Capitolo 2
La flebile luce solare filtrava attraverso la finestra, infrangendosi nella boccia perfettamente rotonda del piccolo e obeso pesce rosso impegnato a compiere i soliti tristi movimenti circolari.
Joan, seduta sulla poltrona che precedentemente aveva accolto il fratello, attendeva il ritorno di Jude con delle pizze fumanti fra le mani.
Anche il cibo è da ospedale.
Avermi invitato a cena suona più come una tortura.
Le affermazioni di Jude continuavano ad assillarla, obbligandola ad osservare l'ambiente circostante nel suo assieme. Era davvero così terribile come arredamento?
Agli occhi di Joan tutto appariva come un locale semplice e funzionale, non c'era niente di superfluo, ogni oggetto aveva il proprio motivo per essere presente. Sì, probabilmente i colori dominanti erano pallidi : bianco, beige, parquet chiaro e qualche tono di grigio. Tutto sommato, però, ad ella sembrava un appartamento accogliente.
L'argomento cibo, invece, era facilmente discutibile. La sua non era affatto una dieta sana. Cereali integrali e latte erano la base portante di quella che poteva definirsi 'alimentazione' quotidiana. Ogni tanto faceva il suo ingresso qualche verdura, grigliata o al vapore, ma cibi saporiti, grassi o fritti, mai varcavano la soglia di casa.
Non tanto perché Joan tenesse particolarmente al proprio aspetto fisico, quanto perché alimenti del genere non la obbligavano ad armeggiare ai fornelli. Preferiva la semplicità, pochi ingredienti, sapori tenui. E le rare occasioni in cui lo stomaco la trascinava ad assaggiare qualcosa di più complesso, la ragazza si limitava ad inserire nel microonde qualche pietanza italiana precotta.
Il pesce rosso interruppe la routine, fermandosi a boccheggiare di fronte al viso di quella screanzata che lo aveva bloccato in una boccia così piccola ed insulsa.
-Mi dispiace Ophelia, giuro che non appena avrò messo un po' di soldi da parte ti comprerò un enorme acquario e, magari, qualche compagno.
Joan sbuffò versando il nutrimento secco all'interno della vasca. L'animaletto si lanciò immediatamente sulla superficie, divorando quelle briciole di alghe essiccate con la voracità di uno squalo.
Il campanello trillò e la ragazza corse ad aprire la porta a Jude, accogliendolo con il sorriso più luminoso che potesse recitare.
Lui la ignorò, superandola, e gettò i due cartoni tiepidi sulla penisola.
-In questo buco di città non sanno fare nemmeno una pizza. – borbottò, afferrando dei tovaglioli.
Joan si accomodò sullo sgabello imbottito, versando nei due bicchieri di vetro un po' di Sprite.
-Almeno hanno già provveduto a tagliarla in spicchi. – osservò, sollevando il cartone.
Jude replicò con una smorfia, prima di addentare la pizza con nonchalance.
I due non parlavano, mangiavano uno di fronte all'altra scrutandosi di tanto in tanto con la scusa dello star bevendo. Eppure, c'era molto da discutere, da raccontare.
Benché fossero fratello e sorella, il loro rapporto non era mai stato dei migliori. Jude, proprio come il padre, non era mai stato presente. Da piccolo, il fratello non perdeva occasione per difenderla, per tenerla al sicuro da tutto e tutti. Si considerava il super eroe del quartiere. Tuttavia, non appena la pubertà aveva suonato alla sua porta di casa, Jude era cambiato. Uscire con 'Joan la stramba' di certo non lo avrebbe aiutato nelle relazioni sociali da adolescente.
La sorella divenne ben presto un pretesto per dimostrare la propria sfacciataggine e simpatia all'interno del suo gruppetto di brufolosi punk. Joan fu praticamente trasformata in un sacco da punchball, fu eclissata nella sua valvola di sfogo.
Nonostante ciò, si era sempre rifiutata di raccontare o spifferare il tutto alla madre. Lui che poteva uscire, lui che poteva divertirsi fra la gente, lui che non aveva problemi a dormire fuori o far festa, lui meritava di godersi al pieno quelle giornate.
