Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

9. Il Bacio di Klimt

Di tutte quelle che ho incontrato, tu sei l'unica
Che senza fare nulla mi ha rubato l'anima
(...)
Ma quanto costa dire una bugia
♾️

[TuTti i protagonisti di questa scena sono MAGGIORENNI]

La vita è fatta di prime volte.

Alcune piacevoli, altre meno. Non puoi scegliere da solo quelle che vuoi vivere, ti capitano e basta. E puoi solo passivamente accettare quella scelta insolita del Destino, che ti piaccia o no.

Era la prima volta che tiravo fuori la moto dal garage, dopo aver iniziato il corso di scuola guida. Avevo il foglio rosa, sapevo guidare, era tutto un pro forma il dover sostenere l'esame e prendere la patente.

Tirai via il telo e la guardai: era perfetta, serbatoio pieno, pronta a portarmi alla festa dell'amica di Sarah. Andrea si era offerto di passarmi a prendere ma rifiutai io il passaggio: avevo troppa voglia di guidare e scaricare la tensione. Avevo una strana sensazione addosso, un sesto senso che dovevo ascoltare ma non capivo cosa mi stesse dicendo.

La casa dei genitori di Sarah era in riva al mare, un investimento immobiliare notevole: in fondo, da quella coppia non mi sarei aspettato che un risultato del genere; bastava guardare come avevano arredato la casa in città. Mi sentii la gola secca: cercai di deglutire ma avevo la bocca completamente asciutta. Ogni volta che avevo a che fare con la famiglia di Sarah, non ero io: l'idea di non essere alla sua altezza, di non poterle dare ciò che i suoi volevano da lei, mi faceva sentire inferiore.

Mi convincevo dicendomi che a Sarah non importava tutto questo, che erano solo miei pensieri: mi aveva scelto quando era la persona peggiore sulla faccia della Terra, era riuscita a leggere tra le righe il vero me, quello che avevo perduto. E ora che avevo ritrovato la mia bussola, non c'era motivo perché da parte sua potessero esserci ripensamenti.

Forse.

Presi un respiro ed entrai.

***

Fu una bella serata: per la prima volta Gabriele si era dichiarato davanti a tutti; per la prima volta la sua amica Irene aveva compiuto diciotto anni. Poi, tutti andarono via. E per la prima volta, rimasi da solo con Sarah, centinaia di chilometri dalla civiltà, da ciò che ci aveva sempre disturbati.

Per la prima volta Sarah era a disagio.

Per la prima volta mi sentii inadatto a lei, respiravo l'aria viziata dalle paure e preoccupazioni che i suoi gesti mi trasmettevano.

Per la prima volta non avrei voluto essere lì con lei.

Poi, successe.

Il suo atteggiamento cambiò, i suoi gesti, le sue parole.

Per la prima volta la presi in braccio e la portai in camera, su quel letto su cui nessuno aveva mai dormito o fatto l'amore.

Per la prima volta la baciai con la consapevolezza che questa volta sarebbe stato diverso: la sua pelle profumava di vaniglia, ogni centimetro del suo corpo che scoprivo rabbrividiva sotto il mio tocco.

Era anche la mia prima volta: dopo tanto sesso occasionale, stavo per fare l'amore con l'unica persona che mi aveva rubato l'anima. E io, per contro, le avrei preso la sua verginità, che aveva così timidamente conservato, solo per donarla a me.

Accarezzò la mia pelle, mentre affondavo la mia bocca sui suoi seni, strappandole miagolii di piacere che mi colmavano il cuore di gioia.

Era decisa, forte delle sue azioni: aveva allontanato la paura iniziale per sbocciare come farfalla, sbattendo le sue ali colorate davanti al mio naso, in quello sguardo e movenze così maledettamente  sensuali che la rendevano peccaminosa e innocente allo stesso tempo.

Sentivo dentro di me che nulla ci avrebbe interrotti, questa volta. Avrei fermato il mondo solo davanti a una sua preghiera implorata, al suo ritrarsi all'ultimo per un'angoscia improvvisa. E anche se fosse, l'avrei cullata, coccolata, amata in un modo che non era solo fisico e che esprimeva tutto il prisma di  sentimenti che provavo per lei.

Alzai lo sguardo verso di lei, mentre con la lingua continuavo a seguire il contorno dei suoi capezzoli in un gioco da cui traevo io stesso godimento per la morbidezza e il gusto della sua pelle: aveva gli occhi stretti di piacere, le gote pennellate di rosa come pesche mature.

Volevo dedicarle quel momento, il mio tempo. Non mi importava di essere compiaciuto, il mio piacere sarebbe arrivato di conseguenza al suo.

