Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

29. Stop & Stare

But I've become what I can't be.
Oh, do you see what I see.
⭐️

Ferrara mi sembrava più piccola di come l'avevo lasciata. Le strade, le case, i palazzi; persino le persone, le auto. E i colori: non scorderò mai più la nitidezza dei grigi, neri e marroni. Colori invernali autentici e non falsati dallo smog, come a Milano.

La stanchezza del viaggio non era nulla rispetto al desiderio di tornare a casa, suonare il campanello e dire "Sono tornato". Cosa avrei dovuto aspettarmi? Forse mia madre non viveva più lì.

Parcheggiai la moto davanti al condominio e guardai il balcone al quarto piano, da cui avevo osservato il traffico tante volte quando ero un bambino. Presi coraggio e cercai nei campanelli un suo indizio. Il nome "Lorenzi - Petrini" spiccava ancora al suo posto, nella terza riga dall'alto. Pigiai il tasto e poco dopo una voce femminile rispose.

- Chi è? -. Il cuore prese a battere forte.

- Sono io, mamma. -

- Francesco? - la sua voce tradiva una sorta di emozione - sei tu? -

- Si, sono tornato. -

La porta si aprì. Salii le scale senza avvertire il peso del borsone sulle spalle e quando arrivai davanti all'appartamento, trovai la porta socchiusa. Mi ero immaginato che mi aspettasse sull'uscio ma appena misi piede in casa, capii tutto.

Mia madre era vicina alla porta della cucina, con il cordless in mano e una pentola nell'altra. Il suo sguardo aveva perso la scintilla materna e mi guardava come se fossi un perfetto sconosciuto, un nemico. Tentai di avvicinarmi ma mi mise in guardia.

- Se sei qui per dei soldi, non ne ho. E se provi solo ad aggredirmi, chiamo la polizia. -

Appoggiai il borsone a terra sottoshock: quella non era mia madre. Cosa le ero successo?

- Mamma sono io, Francesco. Sono tornato per restare, non sei contenta? -

- Non ti credo, - rispose secca - se sei qua, vuoi qualcosa. Te ne sei andato di casa lasciandomi sola e senza darmi tue notizie per mesi. Come faccio a crederti? -

- Ti chiedo scusa -. Feci qualche passo avanti ma lei si ritrasse di nuovo. Non c'era niente da fare, gliene avevo fatte passare troppe perché potesse avere ancora fiducia in me. Cazzo, era colpa mia anche stavolta. Nascosi la rabbia per non spaventarla e decisi di giocarmi il tutto e per tutto.

Cominciai a togliermi il giubbino e la felpa. - Scusami mamma, per tutto quello che ti ho fatto passare -. Cecilia mi osservava in silenzio, senza capire cosa stessi facendo. - non sono armato, non voglio farti del male, te ne ho già fatto troppo -. M'inginocchiai davanti a lei.

- Chiamo la polizia, mi fai paura! - Cecilia cominciò a digitare i numeri sul cordless.

Presi un respiro. - E va bene, chiamali, fammi arrestare, fammi marcire in carcere perché è lì che merito di andare, ma prima ascoltami. -

Mamma mi guardò per un istante titubante e poi abbassò il braccio. Chinai la testa, non avevo coraggio di guardarla negli occhi perché mi sentivo un verme.

- Mamma, in questi anni te e papà avete vissuto una vita d'inferno a causa mia. Vi posso solo dire scusa per quello che vi ho fatto passare. Ho sbagliato, ho fatto una cazzata dietro l'altra e l'ultima è stata andarmene di casa. Voi avete cercato di riportarmi sulla buona strada ma io non capivo anzi, non volevo capire. Poi ho aperto gli occhi. E ora sono qui per questo. Voglio tornare alla mia vecchia vita, voglio tornare a scuola, voglio vivere qui, con te. -

Alzai appena lo sguardo per vedere Cecilia portarsi una mano alla bocca. Sembrava sul punto di piangere.

- Più di così non so cosa dirti, non so come farti capire che sono cambiato, che sono tornato. Non voglio più buttare via la mia vita. -

Mamma si inginocchiò davanti a me, poggiando la padella e il cordless sul pavimento. Mi guardò dritto negli occhi, accarezzò il mio viso come faceva sempre quando ero bambino e mi perdonava dopo una marachella. - Francesco. - sussurrò appena. Annuii e la vidi accennare un sorriso mentre qualche lacrima scese dai suoi occhi. - Sei tornato, finalmente -.

Mi abbracciò stretta a sé e io mi lasciai cullare, ascoltai il suo pianto di gioia dopo tanta amarezza. Contraccambiai il gesto e lei si scostò, prendendomi il viso tra le mani per osservarmi, spostandomi i capelli dalla fronte. - Sei tornato a casa, sei tornato da me -.

***

Mamma aveva voluto a tutti i costi tagliarmi i capelli in vista dell'incontro con il preside, due giorni dopo il mio rientro. Diceva che mi avrebbe dato un'aria più ordinata, più curata. La lasciai fare, era al settimo cielo; solo con i vestiti trovai un accordo: camicia e pullover in cambio di jeans e scarpe a tennis.

Moto e giubbino di pelle erano solo stati messi nell'armadio ma mentre la prima non l'avrei utilizzata senza aver preso una patente vera, il secondo avrei continuato a usarlo nel tempo libero.

Eccoli qui davanti i miei aguzzini, che avrebbero dovuto giudicarmi e ritrattare la loro precedente sentenza. Non sarebbe stato facile, ma il giudice che temevo più di tutti era Gabriele Pazzini, il coach.

