20
La domenica prima della settimana degli esami, 'Samu chiese a nostro padre di accompagnarlo da qualche perte e, quando tornarono, Suna era con loro, con un borsone a tracolla ed uno zaino in spalla.
Io mi trovavo in sala a ripassare quando entrarono in casa. Avevano tutti e tre un'espressione turbata in viso - anche se Suna la mascherava bene con l'apatia più totale.
Senza dire nulla, 'Samu accompagnò il suo amico al piano superiore.
«Cosa succede?» chiesi a mio padre a bassa voce.
«Suna resterà un po' qui da noi. Non ha voluto parlarne, ma credo abbia avuto di nuovo dei problemi con suo padre.»
Annuii. I miei genitori sapevano tanto quanto me della situazione che Suna aveva in casa, ovvero poco-niente. I miei fratelli erano autorizzati a dire solo certe cose, giustamente, senza andare troppo nei dettagli di ciò che Suna gli raccontava.
Sentivo che il mio petto si era fatto pesante, ma mi rimisi sui libri cercando di ignorare quella sensazione.
Dormirà nella stanza degli ospiti? mi chiesi. Che domanda inutile. Certo che avrebbe dormito lì, e dove se no?
Starà bene? Altra domanda inutile. Certo che non stava bene. Entrando in casa, non mi aveva nemmeno guardata per un secondo, ma avevo chiaramente visto la rabbia nei suoi occhi.
Un'ora dopo, Suna, 'Samu e 'Tsumu scesero al piano inferiore. I gemelli in vestiti sportivi, mentre Suna aveva addosso la stessa tuta di quando era arrivato e teneva in mano un libro.
«[T/n], io e 'Samu andiamo a correre. Lo dici tu a mamma e a papà?» fece Atsumu.
Il vostro amico è probabilmente tristissimo in questo momento, e voi andate a correre? Pensai, ma non lo dissi. Glie lo avranno chiesto. E gli avranno sicuramente creduto quando lui avrà detto "Certo, andate pure, non c'è problema". I miei fratelli non hanno un briciolo di empatia.
«Sì, va bene. A dopo,» risposi soltanto.
Suna si sedette di fianco a me. «Ti disturbo se sto qui a studiare?»
Il suo tono era piatto e calmo, se non lo avessi conosciuto, non avrei mai pensato che fosse terribilmente arrabbiato in quel momento.
«No.» Spostai le mie cose per fargli spazio sul tavolino.
Passammo almeno mezz'ora in silenzio. Mi sentivo un po' in imbarazzo. Suna non cercava di rendere imponente il suo dolore, ma lo percepivo lo stesso.
«Suna,» mormorai, richiamando la sua attenzione. «So che noi non andiamo esattamente d'accordo, ma se avessi bisogno di qualcosa -»
Una risata amara interruppe il mio discorso.
«Quindi ora vuoi fare l'amica, [T/n]-chan? Dolce da parte tua,» sibilò Suna, in un tono tanto acido quanto sarcastico.
Mi alzai dal pavimento, prendendo le mie cose. Cosa pensavo mi avrebbe risposto?
«Errore mio,» sbuffai, poi me ne andai in camera.
Ma cosa mi era venuto in mente? Io e Suna non eravamo amici e sicuramente non gli sarei stata d'aiuto in alcun modo. Era stato stupido da parte mia pensare che le mie parole gli avrebbero fatto piacere.
Non doveva comunque rispondermi così, disse la vocina nella mia testa. Come potevo pretendere che Suna fosse garbato con me quando ce l'aveva con il mondo, però? D'altronde, io avevo fatto la stessa cosa quando avevo saputo di mio padre e di mio zio.
Mi sedetti alla mia scrivania. Odiavo essere così empatica. Volevo giustificare Suna ed accusarlo allo stesso tempo, e questo servì solo a procurarmi un gran mal di testa.
Qualche istante dopo, Suna aprì la mia porta senza bussare e se la chiuse alle spalle. I suoi occhi verdi quel giorno sembravano più grigi e vuoti del solito, ma, in qualche modo, anche più espressivi.
«Te ne puoi andare?» chiesi.
«Scusa,» mormorò e si sedette sul mio letto senza guardarmi. «Non ce l'ho con te, è che sono arrabbiato e so che non avevo alcun diritto di risponderti in quel modo quando stavi solo cercando di fare qualcosa di buono per me.»
Rimasi immobile a guardarlo. Non sapevo bene come rispondere. Dovevo essere sarcastica? Magari Suna si trovava meglio con quella versione di me. O forse avrei dovuto dirgli che non importava e che lo capivo? Perché era così. Dentro di me, tirai un sospiro di sollievo alle sue parole, anche se mi fecero realizzare quanto Suna fosse realmente triste in quel momento. Parlava nello stesso modo in cui mi aveva detto "Non importa" dopo che lui e la squadra di pallavolo avevano preso ai nazionali l'anno prima.
«Non riesco a parlare dei miei sentimenti ad alta voce, nemmeno con Osamu e Atsumu», ammise.
Io annuii e girai la mia sedia in modo da poterlo guardare in faccia. Gli sorrisi leggermente. «Grazie per esserti scusato. E se posso fare qualcosa per aiutarti a stare meglio, fammelo sapere. Ok?»
Suna mi guardò come se gli avessi appena regalato tutto l'oro del mondo, incredulo. La cosa mi metteva un po' a disagio, quindi aggiunsi, «Approfittane fin quando puoi. Appena tornerai ad essere il solito stronzo insopportabile, anche io tornerò al mio solito comportamento.»
Questo gli strappò un sorriso. Annuì riportando lo sguardo sul pavimento.
Suna si passò una mano tra i capelli e poi si alzò. Mi salutò ed uscì dalla mia stanza.
Cercai di rimettermi a studiare, ma la voce monocorde del moro continuava a ripetersi nella mia testa. Chissà cos'era successo a casa sua... No, non sono affari miei, mi dissi.
Il mio telefono vibrò, mostrando una notifica. Era un messaggio di Kumiko che mi chiedeva se volessi fare una videochiamata per ripassare insieme. Sorrisi, era proprio ciò di cui avevo bisogno in quel momento. Senza aspettare, la chiamai.
Il suo viso apparve sullo schermo qualche secondo dopo.
«Hey,» dissi.
«Ciao [T/n],» rispose lei. «Da che materia vuoi cominciare?»
Studiammo insieme per qualche ora, fino a quando mia madre non mi chiamò per la cena.
Salutai Kumiko, dicendole che l'avrei richiamata più tardi per raccontarle ciò che era successo poco prima con Suna, e raggiunsi la mia famiglia per mangiare.
Ciao!
Avanzate ipotesi, sù. :P Cosa sarà successo a casa di Suna?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Alla prossima!
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