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L'ottava nota

Song-fiction ispirata a:
"A Sky Full of Stars" (Coldplay)

Posso sentire ogni singolo filo d'erba -impregnato delle fredde lacrime della luna- solleticarmi la pelle nuda delle braccia e lasciarvi, prima di ritirarsi al soffio del vento, solo la memoria nostalgica di un bacio.

Sento anche lei, la mia pelle, rosea crisalide che chissà per quanto altro tempo mi terrà legata a questa realtà, in ogni suo centimetro quadro di superficie,
calda
e viva
e libera dal cotone soffocante della canottiera stretta attorno al torace.

La sento
come fosse la prima volta,
quasi che questo fosse il mio primo, vero istante di vita da che ho aperto gli occhi sul mondo.

Un formicolio quasi impercettibile, che risale al galoppo lungo tutto il mio essere fino alla sede della coscienza, mi suggerisce la presenza di un paio di formiche, assorbite anima e corpo dalla scalata delle mie gambe.

Arriccio il naso all'idea che qualche altra minuscola creatura possa aver seguito il loro esempio e violato, così, l'intimità ordita tra me e questa fresca notte d'estate.

Ma chi sono io per dettare legge?

Che i figli minori di Madre Natura facciano di me ciò che vogliono,
che si avvolgano come le spire di un tornado attorno ai miei polsi,
che prendano a destreggiarsi tra le mie mani inermi,
che si leghino alle mie caviglie con la stessa, inimmaginabile vitalità di una corda di violino,
che giochino pure a fare i funamboli sui miei capelli -ormai un tutt'uno con le onde del vasto campo su cui giaccio.

Non potrei essere più felice.

Né più triste.

O più sola.

Più confusa.

Più desiderosa di urlare al silenzio parole che hanno una forma solo nel mio pensiero.

Ma a chi importa?

Da qui,
nel bel mezzo di un respiro,
supina sul seno della Terra,
a due battiti d'ala dalla sua aorta martellante,
percepisco l'aria frizzante della notte lavare le ferite del mio cuore.

Da qui,
sotto gli innumerevoli occhi di Argo,
sulla superficie di un oceano di smeraldo,
i piedi scalzi,
le ciglia giunte alle guance,
odo i frammenti della mia anima risaldarsi emettendo il tintinnio proprio della pioggia che cade.

Da qui,
un angolo di mondo piccolo quanto basta perché io possa sentirmi a casa,
se sollevo lo sguardo al di sopra dell'oscurità,
se concedo agli astri di punteggiarlo con il loro candido riflesso,
riesco a vederti.

Non mi è dato né distinguere il colore delle tue iridi in mezzo agli anelli di Saturno, né ricalcare i lineamenti del tuo viso con la punta delle dita,
ma quando le ombre avviluppano la luce nel loro amplesso impetuoso, quando le tenebre calano su quest'ermo maggese spandendosi come inchiostro,
quando anche sollevare le palpebre mi sembra inutile,
tu illumini il mio cammino col medesimo fervore di mille soli a mezzogiorno.

Quando l'aureo volto di Selene si riduce a niente più di un profilo nel buio e il bagliore delle stelle traccia nuove strade sulla trama del cielo,
riesco a rispondere al tuo sorriso.

E quando anche tu abbandonerai il firmamento per sdraiarti al mio fianco, quando saremo finalmente in grado di disegnare le costellazioni con un dito dalla stessa parte di universo,
allora ti donerò il mio cuore.

E dopo che più anni di quanti sapremo contare saranno passati,
mi congederò da questa vita tra le tue braccia, mentre le nostre anime continueranno a correre mano nella mano lungo il pentagramma di una delle tante canzoni che declamano un amore come quello che fu il nostro.

Ma fino a quel momento,
ti permetto di smuovere la terra feconda della mia mente affinché tu possa piantarci il seme del dubbio,
ti permetto di maneggiare i miei sentimenti,
ti permetto di prendere rifugio in un cantuccio del mio spirito come l'ultimo dei ricordi,
fintanto che il tuo nome mi è sconosciuto.

Torno a sigillare lo sguardo e stringo forte l'erba tra le mani, come se potessi attingere la forza di cui necessito direttamente dalla culla del creato. Poi mi concentro sul mio respiro, fremente, carico d'elettricità, e faccio sì che segua il blando incedere delle lucciole, ignorando l'ennesima bestiolina che mi ha preso per un'estensione del prato sua dimora.

La notte è ancora giovane -una donna nel fiore degli anni- ma io lo sono persino più di lei, e come lei ce ne saranno altre, talmente tante, probabilmente, che un solo calendario non basterà a segnarle tutte.

Eppure un giorno, immersi nel bruciante splendore di Elios, tu e io ci incontreremo e non potremo fare a meno di riconoscerci.

Brilleremo, l'una per l'altro, senza bisogno che faccia buio e saremo, per chi ci vedrà dall'esterno della nostra orbita, un sistema a sé stante, svincolato dalle regole che oggi vigono in ciascuna dimensione del cosmo.

Per ora, rimani una visione celestiale, lontana, apparentemente irraggiungibile.

Forse una notte ti cercherò e tu ti sarai già spento.

Forse una notte smetterò di credere che tu esista e ti sfalderai, roccia dopo roccia, per ridurti a mera polvere di stelle.

O forse non esisti e basta, ed io mi illudo che ci troveremo, a metà della volta celeste, alla ricerca dello stesso tesoro.

Tuttavia, come ogni altro naufrago in questo mare, non mi resta altro che seguire la tua luce e sperare che la mia sia altrettanto potente, tanto potente da trascendere tempo e spazio per continuare a brillare fino al momento giusto.

E quando questo arriverà collideremo, sprigionando un'energia tale da generare, noi due insieme, il centro unico della nostra galassia.

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