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Yoshihiko venne a prendermi dove mi aveva lasciata la notte precedente.
Il viaggio in macchina fu ancora una volta silenzioso, se non per le solite frasi di cortesia come "dormito bene?" o "il letto era abbastanza comodo?"...
Quella mattina, però, c'era ancora più tensione nell'aria. Forse per il fatto che stessimo andando a far visita alle tombe dei miei genitori subito dopo colazione. Inutile dire che non ero riuscita a mangiare granché.
Yoshihiko continuava a lanciarmi occhiate preoccupate dal sedile del guidatore. Chissà cosa pensava. A volte apriva la bocca ma non era capace di farne uscire una parola.
«Siamo arrivati,» disse Yoshihiko, quasi sussurrando.
Non risposi e scesi semplicemente dalla macchina.
Seguii Yoshihiko tra le tombe, finché non si fermò di fronte a due lapidi con scritti i nomi dei miei genitori. "[T/c] Masato" e "Abe Tsuki".
Di fianco ai nome erano incorniciate anche le loro foto. Sentii il fiato mancare. Non avevo mai visto i miei genitori.
Riuscivo a vedere la chiara somiglianza con mio padre: avevamo lo stesso naso, gli stessi occhi, la stessa forma del viso. Di mia madre avevo preso solo la bocca, anche se l'espressione che aveva in foto era simile a quella che mi ero vista indossare spesso nei ritratti di famiglia o nelle foto di gruppo.
«Non si sono mai sposati,» disse Yoshihiko dopo qualche minuto di silenzio. «Però si amavano da impazzire. Quando Abe è morta, Masato era distrutto, non sapeva vivere senza di lei. Vederlo in quello stato era terribile. Io l'ho sempre preso come una figura di riferimento, sai? I nostri genitori non erano molto presenti, mi ha cresciuto lui praticamente.»
Rimasi in silenzio, sentendo mille emozioni esplodermi nel petto tutte insieme, lasciandomi senza respiro.
«Quando Abe ha detto a tuo padre che era incinta erano al settimo cielo. Avevano paura, sì, perché erano giovani e non l'avevano pianificato, ma non vedevano l'ora di averti nelle loro vite. Solo che dopo la morte di Abe, mio fratello non ce l'ha fatta... È caduto in depressione e non è stato più in grado di prendersi cura nemmeno di sé stesso. Abbandonarti è stata la scelta più dura di tutta la sua vita, credimi... Lui ti amava. Ma non poteva fare il padre, non da solo, non in quello stato,» riprese Yoshihiko, ma si interruppe vedendo che avevo iniziato a piangere.
Me ne accorsi solo quando ormai ero già accasciata a terra e non potevo più fare nulla per controllare le mie emozioni. Piansi senza trattenermi per non so quanto tempo, sentendo tutto il mio mondo sgretolarsi lentamente su di me. Due mani forti mi strinsero le spalle ed io mi appoggiai a Yoshihiko come se non fosse un estraneo, ma qualcuno da cui potevo ricevere conforto e amore.
Una parte di me sapeva che non dovevo incolparmi per quello che era successo ai miei genitori, ma un'altra parte, molto più grossa e prepotente, non poteva accettare che, se non fossi mai nata, queste due persone magari sarebbero ancora vive e felici, insieme, forse con un bambino o forse no. Sicuramente avrebbero avuto più tempo per stare insieme, per stare bene.
«Io li ho uccisi,» singhiozzai tra le braccia di mio zio. «È colpa mia... È tutta colpa mia.»
«[T/n],» Yoshihiko mi fece alzare lo sguardo per incontrare il suo. Stava piangendo anche lui. «Non devi mai più dire o pensare una cosa del genere. Non può essere colpa tua, tu non eri nemmeno cosciente ancora. Nessuno pensa sia colpa tua, nessuno, ok?»
Ma non riuscivo a convinceremene.
Rimanemmo lì ancora per un bel po', fino a quando non mi fui calmata - per modo di dire.
Yoshihiko mi portò a fare una passeggiata su un fiume dove andava spesso a giocare con mio padre. Mi raccontò delle storie su di lui e su mia madre. Sembravano belle persone. Si vedeva che gli mancavano molto. Anche lui era rimasto solo, in fin dei conti.
Presi coraggio e gli feci qualche domanda su di lui, perché se avessi continuato a sentir parlare dei miei genitori sarei tornata a piangere e non sono sicura di quando avrei smesso.
