Risveglio
Un urlo di rabbia mi risveglia dal sonno.
Sbatto le palpebre un paio di volte e scuoto la testa confuso e dolorante, mentre sento ancora urlare.
Mi rimetto in piedi e con la gola secca provo a dire qualcosa, mentre osservo a fatica un uomo alto e calvo camminare avanti e indietro.
«Sei sveglio!» esclama l'uomo che mi ha svegliato per poi fiondarsi vicino le mie gambe.
«Chi sei? Perché siamo qui? Co-»
«Calma!» urlo spaventato e confuso.
L'uomo spaventato per qualche attimo si allontana e con le mani in alto e capo chino dice:
«Scusa. Io... non volevo spaventarti, sono solo... sfinito.»
Mentre elaboro ciò che ha appena detto mi guardo intorno.
La stanza in cui ci troviamo è enorme, priva di finestre e puzza di chiuso. Ma la cosa che dà più fastidio è lo sfarfallio delle luci al neon che non illuminano nemmeno l'intera stanza!
«Da... quanto tempo sei qui?» mi azzardo a chiedere con una mano sulla fronte.
L'uomo, vestito con una camicia azzurra spiegazzata, pantaloni neri e scarpe del medesimo colore, si inumidisce le labbra e poi afferma:
«Mi sono svegliato da un po' e da allora sto cercando una via di uscita da questo posto di merda!»
La mia mente è percorsa da varie possibili spiegazioni. Rapimento, stupido scherzo, incubo.
Prima che possa fare un'altra domanda, l'uomo mi chiede come mi chiamo.
«Mi chiamo Nick Olivarez. Lei invece?» rispondo a braccia conserte.
Dopo pochi secondi di incertezza, l'uomo si presenta.
«Il mio nome è Bob Apfel. Lavoro come contabile per una piccola azienda di trasporti e son-»
L'uomo si interrompe e corruga la fronte guardandomi con intensità.
«Che problema c'è?» chiedo seccato e a braccia aperte.
«Non ho motivo di fidarmi di te. Per quanto ne so, potresti essere in combutta con chi mi ha rapito!» dichiara puntando il dito indice contro il mio petto.
Sconcertato, faccio qualche passo indietro e metto le mani avanti scuotendo più volte la testa.
«Ci ho preso!» urla Bob chiudendo a pugno la mano usata per indicarmi.
«Ti sbagli! Sono solo uno studente universitario. In tasca ho dei documenti che possono dimostrare chi sono!» mi affretto a dire per poi mettere entrambi le mani nelle tasche.
Dopo pochi secondi, riesco a tirare fuori il mio portafogli, le chiavi del mio appartamento e della mia auto e un foglietto piegato varie volte.
Senza pensarci due volte gli lancio il portafogli, che Bob con espressione scettica, prende al volo.
«Ti chiami sul serio Nick Olivarez. Sei anche più vecchio di quanto credessi» osserva con un ghigno.
«Ora tocca a lei» ribatto.
Quello si blocca per pochi istanti e poi si mette a ridere per poi infilare la sua mano in una tasca.
«Giuro che se scopro che sei coinvolto... » afferma Bob mentre tira fuori il suo portafogli per poi lanciarmelo.
Durante l'esame dei suoi documenti Bob mi chiede:
«Sei messicano o cubano?»
Con un po' di riluttanza rispondo solo dicendo: «Americano.»
«Certo... Ma da quanto?» chiede con un sorrisetto snervante.
«Da quando sono nato. Il cognome l'ho preso dal mio nonno paterno che è arrivato negli Stati Uniti negli anni '70» rispondo accigliato distogliendo il mio sguardo dai suoi documenti.
«Una bella storia, sul serio. La mia famiglia invece è arrivata qui verso la fine della prima guerra mondiale.»
«Fico» rispondo muovendo di poco la testa su e giù, per poi dire con calma: «Ora riscambiamoci i portafogli.»
Una volta finito lo scambio, l'uomo si passa con lentezza una mano sul volto e riprende a fare avanti e indietro.
«Deve esserci una porta da qualche parte» commento per poi mettermi a tastare un muro della stanza.
Bob, nel frattempo si limita solo a imprecare.
Dopo un po', stanco del suo atteggiamento gli dico:
«Se non vuole aiutarmi a cercare una via d'uscita almeno stia zitto.»
«Secondo te, se ci fosse stata una via d'uscita non l'avrei vista?» mi domanda irritato.
Poco prima che possa controbattere, una misteriosa voce profonda irrompe nella stanza.
