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Capitolo 3

Marzo 2014

C'era una volta, l'inizio di tutte le fiabe. Principesse bellissime prigioniere di draghi o streghe cattive; principi valorosi e senza paura disposti a tutto pur di salvarle. Famiglie perfette distrutte troppo presto. Principesse orfane, cresciute da matrigne cattive disposte a togliere loro tutto.

La vita di Sarah sembrava una fiaba bellissima. Perfetta. Una fiaba senza cattivi, senza matrigne, streghe o draghi. Aveva tredici anni, e ancora era molto legata a quelle fiabe che la madre le leggeva da bambina. In fondo, bambina lo era ancora.

Nella sua fiaba c'era un padre amorevole e attento, che aveva sempre fatto di tutto per non far mancare nulla alla propria famiglia. C'era una madre premurosa e forte. Una di quelle madri con addosso sempre l'odore di cucinato. Una di quelle madri con il grembiule sempre sporco. Una di quelle madri disposte a passare la notte in bianco pur di rammendare fino all'ultimo calzino.

E poi c'era Mattia, l'uomo della sua vita. Suo fratello. Aveva quindici anni ma quei due anni di differenza non erano mai stati pesanti. Erano cresciuti insieme e, con lui, Sarah si era sempre sentita una principessa. Avevano sempre giocato insieme, condividendo tempo, giocattoli, videogiochi e amici.

La verità era che Sarah si era sempre sentita un maschiaccio. Tra le principesse, la sua eroina era Mulan. Aveva sempre preferito suo fratello e Spiderman, alle amiche e le Barbie.

«Mamma, Mattia non vuole portarmi con sé» urlò, con tutto il fiato che aveva in corpo. Sì perché l'affiatamento che aveva caratterizzato la loro cresciuta, si era improvvisamente e bruscamente interrotto. A settembre, per la precisione. Il bene tra i due non era cambiato, Mattia stravedeva per Sarah e questo la ragazza lo sapeva bene. Ma sapeva anche tanto bene quanto i maschi fossero stupidi e immaturi. Un maschio al primo anno di superiori? Più stupido di chiunque, secondo Sarah.

A settembre, Mattia era approdato al liceo scientifico. Non perché fosse una cima, come aveva sempre sottolineato la madre, ma per seguire il suo migliore amico, Joseph, loro dirimpettaio. Uno sfaticato, senza alcuna voglia di studiare ma con un'intelligenza sopra la media. Sarah era cresciuta con loro ma, da quando i due ragazzi avevano messo piede in quella scuola, la 'scuola dei grandi', come amavano definirla, avevano poca voglia di portarsi dietro una palla al piede che ancora frequentava le medie.

Perché? Sarah non sapeva se quel repentino cambio di rotta fosse dovuto alle ragazze che iniziavano a girar loro intorno o alle sigarette, che pensavano non avesse notato.

«Sarah, sei piccola. Non puoi uscire con noi» ribatté il fratello, nervoso. La mamma guardò entrambi. Lui era esasperato, lei decisa ad avere ciò che voleva. Era brava in quello. Brava a mettere il muso, incrociare le braccia al petto, far uscire fiumi di lacrime a comando e passare per vittima.

«Non mi vuoi più bene» urlò, in preda a una ben recitata crisi isterica. «Sono tua sorella e non mi vuoi più bene. Sono tua sorella e dovresti preferire me a quei quattro idioti dei tuoi amici» rincarò tra i singhiozzi. Lui sospirò, preso dal più completo sconforto. Si avvicinò alla sorella e la abbracciò teneramente.

«Sai che non è vero» le sussurrò tra i capelli. «Ti voglio un bene immenso, ma sei piccola, vai ancora in seconda media» provò a spiegare. Lei lo guardò truce, sciogliendo quell'abbraccio e posizionando le mani sui fianchi.

«La differenza di età non è cambiata, anche l'anno scorso ci portavamo due anni, eppure mi lasciavi uscire con te ogni giorno» tuonò. La madre abbassò la testa per coprire la risata che, inevitabilmente, aveva provocato in lei quella bambina tanto intelligente e scaltra.

«Mattia, porta con te tua sorella» intervenne, per mettere fine alla discussione. Sarah avrebbe vinto comunque, inutile tirarla troppo per le lunghe.

«Ma mamma, non è giusto» piagnucolò lui, mentre Sarah rideva soddisfatta sotto i baffi.

«Dai... è tua sorella, i tuoi amici la conoscono, Joseph la conosce. Non vi darà alcun fastidio» aggiunse perentoria.

«I miei amici emargineranno me se comincerò a portarmi dietro lei» borbottò tra sé. Sapeva che quella discussione era finita, con la madre non c'era possibilità di replica e, dentro di sé, Mattia sapeva bene che aveva ragione. Tutti conoscevano e amavano Sarah. Non era una ragazzina fastidiosa, non era la palla al piede che descriveva, non era come le altre sorelle minori.

Prese entrambe le giacche appese all'uomo morto all'ingresso, porse la sua a Sarah e le fece un segno veloce con gli occhi. La bambina lo seguì eccitata e tronfia. Aveva vinto, di nuovo.

«Mattia sei il solito ritardatario» urlò Joseph vedendolo uscire. Li aspettava, come ogni pomeriggio, alla fine del loro vialetto. Era cambiato, negli ultimi anni. Era cresciuto, non era più il bambino paffutello che Sarah ricordava.

«Colpa sua» si difese Mattia, spostandosi leggermente. E Joseph la vide.

«Che fai, pulce?» la schernì bonariamente, come suo solito.

«Smettila di chiamarmi pulce» rispose adirata. «E, comunque, io non parlo con te» aggiunse, incrociando le braccia al petto e seguendo le lunghe falcate dei due ragazzi.

«Perché no?» chiese subito Joseph, strabuzzando gli occhi e fingendosi dispiaciuto. Sarah prese un respiro profondo, alzando il petto vistosamente.

«Perché da quando hai cominciato il liceo fingi di non conoscermi» rispose secca, mettendo il muso. Lui ridacchiò appena, prima di stoppare la camminata, avvicinarsi a lei, abbracciarla dolcemente e scompigliarle i capelli.

«Ma che dici?», si difese, «sei la sorellina del mio migliore amico, ti vorrò bene per sempre, pulce». Sarah lo staccò spingendolo e lui rise. Lei odiava quel suo modo di fare. Odiava il fatto che lui si sentisse tanto grande, tanto superiore, quando era solo uno sbruffone.

***

«Sarah!» Si avvicinò al fratello che la chiamava in disparte. Erano fuori Roma. Per arrivare avevano dovuto cambiare due metro e tre autobus. Sarah comprese uno dei motivi per cui non voleva portarla con sé: i loro genitori non sapevano di quegli spostamenti pomeridiani, pensavano che uscisse a due isolati da casa.

«Mamma sa che vieni qui ogni pomeriggio, vero?» chiese lei, quasi a volerlo tenere sotto scacco.

«No. E non deve saperlo» rispose lui cautamente. Lei si guardò un po' intorno, prima di tornare a fissare Mattia e annuire.

«D'accordo» sospirò onesta. Sarah e Mattia si erano sempre coperti a vicenda, sempre spalleggiati. E lei non era una spiona. «E che fate qui?» aggiunse. Erano nella zona industriale, non proprio il massimo per delle uscite pomeridiane. C'era una fabbrica abbandonata, dei casermoni vuoti. La bambina era confusa. «Ti droghi, per caso?»

Mattia si lasciò andare a una risata fragorosa che la indispettì. Cosa c'era da ridere? Non era poi così divertente.

«No, niente droga», la rassicurò, «ma facciamo qualcosa che a mamma e papà non piacerebbe» aggiunse, incuriosendola.

«Qualcosa... di pericoloso?» balbettò. Il suo stato d'animo era diviso in due: da un lato la paura lancinante e la voglia di non sapere, dall'altro una strana eccitazione. Lui alzò svogliatamente le spalle, quasi con disinteresse.

«No, se sai farlo». Il continuo girarci intorno di Mattia stava innervosendo Sarah, che lo guardò male di tutta risposta. Lui alzò le mani quasi a volersi difendere.

«Ok, ok, sì... generalmente è qualcosa di pericoloso. Ma noi lo facciamo per gioco. Insomma, lo facciamo qui, non sui palazzi» mise le mani avanti.

«Sui palazzi? Ma che stai dicendo?» Continuava a guardarsi intorno e, ormai, era del tutto in preda al panico. Non capiva le parole del fratello, non capiva di cosa parlasse e non capiva perché fosse così tranquillo.

«Vieni» disse lui, prendendola per mano e trascinandola, «ti faccio vedere». Lei lo seguì in silenzio. Vide Joseph armeggiare con uno stereo enorme, uno di quelli rettangolari che potevi portarti dietro. Uno di quelli che si vedevano nei film americani sull'hip-hop.

«Ah, ho capito! Ballate» disse tirando un sospiro di sollievo. «E cosa ci sarebbe di pericoloso?» Le risatine di tutti le fecero capire all'istante che no, non ballavano.

«Non balliamo soltanto, pulce» intervenne Joseph. Sarah lo guardò male, nonostante la triste consapevolezza che mai avrebbe abbandonato quel nomignolo. «Hai mai sentito parlare di parkour?» aggiunse.

«No» rispose Sarah sincera, e tutti le sorrisero ancora.

«Allora ti facciamo vedere qualcosa» dissero in coro. Lei annuì e si sedette comoda vicino lo stereo, mentre loro sistemavano qualche materasso vicino ai muri. Joseph la guardò, continuando a sorriderle. O, forse, a ridere di lei e della sua espressione confusa. Nessuno aggiunse altro, comunque, e cominciarono.

