La strana ragazza
Trigger warning: Violenza, Uso di linguaggio scurrile
Sono appena uscito dal varco, solo per finire in un corridoio, poco illuminato e dalle mura bianche e piene di crepe.
Ho tre possibili direzioni: proseguo diritto, vado a destra oppure a sinistra.
In preda allo sconforto mi siedo per terra e rifletto su tutto quello che mi sta accadendo.
Ho ucciso un uomo e sono perso in un posto infernale, come se non bastasse non ho ricordi nitidi delle ultime ore che ho trascorso prima di svegliarmi.
Possibile che qualcuno abbia approfittato di una mia sbronza? Però non sarebbe da me.
Alla fine, decido di lasciar perdere e cercare di uscire vivo da lì.
Prendo un profondo respiro e scelgo di proseguire in avanti.
Il corridoio sembra infinito e ogni tanto mi capita di trovare delle porte, ma non riesco ad aprirle.
Stancatomi di provare ad aprire l'ennesima porta, decido di tornare indietro, solo per trovarmi di fronte la ragazza di prima.
«Merda!» urlo spaventato e facendo un piccolo salto.
Questa volta la ragazza è immobile in una posa più normale.
«Mi stai seguendo?» domando con una mano sul petto.
La ragazza non emette un suono e rimane immobile.
«Non ci credo... Sei intrappolata anche tu?»
Non attendo la sua risposta perché sono troppo arrabbiato.
«Chi cazzo sei? Perché ci stai facendo questo? So che ci stai guardando con qualche merdosa videocamera nascosta!» urlo con la testa rivolta verso l'alto muovendola in diversi lati.
Ancora una volta vengo ignorato, ma la ragazza si è mossa mentre non le prestavo attenzione.
Nella sua mano destra che ora mi porge, c'è un bigliettino tra l'indice e il medio.
Glielo prendo rapido e lo leggo.
"Se ti muovi o parli mentre qualcuno ti guarda muori."
Finito di leggere quella minaccia, strappo il biglietto e mi passo una mano tra i capelli per poi puntare un dito verso lei
«Spero sul serio che la tua vita dipenda dal rimanere immobile mentre non ti guardo, perché ho ucciso per colpa tua!» dico, dopo aver preso un bel respiro.
Subito dopo, riprendo a camminare nella direzione che avevo scelto prima.
Alla fine arrivo in una specie di bagno che puzza in maniera terribile e illuminato da qualche lampadina al neon. La muffa circonda la maggior parte della camera e come se non bastasse c'è anche uno scheletro steso in un angolo della stanza.
«Oh no... Che razza di... Sto per vomitare» dico a fatica per poi riversare in terra un conato di vomito.
La ragazza che mi accompagna non si scompone, ma non ci bado più di tanto.
«Mi senti? Psicopatico del cazzo! Ci sei?» urlo nonostante il dolore alla gola.
Subito dopo, l'ingresso dalla quale siamo entrati io e la ragazza viene chiuso da un enorme portone di metallo liscio.
«No! Cazzo no!» sbraito mentre prendo a calci l'enorme portone.
«Benvenuti al gioco degli indovinelli miei cari. Avete dieci minuti esatti per rispondere in modo corretto a tre indovinelli. Fallite e non uscirete mai più da dove vi trovate» afferma la stessa voce della prima stanza.
«Fottiti! Malato pezzo di merda! Facci uscire!» urlo.
«Iniziamo con qualcosa di semplice. Cosa è tuo fin dalla nascita, ma viene usato più dagli altri che da te?»
In preda al panico mi metto le mani tra i capelli per poi coricarmi con lentezza in posizione fetale.
«Non ci credo. È la fine, cazzo... No» sussurro.
«Il tempo sta scorrendo e si avvicina alla fine» mi ricorda la voce.
«Cosa è tuo fin da... da nato ma... Aspetta. È il nome» bisbiglio per poi alzarmi e urlare: «Il nome!»
Passano pochi istanti prima che la voce risponda: «Esatto. Passiamo al prossimo indovinello. Col caldo si ritira, con la pioggia si fa più grande e con il ghiaccio si immobilizza. Cos'è?»
Con la bocca semiaperta e la fronte aggrottata, rimango immobile per qualche istante, per poi mettermi a camminare con frenesia avanti e indietro alla ricerca di una risposta.
Passa qualche minuto e io sono ancora bloccato.
«Vi restano ancora tre minuti» tuona la voce misteriosa.
Esasperato dalla pressione, urlo: «Maledizione!»
Sono madido di sudore e sento il cuore martellare nel petto.
Quando però tutto sembra perduto, urlo «Un lago!»
Ancora una volta la voce misteriosa si fa attendere poco prima di rispondere:
«Esatto. Passiamo al prossimo all'ultimo indovinello. Nessuno può sfuggirmi o combattermi. Sono richiesto nei momenti di bisogno, ma alla fine non basto mai. Cosa sono?»
«Fanculo» sussurro a capo chino per poi riprendere a camminare.
«Vi resta un minuto.»
Con le mani sui capelli ripeto ad estrema velocità l'indovinello, finché l'occhio non mi cade sullo scheletro.
Grazie a quello, ho la soluzione.
«Il tempo!» urlo a braccia alzate e col sorriso.
Per un po' non succede niente e io nel frattempo mi lascio andare alla disperazione ma non dura molto.
Un pezzo di muro si sposta con un fragore tremendo, rivelando un varco.
«Ci sono riuscito... Sì! Cazzo sì! Sì!» dico saltando per la gioia per poi correre ad abbracciare la ragazza.
«Siamo sopravvissuti» le sussurro all'orecchio destro con un sorriso.
Lei rimane impassibile, ma sono sicuro sia felice come me.
«Signor Olivarez, congratulazioni per la vittoria, ora è il caso che lei esca dalla stanza» irrompe di nuovo la voce.
«Certo, sto andando» dico con le mani alzate e a capo chino.
Uscito da quel cesso infernale mi ritrovo di nuovo nello stesso punto in cui mi trovavo dopo essere uscito dalla prima stanza.
«Non è possibile! Non puoi farlo sul serio!» affermo a pugni stretti.
Attendo qualche minuto prima di imboccare una nuova direzione.
A testa bassa e con passo lento percorro il corridoio sulla mia sinistra.
La ragazza sembra essere svanita nel nulla, ma non mi preoccupa cercarla.
Questa volta però ci sono dei dettagli diversi. Non ci sono porte chiuse, ma quadri che raffigurano paesaggi bui, mostri che grondano sangue dalle loro bocche e uomini torturati.
Proseguo spaventato per qualche metro e alla fine mi fermo non appena vedo un quadro che mi è familiare.
Sembra essere... uno dei quadri che sta a casa di mia madre ma ha qualcosa di diverso.
Il cielo dipinto è grigio con delle sfumatore di rosso cremisi e non azzurro come lo ricordo. Inoltre gli alberi non sono circondati da foglie di un verde acceso ma sono steli neri.
Seppure non sia inquietante come gli altri quadri, mi getta in un'angoscia tale da farmi scordare per qualche istante dove mi trovi.
Non appena mi rimetto in cammino, un senso di vuoto e panico mi colpisce.
Sto cadendo nel vuoto.
Non so cosa è successo ma ora mi trovo con la faccia steso a terra.
Mi alzo dolorante e spaventato.
Di riflesso guardo in alto, ma c'è solo un soffitto illuminato dalle soliti luci al neon che si illuiminano a singhiozzo.
La stanza in cui mi trovo ora assomiglia a una sala per interrogatori. C'è persino uno di quei specchi che si vedono nei telefilm polizieschi e una porta di legno per accedere dall'altra parte della stanza.
Al centro della sala c'è un tavolino bianco, una scatola nera e poco distante c'è una sedia pieghevole.
«Che significa?» chiedo a bassa voce.
Dopodiché mi avvicino con lentezza alla sedia.
Un rumore metallico improvviso mi fa girare in direzione dello specchio. Dall'altra parte è comparso un ragazzo della mia età legato con delle cinghie a una sedia e illuminato da una luce gialla.
«Oh merda! Non è possibile...» affermo per poi sedermi scuotendo più volte la testa.
«Benvenuto signor Olivarez, come ha potuto constatare si trova in una stanza per interrogatori e dall'altra parte, legato a una sedia si trova una sua vecchia conoscenza con cui n-»
«Maledetto! Ti ucciderò! Sadico bastardo del cazzo! Perché? Perché?» urlo interrompendo la voce voce misteriosa.
Pochi secondi dopo il mio sfogo, la voce misteriosa riprende a parlare.
«Le consiglio di non lasciarsi andare alla rabbia e di pensare con maggior lucidità, se vuole tornare a casa.»
Infuriato come non mai, stringo i denti e aspetto di sentire cosa dovrò fare.
«Come stavo dicendo, legato a una sedia si trova un suo conoscente che lei odia. Il suo compito consiste nel fargli delle domande. Se lui risponderà in modo corretto a cinque domande, tutti e due potrete uscire.»
Non mi capacito che sia così semplice, ma scelgo di non dire nulla.
«Stavo quasi per dimenticare un dettaglio importante, vede la scatola nera sul tavolo? All'interno vi è un pulsante che serve a dare la scossa al prigioniero in caso non risponda in modo corretto. In caso di tre scosse, solo lei, signor Olivarez, potrà uscire» aggiunge la voce.
Mi limito a sorridere, mentre i miei occhi si inumidiscono.
«Lo sapevo... Sarebbe troppo facile non farmi fare qualcosa di estremo.» commento amareggiato.
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