Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

22. Vai fino in città se vuoi trovare l'amore

Selena

La mano calda di Harry si ancorò al mio polso, mentre scendevamo le scale dell'hotel per tornare nell'atrio, tirandomi leggermente per farmi restare a passo con lui. Sfrecciammo giù per le rampe, io che rischiai di cadere un paio di volte, pure, solo perché volevamo battere sul tempo l'ascensore.

Nella hall non c'era nessuno se non l'addetto alla reception, che osservò Harry ed io attraversare velocemente il grande spazio.

«C'è qualche problema?» chiese educatamente.

Sgarbato come sempre, «affari nostri,» gli rispose Harry. Non provò nemmeno a nascondere la sua irritazione, e l'occhiataccia che rivolse al povero dipendente risultò fin troppo chiara.

«Perché gli hai parlato così? Stava solo facendo il suo lavoro...» lo sgridai, una volta usciti dalla grande porta automatica che si aprì al nostro passaggio.

«Il suo lavoro, come no,» borbottò lui, lasciando la mia mano ed incamminandosi per la strada imbiancata dalla neve. «Quello là, prima, ti ha guardato le tette. E ha rubato il nome a William Blake».

«Non mi ha guardato le tette,» alzai gli occhi al cielo. «E poi, mica è colpa sua se si chiama come Blake».

«Oh mio Dio, che testarda che sei,» sbuffò lui. «Se ti dico che ti ha guardato le tette è perché ti ha guardato le tette».

«A te che te frega, anche se fosse?»

«Assolutamente niente. Te lo stavo solo facendo notare, visto che tu, apparentemente, non te ne sei accorta».

Sospirai, facendo cadere l'argomento. Harry non sarebbe cambiato mai. Invece che ribattere, «dove andiamo?» chiesi, raggiungendolo. Non ero mai stata a Baltimore, quindi non avevo la più pallida idea di cosa ci fosse da vedere.

«Dove vorresti andare?» mi rispose.

Scrollai le spalle, calciando un mucchietto di neve dal marciapiede. «Non lo so, è per questo che te l'ho chiesto».

Harry ridacchiò. «Okay... ti va di andare a fare un giro al parco?»

Annuii, sorridendogli debolmente. Non sembrava il solito Harry, quello senza sentimenti, quello che aveva sempre il dolore negli occhi, quello che veniva da Smoke Town. Era diverso, ora. Molto diverso. Insomma, burbero lo era sempre, ma un luccichio di felicità nelle sue iridi era ciò che lo stava tradendo. Mi piaceva di più, così.

Camminammo in silenzio per qualche minuto. Baltimore era tutta addobbata per Natale, le persone entravano e uscivano dai negozi con borse e borsette contenenti i numerosi regali per parenti ed amici, e la neve che era caduta non faceva altro che aumentare la bellezza di questo periodo dell'anno. Vivendo a Smoke Town per quasi due mesi, non mi ero resa conto di quanto mancasse a Natale. Forse avrei dovuto comprare dei piccoli pensierini per i ragazzi, adesso che ne avevo l'occasione: dopotutto mi avevano ospitata a casa loro, e mi avevano accolta come se mi avessero conosciuta da sempre.

«Sei silenziosa, non è da te,» osservò lui, lanciandomi un'occhiata preoccupata. «A cosa stai pensando?»

«E' quasi Natale e non ho preso niente per te o i ragazzi. C'è qualcosa in particolare che vorresti o-»

«A Natale manca un mese, Sel. E no, non voglio regali. Non festeggiamo il Natale, noi,» mi interruppe.

