Parte 29
Arrivato al quartiere Sanità, individuo facilmente il palazzo giallo paglierino vicino alla "chiesa del Monacone", così chiamata per la miracolosa e molto venerata statua del monaco San Vincenzo, in essa conservata.
Riconosco subito il cognome "De Leca" tra i tanti elencati sul citofono in bronzo, accanto all'enorme e massiccio portone in noce. Busso e mi annuncio: «Sono Antonio Barracane».
Non ho risposta, sento soltanto rumori e voci concitati di sottofondo. La bambina che porto per mano, percependo la presenza del padre dall'altro capo dell'impianto citofonico, si lascia cadere fra le mie braccia, come se tutte le sue forze l'avessero improvvisamente abbandonata.
Poco dopo vedo corrermi incontro Adolfo in lacrime. La foga è tale che quasi mi placca come un giocatore di rugby impazzito, facendomi mancare l'aria nei polmoni. Si scusa e poi, con la sua ragguardevole mole, riesce a unire in un'unica incontenibile eppure delicata stretta, sia me che la figlia. Imbarazzato, li ascolto singhiozzare entrambi in silenzio e resto sorpreso per il calore sconcertante di quell'abbraccio.
Nel frattempo ci circonda una folla di curiosi. Il primo ad accorrere, alto, magrissimo, con il viso scavato e segnato dalle rughe, con il tipico berretto che usavano una volta i portieri dei condomini della borghesia più benestante, mostra di sapere esattamente quello che accade, facendo addirittura da cicerone a chiunque si avvicina.
Alla sua destra una donna bassa e grassa parla in maniera animata con una signora dal viso ancor più rotondo e sgraziata, con in braccio un bambino che piange come una di quelle sirene che serve a segnalare raid aerei. Entrambe si sono precipitate fuori dalle rispettive case, senza prestare alcuna attenzione a come sono conciate, pur di sbirciare e spettegolare; mi sembra persino di sentire nell'aria il profumo del ragù abbandonato, in tutta fretta, sul fornello acceso a gorgogliare.
Ancor più a destra mormora un gruppetto di donne rugose, con le mani scheletriche impegnate da buste della spesa colme di frutta e verdura; hanno i capelli tinti in improbabili tonalità di biondo e sembrano litigare tra loro. Sono affiancate da ragazzine con un trucco vistoso sul viso e labbra, con in mano uno smartphone, pronto per riprendere la scena o fare un selfie. Dietro di loro degli uomini di varie età osservano la scena con distacco e un'espressione annoiata. Tra loro si fa spazio una donna bionda dall'aspetto distinto e gradevole, molto somigliante alla bambina che avevo salvato. Osservandola meglio mi accorgo che ha l'espressione dolce di una mamma, con gli occhi lucidi di gioia che splende su un sottostato sedimentario di preoccupazioni. Ci raggiunge e si unisce senza parlare all'abbraccio cumulativo, impetuoso e confortante.
Un po' più defilata si è aggiunta una folta e rumorosa compagine di ragazzini scapestrati capitanato da uno scugnizzo bassino, con i capelli neri e ricci, l'atteggiamento da guappo, il pallone sotto braccio e l'immancabile maglietta azzurra col numero dieci e la scritta "Maradona".
Sono ormai attorniato da una folla vociante, non riesco a capire da dove siamo potute sbucare così tante persone; c'è persino un prete in abito talare vecchio stampo e un venditore di cornetti rossi portafortuna, che indossa una perfetta tenuta nera da iettatore, completa di bombetta e occhiali scuri, ispirata all'interpretazione del grande Totò in un famoso film in bianco e nero.
Tra tutta quella varietà sorprendente e rumorosa di personaggi singolari spunta l'immagine, nordica ed eterea, di una ragazza alta come una modella e con una lunga capigliatura biondo platino. La sua pelle ha un candore sovrannaturale, confrontata alla carnagione abbronzata di tutti gli altri. Ha occhi chiarissimi, che ricordano il colore di un lago glaciale, incorniciati da sottilissime sopracciglia, quasi impalpabili. Ogni suo movimento, per quanto piccolo e insignificante, mi trasmette una sensazione di innegabile grazia. Tutti gli altri, ai miei occhi, sono diventati immagini opache e trascurabili, una cornice variopinta per far risaltare ancor più la sua celestiale bellezza.
Rimango inebetito a spiarla finché Adolfo non mi afferra con le sue enormi mani, trascinandomi via con sé all'interno del palazzo, che ricorda, nell'aspetto elegante e nei fregi raffinati, una nobiltà perduta e violentata da una sorte avversa. Salgo una monumentale scalinata ottocentesca, tanto imponente quanto decadente e bisognosa di un restauro, fino ad arrivare all'interno di un modesto ma accogliente appartamento. Mi trovo in un salone dal gusto retrò e vengo invitato ad accomodarmi su una delle sedie poste intorno a un grande tavolo di mogano massello.