«Salve, spero non siate troppo agitati. Se vi state chiedendo dove vi trovate e perchè, dovrete superare alcune prove.»
Per pochi istanti in quella stanza cala il silenzio, scandito solo dal ronzio delle luci.
Ci pensa Bob a romperlo.
«Cosa significa? Che cazzo significa delle prove?» chiede Bob rosso in viso e ad alta voce.
«In fondo alla stanza troverete una donna e alcuni tavoli con sopra alcuni strumenti che vi serviranno a farla muovere o urlare.»
In preda allo sgomento mi giro e noto con gli occhi spalancati che in fondo a quell'enorme camera c'è una ragazza nera vestita solo con un lenzuolo bianco e con un braccio teso a sorreggere una bilancia.
Più mi avvicino più non posso fare a meno di tremare.
Oltre alla ragazza poco lontano da lei ci sono dei tavoli metallici, poco illuminati, con sopra vari bisturi, fruste, manganelli e anche alcune armi da fuoco.
«È un'incubo» commento per poi inginocchiarmi e colpire più volte con un pugno il pavimento bianco.
Mi sento preso per il culo e impotente.
«Piantala! Abbiamo trovato la via d'uscita!» urla Bob euforico avvicinandosi a uno dei tavoli.
«C-cosa?»
Bob mi guarda con un sorriso inquietante e afferma:
«Basterà farle un piccolo taglietto sul braccio. Sta' a vedere.»
Subito dopo l'uomo con grande velocità usa un bisturi sul braccio teso della ragazza.
Gocce di sangue cadono copiose sul pavimento, ma nonostante questo la ragazza rimane immobile e zitta.
«Come non detto. Mi tocca essere più violento» afferma Bob, per poi caricare un colpo che fermo appena in tempo con tutte e due le braccia.
«Sei impazzito? Molla questo bisturi!» gli urlo, mentre Bob si agita per liberare il braccio.
«Vuoi rimanere intrappolato qui?» mi chiede Bob, per poi darmi un pugno allo stomaco che mi fa inginocchiare.
«Non voglio ammazzare nessuno, sta' a terra e lasciami risolvere la cosa.»
A quel punto, non posso fare a meno di saltargli addosso e di colpirlo alla gola.
Subito dopo, prendo una pistola dal tavolo, una glock 17, e gliela punto.
«Alza le mani e non muoverti!» gli ordino.
L'uomo, dopo aver smesso di tossire, mi guarda di sbieco e afferma:
«Non hai il coraggio di uccidermi.»
«Non costringermi... Non farlo... Resta dove sei!» urlo mentre quello a piccoli passi si avvicina.
Il cuore mi batte all'impazzata, le mani mi tremano e Bob... Non la finisce di avvicinarsi.
Chiudo gli occhi e sparo.
Attendo pochi secondi e riapro gli occhi. A terra, a pochi passi di fronte a me c'è Bob riverso in una pozza di sangue.
In un attimo mi accingo a soccorrerlo, ma non appena vedo dove l'ho colpito, mi rendo conto che non posso fare nulla.
Ho preso il cuore.
Non so cosa dire, ma non c'è bisogno che dica nulla.
«M-mi sbag-gliavo» sussurra Bob per poi spirare.
Gocce d'acqua salata mi bagnano gli occhi e non passa molto affinché non mi metta a piangere.
«Congratulazioni signor Olivarez, può uscire dalla stanza» afferma all'improvviso la stessa voce di prima.
«Cosa?» domando incredulo e singhiozzando.
«Dia un'occhiata al foglietto che ha trovato nella sua tasca, le sarà tutto più chiaro.»
Preso dalla frenesia del momento, estraggo il foglietto dalla mia tasca e lo apro.
Rimango di sasso e lo lascio cadere per terra, mentre un strano rumore metallico si propaga in tutta la stanza.
Una varco appare in un lato della stanza, ma io non mi muovo da lì.
Sono troppo sconvolto.
"Non lasciare che la ragazza urli o si muova oppure non uscirai mai da lì."
Se quello scritto sul biglietto fosse vero e avessi lasciato che Bob continuasse a tagliuzzare quella ragazza, sarei rimasto intrappolato lì.
«Signor Olivarez, è il caso che esca. Quel varco non rimarrà aperto in eterno» mi ridesta quella voce.
«Perché?» domando a bassa voce più volte prima di urlare: «Maledizione! A cosa vi serve tutto questo?»
Senza ottenere risposta, dopo pochi secondi, mi dirigo furioso verso il varco.
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