Capitolo 26
Erin pov's
<Lo abbiamo fatto e... S-sono incinta> finì senza guardarmi. Lì per lì non sapevo come prenderla, forse avevo solo paura di come l'avrebbero presa papà e Amber, poi però l'abbracciai congratulandomi con lei <Mi aiuterai a dirlo a mamma e papà?>
<Certo. Se no che sorella maggiore sarei?>
<Ti voglio bene> mormorò ancora tra le mie braccia.
Jay piombò nella stanza con un volto stravolto, la bocca si muove senza essere connessa al cervello e mi fa una strana sensazione: non l'ho mai visto così stravolto.
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Era inutile stare a descrivere la situazione che mi si presentava davanti agli occhi. Non si poteva descrivere.
Carl Donovan aveva 10 anni, frequentava la stessa classe di Alexis e Josh. Jay lo aveva trovato in mezzo ad un cespuglio con il battito appena percettibile, lo portammo qui, in ospedale, ma morì poco dopo.
Mi allontanai da questo luogo, da lui, che stranamente non mi seguì per consolarmi come faceva di solito, forse gliene fui grata. Avevo bisogno di stare da sola quando lo avrei detto ai miei nipotini.
Scrissi un messaggio a Ella per sapere dove fossero Alexis e Josh avvisandola che sarei passata per dare una brutta notizia.
<Ehi Erin, che è successo?> domandò preoccupata lei quando aprì la porta di casa.
<Andiamo a sederci sul divano, è meglio> mi limitai rispondere. La seguii è da dietro l'angolo vidi spuntare i due bambini seguiti da Elena
<Zia sei già tornata?> domandò curiosa Alexis
<Sì... No... Allora ragazzi sono tornata perché c'è stata una sparatoria al Millennium Park e...> presi un respiro profondo, erano seriamente pronti a sentire quelle parole? Ne dubito <Carl Donovan, il vostro compagno, è morto.>
<Eh?> mormorò con un filo di voce Josh
<Ragazzi mi dispiace> guardai le mie sorelle che trattenevano a stento le lacrime, poi Alexis che era entrata in una fase di trance e infine Josh che si era paralizzato. Era rimasto con la bocca a forma di ''O'' e la sorpresa negli occhi. Nessuno piangeva, nessuno fiatava, nessuno si muoveva, nessuno faceva niente.
Mi alzai andandomene e telefonami a Jay, adesso avevo bisogno di lui, avevo bisogno dell'uomo che mi consolava, dell'uomo che per me era una roccia, insomma, avevo bisogno dell'uomo che amavo e che per questo era diventato mio marito e padre dei nostri figli.
Lungo il tragitto verso casa, avevamo chiesto il permesso a Voight per cambiarci, nessuno fiatò, solo degli sguardi fugaci per osservare i comportamenti di entrambi. Poi, a casa, si scatenò quello che sapevamo sarebbe successo.
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