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33. La lista dei cinque

Quella stessa sera, verso le sei, Niall ed io andammo, con l'auto di Harry, a riprenderci Harry. Fu strano viaggiare nel sedile anteriore con il biondo: ogni volta che mi voltavo a sinistra, aspettandomi di vedere un ragazzo riccio con addosso una maglietta nera e un sorrisetto sghembo spiaccicato in faccia, mi ritrovavo davanti gli occhi Niall e la sua perenne allegria, vestito con abiti chiari - una T-shirt azzurra e bianca, a strisce, per intenderci - che chiacchierava spensierato con me, anche se non lo stavo realmente ascoltando.

Ciao, Harry, come va? Stiamo venendo a prenderti, comunque. A dopo x

Harry non rispose al mio messaggio. Se l'avesse visto o meno, quello non lo sapevo. Sospirai e rimisi il cellulare nella tasca della giacca, posando poi la testa sul finestrino.

«Tutto okay, Selena?»

«Ho solo mal di testa,» mentii.

«Siamo quasi arrivati... magari puoi chiedere ad Eleanor se ha qualche pastiglia contro l'emicrania da darti».

«Non sto così male, Niall. Non vorrei ne sprecasse una per me».

Scosse la testa, e «nah, ne ha a bizzeffe di quella roba, lei. Ancora da quando lavorava in farmacia. Voleva diventare un'infermiera».

Alzai la testa dal vetro freddo. «Voleva fare l'infermiera? Davvero?»

«Oh, sì,» annuì lui. «Le piaceva medicina, aiutare la gente, sai?»

«Perché non lo è diventata?» chiesi.

«I suoi genitori hanno abbandonato lei e Louis andandosene a New York, e qualche anno più tardi la farmacia qui in periferia ha chiuso i battenti... Eleanor ha dovuto rinunciare a tutto. Questo molto tempo fa, in ogni caso, quando James non era così potente,» spiegò, con una punta di amarezza.

«Il padre e la madre di Louis se la sono svignata in tempo,» commentai. «E non hanno pensato di portare via anche Louis ed Eleanor?»

Niall fece spallucce. «Lei era una puttana, lui si drogava. Pensavano solo a scopare. Era Louis che portava a casa i soldi. Non tenevano poi molto ai loro figli, a quanto pare,» disse, fece una pausa, mi guardò di sottecchi e «mi raccomando, io non ti ho raccontato nulla,» disse ancora.

«Ovviamente,» replicai, proprio quando parcheggiò l'auto nel piazzale davanti l'abitazione di Louis. Aprii lo sportello e i miei piedi toccarono il terreno umido, finendo dritti in una poltiglia di neve sporca e acqua.

«Che schifo l'inverno,» commentò lui, con una smorfia, scuotendo la scarpa per liberarla dalla melma. «Andiamo. Fa un freddo cane».

E non aveva tutti i torti. Le giornate si stavano accorciando sempre di più, di maniera che alle cinque era già buio pesto. Il vento non la smetteva mai di soffiare, e la temperatura si era abbassata di almeno dieci gradi, da quel pomeriggio. Attraversammo in fretta il piazzale, e Niall bussò sulla porta scura un paio di volte, infilandosi poi le mani in tasca. Iniziarono a sbattermi i denti.

Eleanor ci aprì pochi secondi dopo, sorridendo caldamente. I suoi capelli mossi erano sciolti sulle sue spalle, molto più belli dei miei, con il loro biondo scuro sano e luminoso, e mi domandai come facesse a sopportarli, lunghi com'erano. Era proprio una ragazza carina.

«Entrate pure,» ci fece passare. «Come va?»

«Non c'è male,» rispose Niall, sfilandosi la giacca ed il berretto.

«Bene,» annuii io. «Tu?»

«Sono stata meglio,» ridacchiò lei. «Ma potrebbe andare peggio». Indicò Harry, in salotto, ancora buttato sul divano. Aveva una coperta avvolta attorno al corpo, occhi serrati, e non sembrava esattamente guarito. «Gli è salita la febbre».

«Cazzo,» borbottò il biondo.

«Infezione?» chiesi.

Eleanor scosse la testa. «Influenza, fortunatamente. Raffreddore».

Tirai un sospiro di sollievo. Per lo meno non era così grave. «Le costole?»

«Stanno guarendo. Riesce a camminare piuttosto bene, ora, per questo penso sarebbe meglio se tornasse a casa sua,» spiegò. «Non perché non lo voglia qua, chiaro, ma perché potrebbe aiutarlo a stare meglio, rimanere in un ambiente più familiare,» si affrettò ad aggiungere. «Inoltre, con Louis a lavoro, ed io che devo sempre correre di qua e di là, beh, non riesco a stare dietro anche a lui».

«Harry sa essere... pesante, sì,» confermò Niall. «Specie quando sta male o si annoia».

Mi tolsi il giubbotto e le scarpe anche io, rimanendo solo con una maglietta a maniche lunghe, ed Eleanor ci offrì pure di rimanere per cena. «Sarà pronto fra un'oretta circa,» disse. «Quando tornerà Lou dal lavoro».

«Certo, per me va benissimo,» il ragazzo subito accettò, e non mi rimase altro se non annuire a mia volta. Non ero così entusiasta all'idea di cenare sotto gli occhi critici e meschini di Louis, ma d'altro canto, mica potevo tornarmene a casa da sola.

«Se volete andare a vedere se Harry è sveglio, io inizio a cucinare,» fece Eleanor.

Niall scosse il capo. «Nah, ti do una mano,» si offrì. «Cosa fai di buono?» e mentre loro si girarono verso i fornelli, ed iniziarono a frugare per la cucina alla ricerca di qualche ingrediente di cui non sapevo il nome, mi diressi verso il salotto. Verso Harry.

Chiusi la porta che separava le due zone della casa, una volta varcata la soglia della stanza. Il focolare era acceso, nella piccola stufa all'angolo, e lo spazio era davvero poco illuminato - solo una lampada dalla luce calda e tenue era accesa, quel tanto che bastava da rendere l'ambiente meno freddo e tagliente, con la sua aura giallognola.

Harry era sempre lì, palpebre chiuse, fronte imperlata di sudore, coperta tirata su fino al collo, e un'aria davvero poco sana. I tagli sul suo viso s'erano rimarginati e le botte stavano diventando gialle - questo era un buon segno, per lo meno.

Mi sedetti sul bordo del divano, vicino a lui, e gli passai il panno umido che Eleanor aveva lasciato lì per terra, sulla fronte.

«A quanto pare, ora è il tuo turno di accudirmi, hm?»

Sobbalzai leggermente, e quando lo riguardai, aveva gli occhi aperti. Iniettati di sangue, rossi e paffuti a causa della febbre, ma le iridi di un verde ancor più spaventosamente profondo del solito; forse, anch'esse dovute alla febbre.

«Ciao, Harry,» mormorai, facendo cadere il panno. «Come ti senti?»

«Splendidamente,» e starnutì. «Proprio da Dio».

Gli rimboccai le coperte, scostandogli i ricci disordinati e sudaticci dal viso. «Torna a dormire».

«Andiamo a casa?»

«Fra un po'. Puoi dormire ancora, fino a quel momento».

Annuì. «Dormi anche tu con me, solo cinque minuti?»

«Non mi pare sia il cas-»

«Per favore,» sospirò. «Ho freddo».

Lanciai una veloce occhiata alla porta del salotto, che era fatta al centro con del vetro opaco e fino, e sui bordi, una cornice di legno scuro che lo sosteneva. Niall ed Eleanor erano ancora in cucina, sicuramente, e sicuramente ne avrebbero avute per un bel po' di tempo.

«Okay,» dissi. Harry si mise su un fianco, spostandosi per farmi spazio. Lo vidi fare una smorfia di dolore.

«Sta' fermo, se ti fa male non muoverti,» lo rimproverai.

«Sto bene. Ho solo un mal di testa assurdo,» mi fece segno di unirmi a lui, e scacciando quell'ultimo grammo di imbarazzo, residuo di tre giorni prima quando l'avevo baciato proprio su quel divano, mi stesi sotto alla coperta che riparava i nostri corpi dall'aria del soggiorno.

«Si sta stretti davvero,» osservai, anche io messa su un fianco per evitare di cadere, la mia schiena premuta contro il suo petto. Percepivo il suo respiro sulla nuca, le sue gambe che si intrecciarono alle mie, e il calore del suo corpo febbrile diramarsi per la mia pelle.

«Shh,» bisbigliò. «Dormiamo».

Poi, una sua mano s'avvinghiò alla mia vita, attirandomi ancor più vicina, e il braccio che aveva libero lo fece passare sotto al mio collo, stringendomi a sé come se fossi stata un orso di pezza. Mi sentii andare a fuoco, e non sapevo se fosse perché lui scottava, o a causa dei miei sentimenti in subbuglio.

«Harry,» bofonchiai. «Mi stai soffocando».

Lo sentii reprimere una piccolissima risatina. «Dormi».

«Ma Harry,» sbuffai.

«Dormi e basta, Sel. Dopo potrai lamentarti quanto vuoi».

Sbuffai ancora. «Dovrei essere arrabbiata con te».

«Dormi».

«Mi hai sbattuto il telefono in faccia».

«Dormi».

«È una cosa estremamente maleducata da fare».

«Selena,» strinse ancora di più, le sue labbra si posarono appena sotto il mio orecchio. «Quale parte di dormi non capisci?» sussurrò, e lasciò un minuscolo, impercettibile bacio lì dove il lobo si univa al viso.

«Okay, dormo,» sospirai, rassegnandomi. In realtà, non mi addormentai affatto. Mi ci volle quasi mezz'ora per rilassarmi completamente e abbandonarmi a Morfeo: ogni volta che ero lì lì per cadere fra le sue braccia, Harry si muoveva o aumentava la presa sul mio corpo, strappandomi al dio del sonno. Il suo leggero ronfare, poi, dopo un po' iniziò a darmi leggermente sui nervi, anche se non era colpa sua se gli erano venute l'influenza e la tosse, e il suo naso era tappato.

Chiusi gli occhi, e per qualche minuto cercai di non pensare a nulla: buttai fuori dalla mia testa James e Robbie e Louis e l'uomo che avevo ammazzato e Smoke Town stessa. M'immaginai di essere a casa mia, con mamma e papà e i regali di Natale sotto l'albero, il ventiquattro dicembre. Harry ed io, innamorati e felici, a coccolarci sul divano, con Anne e Des e Gemma pure. Avrei dato oro per poterli incontrare, per vedere coi miei occhi che splendida donna dovesse essere la madre di Harry.

«Sel,» la sua voce mi riportò alla realtà, facendomi aprire gli occhi. Non m'ero resa conto che si era svegliato. «Devo dirti una cosa».

«Dimmi,» risposi.

«Sei appena entrata nella mia lista dei cinque».

Corrugai le sopracciglia, mi mossi fra le sue braccia e mi girai sul fianco destro, per guardarlo. «Cosa sarebbe?»

«È una lista che ho da sempre, nella quale ci stanno le cinque persone che più mi fanno sentire emozioni umane,» spiegò.

«E chi sarebbero questi cinque?» domandai. «Se posso sapere».

«Vediamo se indovini,» ammiccò. «Ti do un indizio. Al primo posto, ci sta la persona che odio di più».

«James Smoke?»

Annuì.

«E al secondo?»

«Daniel, con il disgusto e la delusione. Ci è entrato quando ho scoperto che era stato lui ad ammazzare Gemma,» mormorò. «Poi al terzo ci sta Dio,» proseguì.

«Dio? Perché? Non sapevo fossi credente». Stavo davvero diventando perplessa, più di prima.

«Non è che non sono credente, Selena, solo che nemmeno lo sono. Dio sta nella mia lista perché è un punto interrogativo, una questione aperta, un dubbio paradossale. Non so se faccia più paura il fatto che ci sia o che non ci sia,» disse, tirando su col naso. «Non... non è che hai un fazzoletto, per caso?»

«Forse,» risposi. «Un paio, nella tasca dei pantaloni».

«Dietro?»

«Sì,» confermai, e sentii le sue dita spostarsi dalla mia vita, facendomi sobbalzare. «Guarda che ci arrivavo da sola, eh,» roteai gli occhi, deglutii e cercai di ignorare la sua mano premuta contro il mio fondoschiena, mentre frugava nella tasca.

«Lo so,» rispose, sorridendo in modo alquanto ambiguo.

«Non è difficile da trovare, Harry, un pacchetto di fazzoletti,» gli feci notare.

«L'interno della tua tasca è piuttosto comodo,» sbadigliò.

«Togli la mano dal mio culo».

«Che culo? Non sapevo questo fosse un culo».

Sbuffai sonoramente, lanciandogli un'occhiataccia. «Che simpaticone,» e feci una smorfia.

«Grazie,» ammiccò. «Questi fazzoletti sono davvero introvabili. Ci metterò un po' a cercarli, credo,» con la forza del braccio, mi attirò più vicina - quanto, di preciso, era difficile dirlo. Eravamo già appiccicati. «Non vuoi sapere chi siano le altre due persone nella mia lista?»

«Hai il naso che ti cola,» replicai.

«Non trovo i fazzoletti,» ribatté.

«Togli quella mano dal mio culo?»

Mi ignorò: «La quarta persona è una donna che io ammiro e rispetto molto. Indovina chi è».

In un primo momento rimasi in silenzio, poi «tua... tua madre?» provai.

«Le persone morte non possono entrare nella lista dei cinque,» rispose con una leggerezza tale da lasciarmi esterrefatta. Ancora non ero abituata alla mancanza di tatto da parte sua in qualsiasi argomento. «Ritenta e sarai più fortunata».

Una donna che lui ammirava e rispettava? «Allora è Dalia,» dissi.

«È Dalia,» confermò, con un cenno del capo. «E la quinta sei tu».

«E quale emozione umana ti faccio provare, io?»

Harry aggrottò le sopracciglia. «Uhm, già. Questo è il punto». Si zittì qualche attimo, tirò su col naso di nuovo, e sospirò pesantemente. «Sel, io credo che t-»

«Selena, è pronto, vieni?» Niall fece irruzione nella stanza, interrompendo bruscamente le parole dell'altro. «Oh, cazzo. Scusate,» bofonchiò, grattandosi la nuca.

«Vai a mangiare, dai,» mormorò Harry, togliendo la mano dalla tasca dei miei jeans, il pacchetto di fazzoletti stretto fra le dita. «L'ho trovato, alla fine,» sorrise, sventolandomelo davanti alla faccia.

«Tu non hai fame?» gli chiese Niall, quando, di malavoglia, mi alzai dal divano. L'aria fredda mi fece rabbrividire.

«Ho la faccia di uno che ha voglia di mangiare qualcosa?» Harry lo guardò, socchiudendo gli occhioni rossi che si ritrovava. «Chiamatemi quando è ora di andare».

Il biondo roteò gli occhi, facendomi cenno di seguirlo, e con un'ultima occhiata al ragazzo steso sul divano, mi allontanai dal salotto, richiudendo la porta sottile alle mie spalle.

«Ciao, Niall,» nella hall, Louis ci sorprese. Doveva essere appena rientrato, perché si stava togliendo le scarpe e il giubbotto nero. «Come mai qua?»

«Siamo venuti a riprenderci il nostro ferito,» spiegò Niall, avvicinandosi a lui e tirandogli una pacca sulla spalla. «Eleanor ci ha invitati a cena, e alle donne non si dice mai di no, giusto?»

«Anche lei mangia con noi?» Louis mi indicò, storcendo il naso.

«A quanto pare,» bofonchiai.

«Devo parlarti,» continuò il ragazzo, rivolto a me. «Niall, ti dispiace?»

In un primo momento, Niall non disse né fece nulla, come sotto shock. Poi scosse la testa, risvegliandosi da quello stato di semi trans, e annuì subito dopo. «Certo, scusate. Vado di là,» e nonostante lo stessi pregando silenziosamente di non lasciarmi sola con Louis, se ne sgattaiolò in cucina, dalla quale proveniva un profumino a dir poco delizioso. Sembrava stufato e pane fatto in casa.

«È colpa tua se ora Harry è ridotto in quel modo,» subito, Louis andò al punto. «Dimmi, Selena, era il tuo piano fin dall'inizio, farlo ammazzare?»

Oh mio Dio.

«Ti piace proprio perdere il tuo tempo in cose del genere, vero?» sbuffai. Non ne ero neanche sorpresa. Da Louis c'era da aspettarselo.

«Senti,» ringhiò, facendo un passo verso di me. «Tu non mi piacevi, ancora non mi piaci, e mai mi piacerai. Trovo che tu sia una stronza bastarda che si fa correre dietro dai maschi e che la tua faccia da santarellina sia solo una farsa. Ma in ogni caso, questi sono cazzi tuoi,» era fumante di rabbia. Io, al contrario, ero solo basita, neanche riuscivo ad arrabbiarmi. «Ciò che non posso accettare, invece, è che per colpa tua e del tuo egocentrismo, Harry si sia ferito».

«Credi che io volessi tutto questo? Che lo abbia fatto di proposito?» quasi risi. «Non credevo tu fossi così stupido, oltre che estremamente maleducato, incorretto, coglione e autocelebrativo. Okay, posso non piacerti, puoi credere quello che vuoi su di me, non m'interessa. Ma non devi neanche osare dire che io abbia voluto che Harry venisse ferito così».

«Ma sentila,» roteò gli occhi. «Come reciti bene la tua parte. È James che ti paga? O lo fai per il puro gusto di infliggere dolore a persone che come lui, ne hanno già fin troppo?»

«Tu sei pazzo,» mormorai.

«Questo non è vero».

«Sei completamente pazzo,» scossi la testa.

Mi puntò un dito contro, avvicinandosi ancora. «Tu sei pazza, se credi che ti lascerò prendere il mio posto, nella mia casa, con i miei amici, a fianco del mio Harry,» sibilò, la sua lingua che s'impigliava nelle sillabe che sputava, come un uomo mezzo affogato faceva con l'acqua nei polmoni, annaspando alla ricerca d'ossigeno.

Eppure, Louis s'era tradito. La sua furia l'aveva tradito. Il suo Harry, pensai, realizzando infine ciò che forse avrebbe dovuto evitare di farsi scappare. «Sei innamorato di Harry».

Mezzo secondo dopo, mi ritrovai con la schiena al muro, schiacciata contro di esso dall'avambraccio che il ragazzo mi premeva contro la trachea. «Chi cazzo te l'ha detto? Niall?» ringhiò, piano.

Iniziai a faticare a respirare. Scossi la testa. Louis aumentò la presa. «Chi?»

«Nessuno,» cercai con le mani di allentare la pressione, e un pochino funzionò.

«Giuro che ti ammazzo se lo dici a qualcuno,» disse, a bassa voce, allontanandosi di scatto. «Specialmente se a lui».

«Perché dovrei farlo?» tossii, schiarendomi la gola e riprendendo fiato. «Noi dovremmo essere dalla stessa parte, sai».

Louis mi fissò a lungo, immobilizzandomi con quel suo sguardo di ghiaccio. «Non esistono le parti, in amore, esistono solo i vincenti: tutti vincono, prima o poi. Il punto sta con chi si vince, Selena,» disse.

Poi si voltò e tornò in cucina.

. . . . . . .

Hey!
Scusate la mia assenza, ho avuto parecchio da fare fra il gemellaggio e la scuola in generale, e troppo poco tempo per scrivere. 

Come state? Tutto bene? Avete fatto qualcosa di interessante in questi giorni? Coi ragazzi come va?

Volevo inoltre ricordarvi che se volete, potrete seguire la pagina Instagram di Smoke Town (anxieteve) dove ci saranno anteprime, curiosità, approfondimenti e robe varie sulle mie storie; il link è nella mia bio ahaha
Detto ciò, ci sentiamo presto!

Lottie x

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