Parte 22
Ascoltai con piacere le preghiere che Roberto mi rivolse, prima di abbandonarsi a un sonno profondo e ristoratore. Non era un uomo cattivo ed ebbi pietà di lui.
La reazione più naturale di Roberto, un uomo di chiesa, ingannato da Lucifero e pentito per ciò che aveva fatto, avrebbe dovuto essere quella di tornare di corsa alla sua parrocchia, per ricominciare a condurre una vita riservata e anonima. Scoperta la vera natura dell'angelo a cui si era affidato e consapevole di essere stato manipolato, era giustamente amareggiato e demoralizzato, ma ciò nonostante decise di perseverare nei suoi sbagli, lungo una strada estremamente pericolosa, non solo per la sua anima.
A determinare la sua scelta assurda era stata la stessa persona che gli aveva aperto gli occhi. Susy gli aveva rivelato la vera natura dell'angelo a cui si era affidato, ma inopinatamente lo aveva anche incoraggiato a continuare nell'assurda impresa, che io dovevo assolutamente impedire.
Susy era alquanto imprevedibile, come lo erano un po' tutte le donne, fin dalla creazione di Eva, ma, in più, era da sempre estremamente affascinata dal demonio, al punto da aver trasformato, questa sorta di ossessione, in un lavoro e ciò non prometteva nulla di buono.
La posta in gioco era troppo alta per sottovalutare alcunché. Era opportuno che questa nuova variabile venisse esclusa dall'intreccio degli eventi. Non avevo altra scelta, non potevo correre rischi: in qualche modo Susy doveva essere eliminata.
All'aeroporto di Fiumicino, il volo per Parigi era pronto ad accogliere i passeggeri. Roberto e Susy avevano appena fatto il check-in e superato i controlli di sicurezza.
A un tratto lei si bloccò al centro esatto di un lungo corridoio affollatissimo di passeggeri in movimento, sembrava un sasso in un torrente in piena. Le persone le passavano a fianco, scansandola appena. Avevano tutte fretta, tanta fretta, come se avessero intuito che il tempo stava giungendo a conclusione e la fine si avvicinava, inesorabile.
Il prete tornò indietro per raggiungerla, borbottando: «Che succede, non te la senti più? Hai cambiato idea? Lo sapevo!»
«Non è questo.»
«C'è qualche altra cosa su cui hai taciuto? Qualcosa che mi dovrebbe allarmare?»
«In un certo senso... Sì.»
«Lo sapevo!»
Lei lo afferrò per un braccio. «Ti devo confessare che sono terrificata dall'idea di volare. Non ho mai avuto il coraggio di salire su un aereo».
Il parroco fece un sospiro di sollievo. «Pensavo che avessi visto qualche entità soprannaturale che ci inseguiva o una cosa del genere. In questa situazione, in cui rischiamo di vivere l'apocalisse, la paura di volare, ti assicuro, è l'ultimo dei nostri problemi. Porto sempre con me queste gomme medicinali, fanno miracoli. Per dirlo io, che sono un prete... Provale!»
Lei, ridendo, accettò l'offerta. Si sistemò la morbida gonna di seta rossa che spuntava da sotto al piumino avvitato, anch'esso immancabilmente rosso, e riprese a camminare, ondeggiando sui tacchi a spillo, determinata a salire a bordo a qualunque costo.
Arrivati al gate dell'imbarco, c'era qualcosa di strano. Gli altri passeggeri in fila erano esclusivamente uomini e, per giunta, tutti alti, giovani e molto attraenti. C'era l'imbarazzo della scelta, non aveva mai visto un così grande assortimento di "maschi", nemmeno in televisione. Tra le loro braccia muscolose, sentiva di potersi lanciare persino nel vuoto, senza bisogno nemmeno di un paracadute.
«Sembra che saremo in compagnia di un gruppo di modelli. Probabilmente si recano a Parigi per qualche manifestazione di moda», suggerì il parroco, che aveva già squadrato tutti, alla ricerca di qualche terrorista o di qualcuno che ne avesse l'aspetto. Roberto mal celava le sue psicosi al limite del patologico.
Lei invece, mentre masticava la gomma e assaporava il gusto di fragola che si espandeva nel palato, pensò che non fosse così tanto male viaggiare in aereo. Aveva apprezzato l'aspetto degli altri viaggiatori e, addirittura, non vedeva l'ora di salire sull'aeroplano, per scambiare delle chiacchiere con qualche affascinante vicino di poltrona, con la speranza che si invaghisse così tanto da impazzire completamente per lei. Susy era così ossessionata dall'idea che tutti gli uomini dovessero perdere la testa per lei, che le capitava addirittura di fare uno strano e inquietante sogno: una fila interminabile di individui, a uno a uno, si inginocchiar ai suoi piedi e, immediatamente dopo, perdevano letteralmente la testa, che rotolava via e si accumulava disordinatamente, insieme a tutte le altre, in un macabro ammasso insanguinato e maleodorante.
Alcuni di questi bellocci fissavano Susy, ammiccando o perfino mordendosi il labbro carnoso, in maniera sensuale. Certo, odiava passare inosservata, ma questi atteggiamenti le sembrarono un tantino eccessivi. Poco dopo, però, desiderò di frequentare molto più spesso gli aeroporti, ma la presenza di Roberto, che la guardava con severità, la riportò alla realtà: non era lì per una vacanza, purtroppo.
A bordo lei prese posto vicino uno degli oblò, il parroco si accomodò al suo fianco e tutt'attorno si sedettero un gruppo di suore con gli occhiali scuri, che lei non aveva notato all'imbarco.
Il decollo fu tranquillo e non si accorse quasi del momento in cui il veicolo si staccò dal suolo, poi concentrò la sua attenzione in direzione del cielo azzurro carico, su cui risaltavano tante piccole nubi di un bianco intenso e accecante, una visione alquanto rilassante e paradisiaca. Le sembrava, addirittura, di vedere cori di angeli sulle nuvole più alte e lontane.
Dopo un rumore secco e metallico, il candore di quell'immagine fu macchiata da un fumo color pece, denso e inquietante, che iniziò a uscire da una dalle turbine.
L'ansia iniziò la sua morsa sulla mente di Susy, come un cappio che si stringeva sempre di più al collo, rubando il respiro.
L'aereo si inclinò repentinamente sulla destra. Susy sentì i succhi gastrici salire su per la gola e il cuore palpitare.
Il veicolo, dopo pochi secondi, tornò in assetto. Il peggio sembrava passato.
Gli altri passeggeri apparivano tranquilli, ma il corridoio, tra le porzioni dei passeggeri, aveva qualcosa di anomalo: era inclinato. L'inclinazione aumentò sempre di più. Diventò così ripido che un'hostess anziana e grassa ruzzolò malamente per terra: a tutti fu chiaro che l'aeroplano stava perdendo velocemente quota.
Tutti iniziarono a strillare come ossessi. Le urla delle suore erano così sguaiate da sembrare ululati di sciacallo.
Dall'altoparlante il comandante, senza scomporsi e con marcato accento inglese, annunciò che a breve sarebbero precipitati, ringraziò i passeggeri per aver scelto la prestigiosa compagnia aerea di sua maestà la regina d'Inghilterra e si affidò al Signore.
L'aereo iniziò ad avvitarsi su sé stesso.
La fusoliera tremò producendo un rumore tremendo e poi si squarciò, aprendosi come una scatoletta di tonno.
Susy istintivamente chiuse gli occhi e si girò verso Roberto per abbracciarlo.
Quando riaprì gli occhi, il cuore le batteva all'impazzata e il respiro si era fermato in attesa di sentire lo schianto finale, ma era calato un innaturale silenzio. Si guardò intorno, in preda al panico più completo: era nel suo letto e stava stringendo tra le braccia il cuscino.
Iniziò a scalciare nelle lenzuola e a strillare come un'indemoniata.
Il primo a raggiungerla fu il padre, poi arrivò anche Roberto, che era riluttante a entrare nella stanza, ma quando lei iniziò a narrare l'incubo che aveva appena avuto, il parroco si sedette nel letto con lei, per non perdersi nemmeno una parola.
A colazione nessuno parlava, tutti pensavano la stessa cosa, ma nessuno aveva il coraggio di ammetterlo. Susy guardava la sua tazza di cappuccino senza bere, il professor Arcuri, mantenendo lo sguardo basso, sorseggiava una tazzina di caffè fumante e Roberto fissava il frollino che aveva in mano, come per decidere se mangiarlo o rimetterlo nel suo scatolo.
Il primo a rompere il silenzio fu il professore: «Se avete intenzione di raggiungere l'aeroporto in orario, vi conviene fare colazione invece di restare imbambolati».
Nessuno rispose. Susy osservava tutto con occhi allucinati, come a voler capire se ciò che la circondava fosse reale o solo un sogno.
Il professore si rivolse a sua figlia: «Roberto capirà se rinunci. Se fosse capitato a me non avrei mai avuto il coraggio di prendere più un aereo».
«Papà, dovresti sapere che non sono abituata a mollare.» Era molto scossa, ma non lo voleva ammettere. Voltandosi verso Roberto, dopo un lungo silenzio, aggiunse: «Non potremmo andarci in treno? Ho un leggerissimo terrore di volare». Scoppiò a ridere, ma non era la sua solita risata sbarazzina, aveva accumulato troppa tensione.
Il professore, tentando di offrire un'alternativa, suggerì: «Potreste considerare di partire un altro giorno».
Tutti e tre volevano attribuire a quel sogno il suo giusto aggettivo, ma nessuno di loro ebbe il coraggio di nominare quella parola: "premonitore". L'esistenza dei sogni premonitori, appartenendo alla superstizione, non era un'opzione ragionevole da poter essere presa in considerazione, ma era un'eventualità abbastanza destabilizzante da aver messo in crisi tutti i loro propositi.
Roberto fissava gli occhi dolci di Susy, con uno sguardo triste e rassegnato, ma senza aggiungere alcuna parola. Si ricordò di una storia che aveva letto su di un quotidiano. Un uomo d'affari americano, all'ultimo momento, rinunciò a imbarcarsi su un aereo, a causa, a suo dire, di uno stupido sogno premonitore. Il fato volle che l'aereo precipitasse, ma lui si salvò la vita. Sapevano però che non esistevano alternative: il tempo a disposizione era troppo poco. Sarebbero dovuti partire con il volo prenotato o rinunciare alla missione. «Susy, mia è la missione», spiegò con calma il parroco. «Ho sempre saputo che ci sarebbero stati dei rischi da affrontare. Non voglio metterti in pericolo.»
«In fondo si è trattato solo di un sogno» intervenne il professore, ma nessuno lo ascoltò.
Susy si alzò di scatto dalla sedia con ancora la tazza piena in mano, macchiando la tovaglia a fiori rosa, la preferita dalla sua defunta mamma. «Roberto, tu credi nel destino?» chiese poi, con voce pacata.
«Credo in Dio. Lui è onnisciente, conosce tutto di tutti, compreso il nostro futuro.»
«Quindi, credi nel destino e pensi che sia tutto già scritto?»
«Non esattamente. Io da buon napoletano credo alla "ciorta", che è qualcosa di molto più complesso rispetto al destino. Il popolo partenopeo è da sempre abituato ad attendere pazientemente che la ruota giri a proprio favore, con un atteggiamento rassegnato, perché la "ciorta" non si sceglie ma, semplicemente, si aspetta. Anche se può sembrare una contraddizione, essendo molto superstiziosi, crediamo anche che la "ciorta" si possa ingannare o rabbonire. A volte basta strofinare un piccolo corno rosso per provare ad allontanare le sventure. Si può accendere una candela ai piedi di una statua di un santo, per chiedere il suo aiuto, ed è meglio se il santo è poco conosciuto, così ha meno richieste e più tempo per ascoltare. Esiste un'antica tradizione di venerazione rivolta ai morti "più pezzenti", cioè quelli soli e abbandonati, che non hanno potuto contare sulle lacrime e sulle preghiere di familiari e amici.»
«Davvero?» domandò Susy, facendo una smorfia di sufficienza, spostando appena lo sguardo dalla tovaglia.
«Ti dirò di più. Le donne del popolo erano solite scegliere un teschio, tra quelli ammassati alla rinfusa in uno dei tanti ossari di Napoli. Ripulivano amorevolmente il cranio "adottato" e gli costruivano una teca o un vero e proprio altarino. L'anima di questo defunto, per credenza consolidata, trovava giovamento da queste attenzioni e dalle preghiere che sistematicamente gli venivano offerte, al punto tale da riuscire ad abbandonare il purgatorio e salire in cielo. Volete, poi che una volta raggiunto il tanto agognato Paradiso, quest'anima buona non ricambi il favore, magari venendo in sogno a mostrare dei numeri da giocare al Lotto. Riassumendo in breve il concetto, la "ciorta" è la sorte che Dio ha stabilito per noi e che l'uomo non può cambiare, ma non per questo è immutabile. Gli angeli, i santi e le anime beate possono intercedere per addolcire o, perfino, capovolgere la "ciorta" di ognuno di noi. Dio stesso può cambiare idea: a chi mai dovrebbe dare conto l'Altissimo, dopotutto, se un giorno si svegliasse di buon umore e decidesse di aiutare un povero cristiano?»
Susy, un po' annoiata dal lungo monologo, ribatté: «Io penso che il destino lo plasmiamo con le nostre azioni. Se vuoi ottenere un qualcosa che ritieni importante ti devi rimboccare le maniche e non devi smettere di impegnarti e lottare, fin quando non riesci nel tuo intento. Come si dice? Aiutati che Dio ti aiuta».
La interruppe il padre, mettendole una mano sulla spalla e aggiungendo: «Quindi, che cosa avete deciso per il futuro? È tardi e se non vi decidete sarete destinati a perderete l'aereo. "Destinati", appunto, da "destino". Avete capito la battuta?».
Tutti risero per non piangere, ma in questo modo l'atmosfera cambiò. Certe volte basta un sorriso per innescare il buon umore e tutto sembra più facile.
«Ho il trolley già pronto nell'ingresso. Vi assicuro che un giorno scriverò un libro su questa avventura» disse Susy. «Se l'aereo non precipita prima» aggiunse, continuando a ridere.
«Che Dio ci aiuti» concluse il prete, alzando lo sguardo verso cielo e facendosi il segno della croce.
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