14. Run - parte 3
Ero entrata, ce l'avevo fatta. Ero sola. La scuola era chiusa in un silenzio innaturale. Qualche volta avevo desiderato ritrovarmi chiusa nell'istituto alla fine delle lezioni, per curiosare nelle aule e negli uffici, gironzolare senza meta solo per l'effetto di vedere l'istituto vuoto. Bene, almeno questo desiderio era stato esaurito.
Non nascondo provassi un po' di paura nel trovarmi a calpestare gli atri deserti, perdendomi nell'eco dei miei passi e mi guardavo attorno in continuazione in stato di allerta. La curiosità battè la mia razionalità e con il cuore in gola, facendo i gradini due a due raggiunsi l'aula magna.
La fredda e statica porta tagliafuoco era sigillata e solo occhi invisibili avrebbero potuto sapere cosa succedeva là dentro. Davanti ad essa, i due bidelli e il professore di economia della mia sezione stavano immobili e si girarono all'unisono quando mi videro.
- Cosa ci fai qui? Esci immediatamente dell'edificio, è pericoloso. - sentenziò il professore.
- Devo entrare. - esclamai in tono deciso. I tre uomini rimasero per un attimo in silenzio, inaspettati delle mie parole - avete provato ad aprire? -
- Secondo te cosa stiamo facendo qui fuori? - intervenne il professore innervosito.
- Non si può, è bloccato da dentro. - aggiunse gentilmente il bidello con i capelli bianchi.
- Provate a buttare giù, a forzare... fate qualcosa! Devo entrare, devo parlare con uno di loro! -. Avevo un brutto presentimento poiché non sentivo nessun suono provenire da dentro.
- Lo vuoi capire che non possiamo fare niente? - gridò spazientito il professore.
Non lo ascoltavo affatto. Continuavo ad avere fissa nella testa l'idea di dover entrare. Feci un passo avanti spostando con un gesto i tre uomini e presi la maniglia del portellone, cercando di manometterla ma il secondo bidello mi prese per le spalle e mi bloccò.
- Lasciami andare! - gridai spazientita.
- Ragazzina, romperai tutto! Vattene o farai solo dei danni a noi e a te! - mi rimproverò il professore.
- Io non sono una ragazzina! So benissimo cosa sto facendo! - gridai e con un colpo deciso riuscii a liberarmi.
- Prendetela! - ordinò il professore ai due uomini. Uno mi prese per le spalle e l'altro mi cinse in vita tentando di trascinarmi via. Stavo lottando con tutte le mie forze per opporre resistenza ma erano più forti di me.
- Lasciatemi andare! - continuavo a gridare divincolandomi – devo parlare con uno di loro! -
Un'imprecazione arrivò da dentro: l'urlo ci minacciò di fare silenzio. Tutti ammutolirono; i due bidelli mollarono la presa e io mi fiondai di nuovo verso la porta.
- Prinz! Sono io! Aprimi! - gridai battendo il palmo della mano contro la porta.
Silenzio anche all'interno dell'aula.
- Sarah? - chiese improvvisamente una voce da dentro.
- Sì - risposi, contenta per un istante che mi avesse riconosciuta.
Lei era qui. Dopo tutto ciò che era accaduto tra di noi, lei era ancora lì per me. Non dovevo lasciarmi abbindolare: c'era dietro senz'altro qualche stupido motivo e Sarah era ormai diventata il mio passato.
- Vattene. - le gridai. Dopo un attimo di silenzio arrivò la sua risposta.
- Non me ne andrò finchè non esci e liberi tutti! -
La solita testarda. Mi venne da sorridere ma mi trattenni: non era il momento di abbandonarsi ai ricordi. Mascherai il sorriso, scoppiando in una fragorosa risata per sottolineare la cazzata che aveva appena sparato.