«Come sarebbe a dire che non lo festeggiate?» chiesi, sbigottita. Il Natale era la mia festa preferita dell'anno. L'avevo sempre ritenuto importantissimo, anche quando ero una senzatetto avevo sempre continuato a festeggiarlo. Ogni anno, quando facevamo l'albero, papà mi prendeva in braccio e mi faceva mettere la stella sulla punta, una specie di tradizione. Poi, dopo aver aperto i regali, ci preparavamo e andavamo a pranzare dai vicini, visto che mia zia Leah abitava sul lago Michigan, troppo distante per poterla andare a trovare. A Portland nevicava ogni anno, quindi io ed i miei amici di infanzia andavamo sempre a giocare nella neve. Non riuscivo ad immaginare una vita senza il Natale.

«Non esiste il Natale a Smoke Town. E francamente, festeggiarlo senza una famiglia non avrebbe senso,» spiegò, rimanendo impassibile.

«Vuoi dire che tu il venticinque dicembre non ti svegli tardi, non bevi una cioccolata calda scartando i regali sotto l'albero, non pranzi con i ragazzi, Joe e Dalia, non passi il pomeriggio a tavola scherzando e giocando a carte e non resti sveglio fino a mezzanotte guardando Una Poltrona Per Due?»

«No,» rispose. «E non ho mai visto quel film».

«Non hai mai visto Una Poltrona Per Due?» esclamai.

«No, te l'ho appena detto».

«Dio mio, Harry. E cosa fai a Natale, allora?»

«Lavoro, mi arrabbio, mi deprimo e mi arrabbio ancora».

«Mi dispiace dirtelo, ma quest'anno cambierai le tue abitudini».

Lo vidi sorridere leggermente con la coda dell'occhio, scuotere la testa per sistemarsi i capelli, e bofonchiare qualcosa fra sé e sé. Arrivammo al parco poco dopo: c'era un sentiero lastricato che si snodava in mezzo al grande prato imbiancato dalla neve appena caduta, due file di alberi spogli ai lati di esso facevano sembrare tutto più bello. Non c'erano bambini che giocavano, essendo lunedì mattina, solo qualche turista che scattava foto qui e là, e qualche anziana coppia seduta sulle panchine.

All'improvviso scivolai nella neve a causa della lastra di ghiaccio che doveva essersi formata sotto la coltre, e mi aggrappai alla giacca di Harry per non cadere. Lui iniziò a ridere come un bambino, due fossette apparvero sulle sue guance arrossate dal freddo, e senza pensarci due volte mi chinai a terra, fabbricando con le mani un paio di palle di neve fredda e soffice. Harry era così intento a ridere di me, che non si accorse di quello che stavo per fare fino a quando non sentì il freddo pungente della neve sul collo e rabbrividì.

«Questo non avresti dovuto farlo,» mormorò, cercando di assumere un'aria minacciosa, anche se aveva ancora un tono giocoso nella voce. «Hai tre secondi per scappare, Tigre,» pure lui raccolse della neve e creò una palla simile alla mia, ma molto più grande. Non ci pensai due volte, ed iniziai a correre, anche se la mia fuga non durò molto: dopo poco tempo sentii le sue braccia avvolgersi attorno alla mia vita, e attirarmi contro il suo petto.

«Presa,» sussurrò contro il mio orecchio. Il suo respiro caldo e irregolare a causa della corsa, sul mio collo, mi fece stranamente rabbrividire. «Ora tocca a me».

Sentii un freddo glaciale e bagnato propagarsi per tutta la spina dorsale, segno che doveva aver infilato sotto alla giacca e alla maglia un pezzo di neve. Mi girai a guardarlo e mi ritrovai a pochi centimetri dal suo viso, i suoi occhi bruciavano nei miei così intensamente che non sentii più il freddo fastidioso della neve a contatto con la mia schiena.

«Non puoi vincere una battaglia di questo tipo contro di me,» mormorò.

«È quello che credi tu,» risposi. Avevo ancora in mano la seconda palla di neve che avevo fatto, e gliela spalmai in faccia, cogliendolo di sorpresa; il mio gesto improvviso lo costrinse a lasciarmi andare, così colsi l'occasione per scappare di nuovo. Avevo intenzione di vincere, e lui mi avrebbe implorato in ginocchio nella neve di risparmiarlo.

Harry non impiegò molto per raggiungermi, così aumentai la velocità della corsa. Sentivo che era a pochi metri da me, sentivo i suoi passi veloci e il suo respiro affannato come il mio, sentivo che stava trattenendo una risata per risparmiare ossigeno, ma sentivo anche che se questa fosse stata una lotta seria e io stessi davvero scappando da lui, mi avrebbe già presa da un pezzo, e sapevamo tutti quanto Harry potesse essere letale.

Per lui, infatti, fu un gioco da ragazzi aumentare il ritmo, e, come avevo previsto, mi ritrovai di nuovo contro il suo petto. «Non puoi vincere. Arrenditi,» disse, divertito.

«Scordatelo,» risposi, cercando di liberarmi dalla sua presa. Con uno strattone riuscii a farci finire entrambi a terra, liberandomi le braccia, e senza pensarci due volte iniziai a buttargli addosso più neve possibile. Lui stava ridendo e cercando di scrollarsela di dosso, senza grandi risultati. Vedendo che il metodo non stava esattamente funzionando, si avvicinò a me mentre continuavo a riempirlo di neve e con una mano bloccò entrambe le mie sopra la mia testa, intrappolandomi tra il suolo freddo e il suo corpo, mentre con il gomito sosteneva il suo peso, così da non schiacciarmi.

Sbuffai irritata, provando a liberarmi. Un ghigno compiaciuto si formò sulle sue labbra.

«Ora cosa pensi di fare?» disse, intensificando la presa. «Se ti arrendi ti lascio andare».

«Non è giusto, tu sei più forte,» mi lamentai, soffiando via una ciocca dei miei capelli che mi stava dando fastidio.

«La vita non è mai giusta,» ribatté lui, guardandomi negli occhi. Solo ora mi resi conto di quanto vicini eravamo, e mi dimenticai pure di respirare.

«Arrenditi, Sel,» mormorò ancora, a pochi millimetri dalle mie labbra. Cos'è, aveva intenzione di baciarmi ancora?

«No,» risposi, risoluta. Feci sprofondare le mie mani nella neve ancora di più, ruotando il polso destro e riuscendo a liberarlo dalla sua presa ferrea. Ora era lui ad avere entrambe le mani occupate e con un semplicissimo spintone riuscii a capovolgere la situazione, facendolo rotolare di lato. Mi alzai da terra, osservandolo mentre si metteva seduto nella neve.

«Ho vinto,» dissi. «Ho vinto, Bucky».

Harry sbuffò. «Facciamo che siamo pari».

Gli offrii una mano per alzarsi. «E pari sia».

. . .

Verso mezzogiorno, andammo a pranzare in un ristorante italiano lì vicino. Eravamo entrambi fradici, i miei capelli gocciolavano, e stavo tremando dal freddo. Al momento era sembrata una buona idea fare una battaglia di palle di neve, ma ora stavo iniziando a pentirmene.

Quando entrammo nel locale caldo, la gente che era seduta ai tavoli si girò a guardarci. Alcuni ci lanciarono occhiatacce strane, altri ridacchiavano, altri sorridevano. Decisi di ignorarli, così come fece Harry.

«Un tavolo per due,» disse lui, quando una cameriera ci raggiunse. «Non abbiamo prenotato,» aggiunse poi, prevedendo la domanda che la ragazza stava per porci.

«Seguitemi,» disse lei, facendoci strada nel ristorante, fino ad una zona più appartata e tranquilla, probabilmente per non disturbare la gente con la nostra presenza: era facile scambiarci per due ragazzacci di periferia, conciati in quel modo. Ci sedemmo al nostro tavolo e la cameriera ci porse due menù, per poi allontanarsi e lasciarci scegliere cosa ordinare.

Mi tolsi la giacca e la appesi allo schienale della sedia, beandomi del calore del ristorante. La mia maglia era probabilmente l'unico indumento ad essere ancora asciutto; con le dita sistemai i miei capelli umidi, in modo che si potessero asciugare più in fretta.

Sentii lo sguardo di Harry addosso ed alzai gli occhi su di lui, trovandolo a fissarmi di nuovo. «Che c'è?» chiesi, accennando ad un sorriso.

Lui si riscosse e distolse lo sguardo, sospirando. «Era da tanto che non mi divertivo così».

«Anche io,» risposi, facendomi seria. «Potremmo davvero andarcene, sai. Prendiamo la macchina e scompariamo dalla circolazione. Ci procureremo carte d'identità false, andremo in un altro continente, ci troveremo un lavoro. Non torneremo più a Smoke Town».

«Tu non hai idea di quanto vorrei che succedesse,» mormorò. «Se potessi, scapperei con te anche ora, in questo momento. Non dovrei più vedere le persone che hanno ucciso la mia famiglia, potremmo entrambi ricominciare da capo. Ma non possiamo, Sel».

«Perché no?»

«Credi che James non abbia mai considerato l'ipotesi di una mia fuga? Lui tiene costantemente d'occhio tutti i suoi impiegati, indipendentemente dal fatto che lavorino dentro Smoke Town o in qualsiasi altra parte del mondo. Nessun posto sulla Terra è sicuro, non finché mio zio è vivo,» spiegò. «E una volta che qualcuno scappa da Smoke Town o non ha pagato i debiti, James ha un'infinita scorta di seguaci pronti ad estirpare il problema. Guarda quel povero diavolo che Daniel sta cerando in questo momento... James non si fermerà finché non lo avrà trovato. O il tizio a Cleveland sul quale hai rovesciato la birra: anche lui aveva conti in sospeso con Smoke».

Rimasi in silenzio, pensando a quello che mi aveva appena detto, fino a quando non tornò la cameriera a prendere le nostre ordinazioni. Non riuscii a godermi del tutto il pranzo, però, ché l'ultima briciola di speranza che avevo, era svanita con le parole di Harry. Era l'una e mezza passata quando finimmo di mangiare e decidemmo di ritornare in hotel. I miei vestiti si erano asciugati grazie al calore del ristorante, fortunatamente, quindi non dovetti preoccuparmi di beccarmi un'influenza.

«Sei sicuro di non voler niente per Natale?» gli chiesi, mentre entravamo in ascensore.

Harry schiacciò il pulsante per il quinto piano, e «assolutamente,» rispose.

Sospirai. Non credevo mi stesse dicendo la verità, ma non potevo mica obbligarlo a volere dei regali. Probabilmente glielo avrei comprato comunque, senza dirglielo. Ecco, avrei fatto così.

Nella nostra stanza, Daniel era ancora incollato allo schermo del computer, mordendosi nervosamente il labbro inferiore e sbuffando di tanto in tanto. Quando ci sentì chiudere la porta, alzò la testa di scatto, richiudendo il portatile ed alzandosi dal letto.

«Bingo! L'ho trovato!» esclamò. Harry fece una smorfia e annuì, mentre io non sapevo se esserne triste o felice.

«Ha assunto il nome di David Shelman, ed è stato visto l'ultima volta da una telecamera di sicurezza vicino all'incrocio tra Maple Street e la Kings. Sono riuscito ad entrare nel sistema, una bazzecola modestamente, e ho scoperto che ha pagato per andare ad uno strip club domani sera verso le dieci,» spiegò Daniel, compiaciuto del suo lavoro. «Droga, alcol, gioco d'azzardo... il posto perfetto dove spendere tutti i soldi».

Harry si tolse la giacca e le scarpe bagnate, così lo imitai, mentre Daniel continuò: «C'è solo un piccolo problema».

«Sarebbe?» l'altro alzò un sopracciglio.

Daniel si grattò la nuca, passando poi una mano tra i suoi capelli corti. «La sicurezza all'entrata del locale non fa entrare chi non ha il pass».

«Procuratene uno, allora».

«È proprio questo il punto. Non posso, non riesco ad hackerare il sito del locale e stamparne due copie. Si può accedere solo dall'interno,» disse. «Insomma, un conto è il sito della banca, e quello è fattibile, un conto è quello di un locale clandestino gestito dalla mafia».

Harry sbuffò, iniziando a camminare in circolo.

«Magari ci sono altre entrate? Finestre raggiungibili da terra?» chiesi, cercando di aiutarli.

Daniel scosse la testa. «Quella più bassa è al secondo piano e ci noterebbero di sicuro».

Harry smise di camminare, andando verso la finestra e guardando fuori, perso nei suoi pensieri.

«Anche se un modo per entrare ci sarebbe,» mormorò Daniel, spostando lo sguardo su di me e ricatturando l'attenzione di Harry.

«È uno strip club, no?» continuò. «E il padrone del locale di sicuro non fa usare un pass alle spogliarelliste, considerando che poco gli importa chi siano, basta solo che gli facciano guadagnare soldi».

«Vai dritto al punto,» ordinò Harry.

«Ci serve Selena per riuscire ad eludere la sorveglianza».

«Sei serio?» Harry fece un passo verso di lui.

«Assolutamente no,» dissi, scuotendo la testa quando capii dove voleva arrivare. «Pessima idea».

«È l'unico modo. Devi solo convincerli che sei lì per lavorare e bam! È fatta, e siamo dentro tutti e tre,» mi disse Daniel.

«Tu sei pazzo,» mormorò Harry. «Se credi che coinvolgerò Selena in tutta questa merda schifosa, ti sbagli di grosso».

«Ma lei è già coinvolta».

Trattenni il fiato quando gli occhi di Harry si posarono su di me. «Coinvolta in cosa?» mi chiese.

«Aspetta, non lo sai?» domandò Daniel, evidentemente divertito, guardandoci. «Non ci credo che non glielo hai detto».

«Non mi hai detto cosa?» lo sguardo di Harry si spostava velocemente da lui a me; leggevo rabbia e confusione nei suoi occhi verdi, contornata da delusione e preoccupazione.

«Diglielo, Selena,» mi incitò Daniel. Ecco, questo era proprio quello che volevo evitare: avevo intenzione di informarlo del lavoro di Smoke, ma non così presto. Mi morsi l'interno della guancia nervosamente.

«Diglielo o lo faccio io,» mormorò ancora.

Passarono dieci secondi di silenzio. Daniel stava per aprire bocca di nuovo, ma dovetti precederlo: non volevo che Harry avesse scoperto la verità da lui. Se qualcuno aveva il diritto di dirglielo, quella ero io. Era colpa mia se si sarebbe arrabbiato, ché avrei dovuto raccontargli tutto quella sera, appena tornati, ma non l'ho fatto perché troppo occupata a farmi baciare da lui, e ora ne avrei pagate le conseguenze.

«Smoke vuole che vada a lavorare per lui,» dissi. «Mi ha offerto un lavoro, alla festa. Non ho accettato, ma vuole una risposta».

Harry aprì la bocca per dire qualcosa, anche se la richiuse subito dopo; lo vidi stringere i pugni e contrarre la mascella, digrignando i denti. Passarono degli attimi di silenzio tombale, poi la sua voce risuonò per tutta la stanza: «Prendi le tue cose, ce ne andiamo adesso».

«Aspetta, dove?»

«Via. Da qualche parte. In Asia, in Europa, non lo so. Ma lontano da qui,» recuperò il suo zaino e indossò le scarpe.

«Harry-» provai, ma venni interrotta da Daniel.

«James ha previsto che avresti fatto una cosa simile, e ha detto che se avessi provato a scappare, ci sarebbero state delle ripercussioni».

Harry si immobilizzò sul posto.

«Joe e Dalia, per esempio,» continuò. «In questo momento, Al e Cheng li stanno tenendo d'occhio, e sai anche tu quanto i metodi di Cheng possano essere cruenti. Ma forse non ti importa tanto di loro...» ghignò.

Harry rimase a fissarlo con odio per alcuni secondi, poi fece cadere lo zaino a terra, rassegnato. «Giuro su Dio che se gli succede qualcosa, hai finito di vivere».

Daniel rise, compiaciuto di averlo provocato.

«E non ti aspettare che Selena ti aiuti ad entrare in quel locale,» aggiunse Harry.

«Allora trova un altro modo per riuscirci e sarò più che lieto di ascoltarti,» rispose Daniel. «Devo ricordarti che è la tua ultima occasione? Mio padre ha esaurito tutta la sua pazienza e se fallisci anche sta volta, non sarai solo tu a pagarne le conseguenze».

«Va bene,» sospirai, rivolta a Daniel, mettendo fine alla loro discussione. «Se pensi che in questo modo riuscirete ad arrivare a Shelman, vi aiuterò».

«Finalmente qualcuno che ragiona!» esclamò lui.

«Assolutamente no. Sel, è pericoloso. E non ci cascheranno mai, non hai l'aria di una spogliarellista. Tutto questo piano è stupido,» disse Harry, passandosi una mano fra i capelli.

Non volevo di certo che Smoke facesse del male a lui, o ad altre persone a cui mi ero ritrovata a voler bene. Se quella era l'unica maniera per riuscire a trovare quel David, non avevo molta scelta se non seguire il piano contorto di Daniel.

«Ci dev'essere per forza un altro modo,» borbottò di nuovo il riccio.

«Visto che fino ad adesso sono l'unico che ha trovato una soluzione al problema, ci atteniamo a quello che dico di fare io. Se ti viene in mente qualcos'altro, facci un fischio,» gli disse Daniel.

Harry sbuffò, frustrato. «Posso parlarti un secondo?» mi chiese.

Annuii lentamente, mentre Daniel si avviava all'uscita della stanza. «Vado a farmi un giro. Vedi di farlo ragionare, Selena, perché la sua testardaggine lo farà ammazzare,» e si sbatté la porta alle spalle.

Harry si sedette sul bordo del letto, e con uno sguardo da cane bastonato, mi fece sentire ancora peggio di quando già non stessi. «Mi hai mentito,» mormorò.

«In realtà, se vogliamo essere precisi,» e presi posto al suo fianco. «Ti ho solo nascosto la verità».

«Ancora peggio».

«Volevo dirtelo, davvero,» sospirai. «Solo che non sapevo come. Pensavo di farlo non appena tornati a casa».

«A casa,» ripeté. «Trovo davvero strano il fatto che la consideri casa, Smoke Town».

«Non Smoke Town,» puntualizzai. «Ma l'appartamento. L'albergo e basta. Dove c'è Dalia che cucina, e Joe che legge il giornale, e Niall e Zayn che fanno scommesse, e Liam che li sgrida, e Louis che non si fa mai vedere. E poi ci sei tu, che ti arrabbi, ma che infondo vuoi bene a tutti».

Rimase in silenzio, non rispose.

«Mi dispiace davvero, Harry. Non... non volevo che ti arrabbiassi, ecco,» continuai.

«Lo so,» alla fine, si decise a guardarmi. «Forse hai fatto bene, insomma, l'avessi saputo l'altra sera e sarei andato direttamente da James a protestare e fare qualche cazzata».

Annuii. «Era quello che temevo».

Restammo zitti per un altro minuto. Un peso enorme s'era sollevato dal mio petto, un peso che l'imminente missione con Daniel aveva fatto ripiombare giù a schiacciarmi. Insomma, la quantità di imprevisti che entrare in un locale della mafia poteva comportare, era già abbastanza elevata con i pass, figuriamoci senza. E sinceramente, io ci tenevo alla mia pellaccia - e quella di Harry - e non avevo molta voglia di essere ammazzata brutalmente per qualche povero diavolo che s'era indebitato fino alla tomba. Però, Harry la pellaccia l'avrebbe persa comunque, se Smoke avesse perso quell'ultimo grammo di pazienza che aveva, e forse, questa missione era la chiave per farlo acquietare ancora un po'.

«So a cosa stai pensando,» disse lui, all'improvviso. «Ma non lo devi fare».

«A cosa sto pensando?»

«Non sei un'eroina, Sel. Sei una ragazza normale, che non sa neppure usare una pistola, oltretutto. Non devi sentirti in obbligo di aiutarci, e preferirei di gran lunga se tu restassi qui».

«Come ha detto Daniel, se non troviamo Shelman, tuo zio se la prenderà con te,» abbassai lo sguardo sulle mie mani.

«Sei preoccupata per me?»

Non gli risposi: fu il mio turno di rimanere in silenzio.

«Guardami. Per favore, Sel».

La sua mano destra girò delicatamente il mio viso nella sua direzione.

«Sì,» sospirai. «Lo sono».

«Perché?»

Perché ero preoccupata per lui? Se me l'avesse chiesto un mese fa, avrei risposto egoisticamente che era perché non volevo ritrovarmi di nuovo per la strada, senza un posto dove stare. Ma ora? Stavo iniziando a sentirmi strana quando stavo con Harry: era per colpa del bacio, che mi aveva sconquassata da cima a fondo. Perché chiaramente, mi ero ritrovata a volerlo baciare di nuovo, a desiderare in silenzio che mi sfiorasse il viso, e la cosa non andava affatto bene. Se Smoke avesse fatto del male a Harry... come avrei fatto a sopportarlo?

Casa non era la stessa cosa, senza di lui.

«Non lo so,» mormorai. «Ma so che non voglio perderti, Harry».

«Nemmeno io,» sospirò. «Quindi devi stare qua».

Scossi la testa. «Il piano di Daniel potrebbe funzionare. Starò attenta, e poi ci sarete voi, no? Entriamo nel locale, lo troviamo, ed il gioco è fatto».

Harry sbuffò. «Sarà molto più complicato di così,» abbassò il tono. «Probabilmente è uno dei locali che dirige un collaboratore di mio zio».

«Collaboratore?». chiesi.

«Sì, Smoke non fa tutto da solo. Molti boss mafiosi si sono uniti alla sua società negli ultimi tempi, e alcuni sono peggio di lui. Insomma, James sarà anche un assassino senza cuore, ma è piuttosto civilizzato. Gli altri sono solo assassini».

«Staremo attenti, allora,» dissi. «C'è una possibilità che Shelman abbia i soldi?» la cosa che mi faceva forse più paura, era che, involontariamente, stavo aiutando Daniel ad uccidere una persona. Certo, se non lo avessimo trovato, Harry ne avrebbe pagato il prezzo sulla pelle, ma era pur sempre omicidio.

«Ne dubito fortemente. Cinquecentomila dollari sono molti, e se li avesse si sarebbe fatto trovare prima, non credi?»

Il ragionamento di Harry non faceva una piega.

Tornò il silenzio fra di noi, e solo la consapevolezza che di lì a poche ore saremmo dovuti andare a cercare Shelman, mi riempiva di ansia e preoccupazione. Non era una vacanza, non era uno stacco da Smoke Town, il nostro. C'ero finita dentro in prima persona, di nuovo; ormai, però, mica potevo tornare indietro.

«Sai una cosa?» Harry ruppe il velo silenzioso con la sua voce roca, interrompendo anche i miei pensieri.

«Cosa?»

«Penso che il tuo ex ragazzo sia un vero coglione».

Non potei far altro se non ridere alla sua affermazione così improvvisa,
meravigliandomi che se lo ricordasse, pure. «Perché lo dici?»

«Perché se io fossi stato lui, non ti avrei lasciata andare neanche per tutto l'oro del mondo».

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro