23. Fumo di vecchie fiamme
Harry
Era una tortura.
Sentivo il calore del corpo di Sel a poche decine di centimetri dal mio, vedevo il suo petto alzarsi ed abbassarsi con ogni respiro, eppure non potevo avvicinarmi e non potevo toccarla. Probabilmente stava dormendo, ma non ne ero sicuro; poteva benissimo essere sveglia, ché data la penombra della stanza, non riuscivo a vedere se i suoi occhi fossero aperti o meno.
L'orologio sul comodino formava una luce rossa fastidiosissima, ma perlomeno riuscivo a leggere l'orario riflesso sul muro: 01:17 AM
Sbuffai silenziosamente, rigirandomi per l'ennesima volta nel letto. Per qualche motivo, non riuscivo a prendere sonno; Daniel che russava dall'altra parte della stanza non faceva altro che aumentare la mia voglia di alzarmi e ucciderlo mentre dormiva: peccato che se lo avessi fatto, avrei dovuto pagare le coperte sporche del suo sangue, e non volevo mica dare altri soldi a quello stupido receptionist che ci aveva provato con Sel.
Dovevo stare più attento a quello che dicevo quando stavo con lei, soprattutto adesso che avevo il cervello completamente andato in strafiga. Neanche pensavo alle cazzate che sparavo, le dicevo e basta.
Perché se io fossi stato lui, non ti avrei lasciata andare neanche per tutto l'oro del mondo.
L'avevo detto sul serio? Ah, cazzo. Io me le cercavo proprio: sarebbe potuto essere visto come un modo indiretto per chiederle di stare con me, e non era quello che volevo. Per niente. Un conto era scopare, un conto era innamorarsi, e lei sarebbe anche stata in grado di adempiere alla seconda opzione, conoscendo il suo comportamento. Io preferivo la prima, senza ombra di dubbio. Il sesso distaccato e freddo era meglio di quell'amore appiccicoso e sudato, che ti friggeva il cervello e ti scombussolava le viscere.
Proprio non pensavo mai prima di parlare. E lei che poi aveva detto qualcosa di carino sul suo ex per difenderlo non era stato affatto bello. Stupido, più che altro: lei non lo sapeva che noi maschi eravamo tutti uguali? Che non c'importava poi molto di quello che le ex pensavano di noi? Che una volta finito di scopare con una, si passava a quella nuova, solo per provare il brivido che portava, appunto, la novità? Evidentemente no, non lo sapeva. Glielo avevo spiegato, e lei se l'era presa. Come sempre avevo detto la cosa sbagliata, e avevo rovinato anche la più piccola chance di poterla scopare come probabilmente avrei voluto fare. Fare sesso con lei, tanto allettante quanto pericoloso. Era il dilemma delle vergini, quelle che leggevano e che conoscevano tante cose: capaci di ammazzarti con un singolo bacio. Doveva essere spiegato in un qualche libro, sicuro come la morte, il modo per catturare un uomo e piegarlo al proprio volere, perché Selena c'era pressoché riuscita, con me. Mai, in vita mia, avevo desiderato tanto qualcosa, come stavo desiderando lei in quel momento. Mi andava bene anche solo baciarla di nuovo.
Era lì che sognava beata, vicina tanto da poterla toccare, ma lontana miglia e miglia. Mi alzai un po', sostenendomi con i gomiti, e alla luce lunare che filtrava dalle finestre, la guardai dormire. Le sue ciglia lunghe sfioravano i suoi zigomi, la sua espressione era tranquilla e serena, non aveva quel suo solito cipiglio di quando era nervosa. Le guance erano leggermente arrossate, le labbra socchiuse, e i suoi capelli disordinatamente sparsi sul cuscino. Delicatamente presi fra le dita una ciocca nera e gliela spostai dietro all'orecchio, facendo attenzione a non svegliarla. La osservai attentamente, cercando di memorizzare ogni singolo dettaglio del suo viso, fino a quando le braccia non iniziarono a formicolarmi e a intorpidirsi. Mi lasciai cadere su un fianco, non staccando mai gli occhi da lei.
