24. Fortuiti legami di parentela che non vanno assolutamente traditi
Harry
Erano quasi le dieci quando arrivammo difronte al locale clandestino dentro cui si nascondeva David Shelman. Ogni singolo nervo nel mio corpo era teso, pronto a scattare al minimo accenno di pericolo. Il metallo freddo delle due pistole semiautomatiche che nascondevo nella cintura dei jeans mi rassicurava un po', anche se non alleviava del tutto l'anisa e l'orribile sensazione nel mio petto, che Selena aveva provato anche a scacciare, senza riuscirci del tutto.
Dall'esterno poteva sembrare una catapecchia situata in un brutto, vecchio e malandato angolo di Baltimore che somigliava vagamente a Detroit, ma tutta la sicurezza all'entrata, le finestre blindate e musica che si sentiva fin da fuori dicevano il contrario.
«Se ci atteniamo al piano andrà tutto liscio come l'olio,» ci ricordò Daniel, iniziando ad incamminarsi verso i due buttafuori. Sel lo seguì a ruota, guardandosi attorno prima di attraversare la strada, i suoi piedi infilati in quelle scarpette da dark Cenerentola che sicuramente dovevano farle un male cane.
I due uomini nerboruti e massicci, dall'aria minacciosa, ci squadrarono da cima a fondo, soffermandosi ovviamente sul corpo di Sel, come c'era da aspettarsi. A me era venuta una mezza erezione quando l'avevo vista vestita in quel modo, solo poche ore prima, e non volevo neanche immaginare cos'era passato per la mente a Daniel. Grazie a Dio ero bravo a contenermi: bastava pensare a qualcosa di schifoso, o qualcosa che mi avrebbe fatto sentire terribilmente in colpa, tipo mia madre che mi fissava dall'alto e mi rimproverava per aver guardato una ragazza come Sel e averla immaginata in modi che non stavano né in Cielo, né in Terra. Ecco, io facevo così. Gli altri, però, mica tanto.
«Siamo qui per vedere Crystal,» disse Daniel. Crystal era un collaboratore stretto di Smoke. Avevo avuto la sfortuna di incontrarlo una volta, anni prima, e avevo subito dedotto che fosse un criminale della peggior specie. Aveva il suo giro di locali con tanto di gioco d'azzardo, combattimenti clandestini, sesso, spaccio e quant'altro: decisamente non un bel posto in cui portarci Sel. Inoltre, Crystal aveva esplicitamente detto di non volere che Smoke eliminasse la gente che frequentava i suoi locali, in quanto avrebbe comportato una perdita di soldi notevole. Qualcuno avrebbe perso comunque qualcosa, che fosse stato James o Crystal.
«Nessuno entra senza pass,» gli rispose l'uomo a destra.
«Ha accordato un permesso per lei, non ci serve,» ribatté Daniel, indicando Sel con un cenno veloce del capo. «Sai, questioni di lavoro».
Lei gli resse il gioco, sorridendo maliziosamente ai due buttafuori, che si scambiarono delle occhiate incerte. Era stranamente brava come attrice. «Come facciamo a saperlo?» iniziò l'altro a sinistra.
«Non potete. Vi consiglio di chiederlo personalmente al vostro capo, giusto per esserne certi,» Daniel si guardò l'orologio che teneva al polso. «A quest'ora dovrebbe essere già con lei, quindi immagino sarà un po' frustrato. Dovete muovervi ad accertarvi del suo invito, se fossi in voi non lo farei aspettare ancora».
Passarono dieci secondi di silenzio, poi con un cenno ci fecero passare. Daniel sorrise, trionfante, entrando nella sala gremita di gente, mentre Sel fece una smorfia cercando di abbassare l'orlo del suo vestito e di alzare, al contempo, la scollatura. Sbuffò quando vide che non aveva ottenuto grandi risultati, così mi tolsi la camicia a quadri che indossavo sopra la maglia a maniche corte, e gliela passai senza dirle niente. Si vedeva lontano un miglio che non era a suo agio con quel vestito e, francamente, non volevo che la gente la guardasse. La indossò velocemente, abbottonandola in modo da coprire il decoltè. Gli stili dei due capi non si abbinavano affatto, ma a lei mica importava: oggettivamente, era sempre splendida.
«Non credevo avrebbe funzionato,» osservò lei.
«La tua poca fiducia in me mi offende, Selena,» Daniel le fece l'occhiolino. «In realtà credo fossero solo stanchi, quei due. Insomma, prova tu a star lì in piedi ore e ore».
«Come troviamo Shelman in mezzo a tutta questa gente? Non so neanche che faccia abbia,» dissi ad alta voce, per farmi sentire sopra il rumore della musica asdordante che mi faceva vibrare il petto e rimbombare il cervello, come se avessi avuto uno stereo attaccato a timpani.
«Tu pensa a tenere Selena fuori dai guai, quando lo vedrò te lo farò sapere,» urlò lui in risposta, immischiandosi nella folla e confondendosi velocemente con la massa informe di corpi. Mi guardai attorno. C'erano persone che ballavano, altre che bevevano, altre che fumavano. In una zona erano posizionati dei tavoli da biliardo e molti altri in cui la gente giocava a poker. Al bancone dove si servivano gli alcolici c'erano anche le tabelle per le scommesse sui combattenti che si sfidavano illegalmente nel retro del locale e che molto spesso finivano sotto terra. Le luci creavano illusioni ottiche che dopo poco mi fecero venire il mal di testa, il tutto mentre si respirava più fumo che aria, come se stessi camminando in una casa in fiamme. L'odore forte mi prese alla gola, facendomi tossire leggermente. Mi sembrava di avere un fottuto fumogeno davanti alla faccia, un solo respiro non era abbastanza per riempire i miei polmoni d'ossigeno.
Dopo neanche cinque minuti, il primo uomo ubriaco si avvicinò a noi, e avvolsi un braccio attorno a Sel per attirarla dietro alle mie spalle, lontana dagli occhi del tizio che non la smetteva di fissarla; fortunatamente decise di lasciar perdere e se ne andò via barcollando, senza neanche preoccuparsi di guardare dove stava camminando, perché andò addosso ad un altro suo compare, quasi rovesciandogli addosso il contenuto del bicchiere che teneva in mano.
«Forse è meglio toglierci di mezzo,» suggerii, girandomi e guardandola negli occhi. Dovetti avvicinarmi di un bel po' perché riuscisse a capire quello che stavo dicendo sopra il baccano assordante della musica, sfiorando con le labbra il suo orecchio, ma stare così vicino a lei non mi dispiaceva affatto.
Vidi che le sue labbra formarono un 'okay', anche se non riuscii a sentirlo, così la guidai attraverso la folla di gente soffocante e sul bilico della disperazione, che fosse per via dell'alcol, della droga o del fumo, non avrei saputo dirlo. Non fu facile trovare una zona più calma e meno affollata, sembrava non ce ne fosse neanche una, così andammo a sederci vicino a dei tizi che giocavano a carte. Al centro del tavolo c'era un bel mucchio di soldi che non faceva che crescere con l'andare della partita, vedevo i loro occhi puntati su di esso, bramosi di vincere per poter averlo tutto.
«Harry?» la voce di Sel mi giunse distante e attutita dal resto dei rumori che riempivano lo spazio, ma riuscii a sentirla lo stesso. «Come farà Daniel a trovarci, una volta individuato Shelman?» chiese.
«È per questo che esistono i cellulari»
Lei scosse la testa ed alzò gli occhi al cielo, combattendo contro un sorriso che si stava allargando sul suo viso, ricordandosi del mio regalo. Notai il suo sguardo vagare per il locale, soffermandosi su una coppia di ragazzi che ballava nella pista. Stavano dondolando su posto, l'uno abbracciato all'altra, poi lei si staccò leggermente dal petto di lui per stampargli un bacio sulle labbra. Erano così schifosamente dolci che dovetti distogliere lo sguardo. Mi domandai a cosa stesse pensando, mentre li osservava. Forse stava immaginando come sarebbe stato ballare con quel Mike, forse stava viaggiando indietro nel tempo e ricordando quella sera in cui avevano ballato insieme, dove lui la baciava e lei sorrideva.
Una strana sensazione iniziò a farsi strada nel mio petto, una sensazione che mai avevo provato prima. Sembrava quasi gelosia: il mostriciattolo verde dal quale mia madre mi aveva fatto ripromettere di guardarmi -diceva che la gelosia era peggio dell'odio. Mike. Ero seriamente geloso di Mike? Io manco lo conoscevo! Di lui sapevo solo il cognome, e che assomigliava ad un M&M's. Mica potevo essere geloso di lui?
La vibrazione del cellulare nella mia tasca mi fece distogliere dai miei pensieri assurdamente impossibili, avvertendomi dell'arrivo di un messaggio: come avevo previsto, era Daniel.
«L'ha trovato,» dissi, dopo aver letto il breve SMS. Ci alzammo all'unisono e mi guardai attorno, per poi scorgere il tavolo di cui Daniel stava parlando vicino alla parete dall'altro lato della zona in cui si svolgevano i giochi d'azzardo. «Di qua,» le presi delicatamente il polso, per non perderla.
Come aveva detto, Daniel ci stava aspettando a pochi metri di distanza dal presunto Shelman, che doveva essere uno dei cinque seduti ad un tavolo verde intenti a giocare a poker.
«È quello a destra,» borbottò Daniel. «Con la giacca marrone».
I miei occhi finirono su di lui: era un uomo di non più di cinquant'anni, capelli neri che gli arrivavano alle spalle, occhi azzurri contornati da pesanti occhiaie, la pelle pallida della fronte solcata da rughe.
«Sei sicuro sia David Shelman?» chiese Sel, avvicinandosi impercettibilmente a me.
«Affermativo,» rispose Daniel, senza mai staccare gli occhi dall'ignaro giocatore d'azzardo. «Aspettiamo che finiscano la partita, dovrà pur rifornirsi di birra prima o poi,» aggiunse.
«Forse è meglio se torno in macchina, vi aspetto lì,» mormorò lei, dopo un paio di minuti.
La fermai. «No, resta dove posso vederti. E' pericoloso» .
«Ma-»
«Niente ma, Sel,» dicendo questo mi girai per vederla spostarsi alle mie spalle, appoggiandosi al muro.
«Okay,» sospirò.
Si guardava attorno come se stesse cercando qualcuno, era diventata improvvisamente nervosa e tesa, strinse le mani a pugno per non farmi vedere che stavano tremando.
«Stai bene?» chiesi, non osando avvicinarmi di più per non metterle ansia addosso.
Lei annuì. «Ho solo mal di testa, non preoccuparti,» appoggiò il capo alla parete e chiuse gli occhi, inspirando ed espirando piano. Stavo per dirle che non le credevo affatto, che era una pessima bugiarda, quando Daniel mi precedette.
«Si è alzato. Dobbiamo seguirlo, ora».
Aspettai che Sel tornasse alla realtà, per poi andare dietro a Daniel. Come ad ogni caccia, sentii la scarica di adrenalina scorrermi nelle vene. Guardai mio cugino estrarre la pistola dalla giacca, e prima che Shelman se ne accorgesse, fu nel suo raggio d'azione: Daniel ora gli teneva premuta l'arma sulla colonna vertebrale, costringendolo a camminare verso un'ala del locale non frequentata. Li seguimmo verso un'uscita secondaria, chiusa a chiave dall'interno, ma che riuscii ad aprire facilmente con un calcio. Il bello di queste feste era che nessuno sentiva il rumore. Il retro del locale era una specie di cortile messo ancora peggio dell'entrata principale, tanto da somigliare vagamente a Smoke Town.
Daniel lo lasciò andare, sempre tenendolo sotto tiro, e «David Shelman,» disse.
Shelman si girò a guardarci. Era impaurito e scioccato che lo avessimo trovato, ma era anche pieno di collera. Barcollò un po', incappando nei suoi stessi piedi, prima di urlare: «Se sei qui per conto di Smoke... mi serve più tempo!» i suoi occhi che guizzarono da Daniel a me, e infine a Sel.
«L'hai esaurito tutto, non posso concedertene altro,» rispose Daniel. «Hai i soldi?» chiese, ma l'uomo non lo stava nemmeno ascoltando; i suoi occhi erano fissi su di Sel. Volevo andare da lui e tirargli un pugno in faccia, perché come si permetteva di posare il suo sguardo schifoso su di lei!, ma mi fermai quando notai il modo in cui la stava guardando. Non era uno di quegli sguardi che usavano gli uomini quando vedevano una donna attraente, non era uno sguardo da vecchio perverso, non era uno sguardo indirizzato al corpo di lei.
Selena era ferma immobile, non batteva ciglio e non interrompeva il contatto visivo con lui.
«Sei tu? Sei davvero tu?» mormorò Shelman, tirando su col naso. «Selena?»
Sia io che Daniel restammo scioccati e sconcertati. Perché conosceva il suo nome? Chi era?
Sel si riscosse e in un attimo la sua espressione trasparente divenne preoccupata. «Non so di chi parli,» rispose. «E ti è stata fatta una domanda. Hai i soldi?»
«Sai che non posso pagare il debito-» iniziò lui.
«Non ha i soldi. Fai quello che devi fare, Daniel,» disse lei. Non l'avevo mai sentita parlare in quel modo, così freddamente, non era qualcosa che avrebbe detto la mia Sel. La Sel che conoscevo non avrebbe mai voluto che qualcuno venisse ucciso, indipendentemente dal fatto che fosse colpevole o meno. La mia Sel era quella che aveva fatto da scudo alla bambina, prendendosi il colpo di Liam al posto suo, quella che aveva accettato di venire qui solo perché non voleva che Smoke se la prendesse con me.
Questa era una Selena diversa.
Sentii il click metallico del cane della pistola di Daniel che veniva abbassato, ma «aspetta,» lo fermai, feci un passo verso l'uomo e «non sparare, Daniel. Chi sei?» chiesi a Shelman. «Sel, lo conosci?» le lanciai un'occhiata confusa.
«Sel,» sputò Shelman. «Ti fai chiamare così da quel ragazzo? Diglielo, cazzo!» esclamò.
«Quel ragazzo può chiamarmi come vuole!» gli urlò lei di rimando, ignorando la mia domanda. «Daniel, sparagli».
«No!« lo fermai, di nuovo. «Come fai a conoscerlo?» le richiesi la stessa cosa, con più insistenza.
Non mi rispose, si limitò a guardare Shelman con odio, come se neanche m'avesse udito, e Daniel, in una frazione di secondo, spostò lei nel mirino della sua pistola.
Senza pensarci mi frapposi fra la ragazza e l'arma di mio cugino, puntando a mia volta quella che tenevo fra le mani contro di lui.
«Tu lo conosci! Cosa ci stai nascondendo?» esclamò Daniel.
«Hai due secondi per spostare quella fottuta cosa da Selena prima che ti spari,» ringhiai.
Shelman provò a fare un passo indietro, volendo approfittare della situazione per scappare, ma la ragazza fu più veloce. In un
batter d'occhio, prima che potessi rendermene conto, prese dalla mia cintura la seconda pistola che tenevo sempre per situazioni come questa e sparò un colpo a un metro dalla gamba di David. Fortuna che avevo messo il silenziatore.
«Non provarci nemmeno,» lo ammonì.
«Daniel,» dissi. «Abbassa la pistola. Non è Selena il nemico».
«Abbassala prima tu, cugino,» sputò.
«Non vuoi ammazzare né me, né lei,» continuai. «Siamo qui per Shelman».
«Ma vaffanculo, Harry. Quella là ti ha fatto il lavaggio del cervello! Non lo vedi che sta dalla sua parte?»
«Sua parte?» si intromise Selena. «Io non sto dalla parte di nessuno, Daniel. Tu stai dalla parte di Smoke, Harry sta dalla parte di Harry, io sto dalla parte di chiunque mi comodi. Adesso, mi comoda la tua: sparagli e basa, così possiamo tornare a casa».
Daniel sbuffò, abbassando l'arma. «Harry-»
«Non sparargli, non ancora,» dissi. «Voglio sapere chi cazzo sei, tu,» ed entrambi facemmo tornare la nostra attenzione su Shelman, che iniziò a supplicarla.
«Diglielo, Sel, per favore! Digli di non farmi del male!»
«Non osare chiamarmi così!» gridò lei, la sua voce sull'orlo delle lacrime. «Se fosse per me saresti già morto».
«Perché vi conoscete?» questa volta rivolsi la domanda a lui.
«Stanne fuori, Harry,» mi ordinò lei, frustrata, senza guardarmi. «Non sono affari tuoi».
Shelman si pulì la bocca con la mano. «Vuoi sapere come la conosco, ragazzo?» anche la sua voce tremava.
Fece una pausa, prima di continuare.
«Selena Parker è mia nipote e io sono suo zio».
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