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Capitolo 1 : Un giorno come un altro



Da quando il mondo è finito, bruciato o andato a puttane, come preferite insomma, si mangia di merda. Non che possa minimamente immaginare sapori diversi da questi, purtroppo sono nata al capolinea, ma c'è chi dice che prima il cibo fosse speciale, gustoso, tanto da farti avere l'acquolina in bocca. Espressione che tutt'oggi non riesco a comprendere. Eppure, non stento a crederci. O meglio, mi auguro che in un lontano passato la vita fosse estremamente più facile e piacevole, perché quella di adesso è una vera seccatura. Questa zuppa pare essere sempre più insapore col passare dei giorni. Mi chiedo quale tipo di rifiuti ci serva questo buzzone di Herman. Sfortunatamente non posso nemmeno lamentarmi, dopotutto se abbiamo un letto su cui poggiare le chiappe, un tetto sotto al quale oziare ed un piatto sostanzioso ogni fottuto dì, beh il merito non è altro che suo. Senza questa dannata catapecchia saremmo costretti a vivere in strada e vi posso garantire che equivarrebbe al suicidio. Perciò, non posso fare altro che starmene a testa china su questa scodella appiccicosa. I miei compagni sembravano essere dello stesso parere, non aprivano bocca, ma ordinarono con un cenno di mano una bevuta. Herman fece oscillare fra le labbra un grosso sigaro, riservandoci un occhiolino. Non si voltò per afferrare una delle tante bottiglie di liquori poste alle sue spalle su numerose mensole polverose, ma si abbassò sotto al bancone, trafficando rumorosamente con diversi sportelli. Dopo una manciata di minuti buoni, tornò soddisfatto, riempiendoci i bicchieri gongolante. A quanto diceva, per noi teneva da parte la roba migliore. Non ne ero più di tanto convinta, ma certamente non avevo prove che sottolineassero il contrario. Chiunque avesse a che fare con egli, sapeva bene quanto fosse complicato scorgere un imbroglio da una candida ed innocente verità. Se credete opportuno fidarvi della sottoscritta, tenete bene a mente le parole che sto per pronunciare : Herman è un figlio di puttana. Delusi? Non c'è proprio altro da dire al riguardo. La locanda era piena come al solito, facevo fatica ad udire persino il mio cucchiaio raschiare il fondo della ciotola ormai vuota. Dopotutto, cosa potevo aspettarmi dall'unica catapecchia ancora intatta in mezzo ai litri di densa e collosa merda? Questo postaccio era diventato il ritrovo ufficiale per gente come noi, razza indefinita. Mercenari, così ci definivamo. Anche se, la poca gente rimasta in città preferiva chiamarci con un altro appellativo : il Tritarifiuti. Non eravamo altro che la forza armata dell'Ordine. A quanto mi è stato riferito al tempo dai miei genitori, dopo la terza e quarta guerra mondiale, la Terra ha affrontato secoli di oscurità completa. Le armi avevano devastato ogni centimetro, perfino il più minuscolo ed impercettibile angolo di mondo. Morte, disperazione, lotta per la sopravvivenza. Poi, come un miracolo, di punto in bianco, un uomo si è eletto sopra di tutto e tutti. Ha costruito un impero, ha organizzato quella che può essere definita una bozza sociale, ha portato una nuova speranza. Il suo maestoso palazzo si erge nell'esatto centro di quella che anni fa doveva essere una città od una metropoli. È dannatamente bianco, così puro da risultare quasi abbagliante agli occhi. Però, è di impatto. Spicca, fa da contrasto al plumbeo sfondo della desolazione che lo circonda. Tutto è morto, tutto è grigio. Tutto è niente più ormai, tranne quell'edificio. Molti di noi sono stati reclutati quando eravamo infanti, ma la maggior parte discende da famiglie che a loro volta erano state al servizio di questo mistico uomo. Il suo nome è Nimrod. Esatto, come quel famoso personaggio biblico. Il primo fra gli uomini a costruire un potente regno. Somiglianze? Non credo sia il suo vero nome, ma tutti lo conoscono con questo appellativo. Forse, vi starete chiedendo cos'è l'Ordine. È alquanto complicato riassumere il loro motto, il loro obiettivo. Ammetto che da piccola pure per me fu difficile comprendere i loro gesti, i loro ordini. Agli occhi di una bambina, molte delle loro azioni apparivano come orribili e spregevoli punizioni, ma crescendo ho imparato che tutto questo è giusto ed utile. È necessario. Non contano i mezzi, ma il fine. Si dice così, giusto? In quel palazzo viveva l'élite. Persone riconosciute pure, caratterizzate dalle giuste proporzioni e dai perfetti geni. Coloro che erano destinati a ripopolare il mondo. L'Ordine è una sottospecie di nuovo potere politico. Si proclamano Salvatori dell'umanità. Inneggiano al ripristino. Il loro motto è : fuori il marcio, dentro il sano. Ovvero, chiunque non si avvicini ai canoni da loro prefissati merita