Capitolo 19
Settembre 2024
Sarah aveva sempre pensato che dormire fosse la cosa più semplice al mondo. Il sonno era un riflesso incondizionato, non bisognava saperlo fare o impegnarsi, per dormire. Lo aveva sempre pensato, fino a due anni prima. Prima della morta di Mattia non aveva mai fatto i conti con i disturbi del sonno, trovando certamente più difficoltoso svegliarsi, che addormentarsi. Gli anni scolastici erano stati un vero incubo, in cui il mostro da combattere era sempre stata quella minuscola sveglia verde che aveva sul comodino da quando era bambina.
Quando tutto era drasticamente e irrimediabilmente cambiato, anche il suo rapporto col sonno ne aveva risentito. Negli ultimi due anni aveva dormito poco e male. Faticava a ricordare nitidamente la sua ultima notte di sonno sereno. Era prima di quel maledetto incidente, ma ormai le sembrava un miraggio, qualcosa che non era nemmeno più certa di aver vissuto davvero.
L'ultima settimana in Italia prima della partenza l'aveva passata sveglia, salvo qualche mezz'ora sporadica sul divano per recuperare qualche energia. E, in America, le cose non erano cambiate molto. Per due anni aveva preferito passare ogni notte in giro per qualche locale, pur di non dover fare i conti con Morfeo. E, quando il gelo di New York l'aveva costretta in casa, aveva preferito comunque la scomodissima sedia della cucina, quella vicino a una delle poche finestre di quell'appartamento minuscolo, con una tazza di tisana alle erbe che era sempre finita nel lavandino gelata.
In America, le nottate migliori le aveva passate con Leah. Non avevano mai parlato molto, ma da subito si era creata un'affinità inspiegabile. Anche tra i loro pensieri. A Sarah mancava Leah, tanto. Gli ultimi giorni in Italia erano stati indispensabili per capire quanto fosse legata a lei. Leah era chiusa, riservata, ma un'ottima osservatrice. Sapeva capirla bene anche attraverso un telefono, anche senza vedere le espressioni del suo viso.
Si sentivano ogni notte. O, meglio, Sarah la chiamava di notte mentre lei era in pausa pranzo. Nemmeno il ritorno in Italia aveva affievolito i suoi problemi col sonno, e l'amica aveva provato a starle vicino nonostante la lontananza. Da ogni silenzio, da ogni mugugno, da ogni frase non detta, la canadese aveva capito che le cose con Joseph non andavano troppo bene. Aveva sempre capito tutto di Sarah, senza mai costringerla a parlare. L'ultima conversazione si era conclusa con una promessa da parte di Leah: sarebbe andata presto a trovarla.
Comunque, negli ultimi due anni Sarah aveva avuto serie difficoltà a dormire e non aveva mai dormito più di due ore consecutive a notte. In quel momento, osservando l'orologio appeso al muro, sorrise. Era tra le sue braccia, ancora nuda. Sorrideva perché per la prima volta, dopo due anni, aveva dormito più di due ore. Non sapeva quanto, in realtà. Sapeva che erano le dieci di sera, che la madre non era preoccupata perché immaginava dove fosse. Sapeva che era piombata a casa di Joseph che era pomeriggio, il sole ancora alto nel cielo. Che avevano fatto l'amore e che si erano addormentati l'uno nelle braccia dell'altra.
Sarah si sentiva bene. Finalmente, dopo troppo tempo, e non solo per le ore di sonno indisturbato. Si sistemò meglio su di lui mentre lo sentì muoversi. Lo guardò e vide, nella penombra creata dall'abat-jour, i suoi occhi aprirsi lentamente. Joseph ricambiò all'istante il suo sguardo, sorridendo. Un sorriso bello, pieno, sincero e stupito, che lo fece rilassare.
«Ciao», sussurrò con la voce un po' rauca. Le lasciò un dolce bacio tra i capelli e lei chiuse gli occhi, beandosi di quel tocco e prendendo tutto il suo amore.
«Ciao», rispose. «Pensi che ci abbia visto qualcuno? Insomma... ci siamo addormentati e i tuoi potrebbero essere entrati in camera» aggiunse, alquanto imbarazzata.
«No» la tranquillizzò subito lui, «papà hai il turno di notte e mamma è ancora al bar». Sarah annuì, prima di perdersi in qualche pensiero di troppo. Si rabbuiò all'istante, cominciando a disegnare cerchi immaginari sul petto di Joseph, che non smetteva di accarezzarle i capelli morbidi, doranti come un campo di grano in penombra.
«Tuo padre ha il turno di notte più spesso di quanto ricordassi... e tua madre non ha mai passato così tante serate al bar» azzardò, senza il coraggio di guardarlo negli occhi.
«Che vuoi dire?» chiese lui, muovendosi appena.
«Niente... è solo che...» balbettò. «Niente» aggiunse sconfitta, temendo un'altra probabile lite.
«Non è niente. So che la tua testolina sta pensando a qualcosa. Dimmelo, ci siamo sempre detti tutto» la spronò lui. Aveva ragione, si erano sempre detti tutto. Sarah respirò rumorosamente, prima di spostarsi sulla parte libera del letto e guardarlo negli occhi.
«Sembra non vogliano passare troppo tempo dentro casa» iniziò. Joseph annuì, prima di distogliere lo sguardo e puntarlo su un pezzo non meglio definito della parete vuota di fronte a lui. Rimuginò appena, prima di ridacchiare amaro. Non smise mai di accarezzarle il braccio nudo.
«Forse è così» ammise. «Non hanno preso bene la mia scelta di mollare gli studi. Non me lo hanno mai fatto pesare, ma non credo vogliano vedermi davvero uscire per andare in fabbrica, o tornare distrutto dal lavoro. E così passano tanto tempo fuori casa» aggiunse. Sarah nascose il capo nel cuscino, bagnandolo di una lacrima dura e solitaria. Stava diventando sempre più difficile trattenerle. Joseph ci fece caso, ma finse di non accorgersene, portandola via con un gesto meccanico senza soffermarcisi troppo sopra. Si avvicinò al suo viso, baciandola dolcemente.
Sarah capì in quel momento di non sapere come era sopravvissuta senza quei baci. Aveva la sensazione di essere tornata a respirare di nuovo, dopo anni di apnea forzata. Sorrise, facendo scontrare le fronti. Sorrisero insieme, i respiri che sembravano uno. Chiusero gli occhi, rimanendo in quella posizione per un po', immersi l'uno nell'altra.
«Mi sei mancato» confessò per la prima volta, interrompendo quel silenzio perfetto.
«Davvero?» chiese conferma lui, tenendo gli occhi saldamente chiusi. Aveva bisogno di una risposta, aveva bisogno di sapere che quello non era tutto un sogno. Sarah aprì gli occhi per prima, per guardarlo. Aspettò che lui facesse lo stesso.
«Sì, davvero» disse decisa, non appena i loro sguardi si scontrarono.
«Anche tu» ribatté lui, senza timore. Non erano mai stati pudici nel parlare di sentimenti, nemmeno da bambini. Erano sempre stati chiari. «Però, Sarah...» aggiunse, staccandosi appena.
«Cosa?» Iniziò a tremare, impaurita da quella frase lasciata a metà.
«Che significa?» concluse Joseph. Sarah sospirò, iniziando a guardarsi intorno. Posò lo sguardo su tutte le foto che decoravano quella stanza, combattendo una lotta estenuante con l'ennesima lacrima. Non era il momento.
«Dovresti riprende a studiare e a ballare. Per i tuoi e per te» sentenziò Sarah
«Non parlavo di questo. Dobbiamo parlare di noi» ribatté secco Joseph, mettendosi subito sulla difensiva, come se fosse diventato allergico ai sogni.
«Nel noi c'è anche questo, Jo... non lo capisci? Ci siamo innamorati mentre tu saltavi da un palazzo all'altro. Mi sono innamorata di te tra un salto e un passo di danza, mentre documentavo ogni tuo sguardo» spiegò lei, pacatamente.
«Sarah, non ricominciare. Ho chiuso con tutto, te l'ho detto» concluse sprezzante.
«Tu mi ami?» chiese lei all'improvviso, mantenendo quel tono placido. Aveva capito che la durezza non avrebbe portato alcun risultato.
«Me lo stai chiedendo davvero?» ribatté lui, infastidito. Lei annuì convinta, aspettando una risposta. «Se me lo chiedi, allora forse quella a non amarmi più sei tu. Dovresti saperlo, dovresti conoscermi» continuò lui, deluso.
«Ti conosco. Ti conosco bene. Sei una delle persone più tenaci e testarde che io conosca. Sei appassionato, curioso, brillante, bellissimo, forte...»
«Ero» la interruppe lui.
«No» rimarcò Sarah, decisa.
«Sì, Sarah, sì. Ero così, come mi descrivi. Non sono più quella persona, perché non lo accetti?» alzò il tono di voce, alzandosi dal letto completamente nudo. Sarah lo imitò, senza mai staccare lo sguardo.
«Perché ti amo» urlò anche lei. «Ti amo e non posso vederti così. Non è giusto» ammise con gli occhi gonfi e il cuore in gola. Joseph respirò profondamente, provando a calmarsi. Non voleva urlare ancora.
«Questa è la mia vita, adesso. Mi ami? Allora accettala» la sfidò, incrociando le braccia al petto. Sarah ritrovò un po' di quell'egocentrismo ingenuo che, tra le altre cose, l'aveva fatta innamorare.
«Non posso accettarlo, mi dispiace» sussurrò, raccattando tutti i vestiti sparsi sul pavimento e indossandoli in fretta.
«Quindi? Mi lasci ancora?» urlò Joseph, vedendola correre via dalla stanza. Non la seguì. Si vestì anche lui e si buttò sul letto, sfinito.
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