verso di sé, l'uomo si incamminò come se niente fosse lungo le strade di Parigi, le luci dei lampioni calde e romantiche a ogni angolo. Quella zona era particolarmente viva di giorno così come di notte: negozi, bar, ristoranti, le loro insegne brillavano come gemme nel buio, attirando l'attenzione dei passanti.

Quando voltarono l'angolo, lasciandosi definitivamente alle spalle il Palazzo del Louvre, il panico assalì la povera Incantatrice. Il suo bell'abito era macchiato, i piedi le imploravano di fermarsi e sentiva il sudore freddo appiccicarle sul collo i capelli sfuggiti alla sua bella coda alta, che ormai tanto alta non era più. Più di tutto, però, Kiriyo era terrorizzata all'idea che qualcuno potesse riconoscere il prezioso pacco che trasportava. Lo stemma del museo, per quanto cercasse di nasconderlo, era comunque leggibile e non sapeva quando, di preciso, i restauratori avrebbero scoperto il furto. Farsi vedere da mezza Parigi trasportare una cosa del genere non era per niente una buona idea.

«Mio caro» iniziò lei rallentando il passo e frapponendo tra sé e l'uomo il quadro che le indolenziva le braccia, come fosse uno scudo pregiato. «Non mi dirai che vuoi fare tutta la strada a piedi...»

«Mia signora, il Ritz non è affatto distante da qui. Mi creda, è il modo più veloce...»

È ANCHE IL MODO PIÙ STUPIDO!

Ugh, dovevamo sedurre un tizio più sveglio, Kiri.

L'Incantatrice si sforzò di mantenere la sua impeccabile maschera, anche se in quel frangente avrebbe decisamente voluto tirare uno scappellotto a quell'idiota tanto quanto Shukra, che si stava maledicendo come lei lamentandosi nel suo cervello. Da un lato, però, sapeva che non era del tutto colpa del povero francese: non gli aveva mica detto che voleva fuggire lontano da lì non vista, come la ladra che era, perché stava trasportando un tesoro di fama mondiale.

Oh no, non ci pensare neanche. Non è una buona idea Kiri, non lo è affatto,” iniziò Prithvi, la Dea della terra, rimproverandola con la sua solita aria saccente da mammina. Come se non bastasse, si aggiunsero subito anche Chandra e Ketu, tormentandola con le loro vocine.

Senza contare che tra poco più di cinque minuti finirà la tua magia su questo poveraccio…

E sssse sssscopre cossssa trassssportate…

Ma ha ragione?” chiese lei, scocciata. “È davvero la via più breve?

E IO CHE NE SO! DA QUANDO HANNO COSTRUITO QUESTE ROBE LUCCICANTI E QUEI SERPENTI DI METALLO CHE SCORRONO SOTTO TERRA IL MIO SENSO DELL'ORIENTAMENTO È ANDATO A FARSI FOTTERE!

Kiriyo serrò gli occhi per un istante, maledicendosi in tutte le dannate lingue che conosceva. Com'era possibile che nessuno tra i suoi maledetti Dei avesse idea di dove fossero? Non erano forse entità superiori, che tutto sapevano e tutto conoscevano? Dominatori su ogni cosa? Eppure non erano nemmeno in grado di dirle quale fosse la via più breve per tornare al suo dannato hotel!

Trattenne il piccolo ruggito di rabbia che le stava montando in gola, schioccando invece la lingua con disappunto.

La prossima volta, ricordatemi di rubare una di quelle diavolerie elettroniche che usano tutti. Mi sembra un aggeggio molto più affidabile di voi vecchi caproni.

Di malavoglia passò una mano incantata sulla superficie della custodia metallica, ricoprendola di fumo nero. Da gassoso divenne rapidamente solido, aderendo come una seconda pelle sul metallo e nascondendone i dettagli. Per fortuna, il Dominio di Shani era sulle ombre, il che conferiva al suo fumo, in quel caso nero come la notte su cui il Dio governava, la capacità di cambiare consistenza a piacere.

«Se lo dici tu, mio adorato... ti dispiacerebbe portare tu il mio pacco, almeno?»

Kiriyo sorrise, sforzandosi di sembrare convincente. Il quadro, che stava poggiato tra il petto di lei e quello di lui, era effettivamente pesantuccio: se davvero avrebbero dovuto farsela a piedi, lei non aveva alcuna intenzione di stancarsi più del dovuto.

Avvicinò di nuovo il viso a quello di lui, sfiorandogli il naso con il proprio in modo provocante. Sapeva che non mancava molto al termine dell'incanto che lo legava al suo servizio, ecco perché doveva usare ogni carta in suo possesso per convincerlo a fare tutto ciò che gli avrebbe ordinato.

«Mia signora, sarà un onore per me» rispose lui con occhi colmi di adorazione. Le sue mani forti si strinsero attorno al quadro, liberandola da quel peso.

