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39. Di Notte - Parte 2


Che vi dicevo di diavoli, pentole e coperchi?

Ero chiusa negli spogliatoi proprio con Prinz. Mi venne il mal di testa all'idea che ci avrebbero liberati solo la mattina dopo e saremmo sicuramente diventati il caso della scuola. Addio privacy. A meno che...

- Tu non hai le chiavi? - suggerii.

- No, non me le hanno lasciate. Le ha solo la signora delle pulizie con cui lavoro ma oggi non è di turno. -

- Scusa, ma allora chi è che ci ha chiusi dentro? -. Prinz ci pensò su qualche secondo.

- Gabriele. E' stato l'ultimo a uscire. Forse Andrea pensava che fossi già fuori e gli ha dato il via libera a chiudere tutto. -

- Chiamalo! - esclamai.

Prinz tirò fuori il cellulare e provò a contattare il coach; rimase in attesa diversi secondi finchè la voce femminile della segreteria telefonica non lo invitò a lasciare un messaggio.

- Ciao, sono Francesco. Mi hai chiuso in palestra. Puoi venire a tirarmi fuori di qui? - e riattaccò.

- Dai, vedrà la chiamata persa. Idea! Provo a chiamare Irene, magari è con lui! -. Smisi di farmi le paranoie, ormai il disastro era stato combinato.

Tirai fuori il cellulare dalla tasca del cappotto e provai a chiamare la mia amica. Dopo due squilli il cellulare divenne muto e la musichetta di spegnimento mi trapanò l'orecchio. Guardai il telefono sconvolta, provando a pigiare i tasti ma niente: il mio cellulare si era scaricato.

- Ma no! - esclamai. - Fortuna che è nuovo. -

Prinz mi diede il suo cellulare. - Vuoi provare a chiamarla con il mio? -

Scossi la testa. - Non ricordo i numeri delle mie amiche a memoria, sono abituata a chiamarle dalla rubrica del cellulare. Mi propongo sempre di memorizzarli per evitare situazioni come questa ma a quanto pare non ho ancora imparato la lezione. -

- Provo l'ultima risorsa: Andrea -. Prinz prese il cellulare e chiamò l'amico ma il cellulare sembrava non prendere. Il ragazzo imprecò. - Dove cazzo è andato a finire quell'altro? -

- Che facciamo? - domanda retorica.

- Aspettiamo. - disse appoggiandosi al muro e mettendo a terra il borsone.

- Non ho tutta la sera per farlo. E se facessimo come nei film? - Prinz alzò un sopracciglio. Gli sorrisi e cominciai a cercare nella borsa una forcina. - Ta da!!! - esclamai fiera, estraendola e mi fiondai verso la porta. Provai a rigirarla nella serratura ma la porta era ancora bloccata. - Uffa, ma nei film funziona sempre! -

- Lascia perdere, dammi retta -. Prinz si avvicinò per controllare quello che stavo facendo - con una forcina non fai proprio niente. Servirebbe un foglio di acetato o una tessera, se la porta non fosse stata chiusa a chiave. -

- Ci riusciresti? -

- L'ho fatto un paio di volte -. Lo squadrai: di sicuro lo aveva imparato dai suoi vecchi amici. - Può essere utile ma non ne vado orgoglioso. - disse girandosi e andando a sedere su una panca.

Tutto a un tratto nei suoi occhi era passato un velo di tristezza. Lasciai perdere i miei stupidi tentativi e andai da lui. Non mi sedetti ma rimasi in piedi al suo fianco.

- Lo hai fatto per rubare? -

- Qualche volta all'inizio. Piccoli negozi che non chiudevano a chiave pensando che la porta potesse aprirsi solo da dentro o con le chiavi -. Mi sentii una stupida ad averglielo chiesto, ero più imbarazzata io di lui.

- Scusa, non volevo. -

- Ho fatto ben di peggio, credimi -. Un brivido mi passò lungo la schiena: una parte di me era curiosa, l'altra era terrorizzata di udire racconti raccapriccianti. Ma quello era il suo passato, non lo potevo ignorare e nemmeno lui; avrebbe convissuto con quell'anima oscura per tutta la vita.

Mi sedetti accanto, volevo fargli capire che non avevo paura anzi, che gli ero vicina. - Ho sparato a un poliziotto, ho sequestrato il preside e ho preso in ostaggio quel tuo amico, Castelli, minacciandolo con la sua stessa pistola. Tutto questo prima di partire per Milano. Credevo di aver toccato il fondo ma ogni volta che mi avvicinavo, mi accorgevo di essere ancora lontano -. Prinz sapeva che lo stavo fissando in silenzio e non alzò mai la sguardo da terra.