L'ultima volta che avevo messo piede in quella scuola avevo coinvolto un suo giocatore e aveva il pieno diritto di dire la sua sul mio conto. Il coach mi guardava con fare passivo, quasi severo mentre il preside si sprecava in parole inutili.

- Signora, quello che ci sta chiedendo qui oggi non è che una replica del nostro precedente incontro. Il ragazzo dice di essere cambiato ma chi ci garantisce che non abbia più strane frequentazioni e soprattutto, che non ripeta i comportamenti aggressivi nei confronti di altri studenti dell'istituto? -

- Non è certo un capello corto o una camicia inamidata che possono darci la sicurezza. Lo sa anche lei che l'abito non fa il monaco. Neanche io avrei mai potuto sospettare che un ragazzo dall'aspetto così angelico potesse essere in realtà un piccolo diavolo -. Mariani fece la sua stoccata. Mi imposi di rimanere calmo mentre mia madre, seduta al mio fianco, deglutì in silenzio. - Senza contare che l'ultima uscita di testa di suo figlio, signora, ha messo tutti in serio pericolo: le ricordo che ha occupato la scuola, sequestrato la persona del preside e alcuni studenti ed è riuscito a farla franca prendendo in ostaggio l'autorità di un ispettore di polizia. -

- Abbiamo sospeso gli altri alunni coinvolti e non possiamo certo riammettere il capobanda. Come lo giustificheremmo ai nostri superiori? E che figura potremmo mai fare nei confronti di altri istituti? -. Il preside si stava riprendendo la rivincita per quello che gli avevo fatto passare durante il mio ultimo giorno di scuola.

Mia madre era immobile, non sapeva cosa dire: leggevo nei suoi occhi il desiderio di difendermi ma come poteva se io ero dalla parte del torto? Mi alzai, mi avvicinai al loro tavolo e decisi di difendermi da me.

- Lorenzi, si sieda immediatamente! - mi ammonì il Preside.

- Prima mi ascolti, poi deciderà cosa fare -. Il silenziò calò e io presi parola. - Ho occupato la scuola con il solo intento di scoprire chi fosse il reale colpevole dell'assalto fatto a discapito mio e di Mirko Vittorini. Io ero innocente, il colpevole non era in mezzo a noi ma tra quei ragazzi che reputavo miei amici, c'era il complice. Non ho mai voluto fare del male fisico a nessuno, ero disarmato e sia il preside che la polizia possono testimoniarlo. Ho liberato l'ispettore Castelli appena uscito da scuola quando avrei potuto invece farlo fuori, se avessi voluto. Sono sempre stato ambizioso, mi è sempre piaciuto fare le cose in grande e il coach Pazzini lo può dimostrare. - dissi gettandogli un'occhiata. Gabriele alzò lo sguardo sentendosi nominare e si mise sull'attenti. - Quando giocavo a basket ero sempre arrogante e superbo, non è vero? - lo incalzai.

- Torni immediatamente a sedersi! - mi rimproverò Mariani. Rimasi per qualche istante a fissare il coach ancora chiuso nel suo silenzio e quando capii che non avrebbe parlato, obbedii all'ordine del vicepreside. Mia madre mi guardò con fare severo ma non mi rimproverò: per lei avevo fatto la cosa giusta.

- Lorenzi, analizzeremo il suo caso ma al momento non vedo ancora un buon motivo per riammetterla in questo istituto. Ci lasci qualche giorno per discuterne. - sentenziò il preside.

- Permettetemi una parola, signor preside -. Mia madre aprì bocca prima che ce ne andassimo. - so che voi sceglierete ciò che sarà meglio per voi ma vi ricordo che studiare è un diritto e non potete privare chi desidera farlo. -

- Certe persone dovrebbero pensare a salvaguardare i loro diritti anziché pentirsi di averli persi -. Le labbra di Mariani si mossero appena nel pronunciare quella frecciatina. Mia madre salutò, io no. Avevano già deciso tutto, ecco la sentenza. E non sarei più entrato lì dentro per il resto della mia vita.

- Ci abbiamo provato. Spero che ci ascoltino. - disse mia madre mascherandosi dietro un sorriso, mentre andavamo verso la sua auto. Rimasi in silenzio per non deluderla. - Che dici, Franci? -

Ero pieno di rabbia per quello che era successo, ci eravamo fatti prendere in giro ma peggio ancora, non potevamo farci niente. Avevano ragione.

- Vuoi la verità? Non ci credo. - sentenziai. Mia madre tornò seria di colpo. - Ascolta, fa lo stesso. Anche papà non ha un diploma, farò qualche corso e troverò lavoro come tutti gli altri. -

Mamma scosse la testa. - È per questo motivo che voglio che tu studi. Voglio che tu abbia un futuro migliore rispetto al nostro. Quando giocavi ci credevo, sai? Ma ora è rimasto ben poco -.

Prese le chiavi dalla borsa, aprì l'auto e salì. La seguii e mentre la macchina partiva, guardai per l'ultima volta la scuola.

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

Prinz è tornato a casa, lasciandosi alle spalle le cattive amicizie e abbracciando una nuova voglia e ragione di vita
~*~

Il primo passo per ricominciare è essere riammesso a scuola.
Certo, presentarsi davanti all'intero corpo insegnanti con ancora fresca la sua ultima apparizione in quel contesto, è piuttosto difficile.
~*~

Glielo permetteranno?
~*~

Stay tuned!

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro