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La crisi ipoglicemica


Vietato calpestare.
A meno che non indossiate
delle Marie Jane
Susanna

Il vano ascensore è di quelli a gabbia in ferro battuto, i miei preferiti... antipanico, in caso di guasto improvviso, dalle scale si può vedere la cabina e chi c'è dentro.

Foto scattata, di nascosto dal portiere che 007 spostati proprio,  questa mattina andando dal commercialista

Meglio
L'ascensore, con uno scossone, parte alla volta del 4.
Vista la lentezza del mezzo, ammazzo il tempo ammirando la cabina. Foderata di velluto rosso, uno sgabello in legno con seduta imbottita e rivestita di anch'essa di soffice velluto rosso. Uno specchio... orrore!

Ho un aspetto orribile, non posso presentarmi così, devo sistemarmi alla meglio quel che resta dei miei capelli per fare una buona impressione.

La prima impressione è quella che conta!

E spero che Maxi, il mio parrucchiere di fiducia, sappia fare il miracolo.

Pronta, quasi decente!

Un altro scossone mi avverte che siamo arrivati al 4 piano.
Scendo dall'ascensore e mi avvio alla ricerca dello studio dell'avvocato.

Eccolo. Un solo portone sul 4 piano, "Studio De Bellis & soci. Roma NewYork London...  Sydney", si legge sulla targa dorata accanto alla porta d'ingresso, anch'essa nera con accessori ottonati.

Il cuore a mille mi ricorda il perché io sia lì, e sinceramente continuo a non averne la più pallida idea.
Inoltre qualora mi servisse un avvocato, di certo non potrei permettermi di essere assistita da questo studio.

Neanche il tempo di poggiare il dito sul campanello che la porta si apre.

Una donna, dall'aria gentile, e vestita che sembra uscita dall'ultimo numero di Vogue primavera estate, mi saluta con un amabile
«Signorina Panna, è in ritardo di venti minuti ma, prego si accomodi pure!» 
«Lo so, sono elegantemente in ritardo, non può neanche immaginare cosa...», sento la mia voce rimbombarmi tra orecchio e orecchio... un chiaro indizio che non sembra apprezzare il mio umorismo e, senza rispondere, con un cenno del capo che non dà adito a fraintendimenti, mi invita ad entrare.

Io preferirei attendere sull'uscio, sai com'è, al suo confronto sembro uscita da una rivista tecnica di sopravvivenza post apocalittica.

Rimpiango di non essere più una da tacco 12. È la seconda volta nel giro di 10 minuti, a voler essere larghi, che rimpiango di non essere più una da tacco dodici.
Tutte le mie certezze che iniziavano a vacillare non appena messo piede nell'androne del palazzo, stanno ora andando a farsi friggere. Da non credere.

Come se i miei cinque minuti di vergogna non fossero abbastanza, la scure ci abbatte sul mio collo per il colpo di grazia, ovvero un pavimento a scacchi di marmo bianco e nero.
Un porca paletta è d'obbligo!
Da sempre un mito!
Visto solo sul pavimento di colossali ville dei ricconi nelle soap opera americane.
Più volte avevo cercato di convincere mia madre a cambiare il pavimento di casa, ma diceva che lo stile holliwoodiano non stava bene in un appartamento fronte Colosseo.

Beh, comunque stiano le cose, non posso calpestare questa magnificenza con le mie scarpe da ginnastica, sarebbe un sacrilegio!
Anzi, dovrebbero attaccare un cartello con su scritto:
"Vietato calpestare. A meno che non indossiate delle Marie Jane".

Ma la donna, ormai chiaramente infastidita, insiste per farmi entrare, così, per non essere scortese, l'accontento.

Faccio un primo timido passo in punta di piedi, per calpestare solo il minimo indispensabile per avanzare senza perdere l'equilibrio.
Nella speranza di non imbrattarlo di sangue.

Mi fa strada attraverso il lungo corridoio dal quale si accede ai vari uffici dalle pareti in cristallo.

Se non fossi in pensiero per il motivo della convocazione potrei anche godermi il giro turistico.

Finalmente raggiungiamo quella che sembra essere una sala di attesa.

Era ora, perché sento che la caviglia inizia a gonfiarsi.

«Prego si accomodi. L'avvocato De Bellis sta concludendo una video conference con Londra e New York, ma sarà subito da lei. Nell'attesa, posso offrirle un caffè? Un tè? Oppure qualcos'altro di suo gradimento?», lo sguardo cade sull'orlo insanguinato dei pantaloni con una smorfia di disgusto.

«La ringrazio, ma sono a posto così», rispondo mentre cerco di nascondere la caviglia incriminata dietro la caviglia buona, abbozzo un sorriso di circostanza.

La donna annuisce perplessa e si congeda lasciandomi sola con il pavimento a scacchi, i divani in pelle nera ai quali non oso nemmeno avvicinarmi, e la mia emorragia in atto.

Se l'avvocato non si sbriga, finirò per morire dissanguata sul pavimento dei miei sogni. Beh, poteva andarmi molto peggio.

Il mio stomaco ricomincia a brontolare.

In realtà, penso che morirò prima di fame. Ho lo stomaco sottosopra e darei chissà cosa per trovarmi sul mio divano sfondato a farmi fuori un bel pezzo di pizza margherita. Casa dolce casa!

Dopo circa venti minuti cercando di capire cosa ci fanno le mie scarpe sfigate sul pavimento dei miei sogni, la voce della donna richiama la mia attenzione.
«L'avvocato l'attende, prego da questa parte, se vuole essere così gentile da seguirmi, le faccio strada».

Ci siamo!

Ripercorriamo il corridoio, e dopo pochi metri, sono nel salotto dell'ufficio  dell'avvocato De Bellis.

Non ci siamo!
Lui non c'è e la donna attende con me l'arrivo del suddetto avvocato.

Quanto mistero, a questo punto sono curiosa di sapere.

Sento dei passi alle mie spalle, mi volto e... porca paletta, se quella visione mistica è l'avvocato, allora è l'avvocato dei miei sogni.

Oppure sono in piena crisi ipoglicemia

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