26. Sometimes You Can't Make It On your Own (parte 4)
Uscii di casa alle dieci di sera per andare verso la stazione nel parco sotto i grattacieli, esasperato ancora una volta dall'ennesimo litigio con mia madre.
Quella donna stava rompendo più del solito. Si preoccupava per lo stato in cui ero tornato la notte precedente e per le mie continue uscite. Iniziò a tartassarmi chiedendomi chi frequentavo e perché non m'interessava più il basket.
"Spiacente quello è morto" avrei voluto risponderle ma poi mi avrebbe domandato cosa significassero quelle parole e non l'avremmo più finita.
Me ne andai senza aprire bocca sbattendo la porta dietro di me. Per fortuna papà non era in casa: almeno la sua predica sul basket l'avevo scansata. Avevo scelto quello sport per stare con i miei ex amici e i successi che avevo collezionato, lo avevano reso estremamente orgoglioso di me. Ora anche i suoi sogni erano finiti: io mi ero svegliato e nulla poteva riportarmi indietro.
Quando arrivai dai grattacieli, vidi che erano tutti là, compresi Riot, Bite e gli altri due ragazzi che avevo battuto.
- Ecco il pivello - esclamò Riot in tono di pieno disprezzo. La sconfitta gli bruciava. Anche se Nero mi aveva ascoltato, mi fu subito chiaro che non avevo ancora ottenuto il loro rispetto. Quello avrei dovuto sudarmelo.
- Avevamo scommesso che te l'eri fatta addosso e non saresti venuto - esclamò un altro del gruppo.
A quanto pare non avevano ancora capito chi ero. Anche se avevo sconfitto Riot e altri due, anche se avevo dimostrato ciò di cui ero capace a gesti, a loro non bastava.
- Non mi tiro mai indietro, io - dissi determinato.
- Ehi, ha voglia di prenderle anche stanotte! - disse uno urtando il braccio del compagno vicino. Lanciai loro uno sguardo carico di rabbia. Non li temevo. Non avevo mai avuto paura di nessuno e li avrei affrontati ancora quella notte, se ciò significava entrare nel loro gruppo. Guardai Nero davanti a me, impassibile come sempre.
- Sono qui per battermi ancora? - gli chiesi.
Nero fece un gesto e un ragazzo alla sua destra venne verso di me. Mi colpì allo stomaco con un pugno. Il dolore mi fece piegare in due. La serata iniziava bene.
- Regola numero uno: parla solo quando sei interpellato - disse il ragazzo. Mi ripresi in fretta per non dargli soddisfazione.
- A quanto pare il pivello è pieno di orgoglio ma imparerà presto ad abbassare la cresta - esclamò Riot facendo un sorriso sbieco.
- Ehi ragazzino, non montarti la testa solo perché ti ho chiamato qui - mi ammonì il capo - Ci sono tre tipi di persone che non sopporto: chi si crede un eroe, chi è testardo e chi mi supplica. Tu sei tutti e tre questi - aggiunse. Sgranai gli occhi: a quanto pare la mia situazione era più incerta di quanto pensassi. - Però hai le capacità, ragazzo. Voglio che tu affronti un'ultima prova. Se la superi, entri -. Rimasi sorpreso. Una prova e sarei diventato uno di loro.
Si trattava della classica prova iniziatica: ne avevo sentito parlare. Ero certo che ognuno di quei ragazzi ne avesse affrontata una per essere lì. Chissà cosa sarebbe capitato a me. Non mi sarei fermato davanti a nulla.
- Qualsiasi cosa - dissi accettando la prova.
I ragazzi iniziarono a parlottare tra di loro. L'unico a rimanere in silenzio a riflettere era il loro capo.
- Se permetti io lo vedo adatto per un tre - suggerì il ragazzo del pugno di prima.
- Mi fai ridere Gin, perché non un due? - domandò Riot con aria di superiorità.
Solo con il tempo avrei scoperto che a ogni numero corrispondeva una prova diversa: uno, scontrarsi con qualcuno del gruppo; due, pestare a sangue uno sconosciuto; tre, rubare; quattro, atto di vandalismo; cinque, il crimine più grave, uccidere. Ogni prova poteva essere più o meno pesante a eccezione dell'ultima che non lasciava via di scampo.
Captai qualche parola: i ragazzi ora stavano scommettendo su quale prova mi sarebbe capitata e se ce l'avrei fatta. Nero li mise a tacere con un solo gesto. Lo invidiavo e ammiravo quando faceva così e mi illudevo che un giorno, con un solo gesto, avrei ottenuto lo stesso rispetto.
- Voglio vedere cosa sei in grado di fare con qualcosa di grande. Avrai carta bianca su ogni azione -. Rimasi perplesso cercando di capire cosa intendeva. I ragazzi cominciarono a sorridere tra di loro comprendendo in fretta a cosa si riferiva il loro capo.
- Potremmo portarlo qui di fianco, in stazione - intervenne un ragazzo.
- E la sua scuola? - suggerì un ragazzo accanto a Bite dall'aria calma, facendosi avanti - ho fatto qualche indagine come mi hai chiesto Nero, e ho scoperto che frequenta il Blake -
- Bella idea, Alex! Ho sempre desiderato demolire la nostra scuola! - esclamò Bite. Mi furono immediatamente chiare due cose: quei ragazzi erano del Blake anche se non li avevo mai visti in giro prima e la mia prova sarebbe stato un atto di vandalismo.
- Perché non farlo andare in centro? -
- E il palazzetto dello sport? La piscina? - propose un altro ragazzo.
- Quegli sfigati della mia scuola giocheranno domani al palazzetto. Ne ho le palle piene di tutta la pubblicità che si fanno - esclamò il ragazzo rasato che si faceva chiamare Gin.
Domani? Domani il Blake avrebbe giocato? Sussultai. Sembrava fosse passata un'infinità da quando avevo deciso di abbandonare il basket.
Nero colse quel mio gesto impercettibile scambiandolo forse per terrore. Era come un predatore con la sua preda: aveva avvertito che in me c'era qualcosa che non andava, che quelle parole mi avevano urtato.
- Qualcosa da dire, pivello? - chiese Nero.
- No, tutto ok - risposi cercando di nascondere la verità. Nero sorrise soddisfatto.
- Allora non ti dispiacerà andare là a fare i preparativi, vero? -
Non avevo scelta.
- No - dissi. Cosa mi stava prendendo? All'improvviso, non ero più sicuro di quello che volevo. L'idea di rientrare in quel palazzo mi faceva tornare alla mente tante cose. No, dovevo ricacciare indietro tutto. Quello non era più il mio mondo. Non avevo più niente da spartire con il basket.
- Alex, tu e gli altri andrete con il pivello - Nero si guardò in giro e fece un bieco sorriso aggiungendo - Riot, vai anche tu -. Proprio quello che non speravo di avere tra i piedi.
- Andiamo ora? - chiesi stupito.
- Hai paura, cazzone? - esclamò Riot con il solito sorriso sbieco di superiorità, tirando fuori da una tasca un paio di guanti e indossandoli.
Lo guardai dritto negli occhi.
- No, sono pronto -
***
Raggiungemmo il luogo della prova in moto. Uno dei ragazzi mi aveva dato un passaggio. Era la prima volta che vi salivo sopra e avrei voluto che il tragitto fosse stato più lungo. Era da tempo che non avvertivo una sensazione così forte di libertà e potenza. Un giorno, anche io avrei avuto la mia moto e sarei andato in giro con gli altri sentendomi finalmente libero.
Dopo aver parcheggiato le moto ci guardammo attorno; rimasi colpito per un'istante dai ricordi flebili che quell'edificio risvegliava in me.
- Non ci sono telecamere? - domandai ingenuamente.
Riot mi guardò scocciato e senza rispondermi si diresse verso l'entrata.
- Stai zitto quando non hai di meglio da fare, ragazzo - esclamò Alex avvicinandosi a me. Fece un gesto e andammo tutti intorno a Riot.
Il ragazzo strattonò le porte di vetro: erano chiuse. Logico. - Bene pivello. Entra - esclamò facendo gesto di accomodarmi.
Non fiatai: era comprensibile a chiunque che per entrare, dovevo rompere i vetri. E per farlo avevo bisogno di qualcosa che li frantumasse. Mi guardai attorno alla ricerca di una pietra o una cosa simile.
- Prima di domani, novellino - commentò Bite.
Cazzo, non c'era nulla lì attorno! Cosa dovevo inventarmi? Guardai in su. Sapevo che le finestre erano troppo in alto e strette per poter usarle come via d'accesso. E poi c'era anche lì il problema del vetro da rompere. L'unica soluzione era buttare giù la porta.
Riot sbadigliò.
- Mi sto annoiando. Fai lavorare un po' il cervellino, idiota - mormorò.
- Sto pensando! - esclamai girandomi verso di lui - sto cercando qualcosa per rompere questa fottuta porta! -
Spalancai gli occhi: come avevo fatto a non accorgermene prima? Avanzai verso Riot e lo oltrepassai, dirigendomi verso il cartello stradale alle sue spalle indicante "Palazzo delle Palestre". Avevo i loro occhi puntati addosso; occhi curiosi di sapere cosa mi era saltato in testa.
Strattonai con forza il cartello: da solo non ce l'avrei mai fatta.
- Ho bisogno di una mano - esclamai. Tutti si guardarono in faccia ma non mossero un dito. Non mi meravigliai.
Ebbi un'idea.
- Avete una corda, vero? - chiesi. La domanda non era inusuale: prima di partire li vidi riempire i portaoggetti delle moto con alcuni "attrezzi del mestiere". Alex fece cenno con la testa a uno dei ragazzi il quale andò verso la sua moto, prese la corda e me la portò.
- Ok! - esclamai in una sorta di incoraggiamento a me stesso. Legai un'estremità della corda al cartello e l'altra alla moto più vicina.
- Posso? - chiesi guardando il proprietario della moto e vi salii sopra.
Problema: io non sapevo guidare una moto. Alex se ne accorse.
- Prendi il posto del pivello, Bite -
- Pure coglione - esclamò Riot accendendosi una sigaretta e cominciando a fumare. Non badai alle sue parole.
Il ragazzo salì sulla moto al mio posto, accese il motore e partì. Dopo un po' di resistenza, il cartello si staccò strisciando per qualche metro sull'asfalto del piazzale.
Sciolsi la corda, presi il cartello e aiutato da Bite lo scaraventammo contro la porta di vetro utilizzandolo come un ariete. Continuammo il lavoro sradicando altri pilastri, dato che il cartello dopo un paio di colpi si era già distrutto e quando il vetro crepò, ci aiutammo anche con calci e spallate; nel giro di un quarto d'ora avevamo creato un accesso.
- Bene pivello - disse Alex dandomi una pacca sulla spalla ed entrando per primo, seguito dagli altri ragazzi e infine da Riot, il quale non si risparmiò di urtarmi in segno di disprezzo.
Io fui l'ultimo: rimasi immobile qualche istante a fissare ciò che avevo fatto. Solo in quel momento mi resi conto della sottile linea che stavo oltrepassando: stavo per diventare come loro. Se fossi entrato nel gruppo, la mia vita sarebbe ruotata solo attorno ad azioni del genere e forse anche peggio.
Volevo davvero tutto questo? Volevo davvero rischiare la galera ogni giorno della mia vita? Scendere così in basso?
Scossi la testa per distrarmi: non avevo più nulla da perdere, che me ne fregava?
Entrai. Il rumore del vetro frantumato sotto i miei piedi infrangeva il silenzio all'interno del palazzo.
- Ora cosa vuoi fare? - chiese Alex.
Nero mi aveva dato carta bianca. Potevo fare quello che volevo, distruggere ogni cosa. Ovviamente, più cose avrei fatto, più punti avrei ottenuto.
- Improvviserò. Seguitemi - dissi sicuro di me.
Non sapevo nemmeno io cosa dovevo e volevo fare. Mi diressi verso il corridoio che portava al campo: quanti ricordi.
Trattenni il respiro quando spalancai le porte e mi ritrovai di fronte il campo. Misi piede sul parquet chiaro: inconfondibile scricchiolio.
- Ehi, ci sono dei palloni! - esclamò Gin. Mi diressi verso il cesto abbandonato in un angolo del campo. Ne presi uno in mano: la sensazione al tatto, l'odore della gomma... era tutto così vivo in me.
- Rompilo - mi suggerì Riot avvicinatosi improvvisamente.
- E con cosa? -
- Con questo - disse porgendomi un coltello serramanico dalla lama dentata. Me lo rigirai tra le mani studiandolo accuratamente: ero sicuro che fosse rubato, poiché solo i soldati potevano averlo.
- Ti dai una mossa? - esclamò seccato.
Esitavo: pugnalare quel pallone significava uccidere il mio passato. Dovevo finirla con quelle stupide pare. Quante volte mi ero ripetuto che era ormai tutto finito? Che non sarei più tornato indietro? Io ora odiavo il basket, odiavo quel fottuto pallone che avevo tra le mani, odiavo quel dannato posto di merda!
Pugnalai il pallone incidendone la superficie per il lungo con tutte le mie forze, con tutto il mio rancore, la delusione, la consapevolezza della mia nuova scelta di vita.
Fatto.
Il pallone si afflosciò tra le mie mani. Lo gettai a terra: un ammasso informe di gomma che non mi avrebbe più tormentato.
Ne presi un altro: la stessa furia, una sorta di desiderio di vendetta. Volevo proprio vedere cosa avrebbero utilizzato quegli idioti per giocare!
Una risata, un sorriso soddisfatto carico di odio, si disegnò sulla mia bocca: se mi fossi guardato allo specchio non mi sarei riconosciuto. Continuai a rompere quei palloni aiutato anche dagli altri.
Quando ebbi finito mi accorsi di volerne ancora: sembravo un animale. Ero accecato dalla vendetta.
- Ti sei caricato, ragazzino! - esclamò Alex sorpreso dalla mia reazione.
- Non è finita qui. Portatemi dentro la moto e la corda, ho altre idee per la testa -
Gin e Bite sparirono per ricomparire poco dopo con la moto. Tentai di applicare lo stesso principio del cartello e riuscii a tirare giù gli anelli dei canestri.
Non ero abbastanza soddisfatto e dovetti immaginare qualcos'altro da distruggere.
- Ci sono sempre le bombolette - disse Gin.
Storsi il naso. - Infantile ma perché no? Voi due occupatevi delle decorazioni. Io andrò a divertirmi con i seggiolini degli spalti - esclamai.
Alex mi fu subito al fianco. L'unico a non fare nulla era Riot, il quale si limitava a fumare e a osservare indifferente la scena. Mi meravigliai che i ragazzi mi avessero dato retta così in fretta e ora, mentre io ero occupato in alto, loro si stavano divertendo a ricamare in giro.
Iniziai a staccare i seggiolini uno a uno gettandoli contro i vetri divisori e le finestre per romperli.
- Non lo si tiene più - esclamò Bite divertito.
Mi fermai un attimo e guardai quello che avevo fatto: il campo e i muri erano pieni di scritte e disegni osceni. Senza dimenticare i canestri abbattuti e i seggiolini scagliati ovunque.
Avevamo violato quel luogo che un tempo era stato così sacro per me ma che ora contava meno di una cicca sputata per terra.
- Silenzio! - gridò Riot all'improvviso. In lontananza il suono delle sirene ci fece capire che stava arrivando la polizia.
- Merda, avranno sentito i rumori! - esclamò Alex.
- Fuori! - gridò Riot.
Ognuno abbandonò i suoi posti e ci dirigemmo di corsa verso l'uscita. Gin cadde a terra e io tornai indietro per aiutarlo a rialzarsi.
Il suono delle sirene era sempre più vicino e quando raggiungemmo la porta rotta, notammo le sagome di un'auto che stava arrivando nel piazzale. La nostra unica via d'uscita era fottuta.
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Bentornati lettori!
~*~
La voglia di vendetta ha preso il sopravvento sull'ultima briciola di rimorso.
Il rinnegamento è lo strumento che Francesco ha usato per lasciarsi il passato alle spalle.
~*~
Il destino di Prinz si è quasi compiuto.
Vi ricordate i fatti narrati qualche capitolo fa?
~*~
Manca davvero poco
~*~
Stay tuned
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