All'improvviso la sentii mormorare il mio nome. Chiaro come la luna, aveva detto Harry, e non l'avevo solo immaginato. Affatto. In un primo momento, credetti di averla involontariamente svegliata, ma non aggiunse nient'altro dopo se non un lieve sospiro, girandosi anche lei su un fianco. Aveva ancora gli occhi chiusi.
Mi stava sognando? Mio Dio. Avrei dato oro per spiarle nella mente, dannazione. Se solo non ci fosse stato Daniel, l'avrei svegliata sicuramente, e non mi sarei fatto scrupoli a baciarla e a fare quello che mi ero ritrovato a desiderare. Era nuova, lei.
«Che cosa mi stai facendo, Sel?» sussurrai, più a me che a lei. Decisi che non mi sarebbe importato poi molto se si fosse svegliata, e forse ci speravo pure, così portai una mano sul suo fianco, avvicinandomi al suo corpo piccolo, e stringendola a me. Le lasciai un leggero bacio all'angolo della bocca, soffermandomi forse un po' più del dovuto, poi chiusi gli occhi e cercai di non pensare a quanto fosse folle e stupida la mia situazione. A furia di rimuginare su Selena, mi sarebbe venuta un'erezione che manco Niall col cibo, perché una volta gli era veramente venuta guardando la torta alla panna montata che Dalia aveva cucinato. Ecco, Selena era un nutrimento, e io avevo fame: peccato che, in quel momento, ero a digiuno.
. . .
Selena
La prima cosa che vidi quando mi svegliai fu l'altra metà del letto vuota e fredda; mi alzai a sedere, strofinandomi gli occhi e sbadigliando. Le tende erano ancora chiuse, ma la luce solare che ci filtrava attraverso mi permetteva di vedere chiaramente tutta la stanza.
«Harry?» chiamai, ottenendo solo silenzio. «Daniel?» ancora, nessuna risposta.
L'orologio sul comodino segnava le dieci e mezza di mattina, ma non fu quello ad attirare la mia attenzione: un foglietto bianco stava ripiegato su se stesso, un foglietto che la sera prima non c'era.
Tigre,
Sono uscito con d, non aspettarci per pranzo. sta Attenta.
H x.
Mi trovai a sorridere involontariamente alla preoccupazione di Harry nei miei confronti, per poi storcere il naso ai suoi errori di ortografia. Sospirai e decisi di farmi una doccia veloce, prima di vestirmi e andare giù nella hall.
Come il giorno prima, il ragazzo alla reception era incollato allo schermo del computer. Decisi di andare almeno a chiedergli scusa per la risposta sgarbata che Harry gli aveva rivolto l'ultima volta; quando mi vide avvicinare, spostò la sua sedia girevole e mi sorrise.
«Sono venuta a scusarmi del comportamento del mio amico, ieri mattina,» iniziai. «Non intendeva essere così sgarbato».
Il ragazzo annuì. «Fa niente, ci sono abituato,» scrollò le spalle, sospirando. «La stanza è di vostro gradimento? Avete avuto problemi o...» chiese, accennando ad un sorriso.
«No, nessun problema. È davvero bella,» risposi.
«Mi fa piacere. Noi del Wyndham mettiamo sempre al primo posto il comfort dei nostri clienti,» disse lui, porgendomi poi una mano coperta da un guanto di seta bianco, che strinsi. «Sono Will».
«Selena, piacere,» sorrisi. «Beh, Will, devo andare».
«A più tardi e buona giornata,» disse, salutandomi un po' troppo educatamente a quanto ero abituata.
Uscii nelle strade affollate di Baltimore. Sapevo bene che Harry mi aveva detto di non volere regali, ma non potevo non prendergli qualcosa. Camminai per qualche minuto, guardandomi attorno alla ricerca di un negozio in cui avrei potuto acquistare un pensierino sia per lui che per i ragazzi, Elle, Joe e Dalia. Entrai nel primo store che trovai, e subito iniziai a frugare per qualcosa che fosse rientrato nel mio budget limitato a cinquanta dollari, e solo perché Dalia aveva insistito a darmene trenta, nel caso mi fossero serviti.