Eppure, mentre Joan inghiottiva la pasta sottile di quella pizza margherita insapore, Jude non poteva fare a meno di pensare a tutte le cattiverie che sua sorella era stata costretta a subire. Si sentiva in colpa, lo stronzo di turno. Quello che avrebbe dovuto aiutarla sempre e comunque, le aveva voltato le spalle nel momento in cui aveva avuto più bisogno.
Lui lo sapeva bene, Joan mai aveva chiesto aiuto, eppure quei suoi grandi occhi verdi sembravano sempre gridare, anche ora, proprio adesso.
C'era un enorme abisso fra loro, una profonda voragine intenzionata a tenerli distanti. Per quanto Joan avesse voglia di aprire bocca, di spiegargli che, nonostante tutto, lo avrebbe sempre perdonato, e per quanto Jude volesse smetterla di intralciare il palato con bocconi esageratamente grandi, confessarle che era sempre stato un coglione e che le voleva bene, i due restavano in silenzio a testa china. Pupille sulla mozzarella e via, nodi in gola a non finire.
Se solo avessero avuto il coraggio di confrontarsi, se solo uno dei due si fosse sentito più pronto, il loro rapporto ne avrebbe lentamente giovato. Invece, continuavano a fingere che niente fra loro fosse mai accaduto, che il passato non avrebbe mai avuto importanza.
E allora, come si spiegavano tutto quelle chiamate mai fatte, quelle visite spontanee mai organizzate? Come si spiegavano i messaggini mandati puntualmente per gli auguri di Natale o compleanno, come si spiegavano gli ultimi due anni di assoluto silenzio?
Pian piano si stavano sgretolando, ma erano troppo ciechi od infinitamente stupidi per non accorgersene.
-Finito il sopralluogo e la pizza, cosa farai?
Joan scoccò la domanda senza preavviso, restando con una fetta moscia penzolante fra le dita. Dopo quattro miseri spicchi si sentiva già più che piena, ma forse era colpa dello stomaco che si stava contorcendo fra le budella a causa della tensione nell'aria.
Jude prese tempo, immergendo le labbra nella bibita acida affatto dissetante. Mica poteva dirle che Helen lo aveva pregato affinché la tenesse d'occhio per qualche giorno, come se fosse un asso nello spionaggio.
-Pensavo di fare un viaggio con l'Harley, così senza meta.
Joan lasciò cadere il pezzo di pizza nella scatola, pulendosi le dita al ruvido tovagliolo di carta. Fissava il fratello in cerca di un impercettibile errore, di un movimento muscolare che potesse tradirlo, ma la sua faccia di bronzo riuscì a convincerla di aver udito il vero.
Il cartone di pizza del fratello fu spostato di lato svogliatamente e le sue mani bloccarono i polsi di Joan, quasi temesse che ella potesse scappare.
-Nostra madre è sinceramente preoccupata, Joan. – sputò d'un fiato – Perché non rispondi più alle sue chiamate? Sta dando di matto, lo sai com'è fragile e suscettibile quando si tratta di te.
Joan si sporse in avanti, senza nemmeno provare a liberarsi dalla morsa del fratello. Sarebbe stato inutile, le loro risse erano sempre finite male per lei.
-Non prendiamoci in giro, Jude. Lei fragile? Quella donna è un blocco di marmo. Non ha nemmeno versato una lacrima al funerale di nostro padre. Non le interessa nessuno, se non di se stessa.
A quel punto Jude levò gli occhi al cielo, lasciando gli esili polsi della sorella, e scattò in piedi arruffandosi il ciuffo.
-Sempre con questa dannata storia. Sei insopportabile. Perché ti impunti così tanto nel disprezzarla? Ha fatto tanto per noi, per te.
-Cosa ne sai? Tu non eri mai a casa, non puoi sapere come fosse avere a che fare con lei notte e giorno.
Quelle parole riuscirono a zittirlo. Jude si arrovellava, doveva a tutti i costi trovare qualcosa per controbattere, ma ogni sforzo era futile a se stesso. Non aveva niente a cui aggrapparsi. Niente che potesse portarlo dal torto alla ragione.
-Non c'è niente di cui preoccuparsi, sto bene.
Eccolo l'appiglio, ecco lo scoglio su cui aggrapparsi.
-Guardati intorno, Joan. – sbraitò, pur mantenendo il tono della voce basso – Questo posto è così triste. Zero foto o quadri alle pareti, zero piante, zero colore, zero cibo nel frigo. C'è solo quella palla di lardo arancione! Cazzo, voglio dire, un cimitero mette più allegria. E allo specchio ti sei vista? Sembri un cadavere ambulante. Tu non stai bene.
Io sto bene.
Il resto del discorso non le interessava.
Io sto bene.
Se lo ripeteva quasi fosse un mantra, come se il solo formulare quelle parole la aiutasse ad autoconvincersene.
-Sto bene. – uscì come un sussurro, ma il volto era categorico.
In fin dei conti, perché Jude doveva vedere tutto in negativo?
Lei non aveva bisogno di foto o dipinti alle pareti per essere felice. Lei non aveva bisogno di un frigorifero straboccante di cibo o di colori sgargianti attorno per essere felice. Lei era diversa, lo aveva accettato, ed era giunta l'ora che anche i propri familiari se ne rendessero conto.
-Sei qui da quasi più di un anno e ci gioco le palle che non ti sei fatta nemmeno un giro d'amici.
Jude non aveva intenzione di porre una tregua alla diatriba, voleva vederla scoppiare, uscire dal guscio. Voleva che gli urlasse addosso, che si arrabbiasse, che fosse sincera con se stessa. Era convinto che Joan vivesse nelle proprie false convinzioni. Era convinto di poterla aiutare.
-Ho Agnes.
L'unica e sola persona che era riuscita ad avvicinarsi a quel groviglio di insicurezze. L'unica e sola amica che aveva, e che probabilmente avrebbe, mai avuto.
-Joan, torna a casa.
A quel punto, la ragazza non riuscì a trattenersi. Joan non aveva mai avuto una vera casa. Il cartongesso in cui aveva vissuto la propria infanzia e inizio adolescenza non era altro che una scatola, una gabbia nella quale era stata costretta a fingere di essere qualcun'altra. Nessuno era stato capace di capirla, di comprenderla. Le persone attorno si erano limitate a sommergerla di consigli futili, insensati, sul come comportarsi, reagire, sul come vivere. Joan era tormentata da quei ricordi sbiaditi seppur pungenti, era tormentata da tutto e tutti.
-Se credi che in quella prigione possa stare meglio, fattelo dire, non mi conosci affatto.
Jude la afferrò per le spalle, affondando i polpastrelli in quella pelle fragile come carta. Avrebbe voluto mettersela in spalla, ignorare le sue urla e i calci come da bambina, e portarla via da quella cittadina che non la meritava. Avrebbe voluto tirarle uno schiaffo, farle capire di aver sempre sbagliato. Avrebbe voluto mostrarle il mondo, farle aprire gli occhi affinché comprendesse cosa si era persa in quasi trent'anni di vita. Avrebbe voluto dire o fare una marea di cose, ma corpo e cervello sembravano non andare d'accordo, non percorrere lo stesso viale a braccetto.
-Allora fatti conoscere, Joan. – la pregò, inchiodando le sue iridi su quelle tremanti della sorella – Permettimi di conoscerti.
Gli parve di veder delle lacrime affacciarsi su quelle ciglia lunghe, ma queste furono prontamente ricacciate al proprio interno senza lasciare prova o traccia alcuna.
-È troppo tardi.
-No, non lo è.
-Invece sì, Jude. – sibilò con volto disteso – Sei in terribile ritardo.
Le dita del fratello scivolarono sulle sue spalle fino alla gola. Accarezzarono il collo e giunsero, con una lentezza disarmante, alle guance di Joan. Puntò i due pollici proprio sotto agli occhi umidi ed intrecciò le dita fra i capelli sulla nuca. La mirava, quasi fosse un quadro dalle svariate sfumature. La osservava, quasi fosse un enigma da risolvere.
