14. Run - parte 1
To think I might not see those eyes, makes it so hard not to cry.
And as we say our long goodbyes I nearly do
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Martedì mattina a scuola non riuscivo a stare attenta e mi distraevo in continuazione: mi sentivo inquieta e diedi la colpa all'imminente partenza per il Contest e alla famosa decisione che dovevo prendere nei confronti di Stefano.
Le cose tra di noi erano cambiate nel giro di poco: lui si era messo a nudo, mostrato i suoi sentimenti e io avevo cominciato ad avere fiducia in lui, tanto da dimostrarglielo con un bacio. E non me ne pentii, anzi, mi sentii felice ed emozionata.
Ma qualcosa continuava a tenermi lì, in bilico tra un sì e un no, perché prendere una parte piuttosto che un'altra mi costava ancora fatica.
Lasciarmi andare completamente.
Lo stomaco non si attorcigliava più ma avevo ancora paura. Avrei dovuto prendere una decisione ugualmente e finchè non avrei intrapreso una delle due strade che avevo di fronte, non avrei mai saputo quale sarebbe stata la scelta giusta.
Durante la ricreazione Sonia venne da noi: il giorno prima aveva fatto lo stesso, per sfuggire all'aura negativa che aleggiava in classe per via di una prova di inglese che sarebbe seguito qualche ora dopo; il suo disinteresse per il compito continuò anche oggi, quando alla domanda sull'esito della verifica, mi rispose con un evasivo "benino", girando poi il discorso sulla rottura di una coppia in classe con lei. Conoscendola, avrebbe sfoggiato la stessa faccia tosta anche durante la Maturità.
All'improvviso la campanella cominciò a suonare a intermittenza: non era il richiamo classico del termine della merenda, piuttosto un suono inusuale, di allarme.
- Ma che succede? - domandò Marika preoccupata guardandoci. Sonia rimase un attimo in attesa, cercando di capire e scorgere qualche segnale.
- Sembra l'allarme antincendio. - rispose seria.
- Non può essere una simulazione, - puntualizzai - ci avrebbero informati nel caso di una prova a sorpresa. -
Ci avvicinammo alla porta insieme e notammo ragazzi e ragazze fiondarsi verso le scale, spingendosi tra di loro per arrivare giù per primi. I più piccoli gridavano spaventati e quelli più grandi incitavano seri a scendere in fretta. Sembrava la fine del mondo.
- è successo qualcosa? - domandai a una ragazza che passava in tutta fretta davanti a noi.
- Non hai sentito i botti? C'è una bomba! - gridò con gli occhi sconvolti dalla paura.
Arrivarono nel cortile della scuola alle dieci in punto, poco prima che cominciasse la ricreazione, come avevo detto loro di fare. Guardai i ragazzi negli occhi uno a uno e i loro sguardi silenziosi mi confermarono che sarebbero andati fino in fondo, aiutandomi a realizzare la mia piccola vendetta.
- Nero? - domandò Cico confuso.
- Lui mi aspetta fuori, - dissi - tiene sottocchio la mia moto per la fuga. -
- Allora è definitivo. - aggiunse dispiaciuto.
- Sì - risposi, prendendomi un attimo di silenzio - questa sarà la mia ultima impresa con voi. Alex, - richiamai l'attenzione del mio amico davanti a me - te li restituisco. -
Il ragazzo fece un cenno con la testa. - Non è ancora il momento. - rispose. Accennai un sorriso e dissi che non sarebbe mancato molto. Erano tutti presenti, anche alcuni conoscenti di Nero con i loro gruppi a seguirli come ombre.
Ricapitolai brevemente i compiti, la suddivisione delle squadre: tutto doveva essere perfetto. Volevo assaltare la scuola, mostrare a tutti per l'ultima volta chi ero e cosa ero capace di fare. Non c'era una vera e propria motivazione dietro: diciamo che volevo uscir di scena in modo spettacolare.
Guardai l'orologio per accertarmi dell'ora e passai lo sguardo sui ragazzi attorno a me.
- Si comincia. -
Tre ragazzini piuttosto mingherlini andarono sul retro, portando con sé lo zaino pieno di petardi: avrebbero appiccato le micce in punti diversi dell'istituto per simulare gli scoppi e far scattare l'allarme antincendio.
Presi con me gli altri ragazzi e ci dirigemmo verso l'ingresso nella parte ovest dell'edificio, dove Elia aveva disattivato l'allarme permettendoci di entrare. Una volta dentro, ci dividemmo in due gruppi: una decina di ragazzi capeggiati da Alex andarono nella sala professori a bloccare qualsiasi forma di ribellione, altri cinque si sarebbero diretti in segreteria, mentre due ragazzi dall'aria consumata, avrebbero messo fuori uso le centraline telefoniche, per evitare qualsiasi contatto con l'esterno. Anche i cellulari personali sarebbero stati requisiti a tale scopo.
La campanella della ricreazione suonò: il piano ebbe inizio. Lasciai liberi Cico, Bite e Gin, assegnandogli il compito di rintracciare Vito e la sua amichetta Arianna durante la ricreazione e mi diressi nell'ufficio del preside, accompagnato da due ragazzi che in quanto a stazza non avevano nulla da invidiare a Nero.
Attraversai il corridoio e quando giunsi davanti alla porta della presidenza, bussai. La voce annoiata del preside domandò chi fosse. Aprii la porta senza troppi complimenti entrammo nella stanza in tutta tranquillità per non scatenare panico. Gli occhi del preside si allargarono in un'espressione di sorpresa quando mi vide.
- Lorenzi? Chi Le ha dato il permesso... -
- Salve, signor preside. - risposi calmo, sedendomi nella poltrona davanti a lui. - Pensavo di stupirla ma non immaginavo che l'avrei lasciata senza parole. -
L'uomo diede un'occhiata ai gorilla dietro di me e avvicinò la mano alla cornetta del telefono balbettando: - C-cosa ci fai qui? -
Abbozzai un sorriso sbieco. - Sono qui per chiederle se mi può seguire in aula magna. -
Il preside mi fissò terrorizzato; potevo quasi percepire il battito accelerato del suo cuore .
- Non ci penso nemmeno e ora andatevene o chiamerò la polizia! -
- Se lo desidera, non sarò io a impedirglielo. - risposi.
Il preside prese la cornetta e cominciò a digitare i primi numeri ma presto si accorse che non c'era linea. Provò un paio di volte a resettare finché, sconfitto, non gettò nervosamente la cornetta sul telefono, mentre il suo sguardo mi fissava con un misto di rabbia e terrore.
- Ah, mi sono dimenticato di dirle che le linee telefoniche sono fuori uso. -
In quell'istante scoppiarono i petardi, seguiti dalla campanella a intermittenza dell'allarme antincendio. Il preside fece un salto sulla poltrona spaventato. Appoggiai i gomiti sulla scrivania davanti a me e incrociai le dita. - Le rifaccio la domanda per l'ultima volta: mi vuole seguire in aula magna? -
Avevamo paura di non farcela, di rimanere schiacciate dalla folla: correvamo tutti giù dalle scale, come una mandria di buoi, qualcuno era anche scivolato ma poco importava, la salvezza individuale era l'unico ed egoistico pensiero.
Perché una bomba? Perché stava accadendo questo? Un atto terroristico? Poche settimane prima avevo sentito al telegiornale di uno studente americano entrato in un campus che aveva cominciato a sparare alla rinfusa, per il puro piacere di uccidere. Possibile che stesse accadendo la medesima cosa qui, in Italia, in una città tranquilla come Ferrara?
- Spero davvero che non sia vero. - mormorai a Sonia mentre scendevamo l'ultima fila di scale prima dell'uscita.
- Ho paura - sentii Marika singhiozzare al mio fianco - e se appena arriviamo alla porta ci sparano addosso? -. Le strinsi forte la mano e cercai di tranquillizzarla.
- È impossibile, cerchiamo di uscire di qui piuttosto -. In quel momento pensai che tutte le mie cose erano ben due piani sopra la mia testa. Avevo solo il cellulare in tasca. Con quello avrei potuto chiamare aiuto.
Arrivammo finalmente nell'atrio centrale e nessun terrorista incappucciato ci stava aspettando. Corsi fuori, lanciandomi verso la porta per sentirmi al sicuro da ciò che stava accadendo dentro. Una dolce via di fuga.
Fu in quell'istante che mi sembrò di vedere in mezzo agli altri studenti, un volto familiare: ero sicura si trattasse di Alex e stava andando in direzione opposta alla mia. Lo seguii con lo sguardo quel poco che potevo e lo vidi dirigersi verso le scale da cui ero appena scesa. Venni catturata dalla folla e spinta fuori, senza avere il tempo di elaborare quell'immagine.
Corsi nel mezzo del piazzale insieme alle mie amiche per sentirmi al sicuro in mezzo agli altri studenti, alcuni seduti a terra a piangere spaventati, altri abbracciati in cerca di conforto.
- Visto che non c'era nessuno? - disse Sonia abbracciando Marika spaventata.
- Cos'è successo, allora? - esclamai incapace di capire. Eravamo tutti salvi, non c'era sangue, né fuoco, né fumo.
Gli ultimi studenti uscirono dall'edificio e si raggrupparono vicino a noi, spaventati e frastornati. Continuai a fissare la scuola alla ricerca di qualche indizio ma non vidi nulla di strano. Poi, le porte si chiusero con un rumore assordante all'unisono, impedendoci così di tornare dentro.
Aprii la porta dell'aula magna ed entrai per primo. Il contrasto tra il bianco e insignificante muro esterno e quello color pesca, mitigato dalle tende dello stesso colore, dava un'aria di solennità alla stanza.
Avevamo scortato il preside sino a lì per la resa dei conti e feci un cenno ai ragazzi perché lo liberassero. L'uomo perse l'equilibrio e si appoggiò al tavolo, guardandosi attorno allarmato.
In un angolo si trovavano anche Vito e la sua ragazza, l'uno vicino all'altro, come a proteggersi a vicenda. "Che sciocchi" pensai dentro di me. I ragazzi erano tutti lì tranne Alex, che arrivò subito dopo.
- Gli altri? - domandai al mio amico mentre mi porgeva un paio di chiavi.
- Chiusi nel bagno al terzo piano. Li sfido a uscire dalle finestre. E ho lasciato i ragazzi a ispezionare la scuola nel caso ce ne fossero altri a spasso... - rispose con un sorriso accennato. Feci altrettanto e mi compiacqui del piano: stava filando tutto liscio.
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Che cosa è saltato in mente a Prinz?
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Assaltare la sua scuola?
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Temo che le cose si metteranno davvero male... e Sarah?
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ps: "Run", la canzone che dà il titolo al capitolo. esiste in una doppia versione: quella degli Snow Patrol (originale) e quella di Leona Lewis (cover). é stato interessante utilizzarla proprio per questa peculiarità, dato che il capitolo ha una doppia narrazione.
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