Capitolo 2
Due giorni prima dell'incidente
Esco dalla doccia con un sorriso sornione, l'anello sul mio anulare che risplende. È l'unico gioiello che ho deciso di non togliere mai, neanche per la doccia.
Avvolgo il mio corpo bagnato in un asciugamano e mi guardo allo specchio. La me adolescente sarebbe fiera di me per i livelli di autostima che ho raggiunto. Non piango più davanti allo specchio, non mi sento un brutto anatroccolo. Mi guardo e vedo una ragazza felice, carina e con un corpo nella norma. Anche se Damian sostiene che sia "il più bello che abbia mai visto".
Mi spazzolo i capelli castani, pieni di nodi. Ci metto sempre tantissimo tempo ad asciugarli, ma oggi non ho voglia. Oggi ho voglia di stare con Damian ogni secondo della giornata, perciò esco dal bagno e perdo qualche secondo per osservarlo. È steso a pancia in giù sul nostro letto, gli occhi chiusi e le labbra carnose leggermente schiuse. Un braccio è allungato verso la mia parte del letto, come se mi stesse ancora abbracciando, e il lenzuolo gli copre il corpo nudo fino ai fianchi.
È bello da impazzire. E forse sono impazzita davvero, per lui. È quella persona su un milione, quella per cui ucciderei se me lo chiedesse. Gli lascio un bacio sulla nuca, così piano da non svegliarlo, e apro l'armadio per vestirmi. Lascio cadere l'asciugamano a terra e metto l'intimo e sento le farfalle allo stomaco quando lo sento sussurrare: «Questo sì che è un buongiorno.»
Mi giro ridacchiando. «Scemo.» Ha gli occhi socchiusi e un sorriso tenero a incorniciare il viso. Gli occhi neri sono lucidi perché ancora mezzo addormentato e i capelli scuri sono tutti spettinati.
«Sono solo onesto.» Si mette a sedere, battendo poi la mano al bordo del letto. «Vieni qui. Non capisco perché tu non abbia voglia di stare a letto tutto il giorno.»
Mi avvicino a lui, trattenendo a stento una risata. Una volta questa era solo la casa di Damian, da poco più di tre mesi però è diventata nostra. E ora metà dell'armadio ha i miei vestiti, il comodino ha una nostra foto che ho scelto e il bagno è pieno dei miei cosmetici e "stupidissimi shampoos", come dice Damian. «Ne ho voglia, ma poi non usciamo più. Tra due giorni dobbiamo andare a trovare i tuoi parenti in Inghilterra e mi pare che oggi volevamo dire del fidanzamento ai nostri amici.»
Mi prende per i fianchi e mi siedo automaticamente al bordo del letto. Il mio corpo non ha potere contro di lui, né tantomeno il cervello. È come se ogni mio atomo chiedesse di essere vicino i suoi. «Festeggiamo tra di noi.» Mi bacia la spalla, per poi poggiare la fronte lì e sospirare. Damian odia alzarsi dal letto la mattina, sembra un bambino che non vuole andare a scuola.
«Abbiamo festeggiato abbastanza ieri sera.» Indico con la testa le due bottiglie di champagne buttate a terra, anche se non può vedermi con la testa poggiata sul mio corpo. Gli accarezzo i capelli e lui ridacchia, alzando finalmente gli occhi su di me.
Le sue labbra si posano velocemente sulla mia guancia. «Non festeggerò mai abbastanza che presto avrai il mio cognome, Lyn. E poi nostro figlio.» Gli occhi gli brillano non appena ne parla. Damian ha sempre voluto dei figli, me ne parlava già durante i nostri primi appuntamenti. Non diceva proprio "tu sarai la loro mamma", ma mi raccontava dei suoi progetti per il futuro. E ha sempre avuto quel non so che di dolce e paterno che mi fa pensare che sarà il padre migliore di sempre.
«Festeggeremo, infatti.» Continuo a passare una mano tra i suoi capelli scuri. Potrei passare il resto dei miei giorni qui, nella nostra stanza da letto e parlargli del nostro futuro, e non stancarmi mai. «Ma prima ci leviamo il pensiero prima torniamo a casa, no?»
Lui ride. Mi stende sul letto e mi lascia tanti piccoli baci sul viso, facendo inevitabilmente ridere anche me. Il lenzuolo è tutto stropicciato sui nostri corpi. «Dio se ti amo, Lyn. Ti porterei all'altare proprio in questo momento per dirti di sì.»
Alzo gli occhi al cielo. È l'esatto di quello che farebbe: so già che due giorni prima del matrimonio avrà le crisi di nervosismo per accertarsi che sia tutto perfetto. E la sposa dovrei essere io. «Ti amo anche io, ogni tanto.» Lo prendo in giro, beccandomi in risposta un morso alla punta dell'orecchio che mi fa ridere a crepapelle. «Ma credo che ora devi proprio andarti a preparare. Faremo tardi.» Giro la testa verso il mio comodino solo per cercare di vedere l'ora dalla sveglia, ma è difficile quando ho quel bellissimo colosso che mi schiaccia sul materasso.
