Cap. 87 Delirio
La mia camera è l'unico posto in cui voglio stare. Nel letto, fra quelle lenzuola che ancora mantengono tracce del suo odore, del nostro odore.
Verso fiumi di lacrime e insieme a me anche mia madre e Audrey. Mio padre è ancora in ospedale. Altri amici, morti.
Zio Brian va e viene. In un mio momento di calma, mi ha raccontato una storia di giovani agenti sotto copertura, Tom e Derek, finiti selvaggiamente picchiati. Anche loro vittime della furia psicotica di Paul, del tutto imprevedibile. Sono stati ritrovati in fin di vita nel deserto, lasciati a morire dagli altri della banda. Per fortuna avevano sotto pelle un localizzatore fornito dall'agenzia. Ma loro sono ragazzi forti, stanno rapidamente recuperando le forze.
Una buona notizia, che mi lascia del tutto indifferente.
A turno mi vegliano, giorno e notte. Non riesco a dormire bene, a mangiare, a parlare.
Esiste solo il letto e piangere. Singhiozzare, urlare. Mai chiudere gli occhi, mai parlare con qualcuno.
Occhi spalancati, bocca contorta, mani artigliate alle lenzuola.
Un dolore fisico mai provato. Un grumo incandescente che mi divora dall'interno.
E la testa. La testa!
Vuota, senza un pensiero neanche lontanamente coerente.
Ma allo stesso tempo piena di rumore, di grida, di vento, di caos. Un vortice che continua a spazzare via tutto, così distruttivo, così inarrestabile.
Ogni tanto, un frammento di qualcosa mi colpisce. Una parola, un'immagine, una sensazione, il ricordo del suo tocco, il suo odore e allora di nuovo lacrime.
Mi sto lasciando andare. Voglio andare. Non so dove ma devo andare. Via. Possibilmente dove avrei potuto rivederlo. Stare di nuovo con lui.
Nei pochi momenti in cui cedo al sonno, sogno spesso un mare in tempesta con me in balia delle onde, che affogo senza lottare. Immagini di noi due mi si parano davanti all'improvviso e allora ecco di nuovo le lacrime, le urla improvvise, la pazzia più pura. Il dolore che parte dal petto per esplodere in ogni atomo del mio corpo. Mi sento come una supernova.
Distruttiva. Voglio distruggere tutto e tutti. Perché sono sopravvissuta? Io voglio stare con lui! Mi manca terribilmente.
Lui che mi ha fatto soffrire e stare bene. Lui che nonostante tutto mi ha amata, che è diventato parte di me, che ha lottato per me e che anche ora mi reclama.
Vagamente percepisco la loro presenza. Di tutte le persone che mi vogliono bene. Le loro carezze, le loro voci, le loro lacrime.
Sono preoccupati. Per me, per i bambini, per la mia sanità mentale.
Un fastidio immenso per me.
Io voglio stare sola, sul ciglio del baratro. In pace, ad ascoltare il vuoto che ho in testa e l'aridità che sento nel petto. Non c'è più niente per me. Voglio stare sola, nel momento in cui salterò. Voglio stare sola. Ne ho bisogno. Lui mi avrebbe acchiappata al volo. Ma lui non c'è più e se salto, nessuno mi prenderà.
Il letto, le lenzuola, il suo odore che sta pian piano svanendo. E di nuovo caos e tutti sempre più disperati.
Le loro mani. Di tutti.
Ma io voglio solo le sue. Quelle mani che non mi avrebbero più fatto male non volendo. Che non mi avrebbero più portato in alto, sulle vette di un piacere mai provato. Non mi avrebbero più accarezzato, sorretto, afferrato, trascinato. Mai più segni sui polsi, mai più capelli stretti nel pugno, mai più dentro di me.
I loro baci, che non sono i suoi.
I suoi non li avrei ricevuti mai più. Sulla fronte, fra i capelli, sui seni. Il suo modo di annusarmi, di respirarmi, di farmi sentire sua.
La sua lingua che mi faceva così incazzare quando la usava per parlare, ma che sapeva essere anche così dolce quando mi baciava.
Amore. Tanto amore.
Perché mi amava. Perché lo amavo. Dopo averlo ammesso, siamo stati un fiume in piena che finalmente esce dagli argini. Niente più limiti, regole, precauzioni.
Nessuna precauzione. Ci siamo amati totalmente e intensamente, divorati e fusi insieme.
Ed ora ne pago care le conseguenze.
Sono totalmente esposta al dolore più atroce.
Un dolore tale, che non riesco in nessun modo a reagire. Mi sembra di bruciare e bruciare, di continuo. Sono prigioniera del mio personale inferno.
Il mio cuore è stato strappato via in maniera troppo brusca e crudele per sperare che si possa riaggiustare in qualche modo.
E di nuovo lacrime, urla, mani che cercano di calmarmi, ma non sono le sue.
Io voglio le sue. Ne ho proprio bisogno.
Dovevamo dirci ancora tante cose. Programmare la nostra vita, formare la nostra famiglia. Non abbiamo avuto tempo. Il mare in tempesta ha spazzato via tutto ed io sto affogando.
Ora non lo avremo più, quel tempo.
Poi, le lacrime finiscono. Non le urla. Non gli incubi. Non i sogni. Non il vortice che si quieta per qualche attimo ma che poi, a tradimento, riprende vigore e spazza via tutto. Di nuovo. Quando sono più esposta, più fragile e non posso contrastarlo.
Poi le urla finiscono. Restano solo i lamenti. Di chi non so, ma sono fastidiosi. Mi irritano profondamente.
Continuano ad abbracciarmi, riconosco tutti gli odori, perché hanno fatto parte della mia vita.
Mamma, Audrey, Peter, Ted, Josh. Vorrei tanto mio padre, ma non riesco ad alzarmi dal letto. Vorrei tanto chi non c'è più.
Continuano a parlare con me. Io non li ascolto.
Perché non capiscono che non voglio questo? Non voglio loro.
È tutto terribilmente sbagliato. Non è giusto che mi abbraccino. Io sono di Connor, solo lui lo può fare!
Voglio stare sola sull'orlo del baratro. Per poter saltare in santa pace, ma chissà perché, loro non sembrano essere d'accordo.
Luke.
Mi ci aggrappo disperatamente. Non capisco se è un sogno o la realtà ma mi ricorda Connor.
Mi carezza dolcemente, mi sussurra frasi dolci e incoraggianti. Mi bacia sui capelli.
Mi sento stringere il cuore in una morsa, non avrei pensato di poter sentire ancora più dolore.
Ma pian piano, come è giusto che sia, mi placo. Essere fra le braccia di Luke mi aiuta. Riesce ad infondermi quanto di più vicino all'amore e alla tranquillità, che tanto anelo. Non è Connor, l'irriverente, lo spudorato, il massiccio Connor. Ma è l'unico che sia riuscito a tirarmi indietro dal baratro, l'unico di cui io sia riuscita a sentire la voce. L'unico a cui io abbia voglia di aggrapparmi per uscire fuori dalla tempesta.
Se non altro lo devo ai miei bambini che non hanno colpe e che sto facendo soffrire non volendo.
Finite le lacrime, finite le urla, finiti i singhiozzi e il caos. Adesso c'è il vuoto. Silenzio e aridità. Una quiete profonda.
Amore. Tanto amore.
Ma non c'è più. Io non ci sono più. Tutto finito, senza possibilità di recupero.
Ma ora so cosa fare per provare ad andare avanti.
Nda
-2 alla fine!
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