- Fai quel cazzo che ti pare. Puoi startene lì fuori fino a domani. Io non ho affatto intenzione di uscire. La festa qui dentro è appena cominciata. -
Era proprio lui. Non avevo dimenticato il suono della sua voce. E il suo carattere. Dovevo immaginarmi che avrebbe reagito in quel modo.
Deglutii e mi preparai a udire altre parole così dure e dirette. Il ragazzo che avevo conosciuto non c'era più: quello che si trovava aldilà della fredda porta di metallo, era il teppista che avevo odiato. Non me ne sarei andata: ero davvero disposta a passare tutto il giorno lì, pur di vederlo o anche solo parlargli.
Aveva usato la parola "festa": era questo che mi aveva fatto preoccupare. Come non pensare al peggio sapendo che in quell'aula erano rinchiusi il preside, un giocatore di basket e un gruppo di teppisti capeggiati da un ragazzo che odiava quello sport?
- Prinz, cosa sta succedendo? -
- Non sono affari tuoi. – disse freddo.
Deglutii e presi coraggio per replicare. - Prinz, ti prego, non fare sciocchezze. -
Avevo immaginato il nostro incontro diverso: un altro scenario, altre parole. Ora l'emergenza era di evitare che cacciasse nei guai sè stesso e gli altri innocenti.
- Sono venuto qui in cerca della mia vendetta e non sarai tu a impedirmelo. -
Mi gelai. Aveva parlato di vendetta, avevo capito bene?
Ti prego, fa che non ci sia nessun ferito, che tutti stiano bene.
– Sarah! - udii una voce femminile – Io e Vito sti.... - la voce si interruppe. Era Arianna. L'agitazione salì insieme al battito del mio cuore. I miei amici erano là dentro e io non sapevo come fare per liberarli.
– Arianna! - gridai per far sentire la mia vicinanza. Cosa era successo? Perchè la mia amica non mi rispondeva? - Prinz, per favore, lasciali andare. -
- Ragazzina, te lo ripeto: non sono affari tuoi quello che succede qui dentro. Vattene! - gridò. Il tono della sua voce era carico di rabbia. Mi sentii aggredita dalle sue parole ma cercai di rimanere calma.
Era come ripartire da zero. Sembrava parlasse con una perfetta sconosciuta. Proprio come il primo giorno che lo incontrai. Avevo imparato dal passato e sapevo che l'unico modo per farmi ascoltare era mettergli le spalle al muro attaccandolo. Mi avrebbe odiata più di quanto stava già facendo ma non avevo scelta. Dovevo salvarli. Dovevo salvarlo. E per farlo, avrei sacrificato i miei sentimenti.
– Ti credi forte? Ti senti potente ad avere preso in ostaggio degli innocenti solo per una tua stupida vendetta personale? Ma non pensi a quando uscirai di qui? - rincarai la dose. - Ti credevo una persona migliore e invece sei ricaduto in basso. Credevo di averti cambiato e invece sei tornato a essere il solito perdente che se la prende con il primo che passa... -
– Stai zitta!- gridò.
- No, non sto zitta! Una volta che avrai raggiunto il tuo scopo, continuerai ad avercela con il mondo e chiunque osa metterti in dubbio. Continuerai a nasconderti dietro la violenza, a tormentarti su come sarebbe stato il tuo futuro senza quell'incidente, senza mai deciderti a crescere! - gridai con il cuore a mille. Non avrei mai voluto dirgli quelle cattiverie ma non potevo che agire così.
Silenzio per qualche istante.
All'inizio mi aveva solo infastidito, ma ora aveva toccato il fondo dandomi del perdente e dell'immaturo proprio davanti ai miei amici e a questi deficienti. Come cazzo si era permessa di dire quelle cose proprio a me?
Dentro gridavo. Non ero un idiota. Non ero un perdente. La rabbia crebbe in me: mi convinsi sempre più che avevo fatto bene a mollare quella cretina.
