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13. stalker

"Non sono ancora convinto."

Kiriyo sbuffò, sistemandosi il boa piumato attorno al collo come fosse uno scialle voluminoso. Avvicinò di nuovo le labbra alla cannuccia nera, succhiando avida un altro sorso di centrifugato energizzante alla frutta.

"Cosa non ti è chiaro, Shukra?"

"Gli hai dato la Mona Lisa in cambio di una stupida tenda magica! Ti rendi conto!? È pure di un colore orrendo!"

"Non è stupida, invece."

Tra le strade affollate di Parigi, la sciamana si sentiva a casa. Era vero quel che si diceva della capitale francese: l'aria che si respirava lì era diversa, più romantica, più artistica. Persino i passanti sembravano brillare, a modo loro, vestiti con abiti urbani e alla moda.

"Sono secoli che non abbiamo più una casa, Shukra," replicò secca.

"Quando vivevi con Maeko—"

"Sì, quando vivevo con la Nonna ci strizzavamo nella sua carovana sgangherata e giravamo il mondo insieme, è vero, ma è morta da oltre mezzo millennio."

A quell'ultima frase le si formò un groppo in gola. Dovette rallentare il passo e nascondere il viso nel bicchiere da asporto beige per riguadagnare la sua solita composta e distaccata freddezza. Gli Dei parvero notarlo, perché per un attimo si ammutolirono lasciandole il tempo di mettere insieme i pensieri.

Maeko era morta oltre cinquecento anni prima. Alla fine anche gli Spiriti potevano cessare di esistere, aveva scoperto: arrivata alla veneranda età di novemila anni e con l'idea da cui era nata resa debole dalla modernità, Maeko era semplicemente svanita. Agli umani, almeno, restava un corpo da piangere, da sotterrare; a lei non era rimasto niente, a parte il ricordo della vecchietta raggrinzita che aveva chiamato Nonna da quando aveva memoria.

Era stato un trauma per lei, lo ricordava ancora chiaramente. Maeko le aveva detto che di lì a poco l'avrebbe lasciata, che la sua fine era vicina, ma lei non ci aveva creduto. Come poteva essere? Dopo tutto quel tempo, non poteva certo morire per davvero! E invece era successo: il suo corpo si era accasciato tra le sue braccia senza lasciar loro nemmeno il tempo di dirsi addio, spezzato in mille frammenti multicolore come uno specchio rotto. Schegge di ciò che era stata sua madre erano salite verso l'alto, svanendo una dopo l'altra come se non fossero mai esistite.

Kiriyo sospirò.

"Aveva ragione Shani. Non possiamo andare avanti così, i soldi non ci basteranno mai. Ci serve un posto dove stare, dove essere al sicuro." Prese un sorso rumoroso della sua bevanda prima di continuare. "La Tenda lo è."

Anche se erano palesemente contrari, nessuno di loro si azzardò a replicare dopo quel treno di pensieri agrodolci. Maeko era stata anche per loro una presenza importante in quegli anni passati insieme, l'unica a sapere del segreto della sua figlioccia adottiva e l'unica a conoscere i problemi degli sciamani come lei. Le aveva insegnato tutto: a cucinare male, a ridere di gusto, a sedurre chiunque le si parasse davanti, a truffare il prossimo, a camminare con classe, a leggere le carte. Le aveva insegnato l'arte della divinazione, come imbevere nei suoi tatuaggi un incantesimo, come usare il suo fumo al meglio delle sue possibilità.

Le aveva insegnato a sopravvivere in un mondo che sembrava non avere posto per gli Spiriti erranti come loro, senza nome e senza dimora.

"Bah, fai come vuoi," concluse il Dio dell'amore. "E adesso dove stiamo andando?"

La bionda fu contenta di quel cambio di argomento. Non le piaceva soffermarsi troppo sul passato e soprattutto sui suoi sentimenti attorcigliati. Spostò lo sguardo di lato, adocchiando le vetrine dei negozi che le scorrevano accanto man mano che proseguiva la sua passeggiata pomeridiana.

"Avrai finito di comprare mobili per la tua dannata tenda, o no?"

"Mi sembrava fossi contento di decidere il design d'interni della nostra nuova casa, o sbaglio?"

Shukra si zittì, colto sul fatto. Dopo aver completato lo scambio con Lahor, Kiriyo si era subito lanciata nello shopping selvaggio del tardo pomeriggio. Aveva comprato un letto, un comodino, un armadio e persino una credenza e un tavolino da tè completo di set di ceramiche cinesi. Ovviamente, il Dio dell'amore aveva Dominio anche su arti e bellezza, perciò si era imposto per decidere lo stile e la disposizione di tutti i suoi nuovi acquisti, mangiandosi pezzo dopo pezzo il piccolo gruzzoletto che si era guadagnata giorni prima con la vendita del Rolex rubato.

"IL PROSSIMO ACQUISTO DOVREBBE ESSERE SENZA DUBBIO UNO SPECCHIO DI DUE METRI. SENTO DI AVERNE IL BISOGNO."

Kiriyo sbuffò divertita. "Lo sai che anche durante la trance è la mia immagine che vedresti riflessa, vero?"

"Io voto per il frigo bar!"

Kalindi ridacchiò. "Bella idea, Chandra, così ce la troveremo sempre ubriaca…"

"Oh, sai cosa mi manca?" disse con aria sognante Budha. "Fumare. Non c'è un posto dove comprare una bella pipa orientale, come quella che aveva Maeko?"

La sciamana, però, quel giorno non sembrava affatto in vena di comprare mobili. Dove stesse andando era un mistero per le divinità, che non osavano indagare nei suoi pensieri per scoprirlo senza che lei lo volesse. Prima si era comprata un paio di scarpe nuove, poi un piccolo bagel salato al salmone e panna acida e adesso quel succo di frutta allungato. Non era chiaro agli Dei se la loro ancella stesse facendo la turista o avesse un piano, a parte sperperare i pochi soldi che le erano rimasti.

Alla fine, Kiriyo si fermò davanti a un negozio d'arte che sembrava particolarmente sgangherato. Si osservò nel riflesso della vetrina, aggiustandosi i capelli e la camicia bianca dalle maniche a campana che la faceva sembrare una specie di donna d'affari. I pantaloni eleganti blu notte che indossava slanciavano la sua figura assieme al vertiginoso paio di tacchi a spillo neri che aveva appena comprato. Per quanto quel genere di calzature le distruggessero puntualmente i piedi, lei continuava a comprarle. Era più forte di lei.

"Oh no, basta arte, ti prego. Non ti è bastata l'avventura con la nostra amichetta del millecinquecento?"

La bionda ridacchiò, ignorando il commento esasperato di Shani. Entrò nel negozio sempre intenta a succhiare il centrifugato dal bicchiere, scrutando con occhio attento ogni riproduzione messa in mostra dal proprietario. L'uomo era un vecchietto raggrinzito dalle mani nodose e il viso gentile solcato di rughe, che le rivolse un sorriso così dolce che le si sciolse il cuore.

«Posso aiutarla, signorina?»

«Buongiorno a lei!» rispose Kiriyo con un sorriso. Aveva riconosciuto nel modo di parlare dell'uomo il dialetto della Provenza. «Oh, non sono interessata a un'opera in particolare. Sono qui alla ricerca di qualcosa che possa stare bene nella mia nuova casa».

«Venga con me allora, le mostro cosa abbiamo».

Il commerciante le posò con galante delicatezza una mano sulla curva della schiena e la sospinse gentilmente in avanti verso la zona più interna del negozietto. Sembrava piccolo, all'apparenza, ma Kiriyo capì in fretta che era solo mal progettato: la sua metratura si sviluppava in tante stanzette posizionate male e connesse da corridoi colorati.

Non ebbero modo di fare nemmeno tre passi che il campanello dell'ingresso tintinnò, segnalando la venuta di un nuovo cliente. Kiriyo non dovette nemmeno girarsi per indovinare di chi si trattava: l'aveva visto tallonarla riflesso nelle vetrine dei negozi, lo sguardo puntato su di lei come fosse un cervo e lui un cacciatore pronto a scoccare la sua freccia.

«Buongiorno. Sono subito da lei, servo prima la signorina».

«Certo, non si preoccupi. Nel frattempo mi guardo un po' attorno».

"Ma quello non è il tizio del museo?"

"Come hai fatto a riconoscerlo, Kiri?"

Ignorando i commenti di Kalindi e Shukra, la bionda si lasciò guidare dall'anziano verso una stanza piena di quadri, riproduzioni fedeli di molte opere in mostra al Louvre. Si dileguò in fretta per dedicarsi all'altro cliente, lasciando la donna a guardarsi intorno con un piccolo sorrisetto soddisfatto stampato in faccia.

"Oh, dovreste sapere che non dimentico facilmente un viso."

"Il nome, d'altro canto…"

Kiriyo alzò gli occhi al cielo. "Solo quando si tratta di persone poco interessanti, Kalindi!"

"Come no. Quindi sai dirmi il nome di questo qui?"

Come se l'avesse appena evocato, nella sala fece il suo ingresso l'uomo accompagnato dal proprietario del negozio. Quello gli indicò la riproduzione di La libertà che guida il popolo, il famoso dipinto di Eugène Delacroix che simboleggiava la Rivoluzione Francese. Alto, dal fisico muscoloso bensì non gonfio, l'uomo dalla pelle olivastra annuiva educatamente al commerciante che gli stava raccontando la storia del quadro. Kiriyo lo guardò di sottecchi, notando il viso segnato dall'età che ricordava e gli occhi marroni, dello stesso colore dei capelli venati da qualche filo chiaro.

Certo, Kalindi aveva ragione: il nome di quel tipo non lo ricordava affatto. Ma era più che certa che quell'uomo si trovava in compagnia di Lèmery la sera del furto.

La sciamana finse di essere terribilmente concentrata sulle riproduzioni che stava osservando, giocherellando con una ciocca di capelli biondi tra indice e medio, la cannuccia ancora tra le labbra. Anche se non lo guardava, percepiva la sua presenza dietro di sé: l'uomo si muoveva come lei per la sala, quasi imitandola a specchio. A giudicare dalla sensazione che aveva addosso, Kiriyo era più che certa di essere l'oggetto di ripetute e ben nascoste occhiate penetranti da parte sua.

Si girarono intorno così per un po', ognuno fingendo che l'altro non fosse presente. Lo Spirito si chiese perché quell'uomo che non l'aveva mai vista fosse così interessato a lei al punto da pedinarla per mezza Parigi. Lei lo aveva spiato quando gli aveva soffiato la Gioconda da sotto il naso, ma lui? Era impossibile pensare che la stesse seguendo per un motivo che non avesse nulla a che fare con il furto. Ma se non era per quello, allora cosa?

A quel pensiero, la sciamana ebbe una rivelazione. Interruppe il suo succhiare insistente e deglutì, un piccolo brivido freddo a ghiacciarle la schiena. Quella era l'unica opzione possibile per dare un senso all'assurdità della giornata: quell'uomo era uno Spirito e sapeva di lei. Per quanto fosse stata attenta, gironzolare per il Mercato degli Spiriti con il quadro appresso doveva aver sollevato parecchie chiacchiere.

«Non sono un amante dei silenzi troppo lunghi».

La voce ruvida del moro la riscosse dai suoi pensieri facendola voltare verso di lui. La stava guardando con aria divertita, le mani tuffate nelle tasche dei jeans comodi che indossava. Si avvicinò a lei affiancandola senza distogliere lo sguardo dal suo viso, l'aria arrogante di uno che sa quello che vuole.

«Credo tu abbia capito chi sono. Giusto?»

«Non ricordo il tuo nome, però» rispose lei con le labbra tirate in una specie di sorriso freddo. Lui emise un piccolo sbuffo e scosse il capo, come per dirle che non era un problema.

«Non fa niente, tanto probabilmente avrai sentito quello falso». Tirò fuori la mano destra dalla tasca, porgendola a lei affinché gliela stringesse. «Chiamami Radel».

Lei ignorò la mano, degnandosi però di reclinare la testa per guardarlo bene per qualche secondo, in silenzio. Fece un passetto indietro, sempre arricciandosi una ciocca tra le dita, e iniziò a passeggiare per la sala come niente fosse, la sua attenzione di nuovo alle opere d'arte in esposizione.

Stavolta, fu lui a infastidirsi. La mano tesa si tuffò nuovamente nei pantaloni e il suo viso si contorse in una smorfia. «Non ti hanno detto che è maleducazione non presentarti a tua volta, bionda?»

«Hah, da che pulpito!» sbottò Kiriyo dandogli le spalle. «Parla quello che mi ha pedinato per ore... Devo denunciarti per stalking?»

Lui sembrò inseguirla, tallonandola di nuovo in modo da apparirle al fianco, apparentemente interessato a un quadro a sua volta. «E io per furto, così saremmo pari».

Kiriyo schioccò la lingua con disappunto, voltandosi a guardarlo con gli occhi di fuoco. «E pensi che gli umani crederebbero al tuo racconto, signor restauratore?» sibilò a voce bassa, appena udibile da lui a quella breve distanza che li separava. «Una ladra misteriosa che non è mai apparsa in nessuna registrazione video ruba la Mona Lisa da sotto al naso delle guardie… storia credibile, direi. E il tuo ruolo in tutto questo? Come faresti a saperlo?»

Radel le afferrò il polso, interrompendo il suo gioco e impedendole di sgusciare via. Le stava sorridendo, ma non era affatto rassicurante: era come se le stesse mostrando le zanne prima di affondarle nel suo collo. Quel tizio non le piaceva neanche un po'.

«Ascoltami, bionda, so chi sei e cosa hai fatto» ringhiò reciprocando il suo sguardo infiammato. La sua presa era come acciaio sul braccio molle della sciamana, che era parecchio meno atletica in confronto a lui. Anche con la sua magia, Kiriyo era piuttosto sicura che non avrebbe potuto cavarsela facilmente ora che l'aveva acchiappata. «Non hai idea di quanto tempo abbia buttato per guadagnarmi quell'occasione… e tu me l'hai distrutta».

La lasciò di colpo e la donna non potè evitare di massaggiarsi il polso dolorante subito dopo. Quello Spirito era forte in modo preoccupante.

«Mi devi un quadro».

«Beh, purtroppo per te non ce l'ho». Allargò le braccia, come per mostrargli che era disarmata. La sua espressione provocatoria si sciolse quasi subito, però, quando lui sbuffò e si fece di nuovo vicino, il viso a pochi centimetri dall'orecchio di lei. Kiriyo rabbrividì, infastidita da quella vicinanza non voluta e dal tocco del suo respiro caldo sulla pelle.

«Vorrà dire che dovrai rubarlo di nuovo, tesoro. Lahor non ne sarà molto contento».

"Come diavolo fa a saperlo!?"

Kiriyo serrò la mascella, la sua maschera di perfetta indifferenza ormai solo un ricordo lontano. Non aveva una risposta per Chandra, anche se avrebbe tanto voluto.

Radel sembrò cogliere lo stupore che lei cercava in tutti i modi di nascondere e ridacchiò soddisfatto. «A chi credi che l'avrei venduto? Mi ha assoldato lui, sai».

"IO LO SAPEVO! L'AVEVO DETTO CHE ERA UN TIPO LOSCO!"

«Puoi solo immaginare il mio sconforto nello scoprire che non solo la Mona Lisa era sparita da sotto al mio naso, ma che il mio capo mi aveva improvvisamente licenziato. Nemmeno un giorno e già ci aveva messo le mani sopra!» Scosse la testa, rabbia a trasfigurare il suo viso in modo spaventoso. Anche se appariva sulla quarantina, la sua mole era già di per sé piuttosto intimidante. Kiriyo non aveva affatto voglia di sperimentare sulla sua pelle quanto male potessero fare le sue mani.

«Immagino che essere famosi come lui sia conveniente: non ha nemmeno dovuto muovere il culo per ottenerlo, non è così? Scommetto che sei andata tu da lui, brutta—» si interruppe, trattenendo il respiro e il moto di violenza che gli era cresciuto in corpo. La sciamana calcolò in fretta che c'era abbastanza distanza tra di loro per creare un diversivo con il fumo e fuggire. Se fosse stata abbastanza veloce avrebbe potuto farcela. «No, no, non è colpa tua. Non potevi saperlo. E hai fatto un ottimo lavoro, te lo concedo».

Radel si stava evidentemente sforzando di sorridere, forse per sembrarle meno minaccioso. Non ci stava riuscendo granché. «Sono qui per un accordo, bionda. Lahor non mi ha pagato e io odio lavorare gratis. Quindi, ecco il piano: gli ruberemo di nuovo il quadro».

Kiriyo inarcò un sopracciglio, sorpresa e intrigata assieme. «Gli?»

«Esatto, come una squadra» aggiunse annuendo, i suoi denti bianchi e perfetti che sembravano zanne scintillanti. «E so anche come faremo».

Non le diede tempo di rispondere. All'improvviso si allontanò da lei, muovendosi rapido verso l'uscita della sala. Lei, dopo un attimo di esitazione, si decise a seguirlo anche se ogni fibra del suo corpo le stava gridando di scappare: non era saggio farlo in quel momento, non se poteva semplicemente sparire senza rischi aspettando con pazienza che Radel la lasciasse da sola.

L'uomo si infilò in un'altra stanza del negozio, dove forse il proprietario l'aveva condotto prima di portarlo nella precedente. Lì, in bella vista, c'era una copia perfetta della Mona Lisa che sorrideva trionfante su un cavalletto di legno scuro al centro della sala.

«Lo scambierai con quello vero».

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