la sofferenza all'esterno. Com'è la situazione all'aperto? Un fottuto incubo. Sebbene sia il 2617, le radiazioni non sono ancora svanite del tutto. E no, niente robaccia super tecnologica come macchine volanti e quant'altro. Se anche in passato vi fossero stati progetti del genere, tutto è stato distrutto. I sopravvissuti lottano per la vita ogni singolo giorno, ma molti cadranno comunque vittime della tossicità nell'aria ed acqua. Non solo, se siete particolarmente fortunati ad avere ancora le budella intatte e affatto deformate in corpo, non pensiate di cantar vittoria od abbassare la guardia. Le vostre chiappe non sono ancora al sicuro. Nossignore. Voi non avete la più pallida idea di quale bestie siano emerse dall'inferno nucleare che si è abbattuto. Mostri, esseri, scherzi della natura? Non hanno un nome, ma credo che vi basterebbe incrociarne uno di striscio per farvela nelle mutande. I poveri sfortunati, la spazzatura dell'Ordine, noi commilitoni li chiamiamo 'Sfollati'. È abbastanza comune anche il soprannome 'ratti', visto che il loro stile di vita è praticamente lo stesso, ma per me non fa alcuna differenza. Sono soltanto carne da macello, carne infetta che macchierebbe il progetto di recupero. Noi mercenari privilegiati? In un certo senso, forse, mi sento di darvi ragione. Ma la realtà è ben altra. La differenza fra noi poveri cani e quei viscidi ratti, è che noi siamo utili. Noi svolgiamo qualunque tipo di richiesta, noi ci sporchiamo le mani, noi rischiamo la vita. E per cosa? Per soldi e iniezioni, ovviamente. L'Ordine ci garantisce dosi per restare immuni alle radiazioni esterne. Ci forniscono armi e controllano molto spesso la nostra salute. Siamo monitorati ventiquattr'ore su ventiquattro attraverso questo stupido aggeggio affisso al polso. Un bracciale elettronico munito di schermo, che funziona oltretutto da interfaccia utente. Ci permette di essere in contatto con gli alti capi dell'Ordine, di ricevere dettagliate istruzioni su missioni, ma anche di essere costantemente sotto controllo. Gps. Vai in una zona proibita? Non porti a termine un incarico? Confabuli alle spalle di Nimrod? Non prendi la dose del vaccino? Tenti di strapparti di dosso il bracciale? Finisci sotto terra. C'è sempre una fregatura tutto sommato, no? Lo stesso pezzo di metallo che ti aggiorna sulle tue condizioni fisiche, attraverso un minuscolo ago che di tanto in tanto perfora una vena per l'analisi istantanea, beh può essere il tuo boia. Basta uno sgarro e quel maledetto spillo rilascia nel sangue una sostanza corrosiva e letale. Ne ho visti tanti morire e vi giuro che non è un bello spettacolo. A causa del panico il cuore batte più in fretta e in questo modo il sangue viene spinto con maggiore velocità in tutti i canali, trasportando l'acido in un battito di ciglia a tutti gli organi. Ti sciogli dall'interno, ritrovandoti a sbavare e fare schiuma come una lumaca immersa nel sale. Non è un bel modo per morire, affatto veloce ed indolore. Vi potranno sembrare precauzioni leggermente estreme, sadiche, ma dopo il casino che è successo, o meglio, che va avanti da venti anni a questa parte, sono del tutto necessarie. L'Ordine ha adottato queste soluzioni definitive a causa di un gruppo che ha dichiarato guerra a Nimrod. Questi folli hanno tranquillamente espresso la volontà di voler trucidare ogni singolo componente dell'élite, distruggendo anche la più remota traccia dell'Ordine. Vogliono districare il nostro albero. L'edificio in questione, rappresenta per noi l'albero della vita, l'albero di mele dell'Eden. I puri non sono altro che i frutti sani, mentre gli sfollati i torsoli marci. Noi, al contrario, siamo i rami, sta a noi scegliere quale mela, quale causa tenera ben stretta. Questa filosofia è incisa sulla nostra pelle. Ogni mercenario ha tatuato su una zona del corpo il simbolo della nostra allegoria, questo albero dalle salde radici e dai numerosi rami. I Ribelli hanno attentato più volte alla vita di Nimrod e dei suoi uomini. Fanno razzie dei nostri magazzini. Distruggono laboratori di ricerca. Rubano le iniezioni. Potete capire quindi perché le misure di sicurezza sono diventate ben numerose e pignole. Loro sono considerati nemici del nuovo Stato. Abbiamo l'ordine di sparare a vista. In fin dei conti, non c'è molta differenza fra noi tre categorie, rispetto all'élite. Che siate sfollati, ribelli o soldati, la morte sopraggiungerà presto. Sappiamo di essere feccia, noi mercenari lo abbiamo sempre saputo, ma non ci importa. Non mi interessa se una volta che la Terra sarà ripristinata, noi verremo cancellati, spazzati via come foglie secche. Fino ad allora io continuerò a lottare per un futuro migliore. Non permetterò a nessuno stronzo di rovinare il futuro dell'umanità.