- Sei solo una stupida a dire queste cose! - le gridai con tutta la voce che avevo. Un'altra parola, e l'avrei uccisa...
- Prinz, vuoi che vada fuori? - mi chiese Bite.
- Lascia stare, non vale la pena che ti sporchi le mani. Voglio occuparmi io di quella puttanella. - gridai forte in modo che sentisse il nuovo soprannome che le avevo dato.
La ragazza rimase in silenzio. Pensavo di averla spiazzata: errore. L'avevo solo sottovalutata.
- Meglio essere una troia che un perdente come te! - gridò, la voce interrotta a metà da quello che sembrava un singhiozzo. L'avevo ferita, avevo raggiunto il mio scopo, ma anche lei era riuscita a scalfirmi.
Non ci vidi più dalla rabbia e con tutta la forza che avevo, mi diressi verso la porta e scagliai un pugno.
Avevo usato delle parole forti ma lui era riuscito a spiazzarmi offendendomi... perchè? Pensava ancora che io l'avessi tradito? Non credevo che l'odio che covava verso di me fosse così grande da fargli dire quelle cose. Non pensavo davvero che arrivasse a tanto.
Mi feci forza e presi la palla al balzo: gli risposi con tutto il dolore e la rabbia che avevo, trattenendo un singhiozzo. E rimasi in ascolto.
Udii un forte tonfo e feci un passo indietro spaventata; per un attimo pensai che la porta mi sarebbe crollata addosso. L'avevo colpito nel vivo e ora mi avrebbe ascoltata. Aveva reagito scagliando un colpo contro la porta e ora lui era lì, davanti a me. Solo il metallo a separarci.
Appoggiai la mano nel punto d'impatto del colpo e cominciai a parlargli.
La mano mi bruciava dal dolore ma non ci diedi troppo peso. Aprii il pugno, lasciando il palmo steso contro la porta mentre il formicolio iniziava a scomparire e il pulsare frenetico del mio cuore nel mio arto, rallentava.
Solo in quel momento compresi che aveva detto quelle parole per smuovermi; sorrisi tra me e me nel constatare che ancora una volta, ero caduto nella sua trappola e ora l'avrei ascoltata.
- Francesco... - disse talmente piano che faticai a capire il mio nome.
- Cosa vuoi? - risposi senza enfasi.
- Non sono qui per parlarti di me. Per sapere cosa ho fatto di male perchè tu mi tratti così. No. Sono qui per chiederti di lasciare stare il preside e i miei amici. Esci di lì, allontanati con il tuo gruppo. Andatevene. - disse. Mi stava supplicando.
- Che cazzata. - esclamai.
- No, non la mia. La tua è una vera e propria cazzata! Prendersela con loro non ti farà riavere ciò che hai perso. - rispose in tono autoritario. In aula c'era il silenzio assoluto. La voce di Sarah arrivava fioca e gli altri, curiosi di sentire quello che stava dicendo, quasi non fiatavano. Non le risposi e lei continuò.
- Non ha senso quello che stai facendo! Finchè non affronterai il tuo problema continuerai a essere solo e insoddisfatto e a vivere all'interno del circolo vizioso che ti sei costruito! Apri gli occhi, ti prego! -
- Stai sparando solo delle gran cazzate. Tu non sai niente, non hai capito nulla, ragazzina! - Quella stupida non aveva la minima idea del perché fossi lì e stava giocando a fare l'eroina.
- Allora dimmi tu come posso aiutarti. -
- Non sono affari tuoi! - tagliai corto.
- Ti sbagli. Io... io non ho mai smesso di pensarti - disse indugiando - Ti voglio ancora bene -. Sussultai: lo aveva ammesso. Rimasi calmo.
- Ah si? Tanto da consolarti subito con qualcun altro? - domandai innervosito. Sarah rimase un attimo in silenzio.
