CAPITOLO XII - UN BICCHIERE...ROTTO - Parte 1
Spesso le persone non si preoccupano del modo in cui raggiungono un risultato che si sono prefissati; tante persone sono talmente occupate a cercare le risposte da non chiedersi nemmeno se si stanno ponendo le domande giuste. A volte questo atteggiamento rischia di compromettere tutto il percorso, perché è facile passare le giornate ad immaginare il gran finale; è facile immaginarsi con una tunica addosso e un alloro in testa, ma nessuno pensa ai "trenta" e passa esami che ti dividono dal quel momento. È facile avere fretta e accontentarsi lungo il percorso, scendendo a compromessi pur di raggiungere la meta, senza però capire la mole e il peso che il percorso da compiere comprende in sé.
Sono sovrappensiero, davanti alla bacheca dove sono affissi gli orari dei corsi all'università. Circondato da ragazzi, mi sono perso nella riflessione. A riportarmi alla realtà è un colpo alla spalla. Qualcuno mi è venuto addosso.
«Oh scusa, non volevo...», è Matilde. Non la vedo da qualche giorno. Lei sta a fissarmi per un po' e dice: «Scusa ho la testa altrove. Sono preoccupata per la tesina», sente di dovermi spiegare.
«Ma figurati, ti capisco», provo a tranquillizzarla.
«Ti va una camomilla al bar così almeno ti calmi?», le domando scherzosamente, anche perché ho deciso che non seguirò la lezione del corso successivo, oggi proprio non ho voglia di starmene chiuso in un'aula.
«Più che una camomilla ci vorrebbe un doppio espresso!».
«Vada per il doppio espresso!»
«Veramente... dovrei... OK, d'accordo, andiamo!», dice dopo una brevissima esitazione.
Seduti al tavolino del bar, lei prende un tè ed io una cedrata.
«Allora ci siamo?», le chiedo.
«Eh già, se tutto va bene, discuterò la tesina poco prima di Natale!»
«Una tesina sotto l'albero!», le sorrido. Sinceramente provo un po' d'invidia, ma sono felice per lei.
«Sì, sì!» , risponde tra un sorso di tè e un altro, poi continua: «Verrai alla mia festa?»
«Se mi inviti...», la prendo in giro.
«Già sei invitato!», esclama sporgendosi verso di me.
«Bene!», e sorseggio la mia cedrata.
«Precisamente di dove sei, Alex?», mi domanda, ed effettivamente penso che non abbiamo mai avuto modo di parlarne prima.
«Di San Colomba! Ricordi? C'eri anche tu alla Ferramenta!», preciso.
«Che c'entra, io ero lì per un'amica, ti ho visto entrare e ti ho seguito!» chiarisce.
«E quindi? Di dove sei?», La vedo sorridere e poi aggiunge:«Siamo vicini di casa... io sono di San Marcellino!»
«Davvero? E pure non ci siamo mai incontrati!», rifletto ad alta voce.
«Già, mai!», conferma lei.
«Dimmi una cosa, dove ti posso portare l'invito?», domanda e le spiego dove può trovare il caseificio di mio padre.
«Vallo a sapere? Mamma è una cliente fissa del tuo caseificio!»
«Perfetto!», esclamo con soddisfazione.
«Prima di venire però fammi uno squillo!», e questa volta non spreco l'occasione, colgo la palla al balzo e faccio gol! Le lascio il mio numero di cellulare su un foglio.
«O.K. grazie», dice lei, poi guarda di sfuggita l'orologio, «Oddio, si è fatto tardissimo, il prof mi ammazza, devo scappare!», e la vedo raccogliere le sue cose. Fa un lungo sorso di tè e continua: «Scusami, Alex, ma dobbiamo chiedere il conto devo scappare», è buffa e attraente con le braccia piene delle sue cose, una borsa, i libri e il giubbotto.
«Non preoccuparti, vai pure», concludo.
«Sei sicuro?», domanda.
«Certo vai!», e si avvia verso la porta. Poi si blocca come avesse dimenticato qualcosa, torna indietro e viene a darmi un bacio sulla guancia.
«Grazie, sei sempre gentile», sorride e va via sulle gambe sottili e le spalle curve sul libro. È così diversa da Iris, sia nell'aspetto fisico che nei modi. Ma per quale ragione le sto mettendo a confronto? E perché sento di volerla conoscere meglio? So solo che sto bene quando sto con lei.
***
In auto sulla strada per San Colomba mi ritorna in mente l'idea che avevo avuto per completare lo spettacolo e che avevo tralasciato per via della pazza settimana appena trascorsa. Così accelerò in direzione della scuola di ballo dove si allena mia sorella Celeste. Prima di comunicarlo a Tullio voglio sondare se è fattibile. Arrivo così alla scuola di ballo.
***
Dopo mezz'ora di colloquio con i maestri di danza di mia sorella, arrivo alla Scuole Media di San Colomba, e vado dritto verso il portone della palestra, che per l'occasione si è trasformato nel "nostro" teatro. Il palco è stato costruito provvisoriamente da una ditta locale nella palestra. L'unico luogo che può garantirci più posti a sedere e quindi maggiori introiti per la ristrutturazione pro-chiesa.
Sono leggermente emozionato e soprattutto felice di portare la lieta notizia per aver raggiunto l'accordo con Tizzy e Gigio, i due maestri di Celeste nonché proprietari della scuola di danza. Mi ha colpito molto il loro entusiasmo, si sono messi a completa disposizione. Voglio dirlo subito a Tullio, ma lui non c'è così tengo la notizia per me e raggiungo i ragazzi per iniziare le prove.
L'aria è frizzante e c'è maggiore agitazione, lo spettacolo oramai è alle porte. Dietro una serie di pacchi, compare il volto di Tullio. Si presenta così alle prove, ma decido di raccontargli tutto alla fine per non interromperle. Inaspettatamente, però vedo aprire la porta e entrare Tizzy e Gigio, che avanzano. Mentre ne seguo il cammino, noto Iris seduta accanto a Domenica, Tullio e altri ragazzi tutti stupiti. Prendo subito in mano la situazione, con un balzo scendo dal palco e gli vado incontro.
«Ciao Tizzy, ciao Gigio, tutto bene? Venite vi presento Tullio, il direttore dello spettacolo», spiego e una volta accanto a lui inizio a raccontare la mia idea.
«Tullio, ti presento Tizzy e Gigio. Sono i proprietari della scuola "Magic Star Dance".
Ho pensato che aggiungendo un numero di danza all'interno dello spettacolo possiamo arricchirlo e renderlo completo, potrebbe acquistare molta più qualità e potremmo trovare più riscontro in tante famiglie. Cosa ne pensi?»
«Piacere di conoscervi... Tullio», si presenta lui, allungando la mano, tuttavia noto che è molto freddo. Non riesco a capire perché.
«Perdonatemi un momento, devo parlare di una cosa con Alex», dice prendendomi per un braccio e usa un po' troppa forza. Ci spostiamo di qualche metro, finiamo tra le file di sedie di plastica bianche che sono già arrivate per lo spettacolo.
Iniziamo quella discussione quasi sottovoce, ma intuisco che non rimarrà tale.
«Alex sei tu, per caso, il direttore?», il suo tono è freddo e distaccato.
«Cosa vuoi dire?», domando già sconcertato.
«Non ho nulla contro di loro... ma perché li hai invitati? Non si era detto che dovevi consultare prima me? Chi ti dice che abbiamo bisogno di loro? Chi ti dice che c'è spazio?», mi assale di domande in modo antipatico, sospiro per calmarmi.
«Perché non abbiamo spazio? Guarda che li ho fatti venire qui proprio per discutere con te e trovare insieme un posto per loro all'interno dello spettacolo, sembrava una buona idea!»
«Non è una buona idea!»
«Stai scherzando, vero?»
I toni si alzano, impossibile non essere sentiti.
«No, per niente, lo spettacolo è già lungo e a noi non servono professionisti, quindi vai da loro e li saluti scusandoti per averli fatti venire inutilmente...», conclude la frase, mi volta le spalle e mi lascia da solo come un pesce lesso.
«Dove sta il tuo problema?», gli urlo e le parole tornano in un'eco.
«Che non sai stare al tuo posto! Che non conosci il rispetto dei ruoli! Che prendi decisioni di testa tua non pensando alla squadra!», Ad ogni sua affermazione segue una breve pausa.
Sono mortificato, ho sempre cercato un punto d'incontro, non merito queste parole con questo tono davanti a tutti.
«Perché dirigo io lo spettacolo e se dico che è lungo, è lungo, ed io non voglio che le persone si annoino», continua senza aspettare le mie risposte.
Con calma riprendo: «Se tutto va bene lo spettacolo dura circa un'ora e un quarto. Con un paio di balli arriviamo al massimo ad un'ora e mezza, dove sta il problema?», cerco comunque una soluzione, ammesso e non concesso che sia necessario trovarne una. Come se non avessi parlato, si avvicina a Tizzy e Gigio e: «Mi dispiace ragazzi, ma non possiamo accettare, vi ringraziamo di tutto ma avendo già fatto la scaletta lo spettacolo risulta già molto lungo...»
«Ehi, Tullio, noi non abbiamo una scaletta!»
Si volta a guardarmi con aria minacciosa.
«Sì che abbiamo una scaletta! E vedi di non scavalcarmi MAI più!»
«È questo il tuo problema? Ammettilo! Sei troppo orgoglioso per dire che questa volta ho fatto una cosa buona?»
Mi avvicino ancora di più a lui. Con la coda dell'occhio noto che si avvicina anche Ezio, preoccupato, la rabbia sul mio volto lo allarma.
«Tullio per caso ti rode che io c'ho pensato e tu no? Hai paura che qualcuno dica che non è stata un'idea del direttore?»
Questo è l'inizio, so che ho appena acceso la miccia di una bomba che sta per esplodere e farà inevitabilmente dei morti. Le mie parole sono state dirette, incisive e bastarde, e so che un tipo orgoglioso come Tullio si infurierà. Si avvicina a me, viso contro viso, sento il suo alito.
«Tu... sei...», il suo indice trema.
«Ehi ragazzi, calmatevi...»
Non mi sono accorto che Iris si è avvicinata e cerca di allontanarci.
Con voce sottile e pacata aggiunge:«Alex dai non esagerare!».
Respingo dentro di me il nervosismo di quell'affermazione. Da lei non me lo sarei aspettato. Meglio non risponderle.
«Ehi Alex, non vogliamo crearti problemi!», è la voce tranquilla di Tizzy. Non faccio che fissare Tullio e anche lui non sposta lo suo sguardo da me.
«No, no, Tizzy non ti scusare, credetemi voi non c'entrate niente in questa storia...». Sorrido beffardo!
«E allora è ora di chiarirla questa storia! Una volta per tutte!»
Il tono mostra tutto il suo rancore, per non dire odio, che prova per me. Cerco di calmare i miei istinti, ancora una volta mi mordo la lingua e provo ad essere più lucido.
«Senti Tullio, le nostre discussioni non c'entrano, adesso pensiamo allo spettacolo. Tizzy e Gigio possono darci una mano».
«Non c'è niente da pensare, loro non fanno parte dello spettacolo».
Poi si volta nuovamente verso i due ragazzi e aggiunge:«Vi chiedo nuovamente scusa per tutto, ma credetemi è una questione personale a questo punto, voi non c'entrate più.»
«Guarda che se Tizzy e Gigio non fanno parte dello spettacolo, ti saluto anche io, non mi va di fare pessime figure...», è una minaccia la mia.
«E vattene... ORA!»
«Ehi Tullio, stai esagerando ora», la voce di Iris.
«Iris, lascia stare...», cerco subito di fermarla, non voglio alimentare altre discussioni, ma oramai l'astio tra me e Tullio ha raggiunto livelli elevati. Tornare indietro sembra sempre più impossibile. Credo sia giusto che uno dei due faccia un passo indietro per il bene di tutti.
«Iris sta zitta, tu non c'entri niente, eh...», Il rumore sordo di una sedia di plastica sbattuta contro il muro, perché volata dalle mie mani lo interrompe. La sedia a pezzi da a quel rumore il tono di un tuono che rimbomba nel cielo dell'atrio. Ora gli spacco la faccia! Iris non si tocca!
«Non ti permettere, in maniera più assoluta, di usare quel tono con Iris...», sbotto.
«Con Iris posso usare tutti i toni che voglio! Sei tu quello che non si deve mai più permettere di dirmi come devo comportarmi con mia cognata!»
Un leone ferito, una bestia incazzata: così mi sento. Le nocche delle mani quasi bucano l'epidermide, troppo forte stringo i pugni. Se parto gli faccio male! Taglio corto. Respiro profondo.
«Sai che c'è di nuovo? Me ne vado!»
«Saggia scelta!»
Prendo il giubbotto e a passo svelto inizio a percorrere il corridoio di uscita dalla palestra.
«SEI FUORI... ANCHE DAL CORSO DI CRESIMA!», l'eco amplifica queste parole urlate da Tullio.
«MA SAI CHE ME NE FREGA!», borbotto.
«Se va via Alex... vado via anche io... che sia chiaro a tutti», l'eco della voce di Ezio mi consola. Avrei sperato di sentire anche l'eco di Filippo, ma come al solito silenzio assordante. Cammino veloce. Voglio respirare. Ho vissuto un quarto d'ora di apnea, con il cuore che è andato a mille all'ora. Sento dei passi correre dietro me. Mi volto, convinto si tratti di Tullio, ma è Iris che mi prende violentemente e mi sbatte al muro. Chi ha ragione deve anche saperla difendere appassionatamente: un lato di Iris nuovo per me. Scura in volto incavolata più che mai con gli occhi lucidi, «No, no, caro, tu non vai da nessuna parte... tu non lasci proprio niente! Non essere vigliacco, non puoi lasciarci nei guai a venti giorni dallo spettacolo. Fai l'uomo e non lasciare che tutto vada a puttane, così...»
«MA LASCIALO PERDERE!!!», arriva questa voce dall'interno dell'atrio.
Non c'è la faccio più: «Ora lo prendo a pugni!», ma Iris ancora una volta mi spinge al muro.
«Lasciami Iris... ora mi ha proprio rotto il ca...», mi copre la bocca con la sua mano. Sulle labbra il forte impatto di qualcosa di metallo, forse un anello. Sì, deve essere un anello. Non ho mai tenuto Iris così vicino, ha la bocca ad un palmo da me, sfiora quasi le mie labbra. Il mio corpo vuole uno scontro con Tullio, ma il mio cuore mi tiene fermo lì perché so che farei del male ad Iris. Sembro paralizzato da lei. L'incantesimo da strega diventa magia di fata. Guardo il suo volto da una prospettiva che non ho mai visto. Anche così turbata, con i muscoli del volto tirati dalla preoccupazione di un momento che può precipitare e far saltare tutto, la trovo bellissima. Il suo odore di lavanda mi avvolge completamente facendomi sentire stordito, forse è questa la sua pozione magica. Riprendo coscienza dei miei muscoli e tento di rilassarmi, vedo Iris fare la stessa cosa e allentare la presa. Senza aggiungere altro esco dal portone principale, sconsolato e turbato da un pomeriggio pazzo. Sto davvero male.
Sento Iris venirmi dietro, così quando sono fuori mi volto a parlarle: «Ti rendi conto della figura che mi ha fatto fare? Si vede che questo non è il mio ambiente, non è il mio mondo!»
«Ora non essere catastrofico!», mi riprende lei.
«Iris c'ho provato, ma non fa per me. Come mi muovo sbaglio e questa ne è la prova. Si vede CHE SONO IO QUELLO SBAGLIATO, punto!»
Passo una mano tra i capelli, sconsolato come poche volte nella mia vita.
«Tu non sei sbagliato, per me qui dentro sei quello più attivo, sei il migliore e la tua presenza si sente!»
Provo a dire qualcosa, però lei mi anticipa:«E vuoi sapere un'altra cosa? Se tu non fossi qui io me ne sarei andata da un pezzo!»
«Che vuoi dire?»
«Che non mi piace come Tullio sta dirigendo il tutto, pecca di presunzione! Invece vedo in te l'entusiasmo e mi rivedo in te! Quell'idea dei balli la trovo semplicemente magnifica...»
Certo che sentirsi dire queste parole fa bene all'umore, quasi mi commuove. Con un pizzico d'orgoglio, accendo una sigaretta e mi volto. È una sorta di autodifesa, non voglio farmi vedere sull'orlo di un pianto. Perché è ingiusto sentirsi dire certe cose quando sai che stai dando il massimo per un progetto a cui credi e tieni.
«Iris non puoi rivederti in me, tu non avresti reagito così e buttato tutto all'ortiche, distruggendo tutto quello che abbiamo creato!»
«Finiscila di dire così, tu non hai distrutto niente, hai un carattere forte tutto qui. Però adesso ho bisogno di te, non fare il prezioso. Torna dentro con me e dimostriamo a tutti che possiamo andare avanti... insieme.... Ti proteggerò io...»
«E se vado dentro e succede un macello?»
«Allora perderanno due pezzi...»
Tirandomi con il braccio mi fa voltare verso di lei e aggiunge:«Alex, io sto con te se ancora non l'hai capito!»
«Grazie, sei importante, per me!»
Rifletto su quello che ho detto e trovo che sia inappropriato in questo momento così: «Scusami, sono confuso volevo dire che è importante per me sapere che ci sei!»
«Alex, non scusarti, anche tu sei importante, per me!», dice sottovoce poi allarga le sue braccia ed io mi ci abbandono. Un abbraccio forte, ma "strano" non è da innamorati, non è neanche da amici, è un abbraccio speciale e complice, un abbraccio che mi da la forza di ricominciare.
«Però facciamo che rimandiamo a domani, ora non ho voglia di ritornare lì dentro...», sorridiamo entrambi.
«Iris... Iris...»
Ci voltiamo e sulla porta c'è Domenica con uno sguardo severo. Iris si stacca velocemente da me, impossibile non notarlo.
«Dentro ti stiamo aspettando!»
«Arrivo!»
La vedo allontanarsi.
«A domani Alex!»
«A domani!»
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