11. Stranger (parte 2)
Trovai Cinzia sulla porta di casa, avvolta in una coperta e con aria scocciata, che ci fece segno di stare in silenzio appena mettemmo piede dentro. In pochi minuti, mia sorella era già all'opera sul paziente; la medicazione non durò molto e Prinz rimase fermo per tutto il tempo, facendo qualche smorfia ogni tanto, quando Cinzia tirava troppo il filo.
- Ho finito - esclamò, guardando soddisfatta il lavoro appena terminato - puoi tornare tra una settimana per rimuovere i punti oppure vai al pronto soccorso -. Prinz annuì mentre io guardavo sbalordita mia sorella: da quando in qua era diventata così gentile? Forse voleva solo darsi importanza mostrandosi brava e competente davanti ai miei amici? - Sarah, io vado a dormire. Domani devo svegliarmi presto per studiare. Ci pensi tu con lui? - mi chiese gentilmente. L'effetto Dottoressa Fatina perdurava. Annuii. - Non fare tardi e soprattutto non fare casino. Meglio che non vi sentano. Buonanotte -
- Tranquilla. Grazie Cinzia! - le dissi.
Appena mia sorella se ne andò, Prinz tornò all'attacco.
- Tua sorella è carina. Peccato che tu non abbia preso da lei - eccolo lì il suo personale ringraziamento.
- Cosa vorresti dire? -
- Oltre a essere una bella ragazza, non è una ficcanaso come te. Non ha voluto sapere nulla di me -
- Cinzia deve sempre mostrarsi carina e gentile con tutti, l'esatto mio opposto ma appena volta l'angolo, vedi cosa dice... - risposi con una scrollata di spalle.
- Lei mi conosce? - esclamò sorpreso.
- No, ma se le avessi detto che sei lo stesso della spedizione punitiva tramutatasi in un improvviso raffreddore, ti avrebbe chiesto l'autografo -
- Sei ancora convinta che sia stato io a mandare quell'idiota? - mi chiese incerto.
Abbassai un attimo lo sguardo per poi tornare da lui. - Beh, da quanto ho capito avevate deciso di attaccarmi -
- Si, è vero ma spettava a me e non volevo affatto scendere così in basso -. Il suo sguardo era ancora fisso su di me, corrucciato e diffidente ma sincero. Mi strappò un sorriso. - Che hai da ridere? - chiese perplesso.
- Penso che se tu avessi voluto davvero farmela pagare, lo avresti già fatto. Siamo rimasti soli così tante volte e l'unica cosa che hai fatto è stato aiutarmi. Non è mai stata tua intenzione -
Prinz non disse nulla e iniziò a guardarsi attorno per eludere la mia risposta, osservando i particolari del soggiorno: il grande televisore LCD da quarantadue pollici, il mobile in legno antico, il pendolo nell'angolo della sala, i quadri di pittori famosi, il camino. - Allora, ho indovinato? - gli chiesi, sorridendo fiera.
Si girò lentamente verso di me. - No - sillabò in tono arrogante.
Una voce al piano di sopra attirò la nostra attenzione: papà era sveglio e stava per scendere. Dissi a Prinz di nascondersi dietro il divano e lui mi ascoltò.
- Sarah, cosa ci fai ancora in piedi a quest'ora? -
- Ciao... niente... appena tornata! - esclamai sillabando ogni parola.
- Sentivo delle voci - disse guardandosi attorno in modo circospetto.
- Era il gatto! Cioè, stavo parlando con il gatto. Hai presente Wes? - mi inventai quella stupidaggine su due piedi, sperando che ci credesse.
- Wes? Ma non è il gatto dei vicini? - domandò perplesso papà. Annuii. Wes era davvero il gatto dei vicini, che aveva l'abitudine di entrare in casa nostra quando si trovava fuori per uno dei suoi soliti giri di ricognizione.
- E perché stavi parlando proprio con il gatto? - domandò, ancora più perplesso.
- Perché miagolava troppo - Papà alzò un sopracciglio - Si, era inquieto. Magari sente la primavera - mi affrettai ad aggiungere.
- Guarda che siamo in pieno inverno - puntualizzò.
- Lo sai che i gatti avvertono prima di noi questi sbalzi di stagione, no? -
Mi guardò senza aggiungere una parola: ero sicura stesse pensando che avevo bevuto. - Vai a letto, domani ne riparliamo - mi disse, scomparendo poi su per le scale.
Prinz si alzò da terra. - Quel gatto deve avere il radar per captare la primavera adesso che siamo sottozero - disse sorridendo. Ero certa che quella frase me l'avrebbe rinfacciata per sempre.
- Shh! - esclamai, mettendogli una mano sulla bocca - vieni con me - Lo invitai in camera mia per chiacchierare ancora: lui accettò senza fare una piega. Rimasi sorpresa.
La mia camera era la stanza più lontana da quella dei miei e di Cinzia. Inoltre, era completamente insonorizzata, per permettermi di suonare in libertà. All'inizio quella stanza era adibita a studio di papà ma quando io e Cinzia diventammo troppo grandi per continuare a condividere la stessa camera, fu deciso il mio trasferimento. In realtà, la vera motivazione fu la mia chitarra: Cinzia non sopportava più il mio continuo strimpellare e decidemmo di comune accordo per la separazione. Fu il regalo più bello che potessero farmi!
Appena entrammo, Prinz si fermò in mezzo alla stanza e iniziò a guardarsi attorno mentre io mi sedetti sul letto: forse era rimasto colpito dai poster di film e gruppi rock americani attaccati alle pareti verde chiaro, in netto contrasto con gli scaffali stipati di peluche, manga e altri oggetti minuscoli e apparentemente insignificanti.
Io lo guardavo con la stessa curiosità con cui lui guardava i miei cd sparsi un po' ovunque, prendendoli in mano e leggendo i titoli delle canzoni. Sfiorava poi le riviste, seguendo una linea irregolare e invisibile con le dita, come fossero state stampate in linguaggio Braile. Sembrava incantato dal mio piccolo mondo, in cui mi chiudevo quando volevo stare da sola. Chissà cosa ne pensava: gli piaceva la mia camera o era troppo incasinata?
- Papà penserà che fossi ubriaca, per le cavolate che ho detto. Non mi farà più uscire per una settimana -
Prinz mi guardò stupito, distogliendo l'attenzione da Jacky e dalla chitarra classica, poste nell'angolo tra il letto e l'armadio. - Stai scherzando, vero? -
- Affatto. È già successo. Io non bevo mai perché sono piuttosto sensibile all'alcool ma una volta, solo perché ho detto o fatto qualcosa di strano, hanno pensato che avessi bevuto e sono stata in punizione per una settimana. Non c'è stato modo di fargli cambiare idea -
- Siete strani voi -
- Semmai loro. Io non la penso così. Insomma, dovrebbero fidarsi di più di me e invece... - scossi la testa rassegnata.
- Ma ti lasciano ugualmente libera di fare quello che vuoi - constatò.
- Si, ma a suon di litigate. E mia sorella li appoggia sempre -
- Ti trovi sempre con le spalle al muro, quindi - commentò Prinz, sedendosi in fondo al letto.
- Diciamo di sì ma riesco anche a spuntarla. Per esempio, alla fine delle medie i miei volevano a tutti i costi che mi iscrivessi in una scuola privata mentre io volevo andare al Blake perché mi avrebbe permesso di continuare a suonare e mi piacevano le materie proposte - sorrisi spontanea a quei ricordi - Loro invece non ne volevano sapere e io gli gridai "il mio futuro non è in un'aula di tribunale, tanto meno in una sala operatoria a impugnare un bisturi: io voglio suonare la mia chitarra, voglio andare su Mtv!" -
- E poi che è successo? - domandò Prinz curioso.