Optai per un ricettario per lei, che era pure scontato, trovai un tappetino con la scritta 'home sweet home' per Joe e pensai che magari avrebbe potuto sostituirlo con quello malandato all'entrata dell'albergo; riposi nel cestino dei carboncini e uno sketchbook per Zayn, dei plettri per Niall, a Liam comprai un paio di cuffiette per ascoltare la musica, visto che le sue si erano rotte, e ad Elle un mascara di una marca promettente.
Davvero regali orribili, ma infondo era il pensiero che contava.
E per Harry?
Sbuffai, frustrata di non aver trovato nulla che gli si addicesse. Non avevo la più pallida idea di cosa regalargli. Un CD dei Pink Floyd? Sicuramente l'aveva già. Una maglietta nera? Tanto per confonderla con il centinaio che stavano piegate nella sua cassettiera. Un porto d'armi, ecco, così avrebbe avuto una scusa per tenere una pistola sotto al materasso. Oppure una pianta finta? Come se gli sarebbe servita a qualcosa.
Non sapevo praticamente niente di lui.
Stavo per andare alla cassa, rassegnata all'idea che non gli avrei preso nulla, quando qualcosa attirò la mia attenzione.
Ecco! È perfetto!
Velocemente presi dallo scaffale il regalo che intendevo fargli, e andai a pagare prima di cambiare idea e di constatare che probabilmente non gli sarebbe piaciuto.
«Mi scusi,» dissi, alla cassiera. «Li potrebbe incartare?»
«Regali di Natale in anticipo?» sorrise, annuendo.
«Già. Meglio prendersi per tempo, no?»
«Giustissimo,» annuì lei. «Fanno quarantadue dollari e trenta».
Le passai i contanti, guardando poi le sue mani esperte impachettare i pensierini che avevo preso, per poi darmi un buono sconto per la prossima volta che avrei fatto acquisti da loro. Non le dissi che questa sarebbe stata la prima e anche l'ultima.
«Ecco fatto,» disse, porgendomi la borsa.
«Grazie mille, arrivederci».
Uscii dal negozio e decisi di andare in un bar a fare colazione, visto che mi avanzavano ancora dei soldi, e non fu neppure difficile trovarne uno: essendo in centro città ce n'erano a decine. Ordinai una brioche e un semplice cappuccino, e lo sorseggiai lentamente, beandomi del calore della tazza che veniva propagato dai miei polpastrelli fino ai palmi.
Quando rientrai in hotel era quasi mezzogiorno e non avevo fame. Will, alla reception, non c'era, e nella nostra stanza Harry e Daniel non erano ancora tornati. Sfruttai quel tempo per sistemare i pacchetti regalo nel mio zaino, ordinando anche tutti i miei effetti personali e piegando i vestiti. Cos'avrei indossato quella sera? Insomma, avevo accettato il piano di Daniel, ma presentarmi in jeans e maglietta davanti ai buttafuori e affermare d'essere lì per fare la spogliarellista, beh, non era proprio il massimo della credibilità.
Stavo rimuginando su quei pensieri, quando la porta si aprì e Harry e Daniel comparvero sulla soglia. Si poteva quasi vedere la tensione nell'aria fra loro due, sembravano due calamite di poli uguali che si respingevano categoricamente. Vennero entrambi verso di me; Daniel posò una borsa bianca e una borsa beige sul mio letto, e «abbiamo un paio di regali per te,» disse. «Yves Saint Laurent, spero ti vada bene».
Dalla borsa bianca, estrassi un vestito interamente nero, corto, ricoperto di paillettes, che mi fece sgranare gli occhi e spalancare la bocca dalla sorpresa. «Scherzi?»
«Affatto,» Daniel scosse la testa. «È per stasera. Provalo, così vediamo se può andare».
«Non mi starà mai,» bofonchiai, a mezza voce, alzandomi per andare a cambiarmi in bagno.