- Mi hai vista con Stefano e hai pensato che stessi insieme a lui, vero? - mi chiese. Adesso, fui io a non rispondere. - Se davvero avessi qualcun altro, pensi che starei qui? Pensi che ti avrei detto quelle cose? Pensi che rimarrei qui a preoccuparmi per te, a tentare di farti uscire dal guaio in cui ti sei cacciato? Ti voglio ancora bene, credimi. - gridò con una nota di disperazione.
Non sapevo cosa pensare. Appoggiai la fronte alla porta: c'era una grande confusione nella mia testa. Una parte di me voleva crederle ma l'altra mi diceva di non abbassare la guardia. Erano solo parole dette da una ex, che valore potevano avere?
Eppure qualcosa continuava a dirmi che quella era la verità. Non era tutto morto dentro di me. Tuttavia, lei mi aveva tradito: forse non con quella mezzasega ma lo aveva fatto comportandosi come tutti gli altri idioti. Rancore, sfiducia. Erano questi i sentimenti che prevalevano in me e tutto il resto perdeva d'importanza.
- Non me ne frega un cazzo, Sarah. È tutto finito! Non ho più bisogno di te, tanto meno di qualcuno che ficchi il naso nella mia vita. VATTENE!- gridai, con tutta la rabbia che avevo addosso.
F – I – N – I – T – O.
In una parola, la risposta a quella domanda che per mesi mi aveva torturato, che mi aveva impedito di vivere e lasciarmi tutto alle spalle.
Volevo la verità? Eccola appena uscita dalla sua bocca, capace di trapassare la porta che ci divideva e ferirmi. Non sapevo più che dire, ma decisi di non buttarmi giù e restare forte. Dopo un attimo di silenzio, cercai di trovare le parole giuste per rispondergli. Era difficile parlare ora.
- Dovevo immaginare che... io... -
- La vuoi smettere di farneticare e lasciarmi andare? Ho cose più importanti da fare che sentirti frignare - mi interruppe.
- Francesco... - La voce mi venne quasi meno. Non riuscivo a rendermi conto che era davvero lui a parlare in quel modo, a dirmi quelle cose così malvagie. Mi rifiutavo di crederci.
Una voce dall'interno si intromise tra di noi. Udii dei passi e le parole iniziarono a definirsi.
- ... così meniamo anche loro -. La voce di uno sconosciuto si intromise.
- Non perdiamo tempo con questi. - gli rispose Prinz.
- Lasciami almeno la ragazza. - disse il suo amico.
Il portellone si aprì di appena cinque centimetri, tanto mi bastò per vederlo. Era tale e quale all'ultima volta che lo avevo visto: lo sguardo imbronciato dipinto sul volto, i capelli chiari, cresciuti fino alle spalle, che cadevano sugli occhi trasparenti come acqua e... si, avrei giurato che era una nota di malinconia quella che vi leggevo. Trattenni il respiro per l'emozione.
I nostri sguardi si incrociarono: un flebile bagliore attraversò i suoi occhi. Non avevo più dubbi che fosse stato davvero lui a dirmi quelle cose, ad aver preso in ostaggio la scuola. Tristezza e delusione mi presero il respiro.
Conti, uno degli amici di Nero, aprì il portellone. Accadde tutto in una frazione di secondo: lei era esattamente davanti a me, lo sguardo rassegnato e deluso sul viso pallido, incorniciato dai capelli neri come pece. Quella era davvero Sarah. Non l'avrei mai dimenticata in quell'istante.
Aveva gli occhi rossi, le pepite carbone delle sue iridi quasi scomparivano nella tristezza di quello sguardo: era sul punto di piangere ma stava trattenendo coraggiosamente le lacrime per non dimostrare la sua fragilità. Combatteva fino all'ultimo, persino in un momento come questo. Alla fine, rimaneva lei la più forte tra noi due.
Dovevo richiudere quella dannata porta al più presto: la sensazione di prima era superficiale. Non potevo rischiare.
Presi coraggio e chiusi la porta di scatto, dicendole definitivamente addio.
Con un tonfo secco la porta si chiuse. Gli avevo parlato, lo avevo visto e ora era tutto finito. Sbattermi la porta in faccia voleva dire solo una cosa. Rimasi in ascolto, sperando che potesse riaprire: lo sentii chiacchierare con Alex e poi udii dei passi che si allontanavano.
- Francesco. - dissi piano. Non mi arrivò alcuna risposta. Diedi un colpo alla porta: ancora silenzio. - Francesco! - lo chiamai più forte. Di nuovo nulla. Sentii la rabbia crescere dentro, unita al dolore e alla delusione. Iniziai a prendere a pugni la porta fino quasi a far sanguinare le nocche. Ancora nulla.
- E va bene! Mi arrendo, contento? Me ne vado, non voglio più vederti! - gli gridai con quanto fiato avevo in gola. Mi faceva male il petto per lo sforzo che avevo fatto. Il respiro iniziò a diventarmi affannoso ma non stetti zitta.
- Sei solo un bastardo, uno stupido, un... e-egoista..., u-un... -. Le lacrime traboccarono ma mi asciugai in fretta gli occhi. Non volevo piangere. Deglutii per trattenere i singhiozzi e calmare il respiro. - u-un arrogante... un.. - non sapevo più che dire e tacqui.
Sentivo dentro tante parole ma non ero più in grado di pronunciarne nemmeno una. Avrei voluto proseguire all'infinito, sfogare la mia rabbia ma non avevo più voce. Mi sentivo vuota.
Sentii una mano sulla spalla e un leggero profumo di tabacco mi pervase: senza accorgermene, l'ispettore Castelli era entrato nella scuola con alcuni poliziotti e mi fece segno di stare zitta.
Lo abbracciai d'istinto e lui ricambiò per un istante prima di staccarsi e farmi cenno con la testa di guardare giù dalle scale: le mie amiche erano davanti a me a braccia aperte e mi stavano aspettando.
Le raggiunsi scortata da Castelli e in meno di due secondi fummo fuori dall'istituto. Mi resi conto solo allora che la scuola era disseminata di uomini della polizia e gli alunni erano stati fatti allontanare.
- Siamo entrate con la polizia dieci minuti dopo che tu eri entrata - mi rassicurò Sonia. Anche il suo tono nascondeva un certo nervosismo che potevo ben comprendere. - Abbiamo spiegato loro che tu eri dentro e ci hanno permesso di entrare. -
- Abbiamo visto quasi tutta la scena. - disse Marika con le lacrime agli occhi. - Mi dispiace. -
Erano lì da tantissimo tempo ma io non me ne ero mai accorta. In quella mezz'ora eravamo esistiti solo io e Prinz.
- Avevi ragione, Sonia. Era già tutto finito da un pezzo. E io sono stata una cretina a cascarci. - dissi accennando un sorriso.
La mia amica fece un gesto con le spalle in segno di risposta. Mi asciugai di nuovo gli occhi con violenza per cancellare quella stupida reazione.
- Le nostre cose ci verranno consegnate appena l'edificio sarà sgombro. Andiamo a casa ora così potrai sfogarti. - disse Marika avvicinandosi.
- Non voglio più piangere per lui. Ho già sofferto troppo. Prinz non esiste più. - risposi decisa, una volta per tutte, a chiudere quel capitolo della mia vita.
Le mie amiche si guardarono perplesse e non aggiunsero nulla. Attraversai il cortile della scuola passando sotto i nastri della polizia e mi allontanai in fretta da quel luogo.
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Sembra che la storia tra Prinz e Sarah sia definitivamente finita. Lo credete anche voi?
~*~
Un sentimento come il loro può spegnersi solo usando le parole?
~*~
Lato Prinz, ora la polizia è entrata in scuola: ne vedremo delle belle.
~*~
Stay Tuned!
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