Saltavano di qua e di là, come tanti grilli impazziti. Si arrampicavano ovunque, come gatti. Come Spiderman. Arrivavano in cima a quei muri, alti sì e no due metri, e si buttavano giù. Volteggiavano leggeri, facevano capriole. Un continuo sali e scendi di corpi. Si divertivano, sorridevano nonostante lo sforzo. E la musica era solo un piacevole sottofondo. Soltanto un ragazzo, un amico di Mattia di cui Sarah non ricordava il nome, preferiva il ballo a quei volteggi. Aveva sentito parlare di lui, Mattia le aveva raccontato di un suo amico patito di hip-hop, break dance, la danza della strada.

Sarah continuava a guardarsi intorno estasiata. Si accorse, un po' più giù, lontano da tutti, di un ragazzo solitario con una bomboletta spray in mano, e tante altre ai suoi piedi. Stava disegnando su un muro. Era circondata da gente che stava facendo della strada la propria passione, la propria casa. Sorrideva estasiata, mentre i suoi occhi viaggiavano veloci su ognuno di loro. Si soffermò sugli occhi di tutti: brillavano e, in un attimo, capì che c'era di più. Che non era soltanto un passatempo.

***

«Quindi... vi siete dati ai salti?» chiese lei, cauta. «Che farete, inizierete a saltare da un palazzo all'altro?» Quasi aveva paura della risposta, ma doveva chiederglielo, o non avrebbe dormito.

«L'idea è quella» ammise Joseph, fingendo disinteresse.

«Beh... è pericoloso» rispose lei, quasi retorica.

«Ed eccitante» aggiunse lui.

«Più pericoloso che eccitante, però» puntualizzò lei. Non amava non avere l'ultima parola.

«No, non credo. Non siamo stupidi... sappiamo che ci vuole tanto tempo e tanto allenamento, non arriveremo domani ai palazzi» provò a tranquillizzarla, mentre Mattia camminava nel più assoluto silenzio. Entrarono in fila dentro casa di Joseph e salutarono subito la madre, che regalò un bacio tra i capelli biondo miele solo a Sarah. Era sempre stata la piccolina del quartiere e tutti l'avevano viziata.

Dopo un veloce saluto anche a Mattia e Joseph, raggiunsero in silenzio la stanza di quest'ultimo e, chiusa la porta, i due fratelli sprofondarono stanchi sul letto del padrone di casa mentre lui accendeva in fretta il computer.

«Guarda» disse semplicemente rivolto a Sarah, che si alzò e lo raggiunse alla scrivania. Lui fece partire un video. C'era un ragazzo, non molto più grande di loro, che saltava davvero da un palazzo all'altro. Un ragazzo che sapeva davvero cosa fosse il parkour.

«Noi non siamo niente» ammise Mattia. «Lo facciamo per gioco, usiamo muri bassissimi e materassi enormi. Non c'è pericolo». Sarah non capì se quelle parole fossero per tranquillizzare lei o loro stessi.

«Arriverete a questo, però» rispose, incerta. I due ragazzi si guardarono, alzando le spalle in sincrono.

«Chi lo sa? Forse, un giorno... se ci alleneremo» intervenne Joseph.

«Non lo dirai a mamma, vero?» Mattia, quasi terrorizzato, interruppe il discorso dell'amico. Si era fidato della sorella. Aveva sempre potuto farlo, ma in quel momento era diverso. Non erano più le solite scappatelle. Sarah sorrise, capendo di averli in pugno.

«Vediamo». Li tenne sulle spine, guardandosi un po' intorno. «Non lo dirò a mamma... se mi porterete sempre con voi». Era quella la sua condizione. Niente di troppo pretestuoso, in fondo.

«Palla al piede» bofonchiò il fratello, facendola sorridere dolcemente. Li guardò entrambi negli occhi, e tutti e due capirono che non li stava ricattando.

«Non è una minaccia. Non lo direi a mamma nemmeno se decideste di non portarmi... ma mi piace davvero quello che fate» ammise. Joseph si aprì in un sorriso e la raggiunse, sedendosi sul letto accanto a lei. La prese tra le braccia e le lasciò un dolce bacio tra i capelli.

«Tranquilla, pulce. Ci sarà sempre posto per te tra noi». Sarah ridacchiò fiera e per niente infastidita da quel solito nomignolo. Mattia, d'altro canto, sbuffò sonoramente prima di aprirsi anche lui in una risata fragorosa e aggiungersi all'abbraccio. Quelle erano le due persone a cui teneva di più al mondo e, ne era certo, quel sentimento non sarebbe mai cambiato.




 Eccoci col nuovo capitolo!

Come avrete sicuramente notato, all'inizio di ogni capitolo c'è l'anno. Fateci attenzione, perché questa storia si svilupperà in anni diversi, in modo da capire bene cosa ha portato agli eventi del presente. 

So che siamo solo all'inizio, ma che ne pensate? Come vi sembra?

Se vi va, lasciate qualche like e qualche commento. Mi fareste un favore immenso perché più interazioni smuovono l'algoritmo e fanno diventare la storia più virale. 

Grazie a tutte e a tutti. Un abbraccio, come sempre <3

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