- Ora sei qui, però. - dissi accennando un sorriso.

- Si, perché sono arrivato alla fine. Ho spacciato droga, ho fatto morire delle persone. Io e Nero eravamo pieni di debiti, ricercati dai clan finchè non siamo riusciti a diventare qualcuno e guadagnarci un po' di rispetto. Ma quella non era la vita che volevo. Me ne sono accorto appena in tempo e sono tornato qui. Sono corso dai miei ma quando sono arrivato a casa, ho trovato solo mia madre. Mio padre se ne era andato. Sono riuscito a distruggere persino la mia stessa famiglia. -

Mi sentivo male. Ero rattristata, delusa, come mi ero già sentita in passato quando lui si confessava con me e come le altre volte, mi chiedevo cosa ci facessi lì. Poi capivo: lui non era così, quella non era la sua indole. E ora mi stava chiedendo aiuto. Chiusi gli occhi e mandai giù quelle parole e quelle immagini.

- A me non importa quello che hai fatto. Tu sei stato il mio primo ragazzo, mi hai insegnato cosa significa amare e perdere. Mi hai sempre aiutata, sei stato l'unico ad avere sempre creduto in me. Io ti conosco per questo, non per quello che non ho visto né vissuto. -

Prinz rimase in silenzio a fissare ancora il pavimento finchè non si alzò e fece un giro. Era il suo modo di scaricare la tensione. - Mi dispiace per i tuoi. - dissi.

- Ora le cose si stanno sistemando. -

- Li ho visti alla partita. Erano seduti dietro di me. Assomigli molto a tuo padre, sai? -

Prinz si girò e mi fissò. - è stato lui a farmi conoscere questo sport. -

- Quante partite vi mancano? - domandai per cambiare discorso.

- Quattro. Se le vinciamo andiamo alle regionali. -

Sorrisi. - Impegnati, ok? Almeno uno dei due deve vincere. Tra di noi, intendo -. Incrociai le gambe sulla panca, stringendomi nel cappotto.

Prinz continuava a gironzolare e si fermò a fissare le finestre sopra la mia testa. Erano molto in alto e dagli spifferi passava aria gelida. Era gennaio, fuori era già buio e avevo freddo.

Mi alzai in piedi, mi stiracchiai e feci un po' di movimento per scaldarmi. Avevo male la schiena per la posizione storta in cui ero stata: le panche erano scomodissime. Prinz mi guardava divertito.

- Che stai facendo? -

- Ho freddo e ho mal di schiena. -

- Anche la porta che dà sulla palestra è chiusa, o avremmo potuto prendere dei materassi. Aspetta, però -. Lo vidi andare in bagno e udii alcuni rumori di armadietti che si aprivano seguiti poi da qualcosa che strisciava.

Ritornò in spogliatoio con un piccolo materasso, giusto per una persona. - Lo teniamo qui per le emergenze, metti che qualcuno stia male o abbia i crampi. è piccolo ma è più pratico e veloce da trasportare, rispetto a quelli che si usano per gli esercizi. -

- Fantastico! -. La mia schiena stava gridando di felicità e appena lo appoggiò a terra, mi ci buttai sopra. - Bene, un problema risolto. Ora rimane solo quello del freddo. -

- Se non ti offendi, puoi toglierti il cappotto e appoggiarti a me -. Lo guardai con un enorme punto interrogativo al posto degli occhi. Prinz capì e mi fece alzare, accostò il materasso al muro, si sedette e mi invitò a fare lo stesso tra le sue braccia. Indugiai qualche secondo ma mi dissi che avevo freddo e poi, ero stata tante volte con lui in quella posizione, che male c'era?

Tolsi il cappotto come mi aveva suggerito e mi sedetti, mentre Prinz sistemava l'indumento addosso a noi come fosse una coperta. Il tepore e la morbidezza che mi trasmetteva il contatto con il suo corpo, erano un balsamo per la mia schiena ma anche una tremenda tortura, soprattutto per lui: una dolce tentazione a cui non potersi lasciar andare.

I primi cinque minuti passarono nel silenzio totale, l'imbarazzo per quel casto momento di intimità ci aveva tolto la parola,  poi mi venne in mente una domanda.