«E le scarpe, non dimenticare,» Daniel mi passò la borsa beige. «Altrimenti non rende».
Sfilai accanto ad Harry, lui parecchio impassibile, fino a chiudermi la porta alle spalle. Il fatto che lo specchio che ci fosse, non era affatto in grado di riflettere la mia immagine intera, rendeva le cose parecchio difficili. Mi tolsi in fretta i miei vestiti, infilandomi l'abito stretto e luccicante, dalla profonda scollatura a cuore; fortunatamente la zip era laterale, quindi non ebbi problemi a chiuderla. Le scarpe erano tacchi a spillo anch'essi neri, di almeno dodici centimetri, e pensai che se non fossi morta a causa della nostra truffa, di sicuro non avrei fatto una bella fine a camminare con quei tacchi. Aggeggi di tortura medievale, ecco cos'erano, altro che scarpe!
Me ne tornai in camera, e «come mi sta?» domandai. «Perché è cortissimo, non so se-»
«Chi sei e cosa ne hai fatto della tipa di prima,» fischiò Daniel, sorridendo a trentadue denti. «Sei splendida, Selena. Forse un po' sciatti i tuoi capelli, ma basta una pettinata per sistemare tutto: magari raccoglili, per mostrare il collo. Il vestito ti sta d'incanto, dico sul serio, e anche le scarpe. Sei quasi alta come me, cazzo!»
Lo ringraziai a bassa voce, spostando gli occhi su Harry. Aveva le sopracciglia corrugate, mentre mi analizzava attentamente, e le labbra pressate assieme. «Non lo so,» borbottò. «Non... boh. Sì, ti sta bene, ma boh. Non sembri tu, ecco».
«Non deve mica sembrare lei, deve sembrare una spogliarellista lì per lavorare. E non è neanche complesso come abito. Io direi che va più che bene,» Daniel continuava ad annuire. «Credibile, ma non esagerato. Sofisticato, ma sull'orlo del volgare. È perfetto».
«Se lo dici tu,» mormorò l'altro. «Io la preferisco in jeans e maglietta. E poi quei tacchi... sembrano scomodissimi».
«Lo sembrano perché lo sono,» feci una smorfia. «Io i tacchi non li so portare».
«Si vede,» commentò ancora Harry, aspro. «Prova a fare un giretto per la stanza, magari impari a non traballare troppo. Anzi, prima cambiati, ché non ti riconosco, conciata così. Stasera mi basterà per tutta la vita».
Un po' ci rimasi male per quello che aveva detto, e non perché della sua opinione m'importasse tanto da deprimermi e mettermi a piangere, ma perché aveva completamente ragione: non ero io. Io non mi vestivo in quel modo. E poi, quanto aveva costato? L'etichetta che Daniel non aveva tolto, segnava i mille novecento dollari; mi veniva male solo a vedere quel prezzo esorbitante, figuriamoci usarlo come seconda pelle. Era troppo aderente, troppo scollato, troppo corto, troppo luccicante, troppo costoso, troppo non da me, e dire che mi sentivo a disagio era poco. Non era come il vestito della madre di Harry, perché quello era tutt'altra cosa. E poi, quei tacchi! Mio Dio, non sarei mai riuscita a camminarci per più di un minuto.
Tornai in bagno a cambiarmi di nuovo, sospirando di sollievo quando mi rimisi i jeans che tanto amavo: comodi, coprenti, elastici, come piaceva a me. Piegai il vestito, rassegnandomi all'idea che quella serata sarebbe stata un fiasco totale, e ritornai dagli altri due.
«Anche io ho una cosuccia per te, comunque,» mi disse Harry, non appena mi vide, estraendo una scatola rettangolare dall'interno della giacca e porgendomela senza aggiungere altro.
«Cos'è?» domandai.
«Vedrai».
Scartai l'involucro di carta marrone attorno ad essa, e quasi mi misi a piangere per la sorpresa. «Harry...» mormorai, prendendo in mano un cellulare bianco. «È uno scherzo?» mi rigirai l'apparecchio tra le mani. Era leggero, sottile, elegante. Decisamente spettacolare. Una mela era dipinta sul retro, accanto alla scritta iPhone 6.
«No. E' tuo. Ci ho già salvato il mio numero,» dalla tasca dei jeans estrasse un secondo cellulare. «Questo nero è mio, così ho pensato di prendertene uno uguale, bianco».
Scossi la testa. «Non posso accettarlo... non... tu sei pazzo,» mormorai. «Come pensi che potrò ripagarti di due cellulari? O dimentichi che è colpa mia se hai dovuto ricomprartene uno?»
«È un regalo, non devi ripagare assolutamente nulla».
«No, Harry. Non è giusto,» ribattei, cercando di restituirglielo; ovviamente non lo riprese.
«Non ho mica usato i miei soldi, eh,» precisò.
Daniel annuì: «Ringrazia il portafogli di mio padre, Selena. Sa essere parecchio generoso, lui».
Ecco, ancora peggio! «Ma-»
«Ascoltami,» insistette Harry. «Voglio che tu abbia un cellulare, per precauzione. Non accetterò un no come risposta».
Sospirai, rassegnata, e seppe di avere vinto quando un sorriso si formò sulle mie labbra. Il regalo che gli avevo preso io era una nullità in confronto, anche meno: presi in considerazione l'idea di riportarlo indietro e farmi rimborsare i nove dollari che avevo speso per comprarlo.
«Se proprio dovevi, potevi prendermi uno di quei mattoni coi tasti del secolo scorso,» borbottai, collegando il cellulare alla presa di corrente.
Harry rise e scosse la testa. «Nah. O un iPhone, o un iPhone».
«Non per fare il guastafeste, ma dobbiamo rifinire i piani per stasera. Non ho intenzione di presentarmi lì e dover contare sulle tue abilità di improvvisazione, Harry, perché diciamolo, fanno schifo,» disse Daniel.
«Sappiamo perfettamente tutti e due che ogni volta che tu fai un piano e qualcosa va storto, sono io a tirarci fuori dai guai con la mia improvvisazione schifosa,» gli rispose lui.
Ed eccoli che ricominciavano a discutere, fantastico.
«E quando mai sarebbe successo? Se non ricordo male, sono stato io a salvarti il culo appena due sere fa, alla festa».
«Non ti ho chiesto io di aiutarmi, potevi benissimo startene a guardare. Mi avresti fatto solo che un favore,» commentò Harry.
«Avete finito?» sbottai, camminando al centro della stanza. «Siete ridicoli, tutti e due! Santo cielo, mi sembra di essere vostra madre. Non riuscite a passare cinque minuti senza insultarvi a vicenda?»
«E' lui che ha iniziato tutto, cazzo,» borbottò Harry.
Daniel si alzò in piedi. «Sei tu che non hai ancora superato la cosa di Gemma. E' morta, punto, fatti una vita e smettila di incolpare me per ogni singola cosa».
Harry alzò gli occhi su di lui, e in una frazione di secondo, Daniel si ritrovò schiacciato al muro. «Non osare parlare di lei in quel modo,» sibilò il primo, a denti stretti; il suo corpo era scosso da fremiti di rabbia, nei suoi occhi c'era solo collera. «Tu non hai idea di quanto voglia vendetta, Daniel. E' fottutamente colpa tua. Tua e di quel tuo padre del cazzo. E ti giuro che me la farete pagare entrambi, in un modo o nell'altro. Non mi interessa se oggi o fra trent'anni, ti giuro che avrò la mia vendetta, fosse l'ultima cosa che farò». Harry guardò Daniel con odio un ultimo secondo per poi lasciarlo andare e precipitarsi fuori dalla stanza.
«Quello non avtesti dovuto dirlo,» mormorai a Daniel, decidendo di seguire Harry. Forse aveva bisogno di una persona che lo avrebbe per lo meno ascoltato un po'. Lo trovai seduto in fondo al corridoio, vicino ad una finestra che dava sulla strada imbiancata, con la schiena appoggiata al muro e le ginocchia raccolte al petto; aveva gli occhi chiusi, ma molto probabilmente mi sentì sedermi accanto a lui ugualmente.
«Se sei venuta per compatirmi o farmi una ramanzina puoi anche andartene,» mormorò, restando immobile.
«Nessuna delle due,» risposi, copiando il suo modo di stare seduto. «Stai bene?» gli chiesi.
Lui annuì. «Sì, solo... Daniel ha ragione. È stata colpa mia. Insomma, non direttamente, ma cazzo. Se le avessi permesso di dormire a casa del suo ragazzo-»
«Ha ragione nel dire che devi farti una vita, Harry. Santo cielo, smettila di incolpare te stesso per ogni cosa che succede».
«Hai mai pensato alla tua vita e constatato che è tutta una serie infinita di menzogne?» cambiò radicalmente argomento, facendo scattare i suoi occhi nei miei. «Come se tutto non avesse mai avuto senso?»
«Non lo so,» dissi, sinceramente, presa in contropiede. «Forse».
«Prima mio padre, poi Natalie, poi mio zio, adesso Daniel,» si prese la testa fra le mani, massaggiandosi le tempie.
«Ti va di parlarne? A volte aiuta liberarsi dei propri pensieri,» mormorai. «Tipo io con Elle. Stavo pensando troppo, e raccontandole i fatti miei me ne sono liberata un po'».
Non mi aspettavo davvero che mi dicesse qualcosa, quindi rimasi davvero sorpresa quando la sua voce roca e grave ricominciò a parlare. «Cazzo, Selena. Natalie era la più bella ragazza che avessi mai visto. Come quando leggi un libro così meraviglioso che i successivi non sono abbastanza da colmare il vuoto che il primo ha lasciato, eppure continui a sfogliarli perché non puoi farne a meno. Natalie non mi ha neanche mai amato! È stata la prima e l'ultima volta che mi sono innamorato, e ne ho pagate le conseguenze. Erano da poco morti i miei, ero arrabbiato, confuso, triste... non lo so... e poi ho conosciuto lei. Mi sentivo bene, e felice, e amato, ma ho sbagliato a pensare che lei provasse lo stesso,» prese un respiro profondo. «Davvero, io non so che gusto provi Smoke a vedermi crollare in mille pezzi, non so perché gli fosse venuto in mente di pagare qualcuna per farmi innamorare, per poi potermi spezzare in due come se fossi un bastoncino di legno. Eppure ha funzionato». Quando guardai il suo viso notai una lacrima scivolargli lungo la guancia, una sola. Non si preoccupò di asciugarla, forse non si era nemmeno accorto che gli era scappata.
«Io... io non so cosa dirti, Harry,» sospirai. «A confortare le persone faccio schifo. Ti ricordi di Jack, il mio vecchio capo? Ecco, quando è morta sua moglie, l'unica cosa che sono riuscita a spiccicare, per farlo sentire meglio, fu qualcosa tipo nessuno farà più i cappuccini come li faceva lei, perderai un sacco di clienti, ora. E quasi quasi voleva licenziarmi. Quindi non lo so, davvero».
Senza volerlo, Harry ridacchiò piano sotto i baffi. «Guarda che merda, sto pure piangendo».
«Stai lacrimando a causa della polvere che c'è nell'aria,» lo corressi. «Non vedi? Anche a me bruciano un sacco gli occhi».
Harry girò il viso nella mia direzione, scrutandomi per trovare quelle lacrime che però non avevo. Fui tentata di asciugare la sua, di spazzarla via, solo che ci pensò lui al mio posto, eliminandola con una passata del pollice.
«Posso farti una domanda?» mi chiese poi.
Annuii, curiosa da quello che mi avrebbe chiesto.
«Tu... amavi il tuo ex ragazzo?»
Un sospiro mi uscì dalle labbra. «Gli volevo molto bene,» mormorai. «Ma non lo amavo. Non parlavamo, sembravamo due estranei. Probabilmente non pensa più a me, non gli interessa nemmeno sapere se sono viva. Avevo paura di lasciarlo, credo, perché non volevo restare sola di nuovo. Alla fine, comunque, è stato lui a mollarmi con un SMS».
«L'ho già detto che è un coglione?»
Risi. «Non siamo molto bravi con le relazioni, noi due, a quanto pare».
«E tu, nonostante quella testa di cazzo di Mike, credi ancora nell'amore?» domandò, scettico.
«Sì, Harry. È da stupidi pensare che non esista solo perché hai amato una ragazza che non lo meritava affatto. Non amare per paura di soffrire non ha una logica».
«Non è quello il punto,» rispose.
«E qual è, allora?»
Harry rimase muto come un pesce per una decina di secondi, prima di rispondermi. «Non capisci. È l'amore verso qualcuno, che non va bene, non parlo dell'amore in generale, assolutamente. È che non lo trovi strano, dire ad una persona che la ami? Cioè, che cazzo vuol dire? Morirei per te? Vivo per te? Sono solo due parole, ti amo, e la gente ci dà troppo peso. Dalia me l'ha spiegato, una volta. Ha detto che lei ama Joe, ma che, a settant'anni, ricerca la cucina e non più il sesso, come quando ne aveva trenta. Le cose cambiano, Selena, l'amore non dura. È per questo che non ci credo: non è che io abbia paura di soffrire, non condivido l'amore per il semplice fatto che è illusorio».
«Forse ho capito cosa intendi. Ma vedi, a volte serve amare qualcuno. Prendi Jack, per esempio. Prima che sua moglie morisse, era una persona meravigliosa. Dopo che se n'è andata, beh, hai visto tu stesso come si è ridotto. Non credo che amare qualcuno significhi morire per quella persona, piuttosto la si ama per salvare se stessi».
«È una cosa così egoista, però,» osservò lui.
«L'amore è egoismo, Harry. Egoismo di coppia, s'intende, ma pur sempre egoismo».
Harry si accigliò. «Sicura di avere diciannove anni e non sessanta?»
Gli tirai una spallata leggera, soffocando una piccola risata. «Ti senti meglio, adesso?»
«Uhm...» borbottò. «No. Cioè sì, ma no. Capisci?»
Lo guardai e basta.
«Insomma,» proseguì. «Adesso sto bene, ma è illusorio pure questo. Sto bene perché sto parlando con te, e perché mi hai distratto da Natalie e Gemma e tutti i miei problemi del cazzo; mica puoi continuare a distrarmi per sempre, però. Appena sarò solo, è scontato che tornerò a rimuginarci su, e fanculo alla felicità e alla spensieratezza. E poi si meravigliano che sono sempre lunatico e scontroso e burbero. Grazie al cazzo, mio Dio,» sbuffò. «Scusa. Sto divagando».
«Wow, Harry,» non riuscii a non sorridere. «Credo di non averti mai sentito parlare così tanto in vita mia».
«È un male o un bene?»
«Un bene, assolutamente. Solo che è strano».
«Anche tu eri strana, con quel vestito addosso. Troppo sexy, dico sul serio. Non è da te, così come parlare tanto non è da me. Credo sia l'aria fuori da Smoke Town che ci fa cambiare. Aria fresca, ecco. Ci è andata alla testa».
E quindi, qual era la verità? Eravamo noi stessi qui, seduti sul pavimento di un hotel a quattro stelle, mentre la neve cadeva e ricopriva tutto di bianco, a parlare e parlare di cosa ci passasse per la testa, o eravamo noi stessi nella città di fumo a cui ormai appartenevamo?
Qual era, l'illusione? A confondere le due realtà, ci voleva veramente poco.
. . . . . . .
Faccio un video in diretta da instagram dal mio profilo anxieteve fra poco, quindi se vi va potete venire a guardarlo! Sto dipingendo un quadro per mia mamma e boh mi piace parlare con voi quindi se volete sapere dove trovarmi!
Ci sentiamo presto con un altro aggiornamento!
Lottie x
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