Un rumore assordante interruppe la mia riflessione, costringendomi a voltare lo sguardo all'origine di ciò. Alle mie spalle, due coglioni avevano dato inizio ad una rissa. Lasciai perdere la scodella, spostandola di lato, e mi girai sulla sedia di centottanta gradi, poggiando gomiti e schiena al bancone. I due uomini in questione si stavano prendendo a cazzotti, senza troppi ripensamenti. Il locale si trasformò ben presto in uno spettacolo violento e gratuito. Gli spettatori schiamazzavano a gran voce, inneggiando uno dei due. Chi si limitava a guardare e chi scommetteva. Herman si allungò sulla lignea superficie che lo separava da me, in modo da affiancare il suo volto al mio. Sfilò dalle labbra il sigaro, gettando nell'aria una cospicua quantità di fumo. Le lunghe e buzzurre catenelle d'oro che aveva al collo, echeggiarono al contatto con il legno.

-Sai cosa fare. – sussurrò divertito.

Annuii, senza distogliere l'attenzione dai traballanti e sanguinolenti mercenari all'angolo della locanda. Cominciavano ad essere stanchi. Molti colpi andavano a vuoto. Con tutte le botte prese in testa, non erano da escludere gravi traumi cranici ad entrambi. Sorrisi nel vedere uno dei due sfracellarsi contro ad un tavolo. L'alcool e le brodaglie scambiate per zuppe lo inondarono, riversando i propri liquidi su quello che si era mostrato il debole. Il vetro, le schegge affilate dei boccali, gli ferirono le braccia scoperte. L'uomo mugolò. Il whisky sui tagli stava già agendo da disinfettante. Herman mi squadrò severo attraverso quelle lenti ambrate dei suoi tanto amati occhiali da sole. Bene, lo spettacolo sarebbe finito. Scivolai giù dall'alto sgabello, mentre i miei compagni già sogghignavano sotto i baffi, sapendo a priori cosa sarebbe successo. Scossi il lungo cappotto beige, passeggiando tranquillamente fra quella chiassosa massa di testosterone. Il pavimento strideva ad ogni mio veloce passo, producendo una colonna sonora da accompagnamento. Le suole degli anfibi perdevano granelli di sabbia ad ogni falcata. Non appena raggiunsi il palco dello spettacolo, gli spettatori si zittirono all'istante. I due soldati, troppo impegnati nell'uccidersi a vicenda, non si accorsero subito del silenzio che li aveva improvvisamente circondati. Posai le mani sui fianchi, mettendo in bella vista i miei due tesori tirati a lucido. Le mie compagne d'avventura, le mie pistole. Desert Eagle. Perché proprio loro? Semplice, come deturpano la faccia queste, non lo fa nessun'altra. Ho cambiato più armi da fuoco nel corso della mia articolata carriera da Tritarifiuti, ma queste chicche sono le uniche ad avermi soddisfatto al cento per cento. Il loro funzionamento è inusuale rispetto alla maggior parte delle pistole semi-automatiche a breve rinculo o a vampa di ritorno. Il meccanismo di riciclo dei gas adoperato nella Desert Eagle è di utilizzo più comune nei fucili. Infatti, la rotazione dell'otturatore e il meccanismo di bloccaggio presentano una consistente somiglianza con i fucili della serie M16. Il vantaggio del riciclo dei gas dello scoppio? Beh, risiede nel fatto che è possibile l'utilizzo di proiettili di gran lunga più potenti di quelli specifici per le tradizionali pistole semi-automatiche. Il modello per cui alla fine ho optato è la 357 Magnum. Lunghezza della canna: 202 mm. Capacità del caricatore: 9 colpi. In sintesi? Prega di non trovarti mai puntate in faccia queste stronze.

-Zeta. – farfugliarono all'unisono.

I due soldati finalmente si erano accorti della mia presenza. Il più grosso lasciò immediatamente il colletto della maglia del rivale, indietreggiando di qualche passo. Il minuto, al contrario, rimase immobile a fissarmi. Abbassai per un istante le palpebre, godendo di quel silenzio.

-Zeta, possiamo spiegarti. – borbottò il bestione.

Sospirai rumorosamente. Se ve lo state chiedendo, no, Zeta non è il mio nome. Per essere precisi è il soprannome che mi è stato affibbiato. Mi chiamo Zoe, ma tutti mi conoscono con l'altro appellativo. Ormai ci ho fatto l'abitudine, non mi fa alcuna differenza. Perfino il mio plotone, noi quattro stronzi, è conosciuto come Team Z. Nimrod in persona ha scelto questa lettera. Essendo io il capitano della squadra, credo abbia optato per l'iniziale del mio nome di proposito. E a dirla tutta, non mi dispiace. Per noi donne è un periodo buio, è difficile farsi rispettare od essere prese minimamente in considerazione. Per mia grande fortuna, io e i miei uomini siamo fra le poche persone ad essere riconosciute come spalle destre dell'Ordine. Questo dettaglio obbliga tutti loro, cani dell'esercito, a portarmi rispetto. Nessuno di questi mercenari oserebbe torcermi un capello, a meno che non vogliano morire di una lunga e tormentata agonia. In faccia tutti obbediscono ai nostri comandi, ma non sono certamente stupida per ignorare il fatto che alle spalle ce ne dicono di tutti i colori. Di battute squallide sulla sottoscritta sono giunte pure alle mie orecchie. Tutto sommato, la cosa non mi tange. L'importante è che svolgano i lavori richiesti. Infilai la mano nella larga tasca del cappotto, estraendo un pacchetto di sigarette consumato. Posai sulle labbra una cicca leggermente storta, rigettando la scatola di cartone al proprio posto. Non tastai gli indumenti in cerca di un accendino, già sapevo di averlo lasciato al bancone. Feci dondolare la sigaretta, continuando però ad osservare i due colpevoli. Qualcuno si mosse fra la calca, ma i miei occhi erano puntati sui due protagonisti dell'animato spettacolo, perciò non mi distrassi ad osservare l'uomo che si stava avvicinando a me. Una mano apparve nel mio campo visivo. Il soldato in questione azionò uno zippo nero, infiammando la punta della bianca striscia di tabacco. Inspirai, accendendo di un arancione vivo l'oggetto. Non lo ringraziai a parole, mi bastò un cenno di testa ed egli tornò al proprio posto. Liberai il fumo nell'aria, increspando le sopracciglia.

-Conoscete tutti le regole. – parlai, tenendo saldo il filtro fra le labbra. Qualcuno alle spalle ridacchiò.

-Le conosciamo, ma.. – disse con voce tremolante il minuto, cercando di intenerirmi.

Scossi la testa, interrompendolo. Gli feci cenno di fare silenzio, adagiando l'indice sulla bocca. Presi fra le dita la sigaretta e mi avvicinai ai due.

-Voglio dire, questo buzzone ci offre un rifugio, un piatto caldo. Non chiede niente in cambio, se non educazione. Non mi pare estremamente esigente, dico bene ragazzi?

Annuirono. Feci un tiro, girando intorno a loro. Quello più basso pareva essere maggiormente remissivo. Al contrario, quello ben piazzato mi guardava con occhi di sfida, mostrandosi affatto intimorito dalla sottoscritta. Mi sfuggì una smorfia, lo trovavo divertente. Mi accomodai con uno slancio su un tavolo alle loro spalle, sedendomi a gambe divaricate lasciate a penzoloni. Poggiai entrambi gli avambracci sulle mie cosce. In una mano tenevo ben stretta la cicca fumante, nell'altra stringevo una delle mie pistole.

-Sei esigente, Herman? – alzai la voce.

Il proprietario della locanda fece scrollare la spalle, tamburellando con le dita sul bancone.

-Mi reputo un uomo generoso. – esclamò, formando una piega al lato della bocca.

-E lo sei. – affermai sorridente – Non è forse l'uomo più generoso che conosciate?

Erano tutte stronzate. Herman ci dava sì un tetto, ma in cambio di oggetti e pezzi che poteva rivendere al mercato nero. Avrebbe fatto qualsiasi cosa in cambio di soldi. Detto questo, aveva soltanto una piccola fissazione. Una innocente ossessione per la perfezione, la quale si rifaceva sull'arredamento del locale.

-Lo è. – rispose secco quello muscoloso.

-Senza dubbio il migliore. – affermò quell'altro, suscitando una grassa risata fra la folla.

Se la stava facendo sotto. Inappagabile. Notai che il mercenario muscoloso poggiava il peso sulla gamba sinistra. Un colpo male incassato? Muscolo stirato?

-E questo è il vostro modo per ringraziarlo? – domandai, indicando il caos prodotto.

Pezzi di sedie, scodelle, boccali, alcool e zuppa sul pavimento. Senza parlare del tavolo completamente sfasciato.

-Ci penserò io. – dichiarò il minuto – Metto in ordine tutto, non noterete nemmeno la differenza.

Inalai un altro po' di veleno per i polmoni, gustandomi quel sapore deciso.

-E il tavolo?

Si massaggiò nervoso il collo, controllando i danni.

-Ne cercherò un altro nella prossima missione. – balbettò convinto.

Lanciai un'occhiata ad Herman, scambiandoci una risatina taciuta.

-Sentito, Herman? Ci penseranno loro. – proferii col sorriso fra le labbra.

Si passò una mano fra i capelli castani, cercando di non spettinare il riporto.

-Sarà difficile trovare un tavolo che si intoni con il locale. – annunciò, giocherellando col sigaro.

Feci per aprire bocca, ma il soldato arrogante si sbracciò per rispondere bruscamente ad Herman.

-Me ne sbatto le palle di questo posto di merda. – si adirò gonfiando il petto – E me ne sbatto pure di questa cagna.

Avrei tranquillamente sorvolato sull'arringa del locale, dopotutto era un vero schifo. Soltanto Herman stesso poteva esserne fiero. Ma se c'è una cosa che mi manda in bestia, beh non è altro che la mancanza di rispetto. Suvvia, non fate quelle facce. Sapete benissimo cosa sta per succedere. Scattai, tornando a posare le suole degli anfibi sul pavimento. Serrai le labbra, non volendo far cadere la sigaretta. L'uomo si voltò, avendo udito del movimento alle proprie spalle, ma prima che potesse aprir bocca o difendersi, gli assestai un calcio sul polpaccio destro, quello apparentemente malandato. Come immaginato, il mercenario cadde in avanti sulle proprie ginocchia, fallendo nel trattenere un grugnito di dolore. Puntai la pistola alla sua testa calva e sparai senza esitazione alcuna. Tenevo sempre un colpo in canna, mi consentiva di far fuoco all'istante in situazioni di pericolo o colluttazioni generali. Il cranio dell'uomo riversò sangue, frammenti di ossa e grumi cerebrali, macchiando le gambe della sottoscritta e il pavimento tirato a lucido. Perfino gli stivali dei soldati in prima fila furono raggiunti dalla sua materia grigia implosa. Il corpo esanime ricadde di schiena, sfracellandosi a terra come un birillo. Il volto era tumefatto. In breve tempo aveva zampillato una consistente pozza scarlatta.

-Porca puttana! – gridò Herman, spezzando il sigaro fra le mani – Quante volte ti devo ripetere di farli a pezzi fuori? Dannazione, Zeta. Lo sai quanto sono ignoranti le macchie di sangue.

Ridacchiai, rinfoderando la Desert. Presi un panno sul tavolo accanto, pulendomi le cosce scoperte. Fortuna che indossavo degli shorts, non avrei avuto voglia di lavare un paio di pantaloni. Lasciai cadere lo straccio ai miei piedi. Lo smilzo mi fissava pietrificato.

-Herman, datti una calmata. Ci pensa questo giovanotto qui a ripulire questo macello. Non è così? – parlai, lanciandogli ciò che era rimasto della sigaretta sul petto.

Gli sorrisi e battei le mani, intimando alla calca di tornare ai propri posti. Lo spettacolo era finito. In un battito di ciglia tutto tornò come prima. Le persone parlottavano, chi rideva, chi beveva. Il brusio di sottofondo si fece fastidioso come al solito. Tornai al bancone, mentre lo smilzo si apprestava a trascinare sul retro il cadavere del compagno. Chiappe sullo sgabello e gomiti su quella superficie appiccicosa. Alla mia sinistra, Keetan rise, tirandomi una pacca sulla spalla.

-Davvero un bel teatrino. – bofonchiò, sistemandosi una sigaretta sull'orecchio – Scommetto che quello stecchino se l'è fatta nei calzoni.

Herman gli diede spago ed iniziarono ad ipotizzare la consistenza della striscia di merda che il ragazzo poteva avere nelle braghe. Chi è questo simpatico individuo? Un componente della mia squadra. L'unico che conosco da anni. Abbiamo ricevuto lo stesso addestramento e condiviso le peggiori missioni di prova. Avrà avuto sì e no quattordici anni la prima volta che lo vidi. Adesso ne ha una trentina superati. All'incirca trentaquattro, suppongo. Ne abbiamo passate tante insieme. Non c'è molto da sapere su costui, vi basta tenere bene a mente soltanto qualche piccolo particolare. È una ciminiera, fuma costantemente. La sua specialità sono gli esplosivi. Traffica con la peggio roba, ma in qualche modo riesce sempre a far saltare in aria ogni fottuta cosa. Adora le fiamme, probabilmente è una sottospecie di piromane. Non c'è una cazzo di missione nella quale Keetan non si presenti senza lanciafiamme. Dice che quando oggetti e persone bruciano, egli senta una melodia. No, probabilmente avete ragione voi. È sicuramente fuori di testa, ma è il migliore in questo campo. Il suo numero riconoscitivo d'agente speciale è 1 0 9 8. Segni particolari? Nah, nessuno. A parte il suo caratterino, ovviamente. È un attacca brighe di prima categoria.

