I
"Il prologo della mia vita inizia con un tramonto..
Poiché è sempre cosa buona iniziare con ciò che ha fatto più male,
per ricostruire a passi lenti il dolore che si è provato.
Fino ad arrivare alla prefazione, con un'alba stupenda
che illumina tutta la bellezza dell'anima.."
Delle volte la vita da liceale sembra, caro lettore, come una di quelle interrogazioni di cui hai una tremenda paura, e nonostante tu abbia studiato tutto e conosca ogni argomento alla perfezione prendi sempre e comunque due.
Naturalmente ci sono casi e casi.
C'è chi non si scoraggia e va comunque avanti, c'è chi ha pronta una bella raccomandazione e anche se "allaffacciu" c'è un due, beh, poi diventerà sei; c'è poi chi rimane distrutto e perde la voglia di studiare; e poi ci sono alcuni individui che comunque vada sorridono sempre, sempre.
Quest'ultima categoria a me sinceramente, incute un terrore assurdo, ma a lei no.
Lei era Sofia, la più bella ragazza di tutto l'istituto di quel piccolo centro siciliano che per gli studenti era un piccolo mondo, come d'altronde una qualunque scuola è.
Lei non si vestiva in modo appariscente o trasgressivo, lei era Giugiù per le amiche.
Amiche?
Quelle che le andavano appresso (dietro sarebbe più opportuno).
Só per i ragazzi, quelli carini che alla ricreazione andavano al bar con l'aria stanca di chi ha la settimana più impegnata del diavolo.
Era Zizzi per i compagni di classe, che incantava sempre, qualunque cosa facesse.
Era invece la Stronza, per tutte quelle a cui aveva rubato il ragazzo, ma lei era Sofia e poteva permetterselo.
Era anche La Graziosa per i prof.
Solo Sofia per Michele.
Michele, quel gran pezzo di ragazzo che seppure diciottenne, anzi quasi diciannovenne, aveva il cervello d'un ragazzino.
Quel taglio sbarazzino, e quell'accenno di barba avevano fatto impazzire Sofia, che guardando nei suoi occhi aveva capito sì, di che colore realmente fosse la vita.
Eppure nei corridoi si scambiavano semplici saluti, saluti veloci ed estranei.
Una volta però, ad una festa lei lo aveva baciato, Michele si era sentito bene, aveva gustato delle labbra delle più soffici rose, e quelle guance così morbide come fossero pesche, e quei capelli al profumo di cannella misto a cioccolato, di quel colore bellissimo che si avvicinava al colore delle spighe.
Avevano parlato tanto quella sera.
Il giorno dopo erano tornati ai saluti, ma in segreto si stringevano le mani, anche se Sofia rimaneva sempre in bilico. Michele non capiva mai se si stesse impegnando sul serio o se fingesse con lui, e questo lo faceva ridere perché era quello che faceva sempre lui.
Sofia aveva sempre strane idee, e sembrava davvero convinta quando ne parlava con Michele, gli occhi caramello le luccicavano. Una volta gli confessò persino di voler fare un viaggio, Michele inizialmente l'aveva guardata in modo confuso, con il suo solito sopracciglio nero alzato, poi lei aveva riso, e sbattendogli la mano sul petto aveva detto "scherzavo, Toto!"
Così Michele era diventato per tutti Toto il cagnolino di Sofia.
Ognuno a scuola, almeno un minuto durante tutta la giornata scolastica, parlava di lei.
Tutti.
E non è un eufemismo. Era la figlia della preside, eppure era stata quasi bocciata una volta. Era bellissima e il suo sorriso così affascinante, e poi era popolare, aveva sempre le idee giuste riguardo i vestiti, aveva sempre le mani curate, e il trucco pronto.
Sofia non parlava mai di se, con nessuno, ma amava scrivere di se; raccontare le proprie emozioni ad una pagina vuota la faceva sentire meno sola. In uno dei suoi tanti diari, forse quello del secondo anno scrisse:
"Studiando filosofia la noia raggiunge persino Plutone, tutti parlano di questo stupido principio, un concetto per definire il destino credo, ma il destino non è altro che un bicchiere col fondo bucato, chi si affida ad esso verserà acqua per sempre, in qualcosa che non avrà mai la forza di riempirsi.."
