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Pioggia a Zurigo

Un cielo notturno annuvolato, pieno di grigiore, che buttava pioggia, incessantemente, bagnando la strada, distorcendo le luci e rendendo l'aria umida, là dov'erano loro due.

Ed era una pioggia forte, di quelle che in un secondo ti rendono pesante. E loro erano fermi in maniche corte, punzecchiati da lance di ghiaccio. Non aveva pietà: erano costretti a cercare un poco di calore in quel cerchietto che occupavano.

Ma loro si sentivano da un'altra parte, fuori dal mondo. Ballavano a piccoli passi, lei poggiando i piedi con timidezza, mentre lui cercava di trascinarla perché si muovesse, perché potesse afferrare quel calore che le mancava. Voleva proteggerla, tenere il freddo lontano dal suo cuore. Le donava il suo respiro, quel poco caldo che ancora aveva dentro, e lei sembrava fare la stessa cosa: nonostante tutto, entrambi potevano confortarsi.

E dentro di loro bruciava, oh, se bruciava. Ed era un incendio ben riparato, che l'acqua non poteva spegnere.

Lei stava in silenzio, accogliendo quel tepore che le veniva dato senza esitazione, bramava di danzare nonostante la tempesta, bramava di perdersi in quell'abbraccio che la schermava dal mondo e le permetteva di liberarsi, rompendo il ghiaccio e facendo passi ancora più aggraziati. Perché il tepore continuava a scorrere, e lei, loro potevano danzare ancora, incuranti di qualsiasi furia, che non avrebbe toccato la loro anima; dovevano solo prendere un respiro e assaporare la pioggia, che li avrebbe inzuppati fino a renderli pieni. E loro non potevano sentirsi più pieni di così.

***

Aveva piovuto tutto il giorno: le strade restavano bagnate, e Zurigo vuota. La pioggia, come il suo odore, erano caldi, quasi riempivano il cuore, ma tutti se ne tenevano alla larga preferendo le mura domestiche. Tranne lui.

Era uscito in quella città e raggiunto la solita strada nella campagna, dove il buio avvolgeva la terra; nel silenzio arrivava fino a quel sentiero sterrato, reso fangoso da quell'atmosfera spessa e chiusa, quasi nebbiosa; era entrato in quella casetta illuminata tranne che in una stanza, la stanza a cui poi aveva bussato: ma non era stato udito subito, perché lo stereo, con quel pianoforte quasi suadente, era troppo alto.

Sempre lì era chiusa, nel buio: lei, lo conosceva il mondo esterno? Sapeva che con lui poteva aprirsi, che i muri non le servivano più?

***

Ormai a lui non importava troppo, perché la stava stringendo, l'aveva portata fuori, l'aveva esposta al mondo e mostrato che era sicura anche sotto un acquazzone, perché sarebbe stata tenuta anche se avesse fatto un passo falso; era libera, poteva imporsi e, letteralmente, danzare sotto la pioggia; poteva inspirare, perché il mondo era quello ed ora era suo, poteva portarlo sulla pelle e nella memoria, sporcarsi le mani, non avere paura. La vita la stava aspettando.

E intanto, lui si chiedeva se fosse vero. Se avesse rotto il guscio in cui si era chiusa e ora la conoscesse davvero. Perché forse una maschera l'aveva tenuta, perché forse non poteva accadere tutto così di colpo. Lui voleva toglierla, ma voleva anche darle spazio. Voleva che fosse pienamente compiuta: non sapeva cosa ci fosse stato prima, ma non avrebbe mollato la presa, avrebbe visto quella farfalla volare nel cielo, e poi avrebbe aspettato che tornasse a posarsi sulle sue dita. O almeno, sperava l'avrebbe fatto.

Si fermarono. I passi si arrestarono, restò solo il rumore della pioggia a inglobarli. Dovevano continuare, forse? Ne valeva la pena?

Vedendola sorridere, lui non ebbe dubbi.

La afferrò, stringendola, appianando ogni distanza e facendole battere il cuore. La fece ruotare, vorticò nella pioggia creando un turbine, quasi volesse sfidare quel nubifragio. Lei lanciò un urlo, chiuse gli occhi mentre anche i suoi capelli vorticavano disegnando un mulinello; le ciocche scintillavano, pregne di goccioline, e il suo fiato sommesso aveva definitivamente rotto le catene, trasformandosi in una risata sguaiata mentre roteava a quella velocità. Era avvolta da quel turbine, e non voleva più smettere: nessuno vuole più smettere, dopo aver assaggiato la libertà.

Quando infine lui la posò a terra, l'acqua picchiava ancora più forte di prima. Il cielo, quella notte, non sembrava voler dare tregua: probabilmente Zurigo si sarebbe svegliata e tutti o avrebbero indossato gli stivali o sarebbero scivolati sui sampietrini. In quella strada, tutto travolgeva: da quell'insieme di piccole e insignificanti goccioline di liquido grigio, all'imponenza degli alti palazzi di quella capitale dove regnava il buio, alle loro anime, che in quel momento erano concentrate in quella stretta e non si sarebbero distratte per nulla al mondo.

Era brutto che dovessero tornare. Perché loro due, sarebbero anche rimasti fermi in quella posizione in eterno. Perché era all'eterno che entrambi anelavano.

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