-Si sognerà Zeta per un bel po' di notti. – esclamò, bevendo del liquore indefinito.

Da ragazzino aveva i capelli di un biondo grano, adesso si è scurito. Li tiene leggermente rasati di lato, lasciando un ciuffo abbastanza lungo sulla parte destra del volto. Le pupille azzurre, invece, sono rimaste immacolate.

-E chi non se la sogna? – ribatté Herman, facendo un gesto di mano all'altezza dell'uccello.

Posai all'istante le mie due pistole sul bancone, sdraiandole in modo che avessero entrambe la canna puntata verso il nostro barman tanto in vena di battute. Sollevò le mani all'altezza delle spalle, mostrandomi i palmi in segno di resa. Gli sfoderai un sorrisetto, ma lasciai le armi in quella posizione. Keetan tossì, schiarendosi la voce, e finse di dover andare al bagno. Alla mia destra, Booker fece tintinnare il bicchiere, dichiarando implicitamente di voler essere servito. Come siete perspicaci stasera. Sì, anche lui è un membro del team. Il biondino e l'energumeno nero al suo fianco sono da pochi anni che lavorano con la sottoscritta. Questo battaglione si è formato tre anni fa. Nimrod ci ha assemblati, dicendo che ci completavamo perfettamente come ingranaggi di un buon orologio da taschino. Se è vero chiedete? Mh, direi che fra bisticci e incomprensioni varie, funzioniamo abbastanza bene. Se Keetan per me è come un fratello, diciamo che Booker è come il cugino stronzo che si presenta ad ogni fottuta cena di famiglia. Non fraintendetemi, andiamo fin troppo d'accordo. Il problema sta nel suo atteggiamento, o meglio, il problema sta nei nostri caratteri. Siamo terribilmente arroganti, nessuno dei due si ritiene inferiore all'altro, ma dobbiamo a tutti costi dichiararci guerre mute ogni poco, come per voler sottolineare la propria superiorità. Che domande, ovviamente sono io la migliore. Statene certi, prima o poi anch'egli se ne renderà conto. Herman lo accontentò, servendogli la solita sbobba alcolica. Aveva un coloraccio azzurrino. Molti dei liquori glieli fornivano dei mercenari sotto il suo comando, ma la maggior parte di questi erano prodotti sul retrobottega. Devo dire che ci sapeva fare. Senza ombra di dubbio, era un uomo che sapeva arrangiarsi.

-Sbaglio o da settimane a questa parte, l'alcool fa più schifo del solito? – protestò Booker.

Avete ragione, non vi ho descritto né informato su probabili segni particolari. Tralasciando il fatto dell'essere un emerito stronzo, oltre che sfacciatamente antipatico, vi posso dire che ha braccia, petto e schiena completamente tatuati. Non gli ho mai chiesto spiegazioni sui suoi disegni inchiostrati, né mi interessa saperne le motivazioni. Un dettaglio alquanto singolare è lo stuzzicadenti che adesso sta facendo traballare fra i denti. Lo ha sempre in bocca o al massimo dietro all'orecchio. Mi disgusta parecchio, visto che è sempre lo stesso, ma egli sembra non farci caso. Dice che è il suo portafortuna. Forse mi basterebbe privarlo di ciò per vederlo stecchito in missione, ma purtroppo un uomo del genere ci è utile. È un meccanico esperto, aggiusta e progetta roba fuori dal mondo. Dicono che non ci capisca un cazzo perché sono donna. È buffo, no? Certe considerazioni sono rimaste immutate nel tempo. Oltre che giocare con chiavi inglesi e cacciavite, è un tiratore scelto. Dategli un fucile e farà saltare la testa ad una formica posta a miglia di distanza. È un vero fenomeno, niente da ridire al riguardo. Il suo codice è 1 7 0 1.

-Ascolta stuzzichino, la merda che vi servo è sempre la stessa. – replicò occhiali da sole.

Ebbene sì, stuzzichino è il suo soprannome. Herman ha un vero dono, ovvero quello di non ricordare mai un fottuto nome. Noi tutti ne abbiamo uno. Keetan è chiamato Molotov. Facile da capirne il motivo, no? Così come quello di Booker, dato lo stuzzicadenti fisso. Al bestione di colore era stato scelto Gorilla. Avete mai visto un gorilla in azione? Sono un uragano, distruggono tutto e tutti con foga. Proprio come loro, Trevon era un asso nel combattimento corpo a corpo. Purtroppo ha perso il braccio destro due anni fa, ma grazie a Booker adesso ha una protesi da fare invidia. Il meccanico non si è risparmiato nell'ingegneria. Quell'aggeggio bionico si trasforma in una machine gun con assetto rotante. Sì, avete capito bene. Alla fine, tutto sommato, gli è andata di lusso. Codice: 0 8 9 9.

-Secondo me, usi l'acqua del cesso per distillare questo schifo. – suppose Keetan, che a quanto pare era tornato senza che me ne rendessi conto.

Trevon non partecipava mai alle discussioni, stava sempre zitto. Non era un tipo di molte parole, ma quando c'era bisogno di uccidere o sparare, quello sembrava essere posseduto dal peggior demone infernale.

-Ci inzuppo soltanto la fava, giusto per dargli un tocco in più. – ribatté Herman, ancheggiando.

Trattenni una risata sguaiata, già pregustando la reazione dei miei compagni. Booker sputò immediatamente l'alcolico nel bicchiere, mentre con una mano si passava i capelli dorati all'indietro. Sebbene fossero abbastanza corti, aveva un paio di ciocche ribelli. Keetan lanciò via il drink, sporgendosi sul bancone. Afferrò Herman per una delle sue collane tamarre e lo avvicinò a sé, facendo scontrare le fronti.

-Non dirlo nemmeno per scherzo. – grugnì a denti stretti.

Trevon mi sorrise, ma non disse nulla, continuando a sorseggiare la propria bevuta.

-Eppure dovresti conoscere bene quel sapore, Keetan. – sfottei per infastidirlo.

Molotov piegò la testa di lato, squadrandomi con odio, senza mollare la presa. I suoi piccoli occhi cobalto mi stavano trapassando come spilli. Gli riservai una faccia di bronzo e Herman rise, indicandomi.

-Buona questa, Mandorla.

Voltai le pupille al cielo. Odiavo quel soprannome ed egli lo sapeva benissimo, dato che comunque il mio era uno dei pochi nomi che si ricordava. Perché quel nomignolo? A causa del taglio dei miei occhi. Ho dei lineamenti leggermente asiatici. Mio padre era di questa terra, luogo che un tempo era conosciuto come America, ma mia madre era di origine giapponese. Insomma, ero una bastarda. Di nome e di fatto, per l'esattezza.

-Fottetevi. – bofonchiò Keetan, lasciandosi cadere sullo sgabello.

Herman si massaggiò il collo dolorante, Molotov lo aveva strattonato con forza, dati i segni semicircolari sulla pelle. Booker fece per dire qualcosa, ma i bracciali si attivarono all'unisono.

Missione assegnata.

Sospirai. Bene, è finita la pacchia.

Angolo autrice
Dopo innumerevoli tentativi, finalmente sono, o almeno per il momento sembra, soddisfatta della stesura e della trama ipotizzata. Spero vivamente che la storia possa essere di vostro gradimento e sono bene accetti consigli, critiche costruttive e commenti al riguardo.
Vi prego di lasciare se possibile un vostro pensiero suscitato da questo capitolo e da quelli a venire, in modo che possiate essermi d'aiuto in questa avventura.
Un bacio.

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