Abbandonai la morbidezza dei suoi seni per scendere verso il suo ombelico, disegnando una morbida scia di baci, le iniziali del mio amore per lei. Sarah si riprese e si slacciò i jeans, togliendoli con un sorriso civettuolo.

Per un attimo ebbi un dubbio: stavo andando troppo veloce? Le stavo facendo vivere le emozioni che lei si aspettava di provare? E ripensai alla mia prima volta, trovandomi davanti quella donna che di anni ne aveva più di me e che riuscì a istruirmi, accettando l'acerbità dei miei gesti e tempi senza farmelo pesare.

Camille.

La ragazza che avevo di fronte non era lei, era Sarah e io dovevo guidarla, gestire i suoi tempi, aiutarla a provare quel piacere che ti faceva morire dentro, ogni volta che lo si raggiungeva e di cui non volevi più fare a meno. Non doveva essere solo una scopata: doveva essere la sua prima volta. Perchè di tempo per fare l'amore ne avremmo avuto ma quel rito di passaggio, lo avrebbe vissuto solo quella notte in tutta la sua lunga vita. E, soprattutto, con nessun altro al di fuori di me.

Tornai alla sua bocca per darle più tempo e coccolarla, baciarla con avidità per farla sentire desiderata, mentre lei con le sue mani stava accarezzando la mia schiena, in un movimento che per quanto potesse essere impacciato, mi faceva provare una tenerezza incredibile, capace di scaldarmi ancora una volta il cuore e desiderarla ancora di più, perchè in quell'innocenza avvertivo la sua necessità di sentirsi grande, amare come una donna matura, provare quella forma di appagamento che nella sua mente esisteva in forma astratta, descritta chissà da chi.

Tentai di spingermi oltre, certo che mi avrebbe lasciato fare, completamente abbandonata alla forma di sollazzo che le stavo facendo conoscere e che, mi chiesi, avesse mai provato da sola.

Con una mano scesi verso il basso, infilandola nei suoi slip per raggiungere la sua intimità. Gli umori della sua femminilità non tradivano l'eccitazione del momento.

L'accarezzai dolcemente tra le pieghe della sua pelle e Sarah emise un gemito più forte, che le fece inarcare la schiena. Forse nemmeno lei si aspettava di provare tanto piacere. Mi staccai da lei e la guardai con complicità.

- Vuoi andare avanti? - le domandai perdendomi in quegli occhi pieni di desiderio eppure ancora così puri.

Sarah si tirò su in ginocchio e con le mani mi prese il volto. - Si - sussurrò ricominciando a baciarmi, mentre con le mie mani mi slacciai in fretta i jeans. Mi staccai da lei giusto per togliermi quegli ultimi indumenti e lei fece lo stesso, per non perdere tempo.

Non c'era più niente a nascondere i nostri corpi, a separarli. L'incanto di quelle forme ancora acerbe, della sua purezza era la tavolozza su cui avrei potuto dipingere la mia firma, impressa per l'eternità nella sua memoria, sulla sua pelle.

Ripresi a baciarla, appoggiando il mio corpo al suo: il mio cervello andò in cortocircuito nel sentire il calore della sua pelle, nell'immaginare che stavamo davvero per farlo e per un attimo, l'emozione della mia prima volta mi sorprese inaspettatamente.

"No, cazzo, non posso fare cilecca ora". Ansia da prestazione. Mi colse improvvisamente, temendo che lei si aspettasse chissà cosa, che la voglia di entrare in lei e venirle dentro era così forte da compromettere la concentrazione e il risultato finale.

Mi staccai dalle sue labbra per un secondo; Sarah mi guardò accigliata.

- Tutto bene? - domandò preoccupata.

Annuii.

- Ho realizzato ora che è la tua prima volta. - mentii - e non voglio deluderti. -

Sarah sorrise. - Hai avuto così tante ragazze e solo con me hai questa paura? - Prese il mio viso tra le sue mani e mi schioccò un bacio sulle labbra. - Io non sono qui per giudicarti. Voglio essere amata da te, voglio che mi prendi e mi fai tua questa notte. Voglio che il mio corpo diventi il tuo rifugio, voglio che vieni dentro di me. Mi stai già facendo provare emozioni nuove e indescrivibili, non avere paura di darmene altre. -

La morbidezza del suo corpo contro il mio, delle sue labbra tornate a mordermi e a baciarmi in maniera dolce, allontanò quegli spauracchi che avevo vissuto diversi anni prima e che non erano più tornati dopo quella prima volta.

La differenza rispetto ad allora era che in quel
momento amavo la persona tra le mie braccia e anche se il mio fisico non era più vergine, le mie emozioni lo erano.

Sarah era lì per amarmi, non giudicarmi. Sapevo come muovere il mio corpo, quali sollecitazioni darle per farle provare piacere. Non avrei sbagliato.

Il suo bacio era benzina pura, l'energia che mi eccitava e mi dava sicurezza, facendomi sentire vivo.

Le misi una mano dietro alla schiena e l'adagiai dolcemente sul letto.

Era arrivato il momento. La mia eccitazione sfiorava il suo corpo e sapevo che avrei faticato a trattenermi ancora. Mancava solo una cosa.

- Il preservativo, l'ho lasciato di là -. Sarah mi appoggiò un dito alla bocca e lanciò un'occhiata al comodino. Non avevo notato il cestino contenente vari preservativi e un biglietto, con la scritta "Godete!".

- Le ragazze hanno pensato a tutto. - disse continuando a guardarmi con quegli occhi maliziosi.

Dio, lo sapevo che non sarei durato, se avessimo atteso ancora. Infilai il preservativo e mi preparai a entrare in lei, i nostri sguardi a fissarci l'uno nell'altra, in cerca di un qualsiasi suo immediato rifiuto. Ma non arrivò.

Era la mia prima volta con Sarah e lei sorrideva, tutte le paure e le paranoie erano sparite dal suo viso. L'eternità ci aveva catturati nella sua maglia, avvinghiato i corpi nella tela di quell'istante che avrei voluto non finisse mai.

Dovevo andare piano, nonostante la frenesia del momento, il mio corpo diceva di spingere con vigore per soddisfare la voglia latente; le avrei fatto male se avessi dato retto a quella stupida voce nella testa. Mi imposi di rimanere concentrato e guardarla negli occhi, per cogliere qualsiasi sua reazione.

Un accenno di fastidio le attraversò il viso per un momento.

- Mi fermo? - domandai preoccupato.

- No. Baciami. - disse in un sospiro.

Ripresi a baciarla per farla rilassare, e di lì a poco, non incontrai più alcuna resistenza.

Sarah prese ad assecondare le mie spinte, mentre gemiti sempre più intensi le fecero staccare le sue labbra dalle mie, e le sue mani cominciarono a stringere sempre più forte la mia schiena, quasi a graffiarmi, per i picchi di piacere che stava raggiungendo. Sentii il suo corpo irrigidirsi e incurvare il bacino sempre più verso il mio, per trarre il massimo piacere da quel gesto.

Un gemito più forte degli altri mi fece capire che aveva raggiunto l'orgasmo, mentre sentivo il suo corpo cominciare a rilassarsi. In quel momento venni anche io, felice per averla fatta godere e per essere riuscito a controllarmi.

Mi accasciai dolcemente su di lei, la mia testa sul suo petto, mentre con le mani prese ad accarezzare i miei capelli. Il suo cuore sembrava scoppiare, il suono di mille cavalli al galoppo, sincronizzato con il mio. Non l'avevo mai sentita così viva.

Io, non mi ero mai sentito così vivo prima di quella notte.

Per la prima volta, avevamo fatto l'amore.

***

Per la prima volta, le avevo mentito.

Perché avevamo vissuto dentro una bolla, il nostro piccolo mondo, in cui nessuno ci avrebbe cercato, nessuno ci avrebbe interrotto, nessuno ci avrebbe fatto del male.

Per la prima volta da diversi mesi, eravamo tornati a essere solo noi due. E avevamo vissuto il nostro attimo di eternità fino a che il suo cellulare non vibrò, riportandoci a terra. Poco dopo, anche il mio cellulare vibrò ma le parole non furono le stesse: non le dissi mai la verità di quella telefonata, mascherata da un semplice ritardo agli allenamenti.

Le mentii per non allarmarla, per non farle capire che il nostro piccolo mondo aveva iniziato ad allargare quelle crepe che si erano create tempo fa e che, fino a quel momento avevamo ignorato.

- Arrivo subito. - dissi a mia madre, completamente in lacrime dall'altra parte del telefono.

Aspettai che Sarah fosse entrata nel cortile e mi diressi verso casa, alla velocità più alta consentita dalla mia moto.

Quando arrivai notai subito la macchina della polizia, parcheggiata a lato della strada, proprio davanti al negozio di alimentari. Il portone del condominio era aperto, un poliziotto che stava facendo un rilevamento mi fermò  e chiese chi fossi.

- Sono Francesco Lorenzi, mia madre mi ha chiamato per quello che è successo. -

Il poliziotto mi chiese un documento: in fretta e furia estrassi il portafoglio e gli porsi la carta di identità. Mentre l'uomo controllava quel fottuto pezzo di carta, mi stavo sentendo morire dentro. Non appena me lo restituì, lo buttai nella tasca dei jeans e salii le scale due gradini alla volta.

Quando arrivai davanti alla porta del mio appartamento, c'erano altri due poliziotti intenti a parlare con mia madre in lacrime, il fazzoletto davanti alla bocca.

Non appena mi vide, allargò le braccia in cerca di un sostegno, come una bambina. Le corsi incontro e la strinsi a me, per evitare che cadesse e potesse farsi più male di ciò che stava già provando.

- Franz, la nostra casa...- mia madre singhiozzava vistosamente e non riusciva a parlare. Le misi una mano sulla testa e tentai di rassicurarla.

- Chiamo subito papà. -

- Sta già arrivando. - intervenne un poliziotto.

- Cosa è successo? - domandai.

- Non sappiamo con esattezza, sembra un gruppo di zingari in cerca di oro. Sono molto frequenti questi furti in città e, purtroppo, se non trovano nulla, ciò che lasciano dopo il loro passaggio è ancora peggio. -

- Ma noi non abbiamo oro! - esclamai incazzato. Perché proprio noi?

- Per fortuna non eravamo in casa o ci avrebbero fatto del male. - intervenne mia madre, ripresasi.

- Con me in casa, la polizia non avrebbe trovato nemmeno i loro cadaveri. - risposi. Notai uno dei due poliziotti alzare il sopracciglio senza commentare - Posso andare a vedere? -

L'altro poliziotto annuì. La porta era socchiusa e appena l'aprii, uno scenario che mai mi sarei aspettato, si riversò davanti ai miei occhi: l'appartamento era completamente a soqquadro. Il divano disfatto con i cuscini gettati da una parte all'altra, completamente tagliati, ante dei mobili a penzoloni e il contenuto sparso per terra, in quello che ormai non erano altro che frantumi di suppellettili, libri strappati, cornici crepate.

Un poliziotto con la macchina fotografica stava uscendo dalla cucina e mi guardò preoccupato. La situazione era la stessa: cibo sparpagliato a terra, sedie rotte, vetro e porcellana a mucchi. Andai di corsa in camera mia: non era stata risparmiata anzi, era forse la stanza messa peggio. I miei vestiti gettati a terra, ammucchiati in un disordine innaturale, il letto sfatto e il materasso completamente rotto, abbandonato in un angolo. Non c'era più nulla di salvabile.

Non capivo come potesse esserci tutta quella violenza, quell'accanimento. Non avevamo nulla di valore, se non quegli oggetti che rappresentavano la nostra vita e ricordi. Perché colpirci così? Avevano aspettato che nessuno di noi tre fosse in casa - io alla festa, mia madre di turno e mio padre al lavoro -  per entrare nell'appartamento e distruggerlo, alla ricerca di un qualcosa che neppure esisteva.

Poi ebbi un'illuminazione: andai verso il comodino, completamente smontato, i cassetti rotti e sparpagliati in mezzo alla stanza. Guardai sul fondo, tastando il coperchio del doppiofondo in cui avevo nascosto mille di quei ventimila euro che mi ero portato dietro da Milano. Soldi sporchi di sangue e vite umane, guadagnati dallo spaccio. Soldi che non avrei mai potuto giustificare ai miei e che non avrei mai voluto utilizzare. Li avevo fatti sparire tutti e ne avevo tenuti solo mille, nell'estremo caso in cui i miei si fossero trovati in forte difficoltà.

Ora, erano spariti anche quelli.

Gli zingari li avevano trovati. Fiutavano l'oro e il denaro, quei bastardi.

Forse era stato meglio così: l'unica cosa di valore e di cui non me ne fregava niente, era stata presa.

Certo che potevano risparmiarsi tutta quella distruzione ma poi capii: forse quella cifra li aveva ingolositi e spinti a cercarne altri in giro.

Avevo fatto nuovamente una cazzata, dannazione. Dovevo farli sparire quando potevo.

Mi allontanai e feci un altro passo verso il televisore gettato a terra: irrecuperabile anche quello. Con la coda dell'occhio vidi qualcosa di scintillante sotto di esso: il proiettile che avevo trovato a terra tempo fa. Al suo fianco, un secondo proiettile, identico al primo.

Lo presi in mano e lo rigirai tra le dita.

Una macchia di sangue incrostato si trovava sulla sommità.

Un brivido freddo mi attraversò la schiena.

Per la prima volta, ebbi paura.

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

Mie care Rockers, lo so: dopo tanto amore, terminare il capitolo in questo modo lascia l'amaro in bocca.
~*~

Sembra che la vita di Prinz debba continuare a essere costellata di eventi traumatici, che il pegno per tanta felicità e amore sia il dolore e la paura.
~*~

Riuscira' a trovare un po' di serenità anche lui?
~*~

Ps: vi siete appuntate il nome che compare nel capitolo? Chi potrebbe mai essere?
~*~

Stay tuned!

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro