15.
Scosto la tenda della finestra dell'albergo e mi perdo ad osservare il mare davanti a me. Le onde basse si infrangono sulla sabbia e io, nonostante le trovi sempre rilassanti, non riesco a calmare i miei pensieri nemmeno così.
Gabriele non risponde alle mie chiamate e a quanto mi hanno detto Aureliano e Spadino nemmeno alle loro. So che si sente preso in giro, ma come glielo faccio capire che volevo solo che non si facesse del male!?
Appena iniziamo a frequentarci le cose erano molto più semplici tra di noi, nonostante la vita che lui conduceva era già complicata. Ricordo la prima volta che lo vidi. Ricordo la sua Mercedes sbandare in una delle vie di Roma centro e poi fermarsi velocemente accanto a dei cassonetti. Mi sembrò subito strano, vista la mossa azzardata e il fatto che lì non c'era la possibilità di parcheggiare, non so perché, ma rimasi ferma a vedere se chi guidava stava avendo un problema, per vedere che non stesse male e avesse magari bisogno di soccorso. Rimasi stretta nel mio giacchetto di pelle nera, finché la portiera del lato passeggero si aprì.
Feci qualche passo in avanti e Gabriele scese dalla macchina tossendo, come se fosse in preda a dei conati di vomito. Si inchino accanto a un cestino e continuò a tossire. Appena mi resi conto che stava davvero poco bene mi avvicinai a lui e gli chiesi se gli servisse una mano.
Ricordo distintamente il momento in cui mi disse di no in modo tutt'altro che carino e pochi secondi dopo mi vomitò sulle scarpe. Appena smise sul suo viso nacque un'espressione terribilmente affranta. Non sapeva come scusarsi, continuava a ripetermi che aveva dei problemi, che in quel momento non era in sè e mi chiese di potermi ricomprare le scarpe, ovviamente rifiutai.
Cercai di rassicurarlo, capendo che non era agitato solo per quello che
mi aveva appena fatto, ma che c'era qualcos'altro di fondo, che lo turbava. Aveva l'espressione terrorizzata, come se non trovasse via d'uscita ad una determinata situazione.
Accettai di bere un caffè con lui. Così si ricompose.
Mi accompagnò con la macchina a casa, per potermi cambiare le scarpe, e dopo mi portò al bar. Il pensiero di avermi offerto un caffè non lo rilassava ancora, pensava fosse ancora troppo poco per avermi vomitato sulle scarpe, ma io gli sorrisi e dissi che era abbastanza così.
Non mi importava già più delle scarpe, io volevo solo sapere di lui. Stavamo insieme solo un'ora, ma mi sembrava di conoscerlo da sempre, per quanto ridicolo e scontato possa sembrare.
Entrammo in sintonia da subito, mi chiese di rivederci, a cena. Per potersi sdebitare. Accettai ancora una volta, nonostante non ce ne fosse assolutamente bisogno, volevo solo rivederlo. Volevo entrare più a fondo nella sua vita e capire cosa gli stesse accadendo.
Due giorni dopo andammo a cena insieme. Parlammo tantissimo, di lui, di me. Mi disse che stava frequentando legge, ma che si stava già per laureare, poi mi parlò del padre con un velo di tristezza negli occhi, capì subito che le cose tra loro non andavano bene, ma non andai oltre, non mi piaceva vederlo con quello sguardo così triste. Poi mi chiese di parlargli di me. Prestava attenzione ad ogni cosa dicessi, era davvero interessato e questo mi fece avvicinare ancora di più a lui. Nessuno mi aveva mai guardata e capita così. Era bello sentirsi apprezzata e sentirsi interessante. Faceva le domande giuste, diceva le cose giuste al momento giusto. Era quel tipo di ragazzo che avevo sempre sognato di incontrare, ma che pensavo non avrei mai incontrato, perché forse solo uno stupida illusione di una ragazzina, invece lui era davvero lì, reale più che mai.
Quella stessa sera lo invitai a salire nel mio appartamento. Non ero mai stata così sfacciata, sapevo bene a cosa andavo incontro molto probabilmente, ma non mi importava. Io non volevo che lui andasse via, dopo una sola serata e qualche ora passata al bar qualche giorno prima.
Appena chiusi la porta di casa mia mi baciò, facendomi capire che non stava aspettando altro, tanto quanto me. Ricambiai immediatamente, mi sentivo bene, la sintonia c'era anche durante il bacio, eravamo davvero in perfetta armonia, c'era la famosa chimica di cui tutti parlavano. Non mi era mai successo, nemmeno con il mio ex.
Mi chiese di portarlo in camera e io lo feci. Non ebbi ripensamenti un solo secondo. Non mi imbarazzai un solo secondo. Mi accarezzava e mi baciava, e io mi sentivo bene, mi sentivo nel posto giusto al momento giusto. Anche mentre mi spogliava era perfetto, non sbagliò una sola volta. Era tutto esemplare, pensavo davvero di essere in un sogno.
La mattina dopo mi svegliai sentendo dei rumori e mi misi a sedere appena lo vidi rivestirsi. Mi sentì male appena mi venne in mente l'idea che magari stesse per andare via senza nemmeno salutarmi, come se fossi stata solo l'avventura di una notte. Io avevo sentito qualcosa di speciale e non potevo credere che per lui non significasse nulla. Gli chiesi spiegazioni immediatamente e lui mi disse che era meglio se io non fossi entrata nella sua vita, che dovevo sparire e dimenticarmi di lui. Non lo accettai, non capivo perché lo stesse facendo. Disse che era giusto così. Ma giusto per chi?
Inizialmente diede le colpe dell'accaduto all'alcool di troppo, dicendo che non sarebbe venuto con me se non avesse esagerato con il vino. Ma sapevo che non era così, l'aveva a malapena toccato.
Lo pregai di parlarmi. Di dirmi cosa avesse. Gli parlai dell'impressione che mi fece qualche giorno prima, quando lo conobbi, gli dissi che poteva parlarmi di cosa lo stesse spaventando. Che non doveva allontanarmi, che potevo aiutarlo.
All'inizio rifiutò, ma dopo un po' crollò. Si lasciò andare a un fiume di parole. Mi disse della vita che stava conducendo. Dello spaccio che era diventato un debito. Dell'uomo più pericoloso della città, ossia Samurai, che lo voleva ai suoi servizi per uccidere il padre di uno dei suoi nuovi amici, ossia Tullio Adami. Mi parlò del padre, mi disse che lo odiava, che per colpa sua la madre era andata via quando lui era solo un bambino. Mi parlò perfino di Sara. Mi disse che l'aveva amata, ma che lei lo aveva solo usato, senza mai provare qualcosa di reale per lui.
Mi parlò con il cuore in mano, nonostante non mi conoscesse. Si fidò di me e capì immediatamente che quella sintonia tra di noi l'aveva captata anche lui. Promisi a me stessa che da quel giorno in poi io ci sarei sempre stata per lui, e lo strinsi forte a me, cercando di dargli un po' di forza.
Nonostante il nostro non sia stato l'incontro più romantico della storia so che il nostro amore è reale e forte. Ci siamo sempre sostenuti, aiutati, rispettati, amati. Finché Samurai ha deciso di usarmi per far eseguire i suoi ordini a Lele, seminando tensione tra di noi.
Sento qualcuno bussare alla porta della camera e mi giro di scatto, uscendo dai miei pensieri. Sorrido debolmente vedendo Aureliano davanti a me, che mi guarda con aria preoccupata.
- Se ti va ce sta da magna. Spadino ha cucinato ajo, olio e peperoncino.- annuisco davanti alle sue parole e lo seguo, sicura che passare un po' di tempo con loro, in modo quasi normale, possa solo farmi bene.
Nota: ho scritto questo capitolo da tanto e ci tengo particolarmente... dategli il giusto valore, grazie!❤
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