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Capitolo 1


- 17 anni dopo

I cilindrici barattoli di pomodoro si susseguivano uno dietro l'altro con una precisione così attenta da far venire i capogiri. La latta smaltata di verde risplendeva al contatto delle luci al neon poste sull'altissimo soffitto. Eppure, per quanto quelle confezioni fossero accuratamente disposte, Joan continuava a metterci mano.

Fece qualche passo indietro, osservando le scatolette di concentrato. L'immagine di un pomodoro datterino spiccava al centro dei barattoli, circondato da una cornice gialla color senape. Ogni oggetto era al proprio posto, tutto perfettamente allineato al millimetro, ma una leggera smorfia apparve sul volto delle ragazza.

Eccola lì, una confezione in seconda linea ruotata di qualche centimetro a sinistra. L'ennesimo errore. La stampa dell'ortaggio non era affatto in ordine come le altre. Una persona qualsiasi avrebbe chiuso un occhio, una persona qualsiasi non ci avrebbe fatto proprio caso, ma ella non riusciva a perdonarselo.

Tolse il barattolo di fronte dallo scaffale, tenendolo in braccio con la mano sinistra, mentre con quella libera mosse verso destra la scatola di latta tanto inguardabile. Riposò il primo e, per l'ennesima volta, indietreggiò per scrutare al meglio lo scompartimento nel suo assieme.

Un sorriso. Scosse le mani soddisfatta e si apprestò, con tutta la calma del mondo, a raggiungere il secondo corridoio del piccolo, ma super rifornito, market in cui lavorava da quasi più di un anno.

Non appena aveva compiuto i fantomatici 16 anni, Joan si era separata dalla famiglia, passando da Stato in Stato in cerca del luogo adatto. Dopo aver conseguito la laurea in letteratura inglese, Brattleboro era stata la sua ultima meta. Un piccolo comune nella contea di Windham, nello Stato del Vernmont. Una cittadina immersa nel verde con poco più di 12mila abitanti.



Fra enormi parchi, fiumi, edifici caratteristici e quiete, Brattleboro le era sembrata l'oasi tanto agognata. Sebbene di scuole e college ce ne fossero, Joan non si era minimamente posta il pensiero di fare domanda per una cattedra, per un lavoro ben retribuito.

Non le interessava, questa era la risposta che le persone curiose ricevevano alla questione. La letteratura, i libri in generale, erano soltanto una grande passione. Aveva studiato per questo, non per svolgere un'occupazione che potesse avvicinarsi a quel mondo.

Perciò, in questi anni si era sempre accontentata di piccole mansioni, di lavoretti part-time come quest'ultimo. Ma, tutto sommato, ella pareva essere felice.

-Joan, il tuo turno è già finito da mezz'ora! – una voce squillante raggiunse la ragazza – Che ci fai ancora qui?

Caren Page, la proprietaria del market, avanzò con le braccia piegate sui fianchi, fissando la minuta ragazza attraverso le lenti dei suoi neri occhiali squadrati.

-Oh, non me ne ero accorta. – mentì, pur di non dover ammettere che alcuni scaffali necessitavano di una diversa organizzazione.

La donna si limitò a scuotere la testa. Se non avesse imparato a conoscerla a fondo, dai piccoli comportamenti e dalle risposte generalmente date, avrebbe ipotizzato che Joan facesse di tutto pur di non tornare al proprio appartamento, quasi volesse scappare da chi abitasse in quelle quattro mura. Invece, Caren sapeva bene quanto la ragazza fosse sola. Anzi, tale pensiero le fece tornare in mente un fatto.

-Joan, dimmi una cosa. – il soggetto delle azzurre pupille della donna rimase imbambolata a labbra schiuse, quasi avesse paura di ascoltare la domanda che le sarebbe presto stata posta, quasi avesse già compreso – Non hai più chiamato Mark, vero?

Joan serrò i denti in un'espressione colpevole, prima di abbassare la testa per la vergogna.

-Ah lo sapevo! – sospirò Caren delusa.

-Page, non me ne voglia. – farfugliò la ragazza – Suo nipote è un bellissimo ragazzo, ma al momento non ho proprio voglia di impegnarmi in una relazione.

Caren posò la mano colma di grossi anelli, paragonabili a bigiotteria scadente, sulla schiena di Joan, accompagnandola verso gli spogliatoi con passo svelto.

-Che gran peccato, sareste stati una coppia perfetta. Siete due ragazzi così solari. Sì, forse sei un po' bassa per il mio Mark, ma nessuno ci avrebbe fatto caso.

La spinse nella stanza con due miseri armadietti, gesticolò indicandole l'orologio, e finalmente chiuse la porta.

Joan si lasciò cadere sulla rigida panca, sospirando esausta. La voce trillante di Caren le rimbombava ancora nel cranio. Adorava quella donna dalla capigliatura gonfia e striata da alcune ciocche argentate, ma non sopportava la sua insistenza nel combinarle impossibili appuntamenti. Con suo nipote poi, aveva superato il limite. Rise fra sé, ricordando la cena a dir poco imbarazzante.

Si spogliò della maglia blu notte ed indossò una camicetta bianca anonima. Osservò il proprio riflesso nello specchio ad anta dell'armadietto, notando il volto pallido. Per quanto stesse all'aria aperta, i raggi solari parevano scansarla di proposito.

Un po' bassa per il mio Mark, si ripeté uscendosene dal negozio.

Salì in sella della propria bici e pedalò con furia, benché il proprio appartamento distasse pochi metri dall'alimentari.

Non era un po' bassa, lo era punto e basta. L'altezza per Joan aveva rappresentato sempre un problema, con quei suoi scarsi centocinquantasette centimetri, si sentiva a tutti gli effetti una nana. E molte persone non mancavano a sottolinearle il dettaglio, come se per conto proprio non potesse venirne a conoscenza.

L'aria fresca primaverile si insidiava fra i suoi capelli nocciola, lisciandoli all'indietro. Nonostante la pelle chiara come porcellana, le gote leggermente pesca riuscivano a dare risalto al suo volto, donandole un poco di colore, quanto bastava per non farla apparire come un vampiro.

Non volendo percorrere il tratto di strada cementato, sebbene più breve, decise di attraversare il parco, pedalando allegra sotto le fitte fronde degli alberi in fiore.

Brattleboro si era rivelato in tutto e per tutto il nido perfetto per Joan. Poca gente, poco chiasso, pochi problemi. Benché ella si mostrasse sempre raggiante in ogni situazione, Joan odiava confrontarsi con le persone, soprattutto con le folle. Evitava le discoteche, evitava i concerti, evitava le prime serate ai cinema.

Attraversò il parco, superando un piccolo ponte in legno, e finalmente scorse il profilo delle case del proprio vialetto. Scese dalla bici poco prima dell'arrivo e camminò con affianco essa, scrutando il cielo ancora perfettamente limpido. Attraversò la strada e quasi si bloccò sulle strisce.

Una moto era parcheggiata di fronte al piccolo cancello in ferro battuto, moto che avrebbe riconosciuto a chilometri di distanza.

Prese un bel respiro e si affrettò a raggiungere il marciapiede, tentando di tenere a bada il cuore che le era salito in gola.

Non appena fu abbastanza vicina alla motocicletta, riuscì a vederne il proprietario di spalle affacciato alla finestra. Bussava alla porta ed intanto buttava un'occhio al vetro, quasi credesse di catturare del movimento all'interno.

Piegò le labbra di lato e chiuse il cancellino alla proprie spalle, facendo più rumore del necessario a posta per rendere nota la propria presenza.

L'uomo si voltò all'istante, allargando le braccia sorridente.

-Ed io che credevo non volessi aprirmi. – esclamò, andandole incontro in cerca di un abbraccio.

Joan finse un sorriso e, dopo aver adagiato la bici al muro, gli permise di farsi stritolare in quella morsa asfissiante. Il suo profumo non era cambiato di una virgola, sapeva sempre di mare. Fu doloroso ammettere che gli era mancato.

-A cosa devo la tua visita? – chiese la ragazza, introducendo le chiavi nella serratura.

L'uomo non rispose subito, prima si scaraventò all'interno della dimora, curioso di poter conoscere ogni dettaglio dell'appartamento. Passò dalla cucina alla sala, dal corridoio al bagno, dalla camera al piccolo studio, senza preoccuparsi di invadere i suoi spazi.

Joan appese la borsa a tracolla all'appendiabiti in ciliegio ed attese che l'ospite inaspettato finisse il giro di ispezione, sottolineando fra sé che non era affatto cambiato.

-Davvero un posticino niente male, complimenti sorellina. – Joan prese al volo l'ironia intrecciata alle sue parole – Sembra di stare in ospedale. Come dire, è tutto così..

-Scialbo, anonimo? – provò, poggiandosi alla penisola della cucina.

-Spento. – concluse il fratello, bloccando le braccia al petto.

Joan si perse in quelle iridi verde-acqua che sembravano splendere di vita propria. Possibile che suo fratello maggiore avesse dovuto acchialapparsi i geni migliori? Era alto, fisico asciutto. Capelli mori morbidi come seta. Volto delicato. Avrebbe potuto fare il fotomodello.

A lei, invece, cos'era toccato? Capelli di un colore banale e comune, infinita bassezza, seno piccolo, faccia tonda, labbra né carnose né sottili. Non era niente di speciale, niente che potesse attirare l'attenzione. Anzi, più semplicemente, non era niente.

-Non mi hai ancora risposto, Jude.

Il fratello sbuffò, avvicinandosi alla libreria, ma appena fu di fronte ad essa, levò gli occhi al soffitto, notando che i volumi erano stati disposti in ordine alfabetico in base al genere. Fece scorrere il dito su qualche libro ed infine ne estrasse uno, sfogliandolo alla rinfusa.

-Non sei felice di vedermi?

-Lo sono.

-Non si direbbe. – sottolineò, lanciandole una fugace occhiata accusatoria.

Joan si mise l'anima in pace. Ormai Jude era lì, non c'era altro da fare che trattarlo bene, evitando possibili discussioni. In fondo, era passato molto tempo dall'ultima volta che avevano avuto il piacere di trascorrere una giornata assieme.

-Credimi, lo sono. – si accomodò sul divano, sfilandosi le nere converse in modo da poter intrecciare ad indiana le gambe – Ma converrai con me nell'ammettere che è alquanto sospetta la tua improvvisa visita.

Jude sorrise senza alzare lo sguardo da quelle pagine colme d'inchiostro.


Le pupille scorrevano lungo quei versi di Paul Marie Verlaine, quasi cercassero di apprenderne i significati taciuti.

-Beh, che dire.. – crucciò le labbra – .. avevo solo tanta voglia di rivedere la mia piccola sorellina.

Piccola.

Non si riferiva all'età, Joan ne era certa. Ventisette anni contro trentadue non erano abbastanza per parlare di un enorme differenza fra i due consanguinei.

-Jude, la verità. – proferì seria, sperando in una sua sincera concessione.

Il moretto richiuse la raccolta di poesie, ricacciandolo nella libreria senza prestare attenzione all'ordine maniacale della sorella. Lo inserì a casaccio, mascherando un sorriso appagato.

Joan affondò le unghie affatto smaltate nel tessuto beige del sofà, deglutendo a fatica. Non si mosse, però, non corse a posizionare nel giusto punto il libro. Avrebbe resistito. Non poteva regalare a Jude una tale ed infantile soddisfazione. Se ne sarebbe occupata in sua assenza.

-Nostra madre era preoccupata. – confessò, sedendosi sulla poltrona affianco alla sorella – Dice che non rispondi più alle sue chiamate.

La ragazza abbassò le palpebre, inclinando la testa sullo schienale imbottito del divano.

-E ti ha mandato a controllare. – arguì irritata.

-A dirla tutta, se devo essere pignolo, non me lo ha chiesto né ordinato.

Joan sollevò un sopracciglio, invitandolo implicitamente a chiarire la questione.

-Me lo ha semplicemente fatto intendere.

Lo guardava apatica, sapendo che non se ne sarebbe mai andato se non gli avesse mostrato di stare bene, di essere felice e di non aver bisogno delle loro premure. Avrebbe mentito, indossato la solita maschera, ma almeno sarebbe presto rimasta sola.

Che abbia inizio la recita.


Angolo autrice
Sì beh, vi avevo detto che avrei pubblicato ogni Martedì, ma mi andava di fare uno strappo. Almeno per i primi capitoli 😂
Non succede niente di particolarmente importante qui, però era giusto inquadrare Joan adesso che è adulta. Mi scuso in anticipo se la storia sarà lenta nel partire, ma sono pignola su certi aspetti u.u
Vi aspetto nei commenti 💕

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