Era brava con le parole. Scriveva la sua anima, era come se esistessero più Sofie.
Non so se Sofia avesse ragione o meno riguardo il destino, lei aveva moltissimi sogni, come un qualunque ragazzino che pensi al futuro.
Michele le diceva spesso che doveva ridere meno altrimenti avrebbe battuto il suo record da pagliaccio della scuola.
Era impressionante come lei, dopo tutti quei sorrisi, non avesse neppure una ruga.
Verso maggio partì davvero, ritornò a giugno giusto in tempo per festeggiare la fine della scuola. Sembrava più bella, più viva.
Mentre ballava, l'ultimo giorno di scuola, Michele la guardava di nascosto e le sue amiche la tiravano a se sussurrandole alle orecchie parole riguardanti qualche ragazzo che la stava osservando, e lei si muoveva a ritmo di quella musica che forse non le piaceva neppure tanto, ma ballare era la cosa più normale da fare in quel momento. Fingere di divertirsi.
Qualcuno le passava accanto e lei lo trascinava nella mischia.
Quando la musica finí, iniziò l'estate, e poi finì anche quella.
Come qualunque cosa soggetta al tempo, è destinata a fare: finire.
Nell'inverno di quello stesso anno nell'istituto di quel piccolo paesino siciliano cambiò qualcosa, qualcosa che diede avviò allo sbocciare di tanti, piccolissimi e purissimi fiori.
"I mostri non stanno sotto al letto, essi sono orrori, ma da essi possono nascere meraviglie; ad esempio la madre di Michele è orrenda, lui è un Bonazzo!"
Successe tutto così velocemente che non ci fu neppure il tempo di dimenticare che non è opportuno piangere in pubblico.
Dicono che Sofia avesse avuto un malore, uno di quelli improvvisi che non ti permettono di finire l'ultimo sogno della tua vita.
Uno di quelli per cui non riuscirai a finire i compiti per l'indomani.
Uno di quelli per cui non potrai chiedere a tua madre quel maglioncino nero che avevi visto in centro con le amiche, e che ti piaceva tanto.
Uno di quelli per cui non taglierai mai, dal tuo elenco, l'ultima cosa da fare prima di lasciare il liceo.
Però grazie a questo malore aveva contraddetto una delle sue frasi che diceva sempre, anche quando sua nonna stava male, lei le diceva sempre, sempre:
"Nonna non preoccuparti in Sicilia non si muore mai"
Buffo, era appena accaduto.
La Sicilia l'aveva tradita.
I medici l'avevano tenuta due giorni ed una notte sotto accurate osservazioni. Non capivano davvero quale fosse l'origine di quel male.
L'ansia di tutti superava ogni limite immaginabile.
A scuola regnò il silenzio durante quegli incessanti giorni. Michele sorrideva, ma non era il solito sorriso, le stringeva la mano mentre i medici con quell'accento che cerca di mascherare il dialetto, dicevano che no, non ce l'avrebbe fatta.
Michele singhiozzò e rise perché per la prima volta si era sbagliata.
Lui passò tutta la notte con lei.
Mentre i genitori dormivano distrutti, Michele prese la chitarra e le cantò una delle loro canzoni preferite Devil Town, era intonato anche se la voce era rotta dal pianto. Lei era così pallida e i suoi capelli puzzavano di ospedale, gli occhi, quelli, non li vedeva da tempo.
Staccarono la spina e con essa se ne andarono anche i sogni di Sofia, i suoi sorrisi, le sue paure nascoste, il suo cuore, i suoi occhi castani, i suoi pensieri, i suoi segreti.
Il suo corpo stava per andarsene per sempre, la sua anima non sarebbe stata così clemente.
È strano pensare come si spenga velocemente tutto quell'insieme di cose che ci rendono uomini, tutti quei pensieri, quell'ammasso di pensieri adolescenziali si spengano, molto semplicemente.
Come uno schiocco di dita.
Puff sparito.
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