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Odi et amo

La situazione era abbastanza scocciante, come sempre. E piuttosto strana. Ma soprattutto faceva andare su tutte le furie, pensò lei: a quell'uomo aveva dato una seconda possibilità. Contro qualsiasi logica. E non cambiato nulla. Seriamente. Valeva davvero la pena di continuare a provare?

Lo chiamò. Sentì i suoi passi avvicinarsi lenti. Quando si girarono, quasi simultaneamente, lei catturò il suo sguardo. Era un ragazzino, che proprio si ostinava a non voler cambiare. E questo glielo disse in faccia. E perché non voleva? Glielo chiese.

Lui parlò, ma lei praticamente spense le orecchie: ripeteva sempre la stessa cosa. E non lesinava mai a darsi delle arie, e neppure a buttarle addosso improperi. Lei, anche se fuori teneva una corazza, dentro non poteva che piangere.

Poteva essere tutto così doloroso?

Detestava quella sensazione, detestava lui, detestava che le impedisse di amarlo. Ma, guardandosi in faccia, poteva davvero dire che lui la amasse? L'aveva mai amata? Evidentemente no, e stavolta non avrebbe lasciato correre.

Quella era stata soltanto una storia; che ingenua era stata a credere sarebbe divenuta qualcosa di più grande. Ora non era innamorata, soltanto infuriata: per questo lo spinse di forza fuori da quell'appartamento. Lui tentò di resistere, chiedendo spiegazioni o addirittura pietà, ma lei era decisa. No gli avrebbe dato più nulla, se non disprezzo. Non era stato che una macchia di sporco appiccicata sulla tela della sua vita, ed era ora che venisse grattata via. Una volta per tutte.

Ed ora erano separati. Entrambi infuriati, entrambi con le spalle appoggiate su quella porta impietosa.

Mentre sentiva i passi rimbombanti riverberare dalle scale, capì che la furia era passata. Davvero aveva smesso di amarlo? Era stata solo la furia, o aveva aperto gli occhi? Avrebbe dovuto ritrattare e cercare di dimenticare, trascinarlo con sé, ristabilire la pace? Poteva sopportare un'altra disputa?

Quando si affacciò alla finestra, lui era in strada. Neanche alzava gli occhi per riguardarla, ma marciava a testa alta. Come in fondo era sempre accaduto. Lei restava lì, trattenendo le lacrime, mentre osservava le sue scarpe che, spietate, si allontanavano.

Lei rientrò, chiudendo la finestra con un botto. Perché doveva soffrire così tanto? Non aveva diritto ad amare, senza timori? Anche lo avesse amato, non l'avrebbe sfiorarlo: dopo quella sofferenza la furia era troppo grande.

Era stata illusa, delusa, e ora disillusa.

Era uscita da un sogno, uscita da quel cappio che, quando c'era, le era parso più largo. Non se ne accorgeva, ma stava ringhiando. E infine, quando vide il suo mazzo di rose, non poté che esplodere: lo afferrò a denti stretti e, vomitando un unico urlo stridulo, lo lanciò contro il muro. Si infranse, e come si fu infranto lei pestò i cocci, i gambi, i boccioli delle rose con furia omicida, riducendole a una poltiglia collosa.

Ma poi notò un petalo, e dovette fermarsi. Era ancora integro, lucido, bello come... le rose a cui era appartenuto, circondato dall'acqua. Improvvisamente, quella bellezza le ricordò quanto alla fine era stata felice. Era forse stato un errore iniziare quel litigio? Trasformandosi in un'arpia, dilaniata e abbattuta, martoriata come gli altri petali bagnati sotto i suoi piedi?

Si inginocchiò, fissa a guardare quel petalo lucente, incurante dei vetri. E si portò le mani agli occhi, per piangere. Un copioso fiume di dolore, che presto le scivolò dalle dita andandosi a mescolare con l'acqua sul pavimento.

Poteva essere andata così male? Poteva essere la vita così crudele? E soprattutto, poteva provare un amore così forte per un uomo come quello?

Suggerita da @Wise_Girl_08

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