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Osamu e Suna tornarono a casa per primi. Non mi presi nemmeno la briga di salutarli e continuai a fare i miei compiti in salotto.
Mentre Osamu si faceva la doccia, Suna si mise davanti a me. Alzai lo sguardo verso di lui, ma non mi stava guardando. Si passò una mano dietro la nuca, imbarazzato, e disse, «Volevo chiederti scusa per quello che successo alla festa».
Lo fissai per un momento. Non ero esattamente sicura di come sentirmi. Volevo veramente le sue scuse? In parte apprezzavo il fatto che avesse deciso di parlarmene al posto di far finta di niente, ma mi sentivo veramente confusa. E poi non pensavo che sentisse il bisogno di scusarsi con me.
«So che, ufficialmente, non ci sopportiamo, ma non voglio che pensi che io sia una brutta persona - o almeno non voglio che la tua idea di me diventi ancora peggiore. Voglio molto bene ai tuoi fratelli e quella sera ero fuori di me, altrimenti non avrei mai fatto nulla del genere» continuò quando si rese conto che non avevo intenzione di intervenire. «So che non è una giustificazione valida per quello che ho fatto e so che tu pensi che non merito il vostro perdono. Lo penso anche io, in realtà. Ma spero comunque che tu mi dia una specie di seconda possibilità, o qualcosa del genere...»
Mi sentivo un po' una madre che riceveva delle scuse dal bullo di suo figlio. Sebbene avessi intenzione di tenergli il muso ancora per molto, non riuscii a non sentirmi sollevata. Una parte di me molto molto molto piccola voleva perdonarlo a tutti i costi, forse perché era meglio un Suna fastidioso che uno completamente inerme. Era come diceva Kumiko: volevo che questa situazione si risolvesse il prima possibile, ma non volevo nemmeno dargliela vinta così facilmente. Ora che mi aveva parlato in questo modo, mi sentivo più simpatizzante nei suoi confronti e riuscivo ad immaginarmi al suo posto. Chissà se anche io mi sarei comportata come lui se fossi stata nella sua stessa situazione...
«Non preoccuparti, Suna», feci alzandomi dal divano e mettendogli una mano sulla spalla. Lui mi guardò. «La mia idea di te è già ai limiti del peggio»
Gli ci volle un attimo per capire che ero ironica, ma quando lo fece la sua espressione sembrò rilassarsi parecchio.
«Ma se dovesse capitare una cosa del genere un'altra volta, non pensare che lascerò che la passi liscia» precisai.
Suna annuì. «Non accadrà»
Osamu scese dal piano superiore e disse a Suna che il bagno era libero. Quando il moro se ne fu andato, mio fratello mi rivolse uno sguardo interrogatorio.
«Cosa?» chiesi.
«Perchè sorridi?»
Che?... Oh. Stavo sorridendo.
Feci spallucce. «Non è niente»
Osamu mi squadrò con un sopracciglio alzato, come a dire "non me la bevo, sai?", ma lasciò cadere l'argomento ed andò in cucina a preparare la cena.
Da quel momento in poi, gli stupidi scherzi di Suna tornarono e peggiori di prima. Aveva scoperto che il modo migliore per prendermi alla sprovvista, era flirtare spudoratamente con me. Se ne usciva con certi commenti e certe frasi... Non sapevo mai come rispondere! In più, lo faceva divertire da matti il modo in cui arrossivo e cercavo di ribattere ma senza risultati convincenti. Lo detestavo.
Questi suoi "attacchi" diventarono man mano più frequenti, ma questo andò a suo svantaggio. Se all'inizio mi prendeva di sorpresa, ora non glie lo permettevo più, ed ero io quella a divertirsi nel vederlo sgranare gli occhi e fissarmi senza proferir parola dopo che gli avevo rivolto una frase un po' audace, magari accompagnata da uno sguardo provocatorio.