-Posso sempre rimediare. – sostenne con voce morbida – Il passato ormai è andato ed io non posso farci più niente, ma credimi se ti dico che vorrei poter tornare indietro per risolvere ogni cosa, per essere presente nei tuoi bisogni, per essere capace di ascoltare i tuoi silenzi.
Quelle parole si stavano facendo spazio fra le alte e spesse barriere che Joan aveva pazientemente edificato. Percepiva crescere in sé il bisogno di piangere, di sfogarsi, perché quelle dannatissime parole erano ciò che aveva sempre desiderato udire. Possibile che soltanto adesso Jude avesse finalmente compreso la sua essenza?
-Guardami, Joan. Sono qui adesso, ci sono.
Adesso.
Era questo il problema. Joan lo avrebbe voluto prima. Avrebbe tanto voluto avere qualcuno al proprio fianco lungo tutti questi difficili anni. Jude non poteva svegliarsi una sera, come se niente fosse, e presentarsi a casa sua per investirla di tali prese di coscienza. Non era pronta, adesso. Era contenta di poter fare un tuffo nel suo odore di mare, nella sua personalità spumeggiante, ma non era pronta per restare a galla fra quelle onde.
-Lo apprezzo, sono sincera. – sorrise, posando le proprie mani su quelle di Jude – Mi sarebbe soltanto piaciuto sentirti dire queste parole molto tempo fa.
Egli scosse la testa, già avendo afferrato i pensieri di lei, ma Joan gli fece cenno di farla finire.
-Però, Jude, non ho bisogno di nessuno. Qui sto bene. Mi piace questa città anche se non sanno fare la pizza. Mi piace questo appartamento anche se impersonale ed anonimo. Non desidero altro che la tranquillità di questo posto. Credimi.
Le dita di Jude scivolarono via fino a posarsi lungo i fianchi del proprio padrone. Sospirò sconfitto. La discussione non avrebbe portato a niente. Joan aveva nuovamente eretto quell'orribile barriera. Non c'era posto per lui, nemmeno il più microscopico angolo libero.
-Come vuoi. – disse, coprendosi le braccia con il giubbotto di pelle – Ti lascio alla tua tanto vantata pace.
La porta fu spalancata e sbattuta nel giro di pochi secondi. Joan fissava quell'oggetto di legno torturandosi il labbro inferiore. Il cuore le diceva di parlare, di bloccarlo, di ammettere i propri sbagli, ma le labbra continuavano a restare serrate come se del cemento fresco avesse già fatto presa fra loro. Il rombo della motocicletta divenne lontano ed impercettibile. Non c'era più niente da fare. La realtà, in fin dei conti, è che entrambi finivano con l'essere sempre in ritardo.
Gli avanzi del cibo, ormai ghiacciato, finirono nella pattumiera. Era presto, ma Joan non voleva restare un minuto di più sveglia e lucida. Doveva dormire, doveva arrivare a domattina il prima possibile. Nuovo giorno, classica routine. In questo modo, avrebbe cancellato ogni traccia del passaggio di Jude.
Si fece una doccia gelida, evitando di bagnare i capelli, ma restò all'interno del box finché le membra non furono del tutto congelate.
Con le labbra viola inghiottì l'ultima pillola rimasta nel flacone arancione. Rovistò all'interno del mobiletto a specchio, tastando ogni scatola e medicinali presenti.
Le mie pillole.
Presa da una smania irrefrenabile, corse al calendario in studio. Il numero diciannove era fortunatamente circondato. Domani il farmaco sarebbe stato consegnato alla farmacia del centro.
Riprese a respirare, gettandosi sul letto. Il mondo poteva cadere, fratturarsi e finire in frantumi, ma tutto sarebbe andato a meraviglia se ella avesse avuto con sé le proprie pasticche. Fu questo il suo ultimo pensiero, prima che il sonno l'avvolgesse fra i suoi malefici artigli, prima che il sonno la ricacciasse in quello stato informe privo di sogni.
Angolo autrice
Come promesso, martedì = capitolo fresco.
Questo è dedicato al rapporto fraterno fra la nostra 'piccola' Joan e Jude. Cosa ne pensate?
Il tutto sta iniziando a muoversi, quindi.. Abbiate pazienza 😂
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro