"Non mi lasciare"
10 anni fa
Harry
<<Mamma, mamma, guarda cosa mi ha comprato papà!>> le tesi un telefono nuovo di zecca, lei si avvicinò e lo prese tra le sue mani candide.
<<Che bello tesoro>> a quell' affermazione sorrisi e corsi in giardino a farlo vedere a Tif e Ky.
<<Guardate, guardate, io si e voi no!!!>>
Dissi loro facendo delle smorfie un po' buffe che facevano ricadere i miei ricci biondi sugli occhi, loro mi guardarono con aria indifferente e continuarono a giocare con le bambole.
Poi feci per tornare dentro, ma mi bloccai quando sentii la mamma urlare contro papà.
<<Che padre modello, un vero idolo per tuo figlio!>>
<<Lo voleva e io l'ho accontentato>>
<<Ma almeno potevi avvertirmi! A parte che avevamo concordato di compraglielo insieme quando avrebbe compiuto undici anni. Mi hai scavalcata Steven, mettiti nei miei panni, come dovrei sentirmi?>>
Non era la prima volta che la mamma faceva scenate di questo tipo per delle stupidaggini.
Aveva i capelli arruffati, tirati indietro da una fascia rossa a pois e le mani puntate sui fianchi, mi incuteva paura già da bambino.
Papà invece era sempre stato una persona gentile, simpatica e altruista. Trovare degli uomini come lui sul pianeta era davvero un' impresa ardua per non dire impossibile.
Gli assomigliavo tanto o almeno così diceva la mamma. L'unica differenza era l'altezza.
Continuavo ad osservarli con le lacrime agli occhi, non riuscivo più a capire cosa dicevano, mamma si metteva le mani tra i capelli e faceva quasi per strapparli, papà non muoveva un muscolo, come se si sentisse colpevole, era troppo buono e questa bontà era una condanna a parer mio.
<<Basta, sono stanca Stev>> disse la mamma con lo sguardo un po' mortificato. Poi papà puntó gli occhi su di me.
<<Oh, Harry>> disse facendo voltare anche mia madre. A passo veloce aprii il cancelletto in legno del giardino e corsi via ,senza guardarmi indietro.
I litigi, rovinano le famiglie, le coppie. Anche se ci sono persone che affermano che i litigi tra innamorati vanno a completare l'amore.
Andai a casa del nonno, bussai e appena mi aprì mi buttai tra le sue braccia.
<<Nonnino, nonnino, non voglio più tornare a casa, sono stanco di sentirli litigare>>
Ogni volta era la stessa storia, il nonno mi accoglieva a casa e ci rimanevo fino a sera quando la nonna mi preparava i miei piatti preferiti per consolarmi.
Erano i genitori di mamma, ma lei non aveva proprio preso da loro. Non aveva preso la pazienza della nonna che quando giocavo a pallone in casa e gli rompevo qualche cosa, non diceva niente, neanche un misero urlo usciva dalle sue labbra, d'altro canto mamma invece non smetteva mai di urlare, anche per piccole cose. Non aveva preso la tenacia del nonno, che per insegnarmi ad andare a caccia ci impiegò tre anni.
Non aveva preso da loro, né tanto, né poco, né niente.
Erano il mio posto sicuro, la mia ancora di salvezza, loro avevano l'argento nei capelli e l'oro nel cuore ed era proprio questo minuscolo ma significativo particolare che li distingueva dalle altre persone.
La casa del nonno era molto ampia e accogliente, dopo il suo decesso l'avrebbe ereditata mamma. Un bellissimo cottage in pietra, su due livelli. La mia stanza preferita era il soggiorno. Due divani in pelle rossa occupavano metà della stanza, davanti a loro c'era un tavolino in legno rotondo, dove la nonna appoggiava sempre un vaso pitturato a mano con dentro delle rose bianche. Ogni qualvolta che cercavo di prenderne una mi pungevo con le sue spine e lei diceva sempre: "non puoi prendere, ammirare, accarezza una rosa se non vuoi essere punto dalle sue spine".
<<Su nipotino, vuoi vedere qualche film col nonno?>>
Mi incentivò a sedermi sul divano vicino a lui, cacciando via i miei pensieri.
<<Peter Pan>>
<<Come dici tesoro?>> Disse la nonna portando un vassoio pieno di cupcake dalla cucina, le sue mani erano coperte da dei guanti da forno, forse per non scottarsi e addosso portava il grembiulino che adorava tanto Ky, quello con i fiorellini che ornavano tutti i bordi e al centro una scritta molto grande in caratteri cubicali ricopriva gran parte del tessuto: "Chef in cucina" recitava.
Li posó sul tavolino e si sedette vicino a noi.
<<Vediamo il film di Peter Pan?>> Chiesi di nuovo.
<<Non ti sei stancato di vedere sempre quel film?>> Disse sorridendo il nonno e togliendosi il solito cappello beige che portava in testa.
<<Mai nonnino, non mi stancherò mai.>>
<<Come preferisci tu.>>
Mentre il nonno accendeva Netflix la nonna mi attirò a se e mi scombinó i capelli con la mano destra, scherzando e io iniziai a ridere.
Quando il film iniziò, fui preso così tanto da esso a non accorgermi di quello che avevo intorno.
Lo vedevamo ogni singola volta che andavo da loro, più spesso di quanto avrei voluto, perché mamma e papà litigavano sempre.
Ad un certo punto iniziò a suonare il telefono di casa e mia nonna accorse a prenderlo per rispondere.
<<Clarabella sí, tuo figlio sta qui! Non ti azzardare a venire, tanto non ti apro!>>
Fece una pausa e continuò fuoribonda.
<<Forse non capisci che è stanco dei tuoi stupidi litigi con tuo marito, può restare qui quanto vuole e se provi a venire chiamo la polizia per violazione di domicilio>>
<<Basta così.>> Fu L'ultima cosa che sentii prima che attaccasse, mi girai dietro e vidi la nonna con una mano sul cuore. Corsi da lei e l'abbracciai, poi le tesi le mani:
<<Tutto bene nonna?>>
<<Sono solo un po' stanca.>> cercò di abbozzarmi un sorriso ma invano.
<<Vai dal nonno, torno subito.>>
Io annuii e corsi da lui, mi fiondai sul divano e continuai a guardare il film.
All' improvviso un rumore fortissimo provení dal piano superiore.
<<Rosalinda!>> Urlò mio nonno correndo di sopra.
<<Rosa...>> Fu l'ultima cosa che sentii.
Salii anche io al piano superiore e fui testimone di una scena che non avrei mai più dimenticato. Mia nonna distesa a terra, bianca come un fantasma, aveva gli occhi chiusi e non si muoveva.
Mi accasciai a terra accanto a lei.
<<Su nonnina, svegliati, ti perderai il finale.>> dissi.
Mio nonno dietro di me rimase immobile, come se fosse pietrificato.
Io non capii subito che non l'avrei più rivista, non capii che la morte aveva bussato alla nostra porta.
<<Harry>> mio nonno mi fece alzare, mise le sue mani sulle mie spalle e continuò:
<<Vai di sotto, continua a vedere il film, io rimango con la nonna>>
Io annuii, mi diressi verso la porta, mi voltai e l'ultima scena che vidi prima di chiuderla, fu mio nonno accasciato a terra, piangeva e aveva la mano di nonna, quella con la fede nuziale tra le mani.
All' epoca ero ingenuo, molto.
Ma nonostante questo, il mio istinto prese il sopravvento, sapevo che qualcosa non andava e come al solito chiamai papà.
<<Harry>> disse contento di sentirmi.
<<Papà, la nonna è distesa a terra, non si muove ed è bianca come un fantasma, il nonno ha detto di continuare a vedere il film ma ho paura che stia poco bene.>>
Non rispose, sentii solo un pianto disperato, forse quello della mamma che come suo solito si era messa ad origliare. Dopo neanche 10 minuti vennero da noi, aprii la porta e mia madre, senza neanche guardarmi in faccia corse di sopra. Mio padre invece si inginocchiò davanti a me, prendendo le mie mani tra le sue.
<<Sei stato molto coraggioso Harry, hai fatto proprio bene a chiamarci.>> disse, poi mi diede un bacio sulla fronte e andò dalla mamma.
Non volli salire di sopra, forse avrei dovuto, avrei dovuto dirle addio, ma non ero pronto a lasciare andare l'unica vera donna che mi avesse mai amato come una madre dovrebbe amare suo figlio.
La portammo all' ospedale, i medici ci dissero che non c'era nulla da fare.
Mia madre però insistette e loro la intubarono, stette in coma per circa tre giorni, poi morì. Era morta di crepacuore, per colpa di mia madre, lei era la causa di ogni male che la nostra famiglia doveva affrontare.
Piansi così tante lacrime quando capii che non l'avrei più rivista che sotto agli occhi si formarono due buchi di un colore viola.
<<È colpa tua, solo tua>> urlai a mia madre dopo il funerale.
<<Tua è dei tuoi stupidi litigi che stano rovinando una famiglia!>> Continuai tra un singhiozzo e un' altro, sì, stavo piangendo.
<<Ora basta! Non sai di cosa parli!>>
<<Non so mai di cosa parlo!>>
<<Stev basta io sono stanca, oh Stev perché non mi hai consultata prima, oppure Stev mi hai delusa!>> cercai di imitare la sua voce e poi non sentii più niente solo un dolore molto acuto sulla guancia destra, la mamma si portò le mani alla bocca facendo ricadere i suoi capelli castani sul viso, le mie sorelle si guardarono a vicenda sconvolte. Mi aveva appena dato uno schiaffo? Corsi a casa, senza voltarmi indietro.
<<Harry, torna qui, scusami!>> Sentii in lontananza.
Passai davanti casa del nonno, mi gettai a terra devastato.
Sentii qualcuno toccarmi la spalla e mi voltai di scatto, era papà, aveva in mano un borsone pieno di vestiti che a stento si chiudeva, in testa portava un cappello bianco che si abbinava alla sua maglia a mezze maniche.
<<Papà, dove stai andando?>>
<<Tesoro, mi dispiace ma papà deve andare via>>
<<Per sempre?>>
<<Per sempre.>>
<<Ti prego non mi lasciare qui, non voglio rimanerci, portami via con te.>> mi gettai ai suoi piedi, implorandolo e gli strinsi le caviglie.
<<Non posso figliolo>> mi disse accarezzandomi la nuca.
Mi fece cenno di alzarmi, poi mi diede un bacio sulla guancia e andò via. Uscì dalle nostre vite per sempre e in un batter d'occhio mi accorsi di non avere più nessuno. Nessuno con cui piangere, nessuno con cui ridere, ero solo, avvolto dalle tenebre e da una solitudine immensa, che col tempo divenne casa mia.
<<Harry, alzati si sono fatte le 9:00!>> Urlò mia madre fuoribonda solo un giorno dopo il funerale, solo un giorno dopo la fuga di mio padre. Mi alzai e mi incamminai scalzo verso le scale, chiusi la porta di Ky e quella di Tif che dormiva ancora nella stanza di mamma.
Mi strofinai gli occhi e non vidi il secondo scalino, caddi e mi ritrovai a terra, mi toccai la testa che mi bruciava e osservando la mano trovai un po' di sangue, mamma non si scompose proprio, non venne neanche a vedere cosa mi ero fatto. Pensavo che fosse ancora sotto shock per la perdita della mamma, ma anche io avevo perso qualcuno, anche io avevo perso una persona, una figura molto importante nella mia vita che è quasi paragonabile alla sua sennò più importante.
Mi alzai titubante.
<<Muoviti l'erba non si taglia da sola.>> Disse indifferente, portandosi i capelli dietro l'orecchio e scrutandomi con i suoi occhi avorio da cima a piedi. Abbassai gli occhi a terra e iniziai a tagliare l'erba. Era il compito di papà, lo era sempre stato, io al massimo ero il suo assistente ma niente di più.
Sorrisi, ripensando a quando da bambino giocavamo insieme a calcio e di quanto io volessi farlo diventare il mio mestiere, ma lui diceva sempre che non mi avrebbe mai portato a niente, così smisi, senza sapere che me ne sarei pentito, perché a volte basta un gradino per raggiungere le stelle. Sbagliai a non inseguire il mio sogno, perché la vita che cos'è se non un inseguimento di un sogno?
<<Harry>>
Tiffany corse da me e mi abbracciò, in mano aveva ancora il suo peluche di pezza che le avevo regalato per Natale. Quello a forma di coniglio con il fiocchetto rosa intorno al collo. Ricambiai quell' abbraccio ma poi scoprii che stava piangendo.
<<Cosa è successo Tif?>> Le chiesi.
<<Papà dov'è? Perché non c'è? È sempre lui a svegliarmi per andare a scuola.>> Mi disse tirando su con il naso.
Le sorrisi e continuai, accarezzandole i capelli.
<<Piccola Tif, papà è dovuto partire per una missione super importante e super segreta.>>
<<Davvero?>> Disse asciugandosi le lacrime.
Annuii, non so perché avessi detto una cosa del genere, ma sembrava farla stare bene.
<<E dove è andato?>>
<<Questo non si può dire.>> dissi mimando di chiudermi la bocca con una cerniera.
<<Tornerà vero?>>
<<Ma certo, perché non dovrebbe tornare?>>
La presi in braccio e iniziai a farla girare, come facevo quando era piccola. Le avevo appena detto una bugia, le avevo appena dato false speranze. Perché a chi voglio prendere in giro? Era ovvio che non sarebbe tornato.
La sua risata squillante mi riportò alla realtà e mi tranquillizzò.
<<Vai a prepararti o farai tardi>>
<<Agli ordini capitano.>>
Corse di sopra e io continuai a lavorare, come sempre.
<<Appena hai finito passa dal nonno, porta queste>> disse la mamma facendomi vedere un cestino di gelse.
<<Poi passa da Bob e prendi la macchina.>>
Cosa? Non avevo diciotto anni.
<<La macchina?>> Ripetei
<<Ah sì giusto, tu non sei tuo padre.>>disse portandosi una mano in faccia. Quelle parole mi ferirono ma non capii il perché.
Non risposi, mi limitai ad annuire.
<<Dovrei andare a scuola, le posso portare dopo
al nonno?>>
<<Cosa?>>
<<Le gelse.>>
<<No, portale ora, tanto la scuola non ti serve, appena è possibile andrai a lavorare, la scuola non ti porterà a niente, non sei come le tue sorelle, che hanno già la strada spianata, ma non ti preoccupare potrai sempre fare il cameriere in qualche locale.>>
Mi mise la mano destra sulla spalla, poi andò di sopra a stendere i panni.
Cosa le avevo fatto? Sono sempre stato molto disponibile con lei, avevo tollerato le cose più intollerabili per lei e adesso questo?
Presi il sacchetto e andai dal nonno.
Bussai alla porta e stranamente la ritrovai aperta.
<<Nonno?>>
<<Sono di sopra.>>
Salii in fretta e furia, speravo di sbrigarmi così che sarei riuscito ad andare a scuola.
<<Cosa stai facendo?>> Chiesi aprendo la porta della sua stanza e trovando per terra tre valigie chiuse e una ancora aperta.
<<Harry, io...>>
Fece una pausa e poi continuò.
<<Harry, io non c'è la faccio, è una tortura per me rimanere qui, la vedo in ogni angolo della casa, con il suo sorriso smagliante come al solito e ogni volta che cerco di parlarle, bhe, lei va via>>
<<Cosa vuoi dire con questo?>>
<<Devo andarmene da questo posto, mi rinchiuderò in una clinica per anziani.>>
<<No no>> dissi scuotendo la testa e facendo cadere a terra il cestino.
<<Ascoltami Harry>>
<<No ascoltami tu!>> Sbraitai
<<Ho perso mia nonna, ho perso mio padre e non voglio perdere anche te, non lo sopporterei.>>
<<Potrai venire ogni volta che vuoi, con le tue sorelle, mi racconterete di tutto, della scuola, degli amici.>>
<<No, non sarebbe la stessa cosa!>>
Si limitò a sorridere ma io corsi via.
Ogni volta che si presentava un problema io correvo via, pensando di potergli sfuggire, ma non era così perché dinanzi ai problemi non si fugge, si deve combattere, si devono affrontare.