Quel giorno, Suna aveva messo la mia borsa sopra agli armadietti in modo che io non riuscissi a prenderla per via dell'altezza.
«Tirala giù!» lo intimai.
Suna si studiava le unghie con fare disinteressato mentre era poggiato con una spalla agli armadietti, un sorrisetto dipinto sul suo volto come sempre. «Cosa mi daresti in cambio di questo favore?»
Incrociai le braccia al petto e lo guardai spazientita. «Che ne dici se mi ridai la mia borsa ed io non ti tiro un calcio come ringraziamento?»
«Mhm». Posò l'indice ed il medio sul mento, fingendo di starci veramente pensando. «È una proposta allettante. Ma che ne diresti di farmi un pompino, invece?»
A quel punto fui veramente tentata di tirargli uno schiaffo, ma sapevo che c'erano dei professori nelle vicinanze e non volevo beccarmi una sospensione, quindi decisi di giocare al suo gioco e vedere chi sarebbe ceduto per primo.
«Mi vuoi così tanto, Rintarou?» domandai, poggiandomi a mia volta agli armadietti.
«Ho solo visto un'opportunità e l'ho colta. Perché non guadagnarci qualcosa?»
«Ammettilo, sei così attratto da me che devi ricorrere a questi stupidi trucchetti per avere una possibilità». Presi la sua cravatta tra le dita ed iniziai a giocarci senza distogliere lo sguardo dal suo.
«Andiamo, [T/n]-chan. Sappiamo entrambi quanto mi vuoi. Te lo si legge negli occhi ogni volta che mi guardi»
«Mi sa che lo confondi con il disprezzo»
«Ne sei proprio sicura, bambolina?» Sussurrò.
Mi prese il mento tra le dita, costringendomi a tenere lo sguardo ancorato nel suo. Mi morsi la lingua perché non sapevo come rispondere. C'era qualcosa nel modo in cui mi fissava che mi faceva seccare la gola e mi faceva venir voglia di schiaffeggiarlo e baciarlo allo stesso tempo.
Sbuffai irritata, cacciando via quello stupido pensiero dalla mia testa. Spintonai Suna lontano da me e girai i tacchi per cercare qualcuno di abbastanza alto da aiutarmi a recuperare la mia borsa.
Mi ero allontanata solo di qualche metro quando il mio telefono prese a vibrare. Lo schermo mostrava un numero sconosciuto, ma avevo un'idea di chi potesse essere. Corsi nel bagno più vicino e mi chiusi dentro, poi risposi.
«Pronto?» la mia voce tremava.
«Parlo con [T/c] [T/n]?» La voce era quella di un uomo.
La gola mi si secco. Quindi era quello il mio vero cognome?
«Miya [T/n], veramente», corressi. Non volevo ci fossero malintesi.
«Oh, giusto. Mi scusi. Sono Yamashita Kohaku. Mi hanno riferito che stava cercando il signor Masato [T/c]»
Cercai di calmarmi. Il battito del mio cuore mi rimbombava nelle orecchie assieme al nome di mio padre e mi girava la testa. «Sì, è esatto. Sa dove posso trovarlo? O come posso contattarlo?»
L'uomo dall'altra parte del telefono si schiarì la voce e parlò in modo più pacato di prima. «Signorina, mi dispiace, ma il signor [T/c] è morto due anni fa in un incidente stradale»
Ciao!
Capitolo con una sorpresa! Spero che vi piaccia.
Vi chiedo scusa se non è "realistico", nel senso che non rispecchia realmente le procedure che andrebbero messe in atto per trovare un genitore dopo essere stati affidati ad un orfanotrofio. Ho fatto qualche ricerca ma non ci capivo molto, quindi ho optato per scriverlo così. Se avete consigli per renderlo più veritiero, fatemelo sapere! :)
Grazie per leggere la mia storia, lo apprezzo tanto.
Al prossimo capitolo! :)
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