- Quanto tempo sei stato a Milano? -

Prinz fece qualche conto con le dita. - Circa due mesi, da quando ho occupato la scuola fino a novembre. -

- Davvero? Pensa che io ci sono andata a ottobre con i miei, era per la festa di laurea dell'amica di mia sorella. Ti risparmio lo scenario: hai presente quelle feste americane piene di fighetti e ricconi? Ecco. -

- Proprio tu là in mezzo... -

- Più che in mezzo, all'esterno. Ho passato l'intera serata fuori -. Scesi nei particolari raccontandogli del litigio con mia sorella e la sua amica, delle nonnine che mi avevano assediata. Gli dissi anche di Riccardo ma non del fantastico dopo festa. - Senza di lui, penso che sarebbe stata una noia mortale. Ti ho detto che parteciperà al Contest con il suo gruppo? Scommetto che il pubblico femminile gli sbaverà addosso. -

- Mi hai già detto almeno due volte di questo ragazzo. - puntualizzò con una punta di fastidio. - Il Rottweiler come l'ha presa? -

- Lui non lo sa. È una di quelle verità celate che non fanno male. Più che altro non volevo farlo preoccupare o ingelosire. -

- Da quanto state insieme? - Prinz entrò nei particolari con una domanda banale.

- Tre mesi ma ci frequentiamo da quest'estate. Mi è stato vicino da dopo che tu... - mi interruppi, per non pronunciare quella scomoda verità: era chiaro cosa intendessi dire. Cambiai discorso. - E tu? Quante love story hai avuto? - . Domanda a bruciapelo proprio come la sua. Prinz prese un respiro prima di rispondermi.

- C'è stata... -. Il suono del cellulare proveniva da sotto il cappotto. Il ragazzo lo prese dalla tasca e rispose.

- Pronto? Sì, Gab ti ho cercato. Sono chiuso in palestra, vieni ad aprirmi? -. Mi alzai in piedi e anche Prinz fece lo stesso, avvicinandosi a una finestra: annuì un paio di volte prima di riprendere a parlare. - No, non sono solo. -

- Non dirgli che sono qui! - esclamai avvicinandomi a lui.

Prinz mi lanciò un'occhiata e annuì. - Ok, te la passo. Tieni. - disse porgendomi il cellulare.

- No! - sussurrai facendo segno con entrambe le mani di non farlo ma lui mi ignorò e appoggiò il cellulare al mio orecchio. Rimasi in silenzio finchè una voce familiare mi parlò.

- Sarah? Sarah! So che ci sei, rispondi! -

- Irene? Non è come pensi! - mi affrettai a dire.

- Che è successo? Non ho capito nulla da Gabry. -

- Io e Prinz siamo rimasti chiusi in palestra ma non lo sa nessuno anzi, non lo devono sapere! -

- Sarah, che hai combinato? -. Irene cominciava a preoccuparsi.

- Non è come pensi tu! -

- Ok, ti credo, ma sappi che mi ha chiamata Stefano preoccupato perché non ti ha sentita. Hai staccato il telefono? -

- No, si è scaricato! E tu cosa gli hai detto? -

- Che eri andata a casa perché non ti sentivi bene! Le ragazze mi avevano detto che dovevi uscire con lui, mi è sembrato strano che... -

- Oh no! - Mi passai una mano sulla fronte e mi portai i capelli indietro - è la fine! -. Irene capì al volo la gravità della cosa e cercò di tranquillizzarmi.

- Ascolta, lo richiamo e gli dico che ti sei sentita meglio e sei venuta da me, ok? -. Il cuore cominciò a battermi forte e avvertii una sensazione di nausea allo stomaco.

- Lascia stare, il danno è stato fatto. Ti saluto. - E riattaccai. Mi sedetti su una panca e presi la testa tra le mani. Cavolo, cavolo, cavolo! E ora che mi inventavo? Era palese che era una bugia!

Prinz si accorse della mia reazione e venne a sedersi vicino a me. - C'entra il Rottweiler? -

- Smettila di chiamarlo così! - risposi scocciata.

Il ragazzo mi sfilò il cellulare dalle mani. - Sa che sei qui? -

- Non so, forse. -

- Pazzini arriverà tra poco e quando saremo fuori di qui, mi dai il suo numero che sistemo io quell'idiota. -

- Lascia stare, non voglio peggiorare le cose. - dissi seccata alzandomi in piedi. - Ho fatto io la cazzata di venire qui da te e rimanere chiusa qui dentro. -

- Non è colpa tua se ci hanno sigillati. -

- Io non dovevo essere qui! - esclamai. La rabbia e la preoccupazione mi fecero alzare la voce.

- Sarah, fregatene di quello! Se non è capace di capire queste cose, non merita nemmeno di stare con te. -

- Perché tu cosa mi dicesti? Credevi che stessi con lui e mi hai mollata! -

Il silenzio calò tra di noi. Rinfacciargli ancora quelle cose faceva male a entrambi ma ero talmente incavolata che le parole mi erano uscite fuori dalla bocca da sole. Prinz si allontanò pensieroso. - Scusa, non volevo. - mi affrettai a dire ma ormai avevo fatto il danno.