Ma ero un vigliacco e lo ero sempre stato. Non volevo tornare a casa, non avevo con me lo zaino di scuola, quindi andai al parco, comprai un pezzo di pane e diedi da mangiare alle anatre. Mi affascinavano tanto, accettavano il cibo di chiunque, non si importavano se fosse avvelenato, per loro in generale il male non esisteva, vivevano in un mondo tutto loro dove la paura, il rancore non sono ammessi eccetto in alcune occasioni tra di loro.
Sarei voluto diventare un biologo, studiare varie specie e comprenderne le abitudini, salvare quelle in difficoltà e quelle in via di estinzione.
Mi sedetti su un' altalena, l'unica in tutto il parco. Accanto c'era una quercia. Quel giorno non c'era anima viva, nessuno che potesse ostacolare la mia quiete, la mia calma. O almeno così credevo.
<<Guarda chi si vede.>>
Solo a sentire quella voce capii di chi si trattasse.
<<Stormy>> dissi un po' seccato.
<<Non sei a scuola oggi?>>
<<Potrei porti la stessa domanda>> solo in quel momento mi girai, i suoi capelli rossi mossi le ricadevano sulle spalle in testa portava un frontino nero che faceva risaltare il loro colore. I suoi occhi verde smeraldo erano puntati su di me.
<<Allora? Come mai non sei andato?>> Alzò una sopracciglia aspettando la mia risposta.
<<Così.>>
Emise una risatina secca e ribatté.
<<Harry Johnson non va a scuola
"così" >>
<<Si!>>
Stormy era stata la mia migliore amica fino alla quarta elementare dopodiché tradí la mia fiducia iniziando a parlare con tutti dei litigi tra i miei genitori e facendomi diventare lo zimbello della scuola.
Da allora è difficile aprirmi con qualcuno.
<<Devo andare.>>
<<Di già, Johnson?>>
<<Si, di già.>>
Tornai a casa, anche se in cuor mio non volevo.
Appena aprii la porta sentii il silenzio avvolgermi e solo allora iniziai a guardare con occhi diversi quell' appartamento.
La porta d'ingresso si affacciava sul soggiorno, lì un divano beige ad angolo occupava la stanza, davanti solo un tavolino in legno con una TV di 90 pollici che occupava la parete bianco latte.
Camminai fino alla cucina, era la stanza più ampia di tutto l'appartamento. L'aveva arredata papà, seguendo il gusto della mamma.
Era una cucina ad isola in marmo bianco. Da come si capiva i miei genitori stravedevano per il colore bianco.
Poi mi soffermai sul giardino, quanti ricordi tormentavano la mia anima. Io che facevo i dispetti a Ky, le partite in famiglia a pallavolo o l'arrosto che cucinava papá sul barbecue.
Ripensai ai litigi tra mamma e papà. Principalmente litigavano per quella stupida pietra che la mamma aveva trovato. Mi mettevo ad origliare nel loro studio, a casa. Era bellissimo, si trovava al piano di sotto, al suo interno c'era una scrivania in legno d'acero, un paio di quadri astratti e una pila di libri sistemati in ordine alfabetico sulla libreria bianco latte.
<<Pensa a quanto diventeremo ricchi.>>
<<Se hai ragione, non è detto>> diceva papà.
<<Dai, io ho sempre ragione>>
<<Io credo che in questo momento no!>> Sbraitava
<<Basta Steven! Quei soldi servono a
noi!>>
<<No, la pietra dovrebbe essere un bene pubblico!>>
<<Basta, non voglio più discutere con te, tanto gli stolti non capiscono.>>
Per quanto avevo capito, quella pietra di un blu cobalto aveva dei poteri curativi sulle persone e sugli animali.
Correvo come un matto per non farmi beccare, infatti non l'hanno mai fatto. Non sapevano cosa sentivo, cosa sapevo e quanto soffrivo e non l'avrebbero mai scoperto.
Spazio autrice
Cosa pensate abbia fatto poi Harry? Che fine ha fatto Steven? Sono delle domande a cui ora non avremmo una vera e propria risposta.
Ma aspettatevele delle belle però mi raccomando non prendetemi alla lettera.
Kiss Kiss
E.S.
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