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8. I'm With You (parte 1)

I'm standing on the bridge, I'm waiting in the dark
I thought you'd be here by now

❤️

Fu il week end più agitato che avessi mai vissuto. Esercizi su esercizi, telefonate a Marika per spiegazioni futili e incoraggiamenti da parte di Sonia e Irene. Avevo accantonato le parole prepotenti di Prinz: il tempo che avevo a disposizione si rimpiccioliva sempre di più e la mia testa era ormai piena della sola parola "MATEMATICA".

Anche in famiglia ogni scusa era buona per ricordarmi del compito. Mamma e papà non facevano che ripetermi di essere stanchi della solita fila di insufficienze e che desideravano un bel voto: certo, come se avessi avuto i poteri magici per farlo apparire. In realtà lo dicevano per incoraggiarmi ma così facendo andavano ad accrescere la tensione e la pressione che mi portavo dietro, saliti vertiginosamente di livello negli ultimi giorni. Pure mia sorella aveva cominciato a rompere. Era tornata a casa prima di Natale e aveva deciso di restarci perché era cominciato il periodo di studio in vista degli esami. Era diventata ancora più insopportabile poiché ogni volta che passava davanti alla mia camera, non faceva che bussare e ripetere: - Stai dormendo o stai studiando? Non sento nulla! -

Che utilità mia sorella. Quando mamma mi sentiva esclamare qualche insolenza perché non mi veniva un esercizio, mi suggeriva di chiedere a Cinzia come si faceva. Da una diplomata come lei con il massimo dei voti al liceo scientifico, mi sarei aspettata qualsiasi risposta tranne "Non ricordo come si fa".

Era chiaro che non voleva aiutarmi. Scommisi che sarebbe stata ben felice di vedermi bocciata o almeno non sufficiente a fine anno, affinché non potessi partecipare ai provini per il Contest. Continuai a studiare tutta domenica sera, usando come segnalibro il mio plettro rosso preferito con la copertina di American Idiot, per ricordare cosa avrei perso se avessi fallito. Un'altra insufficienza avrebbe pesato irrimediabilmente sulla mia media. Cercai di allontanare i cattivi pensieri per rimanere concentrata sui libri e in un fruscio di pagine, il fatidico lunedì arrivò.

Sveglia prima del previsto, stomaco che dava problemi ancora prima di mangiare e una sensazione strana, che associavo alla stanchezza e alla tensione agli occhi delle mie amiche ma che sapevo essere ben altro: era la marea sopita che quel dannato teppista aveva risvegliato in me. Aveva agito di proposito per deconcentrarmi e ci era perfettamente riuscito. Lo odiavo ancora di più.

Andai a scuola: le prime ore della mattina passate con la testa altrove. Poi, il compito. Era già iniziato male: il professore aveva fatto confusione e non c'erano abbastanza copie per tutti, così io e un altro ragazzo dovemmo aspettare le fotocopie. Dopo un quarto d'ora iniziammo anche noi. Da lì in poi non ebbi più memoria. Ricordavo solo di aver consegnato e che avrei ricevuto il risultato nel pomeriggio finite le lezioni. Aspettai impaziente per tutto il resto della giornata, persa in cupe e pessimistiche fantasie; ero sempre stata una persona allegra e ottimista ma quel giorno non riuscivo a sorridere. Forse a causa della tensione, forse a causa della marea nera che avvertivo dentro di me.

Mancavano solo Chiara e le Miss Mononeurone a tirarmi su di morale. Le avevo incontrate per caso mentre mi spostavo con la mia classe verso il laboratorio linguistico.

- Buona fortuna per il compito - esclamò Chiara salutandomi con la mano. La ignorai completamente. - Potresti almeno ringraziarmi per l'augurio che ti ho fatto - gridò. Continuai a chiacchierare con Marika, incurante delle sue parole. Non mi stupii nemmeno che lo sapesse: le voci correvano veloci sul filo dei pettegolezzi.

Alle quattro in punto ero già nell'ufficio del professor Mariani. Nessuno aspettava fuori ed ebbi così fortuna di entrare subito: l'angolo di ufficio che Mariani si era ritagliato era piccolo ma funzionale, con una finestra sulla sinistra da cui si vedeva il cielo ormai al crepuscolo, e che dava sul cortile interno davanti alla palestra.

Il prof prese il mio compito e lo squadrò da capo a piedi, rigirandoselo tra le mani. Notai che era già stato corretto ed era grondante di segni rossi come il sangue. Sembrava squartato. Prese la stilografica in madreperla bianca e vi scrisse sopra con inchiostro rosso il numero quattro. Con ghigno malefico me lo pose tra le mani esclamando un "Ecco" pieno di orgoglio e soddisfazione per la mia insufficienza.

Non potevo crederci. Mi tremavano le mani. Dopo tutti quegli sforzi, quei giorni passati a studiare, a impegnarmi, ora tutto non esisteva più. Quello era il voto che mi era stato dato: io valevo quattro su dieci. Ero un semplice numero. Continuavo a fissare il foglio immobile e incredula. Non poteva essere vero. Quello non poteva essere vero. Gli avevo giurato in faccia che lo avrei passato ma lui, ancora una volta, era riuscito a umiliarmi e si era preso gioco di me.

Le parole di quel giorno mi tornarono in mente "Ce la farò, ne stia certo. Studierò di più, seguirò le lezioni con più attenzione, anche quelle pomeridiane, se necessarie... farò di tutto per passare questa volta. Nulla mi fermerà". Doppiamente umiliata. Silenzio e vuoto. Mi sentivo vuota dentro ancor più di prima. Questa era la crepa che aveva rotto definitivamente il muro che arginava i miei sentimenti, già minato qua e là dagli avvenimenti dell'ultimo mese e dalle parole di quel teppista. Ora ero davvero finita.

- Ce l'aveva quasi fatta, Minelli. Peccato per quei dieci punti persi a causa di errori frivoli. Vede il numero accanto al voto? Lei ha realizzato quaranta punti su ottanta e la sufficienza si aveva con cinquanta -

La sua voce mi fece tornare alla realtà. Mi stava prendendo in giro? Era impossibile che non fossi passata per soli dieci punti. Poteva darmeli sapendo bene quanto avevo lavorato.

La Sarah di un tempo lo avrebbe aggredito a parole, avrebbe lottato per quei dieci punti, ma la Sarah seduta davanti al suo aguzzino non riusciva a muoversi e parlare. Non aveva voglia di combattere quel giorno. Così distrutta, così persa. Si, la mia testa non era più là; solo il mio corpo vuoto.

Non ricordai esattamente cosa feci uscita da scuola. Avevo le prove ma non ci andai: non avevo voglia. Non desideravo neppure tornare a casa. Spensi il cellulare: volevo rendermi non rintracciabile, scomparire, allontanarmi da tutto e tutti. Volevo stare da sola.


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Le delusioni possono essere di diverso tipo: questo è il colpo di grazia nell'esistenza di Sarah.

~*~

In questo capitolo (3 parti) ho attinto a episodi personali, in cui di fronte a una forte delusione ho reagito esattamente come Sarah.
~*~

Vi lascio alla lettura della prossima parte.

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