Pregai perché arrivassero in fretta, perché tutto finisse presto. La complicità era svanita, il filo spinato aveva preso il posto dei sorrisi. Sentivo freddo ma non erano gli spifferi: era la sensazione di gelo che era venuta a crearsi tra di noi.

- Prinz, senti... -

- Voglio che tu sappia che non ho mai attaccato Vito, quel giorno. Mi hanno incastrato. - mi interruppe, senza guardarmi negli occhi.

Sgranai gli occhi, sorpresa da quella rivelazione. Cosa c'entrava in un momento come quello?

- Castelli te lo ha detto quando me ne sono andato? -

Scossi la testa. - No. -

Prinz prese un respiro. Sapevo che tornare a quei momenti era per lui un grande peso e che, probabilmente, desiderava esorcizzarlo raccontandomi una verità che, fino a quel giorno, non era mai saltata fuori. Io per prima non avevo mai domandato nulla a Vito in tutto quel tempo, perchè stavo male al solo pensiero ed ero imbarazzata per ciò che era successo.

- é stato Riot. - disse fissando un punto davanti a sè.

- Riot? - ripetei incredula. Ancora quel nome, nel giro di così poco tempo. Un brivido mi percorse la schiena.

- Si. Sapeva che sarei andato lì per attaccare Andrea e Vito. Quando arrivai a scuola, Vito era già tramortito e Riot mi stava aspettando in compagnia dei suoi due scagnozzi. Mi avrebbe fatto fuori se tu e Arianna non foste arrivate. A questo giro, hai salvato tu la vita a me. -

Mi sentii un peso al petto: la verità era sempre stata davanti ai miei occhi. E io che avevo sempre creduto nella sua colpevolezza, che fosse stato davvero capace di attaccare un altro essere umano, riducendolo in fin di vita. Invece, lui era innocente e se si fosse presentata l'occasione, forse non sarebbe successo niente.

- Mi dispiace. -

- E per cosa? - domandò alzando lo sguardo.

- Perchè mi sono comportata come tutti gli altri, ti ho condannato per quel gesto abominevole, proprio come la maggior parte delle persone che non ti conosce. Per tanto tempo siamo riusciti ad andare oltre le apparenze, vedendoci per ciò che eravamo veramente. Poi, è bastato quello stupido litigio e ci siamo rifugiati nel pregiudizio degli altri. E siamo diventati ciò che siamo ora. -

Feci qualche passo verso di lui. Avevo bisogno di sentirlo vicino, di stargli accanto. Avevo bisogno di un contatto fisico che il mio cervello rifiutava di concedermi, nonostante il mio cuore stesse palpitando per farlo. Avevo bisogno di abbracciarlo.

Prinz mi fissò in silenzio: leggevo nei suoi occhi la stessa necessità muta, lo stesso desiderio di contatto. Stava combattendo contro sè stesso come stavo facendo io, una battaglia che non avrebbe portato nè a vincitori nè a sconfitti, perchè sapevamo entrambi che nessuno dei due avrebbe mosso il primo passo.

Ma la mente e il corpo giocano strani scherzi, prendono vita contro un volere razionale che governa il mondo; si lasciano andare ai sentimenti e all'attimo statico, non pensano al futuro.

Carpe diem.

Presi la sua mano nella mia e me la portai al viso: una carezza piena di calore, un contatto che come fuoco mi scaldò all'istante, incurante di ciò che sarebbe successo dopo. Il mio corpo aveva bisogno di quel cibo, un picco glicemico creato dal contatto delle sue dita calde contro la mia guancia. Lo guardai appagata.

Migliaia di pensieri attraversarono la mia mente, emozioni che avevo accantonato si illuminarono come lucciole dentro di me.

Prinz contraccambiò il gesto, accarezzandomi la guancia con il pollice. Sarebbe stato uno sbaglio, un grossissimo errore. Tutto il mondo in quel momento era sbagliato, sottosopra. E noi potevamo raddrizzarlo e tornare a farlo girare, solo per noi, nel verso giusto.

Lentamente il suo viso si avvicinò al mio, di centimetro in centimetro, saggiando la mia reazione.

E quando la punta del suo naso sfiorò la mia, quando le nostre labbra furono così vicine da sentire i nostri respiri, Prinz si fermò e alzò la testa, fissando un punto qualsiasi nella stanza.

- Prinz... -

- Sh -. Il ragazzo mi zittì. Capii che era in ascolto dei rumori fuori, non lo aveva fatto per scortesia. Mollò la presa e lo lasciai andare, allarmata. Provai ad ascoltare ma non sentivo nulla.

- Sono arrivati? -

- Non so, mi è sembrato di sentire il rumore di passi. - disse andando vicino alla porta e rimanendo in ascolto. - No, falso allarme. -

Si allontanò da me, tornando a sedere su una panca al lato opposto della stanza, allungando le gambe e incrociando le braccia al petto. Il suo sguardo era pensieroso: mi chiesi se stava rimuginando su ciò che si era interrotto un attimo prima.

Ripresi il controllo del mio corpo e tornai ad avvertire la sensazione di freddo: quel fuoco liquido, che aveva attraversato le mie vene giusto qualche momento prima, si spense all'istante. Il gelo, ora, si sprigionava da dentro me, non attorno.

- Quando usciremo di qui, voglio mettere la parola fine al passato, ok? - esclamò all'improvviso. Alzai lo sguardo verso di lui, attenta alle sue parole. - Non voglio più che parliamo di ciò che c'è stato tra di noi, il passato non può tornare, può esserci solo il presente. E il futuro. -

- Non ti seguo. - dissi frastornata.

- Io ti sto facendo ancora soffrire, lo vedi? Ripensi ancora a certe cose, come la battuta di poco fa e il risultato è che stiamo male entrambi. Noi possiamo ancora costruire qualcosa insieme, se lo vuoi, possiamo ancora essere amici. Ma l'idea che tu stia con lui e che quando vieni da me, mi tratti ancora come se fossi il tuo ragazzo... -

Il cuore prese un'accelerata improvvisa. Che cosa diavolo gli era preso?

- Prinz, io non ti tratto come se noi due stessimo ancora insieme. -

Il ragazzo si alzò e si avvicinò nuovamente a me.

- Tra noi due c'è qualcosa che ci lega. Tu continui a venire da me e io da te. -

- Mi faceva piacere dirti del Contest, credevo che anche tu lo avresti fatto, nei miei panni. -

Prinz si avvicinò ancora di più e mi prese il viso tra le sue mani, dando a quel gesto un proprio imperativo. Sentii di nuovo la pelle prendere fuoco, sotto l'epidermide, dentro di me. - Non è solo questo... - I suoi occhi si incollarono ai miei. Verde contro nero. Luce contro buio. Era da tanto che non vedevo la mia immagine riflessa nelle sue iridi e quella luce passare nel suo sguardo. - Non ricordi, vero? -

Aggrottai le sopracciglia e scossi la testa. Il suo viso tornò vicino al mio. Non glielo impedii.

Ebbi un flash del nostro primo bacio sul tetto della scuola. La stessa situazione, le stesse parole. Qualcosa dentro di me si ruppe. Mi salirono le lacrime agli occhi e cercai di cacciarle indietro in fretta perché non volevo lui se ne accorgesse. Impossibile. Mi aveva visto così tante volte con quell'espressione, che non potevo più fingere. Prinz accennò un sorriso.

- Sarah, la verità è... -. Il ragazzo si tirò su all'improvviso e girò la testa verso la porta.

- Siamo arrivati, Franz. Tutto bene? -. Era la voce del coach quella che proveniva dall'altra parte.

- Tutto ok, Gab. - rispose Prinz, ricomponendosi.

- Sarah, ci sono anche io! -. Era Irene.

- Ire! - esclamai alzandomi in piedi mentre sentii la chiave inserirsi nella toppa.

"Tra qualche istante sarà tutto finito", pensai.

La chiave girò nella toppa.

"Usciremo di qui, non saremo più io e lui"

La porta si aprì.

"Non voglio che si apra, non voglio che tutto questo finisca!"

I giochi erano fatti. La porta si aprì e notai che i ragazzi non erano soli. Sentii mancare il respiro e il cuore smise di battere.

- Stefano? - domandai con la voce strozzata in gola.

Il ragazzo mi fissava in silenzio, la mascella contratta e uno sguardo carico di rabbia e odio che non gli avevo mai visto sul viso.

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Ecco, non so voi ma non vedo affatto bene tutta questa cosa.
~*~

Temo ci scappi il morto.
~*~

é stato emozionante descrivere questo momento di privacy tra Sarah e Prinz: un momento completamente differente da quello della festa scolastica. Tra di loro è tornata una consapevolezza perduta.
~*~

E cosa stava per dirgli Prinz prima di essere interrotto?
~*~

Stay tuned!

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