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34

Rivedere Terushima dopo quello che era successo solo una settimana prima fu disorientante.
Una parte di me, che non aveva ancora accettato il modo in cui si era comportato, era convinta che fosse lo stesso Terushima delle videochiamate e dei messaggi e voleva corrergli incontro ed abbracciarlo; l'altra parte di me, quella che era incazzata nera con lui, voleva corrergli incontro e schiaffeggiarlo. Non ascoltai nessuna delle due parti e camminai piano nella sua direzione, come se avessi avuto tutto il tempo del mondo.
«Ciao,» disse, spostando il peso da un piede all'altro. È a disagio? Bene, pensò la parte incazzata di me.
«Ciao,» risposi con tono neutro.
«Ti va se prendiamo un caffè da qualche parte e ci sediamo a parlare?»
Storsi le labbra. Mi stavo già pentendo di avergli dato questa possibilità. Sebbene fossi una persona che perdona facilmente, ero comunque tremendamente delusa ed arrabbiata con lui. «Non mi va il caffè. Possiamo sederci lì-» indicai una panchina vicina. «-a parlare.»
Terushima annuì mestamente, sembrando un cane bastonato.

Discutemmo per un'ora, dicendoci tutto e niente. Il biondo si scusò mille volte del suo comportamento, ripetendo quello che mi aveva scritto nel messaggio e giurando che non pensava nulla di ciò che mi aveva detto quella sera. Io ero divisa tra il credergli e perdonarlo ed il mandarlo a quel paese perché, non importava se ciò che affermava fosse vero o no, non si meritava il mio perdono.
Mi massaggiai le tempie, chiudendo gli occhi e cercando di capire cosa fare. Terushima sarebbe ripartito il giorno seguente, e chissà quando e se lo avrei rivisto, quindi dovevo dargli una risposta ora.
«Senti, io sono veramente arrabbiata con te,» precisai. «Ma non voglio portare rancore. Quindi va bene, ti perdono, ma non pensare che le cose torneranno come prima. Mi hai veramente ferita con il tuo comportamento da stronzo, non mi importa se era solo uno scudo o se facevi sul serio.»
Terushima annuì mestamente. «Però... Potremo comunque sentirci?»
Lo fissai, aspettando che la risposta giusta si facesse strada nella mia mente, ma non sapevo che dire.
«Non sarà come prima. Non ti scriverò tutti i giorni e non ti tratterrò per ore in chiamata,» disse. «Però voglio poterti sentire di tanto in tanto, sapere come stai ed essere tuo... amico?» Il suo tono era incerto.
«Sì,» sospirai. «Questo possiamo farlo...»
Distolsi lo sguardo da lui quando sorrise. Non ero affatto contenta della mia debolezza, del fatto che lo avessi perdonato nonostante ciò che aveva fatto.
Terushima guardò l'orologio. «Vuoi che rimanga ancora? Perché ho un treno tra dieci minuti, ma se vuoi che rimanga posso aspettare quello che passa tra un'ora.»
Scossi la testa. «No, vai pure. Abbiamo parlato di tutto quello di cui dovevamo parlare.»
Terushima annuì. Sembrava deluso, ma se ne rimase (saggiamente) zitto.
Ci alzammo.
«Posso abbracciarti?»
Detestai me stessa, ancora una volta, per la mia scarsa forza d'animo, e glie lo permisi.
Ci staccammo dopo qualche secondo e ci salutammo una volta per tutte.
Mentre lo guardavo allontanarsi verso l'entrata della stazione lì vicina, i miei occhi individuarono una figura familiare. Suna era in piedi con lo zaino in spalla e mi fissava con i suoi occhi vuoti.
Terushima non doveva essersi accorto di lui, perché lo sorpassò senza nemmeno guardarlo.
Merda, pensai. Merda, merda, merda!
Mi ero completamente dimenticata che Suna sarebbe venuto a dormire da noi quella notte, dopo una festa a casa di Iseri. Me lo aveva detto 'Samu quella mattina, ma non avrei mai potuto immaginare che avrebbe preso il treno e che sarebbe arrivato proprio in quel momento. Pensavo lo avremmo incontrato direttamente alla festa, come al solito.
Suna prese a camminare nella mia direzione e mi passò affianco senza guardarmi.
Lo seguì e lo chiamai, ma non mi si fermò.
Quando lo raggiunsi, gli afferrai un braccio per farlo girare verso di me e lo fissai dritto negli occhi. «Che fai, scappi?» chiesi.
Suna non rispose. Si limitò a squadrarmi con occhi gelidi.
Mi morsi l'interno della guancia. «Ci hai visti?» mormorai.
«Sì.»
Merda. «Beh, se hai qualcosa da dire -»
«Non dovevi vederlo.»
«Non sei tu a decidere per me.»
«L'hai perdonato?»
A quel punto mi ammutolii. Sapevo che Suna era arrabbiato con me, anche se non mi era ben chiaro il motivo.
«L'hai fatto,» dedusse.
Fissai l'asfalto, sentendomi una grande stupida.
Suna si girò e riprese a camminare. Mi feci forza e lo raggiunsi di nuovo, stavolta mettendomi davanti a lui per arrestare i suoi passi.
«Perchè sei arrabbiato?»
«Non lo sono. Non potrebbe fregarmene di meno.»
«Non è vero. Mi hai detto tu di non vederlo di nuovo, ed ora sei così freddo perché ti ho disubbidito.»
Suna si irrigidì. «Non è per quello.»
«Allora cosa c'è?»
«[T/n], non mi importa di quello che fai. Ti ho dato un consiglio perché se sei depressa sei ancora più insopportabile, ma tu non hai voluto seguirlo. Sono affari tuoi!»
Gli afferrai la giacca. «Smettila. So che ci tieni a me e che mi hai detto quelle cose per il mio bene! Però non puoi arrabbiarti con me perché ho deciso di testa mia!» Mi stupii da sola delle mie parole. Sapevo, nel profondo del mio cuore, che Suna si era affezionato a me, ma non lo avevo mai ammesso nemmeno a me stessa.
Le guance di Suna si tinsero leggermente di rosso. «Non dire stronzate,» borbottò.
«Sai che è vero.»
Suna distolse lo sguardo dal mio. «È solo che - non lo capisco.»
«Cosa?»
«Perché lui? Perché perdonarlo così facilmente dopo il male che ti ha fatto, quando io -» ma si ammutolì prima di finire la frase.
Mi tornò in mente la conversazione che avevamo avuto qualche giorno prima, quando mi aveva detto che ero fantastica con le persone che non erano lui. Forse voleva farmi capire che voleva essere trattato nello stesso modo in cui trattavo gli altri? Perché? Avevamo sempre avuto questo rapporto, quindi perché ora non gli andava più bene?
Lasciai andare la sua giacca e feci un passo indietro. «Andiamo a casa, Rin,» sussurrai.
Lui mi guardò perplesso. «A casa? Rin?» mormorò, la sua voce quasi inaudibile.
Annuii. Gli feci cenno di affiancarmi, e camminammo in silenzio.

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