«Gli sposi si attendono.» Risponde, alzandosi però comunque e andando verso il bagno. Seguo il suo corpo come se i miei occhi avessero un filo invisibile su di lui che mi costringe a guardarlo sempre, e le mie guance si tingono subito di rosso. Anche se stiamo insieme da tanto e viviamo già insieme non mi abituerò mai alla vista di Damian che si muove nudo in giro per la nostra casa, come se fosse la cosa più naturale del mondo. E forse lo è davvero. Ma io continuo a sentirmi fin troppo fortunata.
Chiudo gli occhi e sospiro, richiamando tutta la mia forza di volontà per alzarmi e andarmi a vestire, senza davvero mandare un messaggio ai nostri amici dicendo che non possiamo più incontrarli. Metto dei jeans scuri e un top, poi prendo in prestito una felpa di Damian. Se non vivessimo insieme saprebbe che questo significa che la felpa è appena diventata mai, ma da tre mesi a questa parte le ha recuperate tutte. Ce le scambiamo solo, più o meno.
Quando anche lui esce dal bagno, ha un solo asciugamano a coprirlo sui fianchi. Mi fa un occhiolino e i suoi occhi si soffermano sui suoi vestiti. «Mi presti una tua maglietta?» Lo guardo storto e lui sorride. Uno di quelli che fa sempre quando mi prende per il culo. «Non trovo giusto che solo tu puoi metterti la mia roba. Vorrei quel top blu che ti sei messa qualche tempo fa in discoteca.»
Mi mordo l'interno della guancia per non scoppiargli a ridere in faccia. «Credo che ti andrebbe un po' stretto sui fianchi, amore.»
Ma anche Damian sta ridendo quando si mette una mano sul petto e mi guarda tra il basito e il divertito. «Mi stai dicendo che sono grasso?»
In risposta gli lancio contro il top in questione. Lui lo afferra al volo e mi manda un bacio volante. Ma, per non essere davvero tentata di mandare i nostri piani a quel paese, mi allontano silenziosamente e vado a sgranocchiare qualcosa in cucina. Prima di venire a vivere con lui facevo sempre colazione, ora l'abitudine è cambiata. Forse perché di solito facciamo tardi la mattina e non abbiamo il tempo per farla.
Mio sfioro con la punta delle dite la pancia, mordendomi l'interno della guancia per trattenere un sorriso. Nostro figlio, ogni volta che lo dice mi fa chiudere la gola dall'emozione.
Prendo i cereali e ne prendo una manciata nella mano destra. Vorrei andare a richiamare quella lumaca del mio ragazzo e dirgli che non stiamo andando al festival di Venezia, ma non ne ho bisogno. Due secondi dopo le sue braccia mi circondano la vita e mi bacia i capelli ancora umidi. «Sono pronto. Se hai fame possiamo prendere qualcosa da mangiare durante la strada.»
Mastico gli ultimi cereali e mi giro a guardarlo. Quando siamo così vicini riesco a vedere delle lentiggini sul suo naso, impercettibili visto da una distanza normale. «Sicuro andremo in un bar, Damian. Non sono neanche le dieci.»
«Lo so.» Alza gli occhi al cielo e si allontana, rimettendo i cereali sul mobile in alto. «Per questo potevamo usare la scusa di rimandare a ora di pranzo o oggi pomeriggio. Potevamo, se tu non fossi stata così rompi scatole e precisina.»
Mi risulta difficile non ridergli in faccia. «Chiama tu allora. Non é giusto che devo rimandare sempre io.»
Gli occhi di Damian brillano e sul suo viso si forma l'ormai familiare sorriso malizioso. «Ho già scritto mezz'ora fa a Brody che saremmo andati per ora di pranzo.» Il suo migliore amico e il suo manager improvvisato, Brody sarà il nostro testimone di nozze. Ancora dobbiamo chiederglielo, ma sappiamo che sarà felicissimo.
«Traditore.» Se avessi ancora dei cereali in mano, glieli avrei già lanciati addosso. «Non ti posso lasciare da solo neanche due minuti che decidi per entrambi. Che scusa hai rifilato?»
Damian si avvicina e mi bacia la punta del naso. Poi si allontana, sorridente, non appena vede che vorrei mi baciasse. «Non ho bisogno di rifilare nessuna scusa, Lyn. Gli ho solo detto che era meglio vederci più tardi, non mi va di mentirgli e di certo avrebbe capito comunque.»
Assottiglio gli occhi. Forse è questa la cosa che mi piace di più di lui: non gli interessa nient'altro che queste quattro mura. È felice di uscire la sera, di vedere gli amici e andare a lavoro, ma se gli chiedessi veramente cosa lo fa sentire a suo agio mi risponderebbe che è questo posto. Questa casa, con me dentro. E io non vedo l'ora di passarci il resto della mia vita.
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