I due tornarono a incamminarsi, la bionda decisamente più leggera di prima. I loro passi regolari echeggiavano nella notte sul ciottolato delle strade, un suono che si confondeva perfettamente con il chiacchiericcio di fondo che proveniva dai vari locali e dal suono delle auto che passavano ogni tanto. Più si avvicinavano al Ritz, più Kiriyo sentiva la tensione che le stringeva lo stomaco allentarsi: nessuno stava davvero badando a loro, nonostante si stessero portando dietro quell'aggeggio ingombrante. Forse, decidere di fuggire a piedi non era stata poi una scelta così malvagia.

Quando finalmente la sagoma dell'hotel si stagliò davanti a lei, la sciamana emise un piccolo sospiro di sollievo. La guardia aveva ragione: ci avevano messo poco.

E io che all'andata vi ho dato ascolto e ho preso un taxi…

Sì, certo, vuoi forse dirmi che ti saresti fatta questa strada con quelle scarpe?

Alla risposta di Yama, Kiriyo dovette tacere. Si costrinse a non mettere il muso seguendo il suo cavaliere nel lussuoso ingresso dell'albergo, indossando invece il suo più smagliante sorriso nell'avvicinarsi alla reception per recuperare la chiave della sua stanza. Sapeva che le telecamere erano puntate su di loro e che non sarebbe passato inosservato il curioso pacco nero sotto al braccio dell'uomo, soprattutto quando la notizia del furto sarebbe stata resa pubblica.

Per questo l'aveva lasciato in mano a lui, che aveva ancora appuntata sul petto la spilla del museo.

In pratica, lo stai condannando,” commentò Shani.

In pratica, sì.

Non ti ha fatto niente, però. Anzi, ti ha aiutato…

La sciamana sospirò appena, ben sapendo dove Shani volesse andare a parare con quel suo tono vagamente accusatorio.

Solo perché l'abbiamo sedotto, Shani,” intervenne Shukra in sua difesa. “Vuoi davvero continuare con queste stupide lamentele?

Magari preferiressssti che condannassssssero noi?

Stupidhani, l'abbiamo sempre fatto! Per duemila anni! Piantala di fare il piagnone!

Kiriyo ridacchiò tra sé e sé sentendo Shukra, Ketu e Kalindi bisticciare col povero Dio del giudizio, inudibili se non alle sue orecchie. Raggiunse finalmente la porta della sua camera, che aprì con un sonoro tlack prima di rivolgere all'uomo accanto a sé un sorriso malizioso. Gli fece cenno di entrare prima di lei, così da avere una bella visuale del suo fondoschiena.

Lo osservò posare il quadro contro la parete e guardarsi intorno incuriosito: la stanza era splendida, una vera suite in stile barocco sui toni dell'oro e dell'avorio. L'anticamera era un piccolo salottino completo di poltroncine a fiori dai bordi decorati in oro, un tavolino da tè in legno chiaro sul quale torreggiava una bella lampada a forma di tulipano e un grande specchio, appeso proprio di fronte alle poltroncine. Un paio di grandi porte a finestre davano sul balcone che si affacciava sullo splendido giardino interno dell'albergo, per il momento nascoste da pesanti tende d'avorio decorate con i gigli francesi. Un lampadario di vetri pendeva dal soffitto, ma Kiriyo non si prese la briga di accenderlo, seguendo invece la guardia all'interno della camera dopo essersi chiusa la porta alle spalle. Sfilò con grazia lungo il salottino, i suoi tacchi alti che non emettevano un suono affondando morbidi sul tappeto rosa e bianco.

Due colonne davano il benvenuto nella camera da letto, decorata con alcuni ritratti di primi piani ad acquarello e uno spettacolare tappeto a fiori dorati e blu acquamarina sul pavimento. Due comodini in legno antico e uno scrittoio concludevano l'arredamento della stanza, mentre un paio di lunghi drappi avorio garrivano alla fresca aria della sera come onde fantasma.

Fece una piccola piroetta proprio sull'ingresso della camera, tra le due colonne. Se aveva tenuto bene il conto, l'incantesimo che costringeva il pover'uomo al suo servizio sarebbe finito nel giro di cinque minuti, il che significava che doveva convincerlo a restare con altri mezzi.

Sei veramente una strega, Kiri!” ridacchiò Budha nel cervello della bionda, mentre le sue mani affusolate affondavano nella camicia dell'uomo, tirandola verso l'alto per sfilarla dalla costrizione dei suoi pantaloni. Lo sentì respirare con un leggero affanno a ogni suo tocco, le mani di lui ugualmente curiose di esplorare la morbidezza delle sue forme.

Beh, suvvia. Prima di farlo arrestare…

Kiriyo sorrise malefica, rubando un morso dalle labbra dell'uomo mentre gli stringeva una natica con la mancina, costringendolo ad aderire perfettamente al proprio corpo.

Almeno gli darò un premio.

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