5. Dove ogni speranza va in fumo (pt. 2)
Harry
Era quasi mezzanotte quando ritornai all'albergo di Joe.
Il fatto che quei coglioni che lavoravano con me si fossero messi nella merda più totale di nuovo, e che era stato compito mio sistemare i loro guai perché non finissero ammazzati, m'aveva leggermente fatto girare i coglioni. Una sola cosa dovevano fare, e sorvegliare la zona degli scambi mica era un'impresa impossibile.
Tre morti, cinque feriti, e per cosa? Per quelle due canne di marjuana? Diamine, sì. Avrebbero potuto tenersi la loro miserabile e inutile vita, se solo avessero avuto un briciolo di cervello in più di quello che gli era saltato per aria.
Louis aveva avuto più fortuna di me, e se l'era svignata prima di venire coinvolto; se fosse ritornato a casa, dopo il colloquio, non ne avevo la minima idea, e neanche m'interessava saperlo. L'unica cosa che non vedevo l'ora di rincontrare, era il mio cuscino.
Via tutti dalle palle. Ho sonno, cazzo!
Al buio, armeggiai con le chiavi e la serratura, le mie dita intorpidite dal freddo, finché non sentii il click che mi avvertiva della sua apertura. Rimasi interdetto, però, nel vedere il fuoco del caminetto acceso, -possibile che si fossero dimenticati di spegnerlo?- e prima che potessi chiudere la porta dell'appartamento, un bastone di legno sfiorò di poco la mia faccia.
«Harry!» la voce di Selena, preoccupata e quasi spaventata, mi fece sprofondare un po'. «Scusami, non pensavo fossi tu».
Cazzo. Lei.
Me ne ero pure scordato.
La vidi posare il manganello nero sul tavolo, grattandosi la nuca. Si era legata i capelli, che le scoprivano il collo dalla pelle candida, e la tuta da ginnastica che indossava le era di qualche taglia troppo grande.
Roteai gli occhi, togliendomi la giacca, buttandola per terra, seguita dagli stivaletti; solo la mia pistola venne messa al suo posto, nella cassapanca.
Selena sospirò. «Quel giubbotto non merita di essere trattato in quel modo».
«Buono a sapersi,» borbottai.
«Non lo raccogli?»
«No».
E quindi fu lei a chinarsi, spolverarlo, e appenderlo al gancio giusto. «Niall ti ha lasciato un piatto di pasta, se vuoi,» mormorò. «Ma non so se ti piace, fredda».
«Cosa fai sveglia, a quest'ora?» domandai, andando verso il frigorifero. «Non che mi interessi, ma avresti potuto spaccarmi la faccia con quel coso -fortuna che hai una pessima mira».
«Zayn mi ha fatto venire le paranoie,» disse, ignorando la piccola critica che le avevo recato. «Prima ho sentito uno sparo da fuori, che mi ha svegliata, poi dei rumori alla porta, e lui non si alzav-»
«Sei così incosciente, davvero,» scossi la testa, trovando quello che stavo cercando, sedendomi al tavolo con una forchetta e una ciotola di pasta fredda fra le mani. «Torna a letto, Selena».
«Sinceramente non ho più sonno,» sospirò, prendendo posto difronte a me, iniziando a fissarmi mentre inforcavo la mia cena.
«Sei altamente fastidiosa, in questo momento,» le feci sapere. «Se devi proprio stare qua, almeno mangia qualcosa anche tu».
«Non ho fame, ma grazie,» annuì.
«Cazzata,» l'apostrofai, dandole le spalle per prendere una mela dal ripiano vicino al lavandino. «Gli spuntini di mezzanotte sono d'obbligo. Se non fossero da fare, perché credi sia stata messa una luce, nel frigorifero?»
Le lanciai il frutto, che afferrò al volo, e poco convinta, l'addentò. «Comunque, Harry,» iniziò, una volta mandato giù il boccone. «Dove sei stato?»
«Ricominci già con le domande?» la fulminai.
Aprì la bocca, ma prima che potesse aggiungere altro, «in giro,» dissi. Non era neppure una bugia.
«In giro,» ripeté. «Bello».
«Niall ti ha chiesto di uscire?» sparai la prima cosa che mi venne in mente, tanto per cambiare argomento. «O l'ha fatto Zayn?»
«Nessuno dei due, per tua informazione,» sorrise lei.
«Peccato,» scossi la testa. «Un vero peccato».
La ragazza abbassò lo sguardo sulla mela, ma riuscii comunque a cogliere un lieve rossore sulle sue guance. Ed era strano da vedere, quel colorito, addosso ad una persona: ormai m'ero abituato così tanto al cremisi del sangue, appiccicato alla pelle, che non ricordavo neanche come facesse qualcuno ad avvampare in modo così innocuo ed innocente.
«Sono simpatici, sai,» e quando rialzò il viso, mi colse in flagrante a fissarla. «I tuoi amici».
Bofonchiai qualcosa, per nulla d'accordo con ciò che aveva detto, ché quei ragazzi erano tutto tranne simpatici. Affidabili? Certo; fedeli? Senza dubbio; forti? Altroché. Simpatici, invece, assolutamente no.
Le parole, fra di noi, erano finite. Solo il rumore del nostro mangiucchiare riempiva la stanza, io che osservavo attentamente la pasta, lei presa dal suo frutto verde.
«Domani, cioè oggi,» la sua voce però tornò nelle mie orecchie, facendomi alzare gli occhi al cielo. Non ce la faceva proprio, a tacere, lei. «Andrai a lavorare con Liam e Zayn?»
«E Louis,» aggiunsi, abbassando il tono, ma alzando la guardia -stava andando a frugare inconsapevolmente in cose che non la riguardavano, che l'avrebbero pure messa nei guai. Non che me ne fregasse qualcosa, se ci fosse finita dentro, ma la colpa sarebbe ricaduta sul sottoscritto, e di certo non avrei pagato al suo posto. Inoltre, non avevo fatto tutta la fatica di portarla qua, sopportando le sue chiacchiere e le sue infinite domande per tutto il viaggio, perché poi fosse ammazzata.
«Di cosa vi occupate?»
«Di niente,» tagliai corto.
«Spacciate droga?»
Contraendo i muscoli del viso, «Sel...» l'ammonii. E non avevo neppure fatto apposta ad abbreviare il suo nome, ma il fastidio e la stizza che vidi passare sul suo volto, mi fece rendere conto di quanto poco le piacesse essere chiamata così.
«Sel,»dissi, di nuovo, ridacchiando. «E' più carino così, non trovi, Sel?»
«Smettila».
«Perché, Sel?»
«Fai sul serio?»
«E' divertente,» mi giustificai, ghignando leggermente. E lei allora si alzò, spingendo indietro la sedia, guardandomi male.
«Dove butto il torsolo?» domandò, facendo dondolare i resti della mela dal picciolo, intrappolato fra il pollice e l'indice.
«Sotto il lavandino, Sel,» replicai. «C'è la pattumiera».
Fece il giro del tavolo, per fermarsi alle mie spalle e piegarsi in modo da gettare via l'interno del frutto. Ovviamente lanciai un piccolo sguardo alla sua figura, soffermandomi una frazione di secondo in più del dovuto sulle curve che la tuta lasciava solo intravedere.
«Bel pigiama, Sel,» commentai, enfatizzando ancora il suo nome.
«Ti piace così tanto infastidirmi, Harry?»
«Sì, moltissimo,» annuii.
«Hai la fissa con i nomignoli,» osservò, tornando davanti a me, ma senza sedersi. «Insomma, anche a Liam-»
«Willy è una genialata, devi ammetterlo,» sghignazzai. «Insomma, la sua faccia ogni volta che lo chiamo in quel modo è una cosa fantastica».
Ma l'espressione di Selena era così neutrale e poco divertita, così algida e impassibile, che mi fece pensare non fosse d'accordo.
«Chiamare un maschio pisellino, non credo sia tanto simpatico,» mi fece notare, confermando la mia teoria. «Insomma, non avete un ego da difendere?»
«L'ego degli altri non è affar mio,» feci spallucce, dopo aver mangiato l'ultimo boccone di pasta fredda. Fosse stato un altro giorno, non l'avrei neppure toccata, perché fredda faceva abbastanza schifo, ma era dalla sera prima che non mettevo qualcosa sotto ai denti. A mezzogiorno neanche avevo pranzato, considerando la stizza che Daniel e Selena m'avevano fatto venire, e la colazione l'avevo mancata proprio.
Mi alzai a mia volta dal tavolo, stiracchiandomi per bene, sentendo le vertebre nella mia schiena scricchiolare. «Ci si vede, Sel,» le dissi, sbadigliando, perché al contrario di lei, io avevo sonno.
«Smettila di chiamarmi così,» la sentii borbottare, alle mie spalle, ma non mi girai perché non vedesse il sorrisetto che mi solcava le labbra, al sapere quanto la infastidivo.
Poco prima di rientrare in camera mia e chiudermi la porta alle spalle, «va bene, Sel,» dissi, fra una mezza risatina e l'altra.
. . .
Selena
Dopo l'incontro notturno inaspettato con Harry, la mia situazione non era cambiata affatto. Morfeo ancora non era tornato, e avevo passato l'ultima ora e mezza a rigirarmi nelle lenzuola, per cercare di prendere sonno. Alla fine, proprio quando credevo che sarebbe finalmente arrivato, la sveglia di Zayn aveva preso a suonare, e il suo grugnito grottesco mi aveva fatta destare ancora una volta.
«Che ore sono?» gli chiesi, mettendomi a sedere, proprio quando il ragazzo accese la luce.
«Le quattro,» fece lui, sbadigliò, si tolse le coperte di dosso, «torna a dormire, non preoccuparti,» aggiunse.
«Dovete uscire ora?»
«Fra mezz'oretta, sì,» annuì, alzandosi in piedi. Non riuscii a non guardare il suo torso completamente nudo, ricoperto di inchiostro, che gli si attorcigliava attorno alle braccia e al petto, un po' come un serpente; andò verso la cassettiera, e dal primo cassetto estrasse una divisa interamente nera, all'apparenza molto pesante e resistente, prima di rivolgermi un sorriso stranamente dolce e amichevole.
«Vado a vestirmi, io. Vuoi aggregarti alla nostra colazione?» chiese.
«Non penso di riuscire a riaddormentarmi,» replicai, stiracchiando il mio corpo intorpidito e ancora avvolto dal tepore delle coperte. «Quindi direi di sì, grazie».
Come previsto da Zayn, Liam e Louis erano in cucina, seduti al tavolo, che mangiavano un qualcosa dalle scodelle davanti a loro. Il fuoco era stato ravvivato, l'aria era abbastanza calda da non farmi rabbrividire, e solo lo scoppiettare della legna e il tintinnare dei cucchiai dei ragazzi interrompevano il silenzio delle prime ore della giornata.
«Hey, Selena,» Liam sorrise quando mi vide, facendomi segno di prendere un posto accanto a sé, mentre Louis mi fece solo un cenno col capo.
Liam, passandomi una ciotola, «vuoi cereali, porridge o avanzi?» domandò.
«I cereali sono perfetti,» risposi. «E il porridge non so cosa sia».
«Non sai cos'è il porridge?» Liam sgranò gli occhi. «E' tipo una pappetta molle di avena cotta al microonde con del latte... ce l'ha fatta provare Niall dall'Irlanda, la prima volta, e da allora noi a colazione mangiamo solo quella,» spiegò. «Tranne Harry, lui solo tè e cereali, o cereali e acqua».
«La fai sembrare una cosa schifosa, detta così,» borbottò Louis, lasciando il tavolo. «E mi è passata la fame».
Lo guardai andare verso la cassapanca, dentro la quale sapevo stavano le pistole; se ne attaccò un paio alla cintura della divisa nera, e s'infilò poi un giubbotto. «Ci vediamo là, io vado,» disse, spiccio, uscendo dall'appartamento prima che Liam potesse fermarlo.
«Non ce l'ha con me, vero?» ero ancora leggermente sorpresa dal comportamento così freddo di Louis, nei miei confronti, perché in fondo io non gli avevo fatto nulla. «O è solo una mia impressione?»
«Ignoralo e basta,» sentii la voce di Zayn alle mie spalle, poi apparve nel mio campo visivo. «Non è un ragazzo cattivo, è solo un po' scettico verso i nuovi arrivati. Era così anche con Niall, Liam e me, non preoccuparti troppo».