Dopo aver ripetuto come un mantra la parola grazie, Adolfo si allontana per preparare l'immancabile caffè, lasciandomi in compagnia della moglie e della bambina che, ancor più frastornata di me, sorride mentre si stringe al petto della mamma, come farebbe una patella allo scoglio per sfuggire al mare in tempesta.
«Mi chiamo Claudia, quel maleducato di mio marito non ci ha presentati. Ecco, ci ha raggiunti anche Miriam.»
Mi giro verso la porta da cui ero entrato e vedo fare capolino sull'uscio la ragazza incantevole che avevo contemplato estasiato, fino a un istante prima.
«Piacere di conoscerti. Mio fratello Adolfo mi ha parlato molto di te.»
La sua voce, per quanto estremamente aggraziata, appare del tutto simile a quella di noi semplici mortali, ma quando tento di rispondere mi accorgo di avere come un cappio ben stretto al collo, che mi impedisce di parlare. Sento un'insolita collera montare nel mio profondo, contro me stesso. Non riesco a smettere di pensare a quante cose orribili potrebbe aver già saputo di me quella creatura angelica, miraggio lontano di un paradiso, per me inaccessibile.
Si siede alla mia destra. Adesso che mi è vicina mi sembra di percepire il profumo della sua pelle e rimango ammirato dal suo fisico scultoreo e dal suo fascino statuario, che mi ricorda quello della Venere scolpita dal Canova. Poi abbasso gli occhi, perché mi accorgo di non riuscire a sostenere il suo sguardo e ripiego sugli occhi vispi della bimba, che mi sorride trasmettendomi gioia e voglia di vivere.
Non ho mai dato importanza al giudizio degli altri, nemmeno a quelli di Dio, e sono sempre andato dritto per la mia strada, ma questa volta mi vergogno di ciò che sono. Avrei venduto l'anima al Diavolo per apparire come un uomo rispettabile e rassicurante.
Dopo aver ricevuto i sinceri ringraziamenti da parte di tutti i presenti, rimaniamo tutti congelati in un silenzio imbarazzante. Mi sento fuori luogo, nessuno, di sicuro, ha intenzione di ascoltare i dettagli del mio ultimo omicidio. Poi gli sguardi comunicano più di mille parole, il mio umore cambia di colpo perché sento palpabile nell'aria la loro sincera e profonda ammirazione: sono il loro eroe.
Adolfo arriva canticchiando allegramente e portando un vassoio con biscotti vari e caffè fumante. La bambina è la prima a servirsi, portando via, nelle sue piccole mani, quasi tutti i biscotti al cioccolato, ma la mia attenzione è tutta per Miriam, non gli riesco a staccare gli occhi di dosso e lei se n'è accorta.
Adolfo si commuove nuovamente, trattenendosi a mala pena dall'abbracciarmi nuovamente, si abbassa per porre il suo pesante braccio sulle mie spalle e con tono solenne afferma: «Da oggi fai parte della nostra famiglia!» Poi, ancor più emozionato, aggiunge: «Hai salvato la vita alla mia unica e adorata figlia, riportando la voglia di vivere e la gioia in tutti noi. Ora siamo uniti a te da un legame più forte del legame del sangue».
Per un lupo solitario come me è insolito sentirsi accolto con così tanto affetto ed è ancora più strano essere invitato a far parte di una famiglia. Mi rendo conto solo ora di essermi anch'io commosso e stranamente non me ne vergogno affatto.
Restiamo tutti insieme a festeggiare e chiacchierare fino a sera, Adolfo non vorrebbe farmi più andare via e io non insisto più di tanto, se non per educazione, a interrompere questa convivialità così piacevole. Poi succede quello che temevo fin dall'inizio: resto da solo con Miriam.
Pensavo di bloccarmi, di non avere argomenti di cui parlare con lei, ma invece lei mi trasmette una serenità che non avevo mai provato. Mi parla affabile e con voce dolce della sua passione per i viaggi e dei tantissimi posti affascinanti che ha visitato. Iniziamo a immaginare le tappe di un giro del mondo da fare insieme e ci divertiamo a proporre cose strane e avventurose, come carovane con dromedari nel deserto del sahara o safari fotografici a dorso di elefanti alla ricerca delle tigri della Malesia.
Il tempo passa veloce e mi sento felice come non lo sono mai stato, ma c'è in più una sensazione che mi lascia interdetto. È tanto strano quanto inspiegabile: mi sento completamente a mio agio, come se conoscessi Miriam da sempre. Non credo ai colpi di fulmine, ma due anime gemelle, destinate a incontrarsi, capiscono subito quando ciò accade.
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COME VOLETE CHE PROSEGUA LA STORIA?
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Come prosegue la storia dipende da te!
SCRIVI, nei commenti, COME PROSEGUIRE O COSA CAMBIARE... CONTO SU DI TE!
(Potete proporre modifiche anche alle pagine precedenti)
GRAZIE
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C'è uno "Spazio Collaborazione", per raccogliere idee, spunti, riflessioni e sensazioni nel capitolo "apocalisse".
GRAZIE ♡
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Ringrazio tutti i lettori♡
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