11. Occhio per occhio così tutti diventano ciechi
Harry
Il viaggio di ritorno a casa fu lungo e silenzioso. Daniel ci accompagnò con la sua auto, quella che io avevo sempre detestato perché troppo poco ammortizzata -e poi lui diceva che la mia Rover faceva cagare, alla faccia!- per farci evitare di camminare troppo. Selena ancora non m'aveva rivolto la parola, e neanche la biasimavo per quel suo comportamento diventato ora schivo e chiuso e tendente ad ignorarmi. Se ne stava seduta sul sedile posteriore di destra, con la testa poggiata al finestrino e gli occhi che vagavano, assenti e vuoti, sulla strada e la città; la stessa cosa valeva per me, comunque, solo che io stavo guardando lei, che di Smoke Town ne avevo abbastanza.
«Ah, Harry, quasi dimenticavo,» quando Daniel parcheggiò sul ciglio della strada, poco distante dell'albergo di Joe, giunse di nuovo, alle mie povere orecchie, la sua voce divertita ed estremamente fastidiosa; non ne potevo più di ascoltare le sue corde vocali vibrare, e se avessi potuto, gliele avrei strappate senza pensarci due volte.
Uscii dalla macchina, aspettando che lui abbassasse il finestrino. «Cosa vuoi?» sbuffai, e con la coda dell'occhio vidi Selena appoggiarsi al muro di una casa, forse aspettando che finissi di parlare a Daniel. Magari non era così incazzata, dopotutto.
«Solo ricordarti dell'uscita di lunedì,» replicò lui.
Mi accigliai. «Per lunedì non c'è nessuna uscita».
«Cambio di programma, cugino,» Daniel riaccese il motore, armeggiando con la radio dell'auto. «Io e te andiamo a Baltimore. Ordini di James, sai com'è».
«Per quanto?»
«Il tempo necessario,» annuì Daniel. «Ti informerò meglio sabato, alla festa. Siate puntuali, inutile dirvelo».
Si sporse un poco fuori dal finestrino, lanciando un fischio a Selena, e «ci si vede, Sel!» le urlò, ricevendo uno sguardo assassino come risposta, prima di fare retromarcia e ritornare in strada.
Feci un paio di passi incerti verso la ragazza che mi stava fissando, quasi disgustata, e «dobbiamo parlare, penso,» mormorai.
«Ho sonno,» replicò. «Voglio solo andare a casa».
«Ma-»
«Non ho nulla da dirti,» mi interruppe, staccandosi dal muro, iniziando a camminare nella direzione che la avrebbe portata all'albergo, le sue braccia strette attorno al suo corpo e la testa bassa, mentre si guardava i piedi.
«Lasciami spiegare, cazzo,» la raggiunsi velocemente, proprio quando entrammo nel cortile dove stava la mia macchina. «Cristo, Selena!» ripetei, alzando di poco la voce quando notai che non aveva la minima intenzione di fermarsi e di starmi a sentire, perché entrò nell'albergo a passo svelto, dirigendosi su per le scale.
Quando fummo davanti alla porta della stanza dove stavamo, e lei provò ad aprirla, si rese conto che ero io ad avere le chiavi e che nessuno, all'interno, avrebbe risposto: erano tutti andati a lavorare in città, tranne Zayn, che però stava sicuramente ancora dormendo.
«Sel,» ricominciai, posando le mani sulle sue spalle, girandola verso di me. «Posso parlare?»
«Non toccarmi,» sibilò, balzando più a destra di un metro e mezzo.
«Non ti tocco,» annuii, alzando le mani in segno di resa. «Ma tu ascoltami».
«Voglio solo dormire, Harry,» piagnucolò, facendo connettere la sua schiena con la parete del corridoio, scivolando giù, fino a sedersi per terra. «Non voglio ascoltarti».
«Sel,» dissi, di nuovo, mi accovacciai accanto a lei e «mi dispiace,» dissi ancora.
«E per cosa? Per avermi quasi ammazzata?» sbottò lei. «O per non aver mai accennato di essere il nipote di James Smoke e il cugino di Daniel? O per aver mentito spudoratamente riguardo alla centrale elettrica e aver condannato un uomo che non c'entrava nulla a subirsi una punizione che avremmo dovuto prenderci noi?»
«Nessuna delle tre cose,» scossi la testa. «E riguardo alla prima... la pistola era scarica, quindi-»
«E se non lo fosse stata?» mi interruppe ancora, incrociando i miei occhi. «Hai premuto quel grilletto senza neanche pensarci. Come credi dovrei sentirmi? Come ti sentiresti tu?»
«Se mi lasciassi finire di parlare,» sbuffai. «La pistola era scarica e io lo sapevo, Sel. Credi che non sia in grado di distinguere il peso di un'arma carica da una scarica? Andiamo, per Dio».
«E io come diamine facevo a sapere che tu sapevi?» sbraitò di nuovo. «Hai detto tu stesso che non sei una brava persona, Harry. Che-»
«Primo,» ringhiai. «Non sono una brava persona, ma ciò non significa che io ammazzi ragazzine innocenti come te; secondo, avresti dovuto fidarti un po' di più, e ti saresti risparmiata tutti questi problemi inutili».
«Inutili?» Selena balzò in piedi. «Come faccio a fidarmi di te, se tu fai di tutto per impedirmelo? Cosa ti costava avvisarmi del fatto che Smoke fosse tuo zio? Avrei dovuto capirlo da sola, quando hai ubbidito ai suoi ordini com un burattino, e mi hai sparato senza esitare un istante, solo per dimostrargli quanto poco tu tenga a me-»
«James Smoke è un mostro,» fu il mio turno di interromperla. «Se proprio vuoi saperlo, ha ucciso i miei genitori e fatto ammazzare mia sorella da uno dei suoi uomini, solo per fare del male a me. Credi che fargli sapere di aver mentito nel dire che io non tenga a te, avrebbe portato a qualcosa di diverso? Credi che non avrebbe cercato di eliminarti come ha fatto col resto della mia famiglia?» mi resi conto d'aver urlato, e forse d'averla spaventata e scossa ancora di più. Io stesso ero scosso; insomma, non avrei mai pensato di riuscire a parlarle di Gemma, e fu stranamente liberatorio farlo. A voce più bassa, «non avrei dovuto portarti con me,» aggiunsi. «E per questo, mi dispiace».
Selena, ferma immobile, mi fissava con quei suoi occhi grigiastri, tendenti all'azzurro, che finirono per attirarmi verso di lei, sempre di più, ricordandomi di quanto avrei voluto baciarla, solo un paio d'ore prima. Mi fermai, comunque, quando la mia fronte si posò sulla sua, smettendo di avanzare e dandole il tempo di calmarsi, di capire il mio punto di vista, di rendersi conto perché avevo fatto ciò che avevo fatto.
Quando le sue palpebre si chiusero, dovetti usare tutta la poca volontà che mi rimaneva, per non soffocarla con le mie labbra. «Vai a dormire,» dissi allora, estraendo le chiavi dell'appartamento dalla tasca della giacca, facendo poi un passo indietro, scuotendo la testa per allontanare quei pensieri. «Riposati un po',» e le passai il mazzo, che, tintinnando, cadde dritto sul suo palmo aperto.
«Dove vai?» domandò.
«Ho una piccola faccenda da sbrigare,» dissi solamente. Piccola, più o meno. Un conto in sospeso, che ormai era arrivato il momento di chiudere, perché aspettare ancora un po', m'avrebbe forse fatto andare fuori matto.
«Che genere di faccenda?»
«Vai a letto, Sel,» mi voltai, prima di soccombere ai miei primordiali istinti di maschio incallito, ignorando la sua voce che mi richiamò, e scendendo i gradini due a due. Di Selena, per un giorno solo, ne avevo avuto anche troppo.
L'unico, egoistico motivo per cui l'avevo portata alla Torre Verde, quella sera, era la vana speranza di distrarmi dal continuo pensare a mia madre, mio padre e Gemma, che Selena stessa aveva fatto riaffiorare. Non aveva funzionato affatto, non ero riuscito per niente a smettere di rimuginarci sopra, ma almeno avevo tentato.
Poi, il vedere la faccia di mio zio aveva peggiorato le cose, perché il suo ghigno di cattiva colpevolezza qualora nominasse la mia famiglia, mi faceva sempre tornare in mente quella notte, e Dio solo sapeva quanto non ne potessi più. Ammazzare il proprio fratello, la propria cognata e ordinare l'uccisione della propria nipote: quello era ciò che James aveva fatto. Probabilmente ne andava pure fiero e ne era felice, che tanto lui se ne stava lì, intoccabile, nella sua bella villa, a crogiolarsi nei soldi e nel lusso e nella compiacenza del dolore che mi aveva recato.
E poi c'erano i mali minori, Natalie e quant'altro, ma erano ormai ferite cicatrizzate, chiuse e dimenticate. Di certo non avrei sprecato il mio tempo a pensare a Natalie, e ad innamorarmi di nuovo. Una bugia la prima volta, non sarebbe potuta essere altro che bugia anche la seconda. Ed era un teorema, questo, dimostrabile dall'esperienza, e non lo dicevo solo io; bastava chiederlo a tutti quei mazzi di rose rosse buttati nella spazzatura, o ai lucchetti che suggellavano una promessa d'amore eterno, spaccati a metà nel tentativo di rimuoverli dalla grata metallica a cui erano stati agganciati, o ancora ai graffiti con le iniziali di due innamorati, che erano state cancellate furiosamente da striscioni neri o a cui erano stati aggiunti aggettivi poco carini. Specie se poi si era stupidi come me, e le iniziali le si tatuava sulla pelle: quella sì che era una gran bella merda.
Non era di certo colpa mia, se Amore mi aveva fatto più torti di quanto avrebbe dovuto. Io di certo non glielo avevo richiesto, quand'era arrivato a bussare alla mia porta, assieme a tutte le stronzate che mi aveva regalato -il dolore non era compreso nel pacchetto, eppure aveva fatto un male cane.
Scossi la testa per smettere di rimuginare sul passato, che in qualità di passato sarebbe dovuto rimanere tale e non immischiarsi nel mio presente già abbastanza complicato di suo; salii quindi in macchina, dopo averla scoperta dal telo, e prima che me ne accorgessi, stavo guidando per Smoke Town di nuovo, percorrendo la strada che mi avrebbe portato dritto a dove volevo arrivare.
Il silenzio dell'abitacolo dell'auto era diventato parecchio fastidioso, una volta che i primi cinque minuti passarono -solitamente il silenzio mi piaceva, ma c'erano alcune volte in cui era la sola cosa a farmi pensare, e di pensare non ne avevo davvero la forza, in quel momento- accesi così la musica, facendo partire il primo CD che era inserito, e Comfortably Numb subito risuonò nelle mie orecchie, facendomi rilassare all'istante.
Era un po' come stavo io, in quel momento: comodamente insensibile, che di tutto ciò che mi stava accadendo, in realtà non m'importava affatto. Ne ero indifferente, ormai, troppo abituato ai giochetti di James Smoke per farci caso, eppure m'ero preso la briga di mentire per Selena. Era quello ciò che mi disturbava e, in breve, rompeva i coglioni -le avevo letteralmente salvato la vita, e non era la prima volta che lo facevo.
When I was a child
I caught a fleeting glimpse
Out of the corner of my eye
I turned to look but it was gone
I cannot put my finger on it now.
D'accordo, glielo dovevo. Era stata colpa mia, l'avevo attirata io alla Torre Verde, e il minimo che avessi potuto fare era evitare che fosse uccisa, ma lei non aveva il diritto di adirarsi con me. Era un po' come sputare nel piatto che l'aveva cibata, per Dio! Un minimo di gratitudine da parte sua, avrei voluto riceverla.
The child is grown
The dream is gone
I have become comfortably numb.
Alzai il volume della musica quando mi resi conto che stavo pensando decisamente troppo, proprio quando partì l'assolo di chitarra, e poi lasciai che le tre canzoni successive seguissero senza intoppi. Dovetti però arrestare la macchina prima di percorrere l'ultimo tratto di strada che mi separava dalla mia meta, in quanto non m'ero mai fidato dell'asfalto rovinato dei vicoli secondari: non volevo di certo bucare una gomma nel bel mezzo della periferia, disarmato, per di più. Sarebbe stato sconveniente. Molto sconveniente.
Con passo svelto e felpato attraversai il piccolo spiazzo che mi divideva dalla zona dove risiedeva quella mia vecchia conoscenza: non era un bel posto in cui vivere, proprio per niente, e non solo per il fatto che più ci si avvicinava al quartiere Jackson Avenue, più le persone assomigliavano alle bestie, ma anche per la quantità di ricordi che quel posto mi portava -cose meschine, subdole, che mai avrei voluto rivedere: «sei l'unica cosa che mi resta!»
Con ogni metro percorso, con il mio avvicinarsi alla casetta di modeste dimensioni, quella dalla porta rossa che tutti si guardavano bene dall'imbrattare di graffiti, sentivo il mio cuore accelerare sempre più. Batteva forte, come se cercasse di scappare fuori dal mio petto, a gambe levate, nella direzione opposta al vicolo che stavo giusto percorrendo.
Era buio, proprio come l'ultima volta in cui ci avevo messo piede. Era sporco, sudicio come tutta la periferia, del resto, e l'odore pungente dei cassonetti della spazzatura mi costrinse a respirare dalla bocca. Sempre se di respiro me ne fosse rimasto.
La stradina era vuota, però. Non c'era anima viva, al contrario di quella notte di tre anni prima. La luna l'aveva illuminata: la sua chioma bionda riversa sull'asfalto sporco di rosso ero riuscito a scorgerla da una distanza notevole. Oggi, invece, niente ragazze morenti a darmi il benvenuto.
Passo dopo passo, i metri s'accorciarono, fino a quando non giunsi proprio sopra a dove m'ero fermato, quella volta. Gemma non c'era più, ma immaginarla lì distesa non era difficile. I suoi ansimi, rantoli affrettati e confusi, nei quali avevo distinto un ti voglio bene, Harry, ormai allo stremo.
E io, sei l'unica che mi resta!, ero riuscito a dire, e l'avevo poi scossa, cercando di mantenere aperti i suoi occhi verdi. Non lasciarmi da solo!
Però, l'attimo dopo, era morta. Lì, in un secondo. Fra le braccia del suo stesso fratello.
Mi costrinsi a voltare lo sguardo, a distoglierlo dalla strada e puntarlo sulla porta rossa, per chiudere la questione una volta per tutte. Ne avevo abbastanza.
In un paio di falcate la raggiunsi, e iniziai a battere sul legno quasi in modo ossessivo, senza la cortesia che comunque non avevo mai avuto.
Cortesia? Ma fatemi un piacere. Cortesia! Ma figuriamoci.
Con la cortesia si viene ammazzati e basta.
Dopo quasi un minuto di non-cortesia da parte del sottoscritto, un paio d'imprecazioni di elevata creatività e un mezzo calcio alla porta, questa si aprì, cigolando e stridendo, lamentandosi forse delle botte ricevute, e un ragazzo poco più grande di me mi si presentò davanti.
Non avrei saputo esattamente come definirlo. Vecchio non amico? Conoscente? Spacciatore svitato con un dubbio senso dell'umorismo? Ex ragazzo di mia sorella Gemma?
«Harry?» sgranò gli occhi, se li strofinò, forse convinto d'avere delle allucinazioni, «che cazzo, sei proprio tu!» esclamò.
«Sam,» lo salutai con un algido e distaccato cenno del capo, entrando in quella sua casetta carina carina senza aspettare un permesso vero e proprio: di attendere ero stufo marcio.
Non ricordavo per niente com'era l'interno, ma non fui sorpreso affatto di trovarci tutto il suo gruppetto di amichetti drogati seduti in circolo, in salotto, a dividersi un paio di canne e a insudiciare l'aria con quel tanfo d'erba schifoso e acre. «Credevo ne fossi uscito,» borbottai, lanciando uno sguardo al ragazzo, che aveva appena chiuso la porta d'entrata a chiave.
«Infatti,» replicò. «Più o meno».
«Più o meno cosa vuol dire?» insistetti. «Non ne sei uscito affatto, Sam».
«Oh, che c'è? Tutto d'un tratto ti importa qualcosa di me?» mi scoccò un'occhiataccia, una di quelle che aveva imparato dal sottoscritto, facendomi strada verso la cucina per bloccare con una porta i discorsi poco ortodossi che stavano facendo quei quattro, nell'altra stanza.
«Di te non me ne frega un cazzo neanche ora,» dissi.
Sam si passò una mano fra i capelli corvini, che aveva lasciato crescere da quando l'avevo visto l'ultima volta, tanto che gli erano arrivati fin sotto le orecchie, e sospirò come se si fosse rassegnato all'idea che mai e poi mai l'avrei accettato. «Senti, Harry. Non so perché sei qui, ma posso assicurarti che non mi drogo più da qualche mese. Spaccio e basta, adesso, come prima».
«Te l'ho detto che di te non m'importa,» rimarcai, sedendomi sull'unica sedia presente al piccolo tavolo quadrato. «Per me puoi anche ricominciare a farti».
Sam si poggiò alla superficie di granito del mobile del lavandino, che probabilmente neanche funzionava, e contrasse la mascella, fissandomi troppo attentamente per i miei gusti. «Cosa fai qua, Harry?» domandò poi. «Che cos'è che vuoi, esattamente?»
Quasi risi alle sue parole, che più inutili e insulse non potevano essere state dette. «Prova ad indovinare».
«Se è per Gemma, lo sai che l'amavo, e che non sono stato io-»
«Ah, Samuel,» sospirai. «Lo so che non sei stato tu, ma non perché apparentemente la amavi, ma perché non ne avresti le palle. Non hai mai ammazzato qualcuno, te lo si legge in faccia. Non hai idea di cosa si provi».
Il ragazzo pressò le labbra assieme; notai un lampo di dolore attraversare e sfigurare per un attimo i suoi lineamenti marcati, per poi sparire ed essere rimpiazzato dalla sua solita espressione tranquilla. «Perché mi odi tanto, si può sapere?» disse solo, incrociando le braccia al petto.
«Io non ti odio affatto,» scossi la testa. «Ma vedi, era compito tuo, proteggerla. Ti avevo affidato mia sorella, Sam, eppure mi è morta fra le braccia. Mi spieghi perché mia sorella se ne è andata, se era sotto la tua protezione? Se la amavi tanto come dici?» dovetti sforzare la mia voce ad uscire dalla bocca, a non spezzarsi, a rimanere salda, cosa che Sam non riuscì a fare tanto quanto me.
Lo vidi boccheggiare, sul punto di spiccicare parola, anche se non si udì alcun suono. «Mi dispiace,» mormorò poi. «Credi che non ci pensi, Harry? Credi d'essere il solo a tenere a lei?» i suoi occhi arrossati si inumidirono. «Non sei l'unico ad essersi ritrovato a vivere come un cane randagio e rabbioso, sai. Era l'unica persona con cui mi azzardavo a parlare di cose serie; lei capiva, al contrario di te o gli altri. Non sei l'unico a cui manca da morire, Harry».
Fu il mio turno, quello di rimanere spiazzato. Sam non m'era mai piaciuto, il suo brutto giro, il suo essere una testa calda, e per settimane dopo la morte di Gemma, avevo creduto fosse stato a causa di uno scambio finito male, che lei era stata uccisa. Solo dopo, per pura contingenza, origliando una conversazione di James con uno dei suoi uomini, avevo capito che era stato proprio lui ad aver ordinato quell'assassinio a sangue freddo. Questo, comunque, non aveva smorzato il fastidio che Sam mi dava, né aveva alzato la poca stima che avevo di lui -in effetti, era pari a zero, che fosse o meno colpa sua. Sam era Sam. Punto e basta.
«Cos'è che vuoi, Harry?» chiese di nuovo lui, facendomi riemergere e riprendere fiato.
«Lo so che sai chi è stato,» andai dritto al punto, lasciando che i miei occhi si fissassero nei suoi, neri come la notte. Non avevano più le stelle, le iridi di Sam: Gemma le aveva portate via tutte, sia a lui, che a me. «Voglio che mi dai quel nome».
«Perché mai dovrei?» alzò un sopracciglio.
«Perché siamo dalla stessa parte, dannazione,» sbottai, cercando di mantenere un tono basso e di non alterarmi troppo. «Non dirmi che non vorresti farla pagare a quel bastardo-»
«Non è con la vendetta che si risolvono le cose,» osservò, incrementando il livello di stizza e nervosismo già presente nel mio corpo.
«Occhio per occhio, dente per dente, Samuel. Mai sentito dire?» mi giustificai.
Scuotendo la testa, «è da pazzi,» disse, portò una mano nella tasca dei pantaloni, ne estrasse un pacchetto di sigarette e un accendino, e «Gemma non vorrebbe tu la vendicassi,» disse ancora, accendendosi la cicca, portandosela infine alle labbra.
«Il nome, Sam,» insistetti, guardando il fumo grigiastro salire verso il soffitto. «Tu non conosci mia sorella, non sai cosa vorrebbe».
«So che non vorrebbe questo, cazzo!» esclamò l'altro, con uno sbuffo denso e scuro uscitogli dalla bocca e dal naso.
«Ah sì?» strinsi i denti, serrandoli assieme per impedirmi di perdere le staffe. «E perché mai?»
Sam mi fissò una manciata di secondi con quel suo sguardo duro e impuntato sui suoi principi e le sue decisioni, dopodiché si rilassò tutto, di colpo. Le spalle tornarono a curvarsi leggermente verso l'interno, le rughe d'espressione fra le sopracciglia e sulla fronte sparirono, i suoi muscoli lasciarono la morsa che li contraeva, e aspirò altro fumo. «Bene, Harry. Te lo dirò,» annuì. «Alla condizione che tu non faccia nulla di idiota, come tuo solito».
Non risposi, perché promettere qualcosa che sapevo non avrei mai mantenuto, era come mentire in faccia ad un completo onesto. Sam era tante cose, ma non un bugiardo; io ero tante cose, ma non un traditore. Non me la sentivo di mentirgli così.
«Saranno state tipo le due, due e mezzo del mattino,» iniziò, tossicchiando. «Avevamo appena finito... uhm...»
«Oh, ti prego,» roteai gli occhi. «Non voglio che mi ricordi del fatto che ti scopavi mia sorella. Vai al cazzo di punto».
«Troppo volgare. Quella parola non mi piace; preferisco fare l'amore, quello che tu non riesci a capire-»
«Vai al-»
«-punto, okay, okay,» Sam espirò altro fumo, sbuffando a causa della frustrazione che molto probabilmente gli facevo venire. «Insomma, il coprifuoco che le avevi dato era a mezzanotte, passata da un pezzo, quindi si è affrettata a salutarmi e ad uscire di casa,» fece una pausa, lunga, e il lieve sorriso che aveva in volto divenne una smorfia di puro dolore. «Neanche un minuto dopo l'ho sentita gridare. Gemma era una tosta, non si spaventava mai per cazzate inutili, e pensai dovesse essere successo qualcosa di serio, insomma».
Gemma era una tosta? Altroché. Era molto più tosta di me, onestamente. Lei non aveva paura di niente; o meglio, aveva paura di molte cose, ma le affrontava sempre a testa alta, al contrario di come facevo io. Era una specie di leonessa, lei, ed anche quando mi stava morendo fra le braccia, era rimasta una leonessa. Non le importava degli avvoltoi che le stavano divorando la carne.
Ti voglio bene, Harry.
Sam proseguì, facendomi ritornare alla realtà: «sono uscito di corsa, e credimi, se avessi potuto salvarla l'avrei fatto. Ho visto l'aggressore che scappava a gambe levate, e l'ho inseguito-»
«Ti farà invece piacere sapere che era ancora viva, quando l'ho trovata io,» severo, lo guardai negli occhi di nuovo. «E che forse tu avresti potuto salvarla, se fossi rimasto con lei, invece che correre dietro al suo assassino».
«Cazzo, Harry,» mormorò. «Cazzo, il suo cuore non batteva, non aveva polso-»
«Ne aveva abbastanza da salutarmi, te lo assicuro,» annuii.
«Sei serio?» sussurrò. «Dio, se potessi... mi dispiace, Harry, io-»
«Il nome, Sam,» lo interruppi. «Voglio solo il nome, così potrai uscire dalla mia vita una volta per tutte, e continuare a spacciare droga per il resto dei tuoi anni».
Samuel sospirò, si strofinò il viso con una mano, la sigaretta ormai finita nell'altra, poi «la persona che ho inseguito,» disse. «Era Daniel Smoke».
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