Yoshihiko non era sposato, aveva un fidanzato ma era una cosa che sapevano solo in pochi perché, purtroppo, la famiglia di lui era molto omofoba e non l'avrebbe accettato. Viveva da solo in un piccolo appartamento con tre gatti e un pesce rosso. Lavorava come social media manager per una piccola azienda di vestiti, era lì che aveva conosciuto il suo attuale compagno.
Parlammo per ore, con una facilità di cui non eravamo stati capaci il giorno prima.
«E tu?» Mi chiese. «Hai qualcuno di speciale?»
Sorrisi istintivamente al solo pensiero. «Sì. Si chiama Rintarou.»
Presi il telefono e gli feci vedere una nostra foto.
Yoshihiko sorrise e ispezionò la foto da più vicino. «È molto carino!»
Mi venne da ridere. «Sì, lo è.»
Mio zio mi restituì il cellulare e mi scrutò attentamente. «Si prende cura di te?»
«Sì,» risposi senza esitare un secondo. «Ed io di lui.»
«Bene,» fece dolcemente Yoshihiko.
Si fece raccontare tutto di come avevo conosciuto Suna e di come era iniziata la nostra storia. Mi chiese anche della mia famiglia, dei miei amici, dei miei interessi. Sentivo il cuore stranamente leggero per la prima volta da mesi.
Non avrei mai conosciuto i miei genitori biologici, ma avevo la mia famiglia, avevo Kumiko, avevo Suna... ed ora anche Yoshihiko. Andava tutto bene.
Sul treno per tornare a casa mi persi nei miei pensieri. Non volevo pensare troppo ai miei genitori perché non ero ancora emotivamente pronta ad affrontare di nuovo la loro perdita, ma mi chiesi se anche loro fossero come me e Suna, se si fossero rincorsi per mesi e mesi prima di riuscire a prendersi per mano e permettersi di amarsi. Come un tuono che arriva senza avvisare, un'improvvisa consapevolezza mi fece quasi sussultare.
Ero profondamente ed incondizionatamente innamorata di Suna Rintarou.
Non pensavo che l'avrei mai detto in vita mia, eppure ora era così forte che volevo urlarlo a squarciagola.
Presi il mio telefono e gli scrissi un messaggio.
[a: Rin]: Non vedo l'ora di tornare a casa da te. Mi aspetti alla stazione?
La risposta fu quasi immediata.
[da: Rin]: Così bisognosa... Però sei anche molto carina. Come posso dirti di no?
Roteai gli occhi al cielo al suo messaggio giocoso, anche se lui non poteva vedermi.
Per il resto del viaggio non feci altro che ascoltare la musica e pensare al fatto che avrei dovuto raccontare tutta la verità alla mia famiglia e a Suna. La cosa mi metteva un po' di ansia.
Bastò un semplice sorriso di Rintarou per farmi dimenticare di tutto il resto.
Appena lo vidi appoggiato alla sua moto con il casco in mano ad aspettarmi, nulla ebbe più importanza.
Gli corsi incontro e lo abbracciai più forte che potevo.
Suna rise dolcemente e mi strinse forte a sé. «Bentronata, principessa.»
«Grazie,» mormorai. «È bello essere a casa.»
Ciao!
Non odiatemi, ma questa è la fine della storia. So che probabilmente non è quello che vi aspettavate, o comunque pensavate che sarebbe ancora andata avanti per un po'. Sono consapevole di aver lasciato in sospeso alcune cose, ma credo vada bene così.
Ad esser sincera, non riuscivo più a scrivere, credo si fosse capito.
Preferisco finire qui la storia per il momento e, magari, riprenderla in futuro, ma non volevo lasciarla in sospeso completamente.
Mi spiace se ho deluso qualcuno e mi spiace di avervi fatt* aspettare così tanto per qualcosa di cui magari non sarete nemmeno particolarmente content*.
Cercherò di ritrovare un po' di ispirazione e di continuare a scrivere.
Nonostante tutto, spero che la storia vi sia piaciuta e se doveste avere domande o curiosità sui personaggi sarei felicissima di rispondere. Vi ringrazio infinitamente per tutto l'amore che avete dato alla storia e per tutta la fiducia e pazienza che avete dato a me. Sarò eternamente grata a tutte le persone che mi hanno aiutata a ritrovare l'amore per la scrittura e, nonostante negli ultimi mesi sia stata bloccata e abbia continuato a rimandare, ho intenzione di continuare a scrivere.
Ci vediamo alla prossima storia. Grazie ancora di tutto :)
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