- Non ci siamo più guardati in faccia per una settimana ma alla fine ho avuto la meglio - sorrisi, ricordando quell'episodio - riesci a immaginarmi con un'uniforme stinta e senza la mia chitarra, iscritta in una scuola privata che mi avrebbe indirizzato verso l'università di medicina o giurisprudenza? -
- Di sicuro avresti trovato un modo per piantar grane anche là - rispose serio.
- Ma tu sei solo capace di pensare questo di me? -
- È la cosa più ovvia -
Gli gettai addosso un cuscino che avevo lì vicino e lui lo afferrò. - Spiacente ma non sono così sprovveduto - rispose.
- Ti odio - gli dissi anche se non del tutto convinta. Prinz lo intuì.
- Siamo nervosetti... -
- Bene, allora vattene - esclamai.
Prinz si alzò e si avvicinò alla porta. Cavolo, se ne stava davvero andando. Io l'avevo detto così per scherzo e lui mi aveva dato ascolto. Non volevo: in un certo senso la sua compagnia era... piacevole.
- Aspetta! Guarda che stavo scherzando - esclamai. Lui si girò e mi guardò con aria di sfida.
- Deciditi: mi vuoi fuori o dentro? -
- Rimani un altro po'. O hai così voglia di tornare dai tuoi amici? -
- Non sono affari tuoi - sentenziò, tornando a sedersi dove era prima.
- Sbaglio o sei decisamente loquace stasera? - dissi ironicamente - hai bevuto? -
Mi lanciò uno sguardo scocciato - E allora? Devo essere sottoposto anche io all'etilometro? - domandò. Mi cacciai a ridere.
- Beh, se ti ritrovassi nella mia famiglia, ti scorderesti un sacco di cose -
- Me ne sarei già andato da un pezzo -
- Sai, ci avevo pensato anche io, ma dove sarei andata? Era un'idea stupida -
- Di certo qui le comodità non ti mancano - constatò, guardandosi attorno - sarebbe davvero uno spreco -
Le sue parole mi infastidirono un po' e glielo feci notare. - Sei anche tu uno di quelli che si sono fatti la solita e squallida idea di me quale figlia viziata, vero? Ma io non sono come loro. Per me conta più quello che una persona fa piuttosto di come appare -
- Conosco le idee della tua famiglia. Riot ce ne ha parlato ma non è difficile intuirle stando qui dentro - disse guadandosi attorno.
- Quell'idiota ti ha parlato di me e della mia famiglia? Come fa a conoscermi? - esclamai stupita.
- Sa solo della posizione della tua famiglia. Lui odia quelli come te - disse indugiando sull'ultima parola - ecco perché ti ha attaccato subito, senza lasciare il compito a me -. Rimasi sorpresa da quell'affermazione ma ancora di più da quello che disse dopo. - Io non giudico in base a queste cose. Credo in quello che vedo e se attacco qualcuno è perché mi ha fatto un torto -
Rimanemmo a fissarci per un istante infinito negli occhi: ecco la risposta alla mia domanda di prima. Mi rilassai e feci un respiro. Era giunto il momento anche per me di essere sincera.
- La penso anche io così. E so che tu non sei come i tuoi amici. Hai qualcosa di diverso da loro - dissi un po' imbarazzata.
Ci guardammo ancora negli occhi: una luce passò nei suoi. Il verde divenne quasi azzurro e per un istante fui catturata da quel calore.
- È per questo che mi hai preso di mira? - chiese.
- Veramente, la vittima sarei io. Ti ricordo che sei stato tu a farmi cadere, a rubarmi l'agenda e... -
- Ancora la storia della caduta? - mi interruppe.
- È iniziato tutto da lì - constatai.
Prinz sbuffò. - Sei così insistente con tutti? - domandò innervosito.
- No, ma conosco qualcuno che lo è più di me. È un ragazzo che si è offerto di darmi ripetizioni di matematica. Gioca a basket nel club della scuola ed è una sorta di genio: mamma e papà faranno di tutto per affibbiarmelo -
Prinz si rabbuiò. - Gioca a basket? - domandò stizzito.
- Si, ma non è importante - dissi cercando di interrompere l' argomento. Non mi andava di parlare con lui di Stefano. - Cambiando discorso: che ci facevi stasera nel vicolo? -
Prinz rimase in silenzio qualche attimo, i tratti del viso si rilassarono debolmente e riprese a parlare - Una rissa con inseguimento. Nulla di particolare - rispose, come se si trattasse della cosa più naturale del mondo.
- Immagino che abbia attaccato tu per primo e chissà con quale stupida pretesa -
- Non proprio. Diciamo che ho frainteso. Mi sono fatto la ragazza del tipo che mi ha assalito - rispose quasi ridendo. Io non ci trovai nulla di divertente anzi, a essere sincera quella confessione mi aveva infastidita.
- Che cavaliere - commentai senza troppo entusiasmo. Prinz alzò un sopraciglio - Posso sapere perché non volevi andare al pronto soccorso? - domandai per cambiare discorso.
Abbassò lo sguardo di lato e si richiuse nel suo silenzio. Quando ormai non mi aspettavo più la sua risposta, disse: - Mia madre è infermiera e lavora lì. Non volevo farmi vedere in quello stato ancora una volta -
Rimasi un po' sorpresa dalle sue parole: era la prima volta che mi diceva qualcosa di così strettamente personale. - Non sei così cattivo come vuoi far credere. Avevo ragione a dire che non sei come gli altri - dissi.
Prinz alzò lo sguardo, incrociando il mio: era stupito e spaventato da ciò che avevo detto. Non era abituato che qualcuno entrasse nella sua testa. - Sei contenta ora che hai ottenuto quello che volevi? - mi chiese, tornando nervoso. Capii che il motivo della sua rabbia improvvisa era stata quell'invasione di privacy.
- Non voglio sapere tutto della tua famiglia, solo non riuscivo a spiegarmi la tua reazione. Insomma, era una cosa seria! -
- Non è mica un quiz a premi - esclamò acido.
- Potresti essere anche più gentile! In fin dei conti, ti ho aiutato! - risposi irritata.
Cavolo, si era arrabbiato di punto in bianco mandando in frantumi tutto ciò che avevamo costruito quella sera. Eravamo riusciti a chiacchierare come persone civili e ora tutto era svanito. Rimanemmo in silenzio per un po': era irritante e imbarazzante ma volevo dimostrargli che non avrei abbassato la guardia e non avrei detto una sola parola prima di lui.
All'improvviso, il suo cellulare suonò emettendo un debole BIP. Lesse il messaggio che aveva ricevuto e mise via il cellulare. - Devo andare -
Lo accompagnai giù, cercando di non fare ancora rumore: questa volta, la scusa del gatto non avrebbe retto.
- Ringrazia ancora tua sorella - disse senza troppa enfasi mentre usciva. Annuii.
Guardai Prinz chiudersi il cancello alle spalle e allontanarsi. Avrei voluto rimanesse ancora un po' ma i suoi amici erano più importanti della compagnia di una ragazza come me.
Tuttavia ero soddisfatta: per una volta eravamo riusciti a trovare una sorta di dialogo anche se fatto di frasi ancora frizzanti, che ci permetteva però di comunicare. Ora ne avevo la certezza: il clima di tensione e astio che esisteva tra noi era notevolmente diminuito, quasi scomparso. Ci comportavamo come se fossimo diventati amici.
Tornata in camera ripassai mentalmente ciò che era successo: ero troppo eccitata per andare a dormire.
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Ciao! Cosa ne pensate di questo capitolo?
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Io lo trovo un capitolo di transizione, molto discorsivo ma che permette ai nostri protagonisti di elaborare un bel po' di informazioni
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Diciamocelo: avevano bisogno di rimanere un po' soli, senza quelle pazze scatenate delle Black Cat o quei tutto muscoli e niente cervello dei Gorilla...
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Se avete suggerimenti o commenti, scrivetemi pure!
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