«Vero,» confermò l'altro, mentre mi passava il latte e un pacchetto di cereali. «Ci odiava, letteralmente».
«Anche con Harry era così?» chiesi, sollevata dalla piccola rivelazione rassicurante che mi avevano fatto.
Zayn, che stava armeggiando con la sua colazione nel tentativo di prepararsela, ridacchiò. «Assolutamente no; Harry e Louis si conoscono da quando avevano indosso il pannolino. Sono sempre stati tipo migliori amici, o una cosa simile-» si bloccò di colpo, come se si fosse ricordato di qualcosa. «A proposito di Harry... dove cazzo è?»
«Dorme,» sospirò Liam, mangiando la sua ultima cucchiaiata di porridge. «Mi ha detto che non viene».
«Come, non viene?» sibilò Zayn, facendosi serio di colpo, assumendo un'aria quasi minacciosa. «Vado a farlo alzare, quel coglione».
«Lascia perdere,» lo fermò il primo. «Era sfinito, stamattina. Lascialo riposare un po'».
«Quell'altro bastardo se la prenderà con noi, lo sai,» obiettò ancora Zayn. «Non me ne frega niente se Harry è stanco. Siamo tutti stanchi, per Dio».
Liam scosse la testa. «Ci inventeremo qualcosa, come abbiamo sempre fatto».
Ero rimasta zitta, muta come un pesce, nella lieve speranza che si sarebbero dimenticati della mia presenza, e mi avrebbero rivelato qualcosa in più su ciò che davvero facevano; erano tante le domande che mi ronzavano per la testa, e poche le risposte. Non sarei neanche stata tanto ansiosa e vogliosa di averle, quelle risposte, ma in fondo, che male c'era nel voler conoscere le persone con cui avrei passato chissà quanto tempo?
«Okay,» Zayn, rassegnato all'idea che Harry non li avrebbe seguiti, ovunque sarebbero andati, sospirò. «Okay, va bene».
Si sedette al posto che Louis aveva lasciato, mangiando la sua colazione in silenzio. Sentivo che Liam mi stava osservando, ma feci finta di niente, tenendo lo sguardo puntato sui fiocchi di mais che galleggiavano sul mare bianco sotto di loro.
«Fa un po' paura, vero?» alla fine, parlò.
«Un po',» mormorai, e sapevo benissimo a cosa si stava riferendo. Faceva paura vedere dei ragazzi della loro età armati fino ai denti, che si vestivano in divisa e andavano a lavorare in una città del genere.
«Non siamo brutte persone, Selena,» continuò. «Se non ce ne darai motivo, noi non ti faremo nulla-».
«Liam...» lo ammonì Zayn, a bassa voce.
«No, è giusto che sappia,» Liam si spinse indietro il ciuffo di capelli castano chiaro, i suoi occhi nei miei, duri e severi. «Qui, la curiosità porta male, Selena. A nessuno piacciono né le spie, né i ficcanasi. Tieniti fuori dalle questioni che non ti riguardano, e tutto andrà bene, sia per te, che per noi altri».
Deglutii, «e se non lo facessi?» osai chiedere.
«Finiresti probabilmente ammazzata, o peggio».
Allora annuii, con un brivido di freddo a correre lungo la mia spina dorsale. «Non chiederò».
Il sorriso di Liam tornò a stare sulle sue labbra. «Non è che non puoi fare domande, perché a noi puoi chiedere ciò che vuoi. Solo, regola ciò che dici, e non prendertela se non otterrai risposte. Lo facciamo per il tuo bene, davvero».
«Okay,» sospirai. «Immagino dovrei ringraziarvi, di nuovo».
Zayn mi disse che non ce n'era bisogno, e che avvertirmi era il minimo che avessero potuto fare perché non fossi coinvolta in affari loschi e mali, per poi accorgersi dell'orario tardo e finire di mangiare in fretta e furia.
«Torneremo per la cena, comunque,» mi salutò Liam. «Se ti serve qualsiasi cosa, ci sono sia Niall che Harry. E fa attenzione, per favore».
«Anche voi,» risposi, appoggiandomi allo stipite della porta, i due che scendevano le scale dell'albergo.
«Come sempre!» sentii la voce di Zayn esclamare, prima che sparissero dalla mia vista.
Da sola, in casa, ci rimasi un bel paio d'ore -entrambi i ragazzi stavano dormendo, beati e sereni, nei loro letti, e non me la sentivo affatto di rovinare il loro sonno ristoratore. Andai a vestirmi, frugando nel mio zaino, sistemando i miei pochi averi in un cassetto che Zayn non stava usando: due paia di pantaloni esclusi quelli del mio pigiama, tre t-shirt, biancheria intima, poche banconote e un paio di libri.
Mi infilai i jeans del giorno precedente, che comunque non si erano sporcati di birra, al contrario della maglietta, che dovetti cambiare, e in bagno provai a fare qualcosa per sistemare i miei capelli. Più o meno soddisfatta della banalissima coda alta che ero riuscita a fare, mi decisi a tornare in salotto. La mia idea di leggere un altro po', però, venne rovinata quando la porta socchiusa della stanza di Liam e Harry, attirò la mia curiosità.
Il riccio era quasi divertente da guardare. Il suo corpo non ci stava tutto, nel piccolo letto, e dalla soglia della sua camera vedevo la sua gamba sporgere oltre il bordo. Le coperte che non riuscivano neanche a fare il loro dovere, scoprivano troppo della sua pelle abbronzata, e sentii la necessità di sistemarle, per lo meno.
Con un passo felpato, mi avvicinai alla tigre che dormiva, fermandomi a giusto qualche spanna di distanza dalle sue fauci e dai suoi artigli. Di spaventoso aveva ben poco, comunque, perché lo stato in cui era lo rendeva più un micetto tenero, che un felino feroce.
Capelli sparsi sul suo viso rilassato, le sue braccia muscolose e toniche che stringevano il cuscino sopra cui era poggiata la sua testa; steso a pancia in giù, la sua schiena nuda era tutta scoperta, e velocemente alzai le lenzuola, in modo da coprirlo un po'.
Stavo per andarmene, così da lasciarlo riposare in pace, quando dalle sue labbra uscì un mugolio, un suono sbuffante, seguito da un paio di parole confuse. «Tyger! Tyger!» borbottò. «La mela l'ha mangiata lei».
Non provai a nascondere il sorriso spuntatomi in viso, e piano piano, facendo attenzione a non disturbarlo, gli scostai un paio di quelle sue ciocche ricce dalla fronte. «Buonanotte, Harry,» mormorai, andandomene poi dalla sua stanza, chiudendo la porta.
In quel breve lasso di tempo, scoprii che Niall s'era alzato, e lo trovai a sgranocchiare cereali stravaccato sul divano, quando tornai nella zona giorno.
Mi salutò con una mano, ché la sua bocca era troppo piena di cibo per parlare, masticò un altro po', e «sono felice tu sia sveglia e vestita, abbiamo un mucchio di cose da fare, oggi,» mi fece sapere.
«Cose del tipo?» aggrottai le sopracciglia.
«Oggi è domenica,» incominciò, sedendosi dritto, infilandosi un paio di altri fiocchi di mais in bocca. «Si fa la spesa».
. . .
A Denville ero arrivata da neanche ventiquattro ore, e già ne avevo abbastanza. Vedere, con la luce del sole, il quartiere malfamato in cui vivevano i ragazzi che mi stavano ospitando, era tutto da dire. Atti di vandalismo alle case, alle auto, ad ogni singola cosa che i miei occhi vedevano, erano solo uno dei motivi per cui camminavo vicinissima a Niall, stringendomi nella giacca che mi aveva prestato, e al suo avambraccio: le persone che giravano per strada, erano la parte peggiore, perché tutti mi davano l'impressione di essere dei criminali della peggior specie, anche se probabilmente mi stavo sbagliando.
«Niall,» bisbigliai. «Ci stanno guardando tutti».
«Lo so,» rispose, disinvolto. «Non farci caso. Sei nuova, e sei con me. E' normale stiano guardando».
Il biondo, nonostante non avesse indosso la divisa nera con cui erano usciti Liam, Zayn e Louis, pareva avere una certa autorità fra la gente nei pressi del mercato. «Dobbiamo prendere la carne, per prima, e poi il pane, il latte e quant'altro. E magari qualche vestito per te, che ne dici?»
«Va bene,» annuii. «Ma non penso di poter pagare-»
«Offro io, non preoccuparti, davvero,» mi rivolse un piccolo sorriso. «La roba al mercato nero non costa praticamente nulla».
«Sicuro?»
«Al cento per cento, Selena. Mi fa piacere condividere con te».
Lo ringraziai almeno dieci volte, mentre stavamo in coda per la carne. Guardandomi attorno, notai un sacco di stand pieni di cibo, anche se non aveva un aspetto troppo fresco, dove la gente pareva comprare ciò di cui aveva bisogno.
«La vedi quella laggiù?» mi chiese Niall, sottovoce, indicando con un cenno un gruppo di sette ragazzi. «E' la gang più insulsa della zona. Spacciano anfetamina fuori orario, ogni volta che c'è il mercato, e io li becco sempre».
Come aveva previsto, dalle tasche di uno di quei ragazzi uscì un sacchettino trasparente, ma data la distanza non vidi ciò che conteneva, e un uomo di mezz'età che passava di lì, gli sfilò accanto, scambiando quel sacchettino con un piccolo rotolino di soldi.
Distolsi lo sguardo da loro quando arrivò il nostro turno; Niall comprò un bel po' di bistecche di maiale, costolette e macinato, pagando tutto subito dopo. «Non dire a Zayn che è maiale, intesi? Sono anni che gli mentiamo, facendogli credere di star mangiando manzo, perché è mussulmano e il maiale non lo può neanche toccare,» mi disse poi.
«Voi cosa? Sul serio?» risi.
«Sul serio! E' una stronzata, quella delle carni impure, secondo me. Insomma, il manzo a Smoke Town non è meglio del maiale, quindi perché fare questa differenza?»
«Smoke Town?» domandai. «Cos'è?»
«Come, cos'è?» sgranò gli occhi. «Non lo sai?»
«No,» scossi la testa.
«Beh, Smoke Town è come noi chiamiamo questo posto gioioso e bellissimo,» spiegò. «Denville per tutti, Smoke Town per noi,» continuammo a camminare per il mercato, osservando cos'aveva la gente da offrire.
«E' per via dei drogati che fumano?» ipotizzai, lanciando un'occhiata ad una banco di magliette sotto il portico di una casa.
«In parte, sì,» Niall sospirò. «Sembra che questa città non abbia né leggi, né regole, vero? In realtà, ne ha un bel po'. Senza regole, un sistema non sta in piedi, e qui, ogni cosa funziona alla perfezione,» mi indicò un paio di pantaloni che parevano della mia taglia, ma non erano i vestiti ciò di cui mi stavo preoccupando, in quel momento.
«Ah, sul serio?» dissi. «Non avrei mai immaginato aveste delle regole da seguire».
«Ne abbiamo eccome, fidati. C'è una persona che sta a capo di tutto questo,» continuò lui, forse parlando più del dovuto. «James Smoke, si chiama; colui che fa le leggi, che le mette in pratica, e che decide la punizione per chi non le rispetta».
Rimasi in silenzio, ascoltando attentamente ciò che mi stava rivelando.
«Forse non dovrei dirtelo, ma penso dovresti saperlo. Insomma, non so per quanto starai con noi, e tenerti completamente all'oscuro non è conveniente,» continuò, abbassando la voce ad un sussurro. «Denville non è sempre stata così. Poco meno di vent'anni di carica come sindaco sono bastati a Smoke, per rovinare una città intera. Lui sta nella sua bella villa, in centro, mentre noi periferici ci facciamo il culo per portare a casa un pezzo di pane».
«Lavorate per lui, non è così?»
Niall si fermò di colpo, girandosi per guardarmi negli occhi. «Harry ha fatto molto, molto male a portarti qui, Selena. E' pericoloso. Noi siamo pericolosi. E se fossi in te, coglierei la prima occasione per scappare da questo posto, prima che si venga a sapere della tua presenza,» non c'era rabbia nel suo tono di voce, solo sincera e vera preoccupazione. «Perché una volta entrati nella Città di Fumo, non c'è modo di andarsene, sappilo».
Pagina Instagram di Smoke Town: anxieteve
Profilo privato: lottieeve
Profilo Twitter: anxieteve
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro