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7- Prassi (I)

Ejel Sorgüt si trovava nella Primaria per adempiere a uno dei suoi tanti doveri da rappresentante del popolo. Dati gli alloggi, le palestre e le armi che la corona metteva a disposizione, molti soldati preferivano vivere nella fortezza piuttosto che nella Capitale o nelle lussuose ville dei propri isolotti privati. La struttura della Primaria era quella di una vera e propria roccaforte: si estendeva verso l'alto con i suoi bastioni e le sue mura, incutendo volontariamente un muto terrore; al centro dell'isola si trovava il grande giardino degli addestramenti, dove i soldati, con spade di ferro o di legno, combattevano tra loro per allenarsi; i piani superiori ospitavano poi le camere e non mancavano numerose sale allestite per il benessere dell'esercito.

La fortezza era una costruzione recente, che non superava i sessant'anni: era nata dall'esigenza di ampliare gli spazi riservati ai Cavalieri di Fuoco, così da accogliere un esercito giovane quanto, se non più, la costruzione stessa. Era stata voluta da Keira Skysee, madre di Dionne, appena stabiliti i suoi obiettivi politici e da allora aveva accolto l'intero esercito. Prima di Keira infatti le Terre Volanti non ne avevano uno: erano state le mire espansionistiche della vecchia sacerdotessa a trasformare il regno, da sempre pacifico, in una potenza militare, cambiandolo in tal modo a partire dalle sue fondamenta.

Dalla morte di Keira l'esercito, ormai consolidato e parte della società, non era mai stato riformato. Da una parte nel timore di possibili guerre future, dall'altra a causa dell'influenza dei soldati nell'economia del regno. C'era anche un terzo motivo che spingeva Dionne a non scioglierlo, la razionale paura di inimicarsi una potente classe sociale che ormai da anni aveva trovato il suo equilibrio. Il ruolo dell'esercito era diventato secondario nelle Terre Volanti, ma la sua eliminazione si vedeva impensabile a causa di un passato non troppo lontano. L'ombra di Keira avrebbe sempre sovrastato la figura di Dionne, una sanguisuga che mai si sarebbe staccata dalla sua pelle, ricordandole giorno dopo giorno ogni singolo sbaglio e ogni singola sconfitta della madre.

Come ogni settimana Ejel controllava la situazione e soprattutto suo figlio che, molto giovane per comandare, necessitava dei suoi insegnamenti per apprendere e migliorare. Entrambi ora si trovavano all'ingresso della roccaforte, in attesa, la mano destra sull'elsa della spada e la sinistra dietro la schiena, così come il saluto reale richiedeva. Due piccoli draghi, provenienti da sud, si scorgevano in lontananza e volavano rapidi nella loro direzione, aiutati dalle correnti d'aria che soffiavano in loro favore verso nord. Non ci volle molto perché le bestie atterrassero, alzando uno strato di terra tale da costringere i due uomini a coprirsi il viso con il braccio.

Dal dorso dei draghi scesero due soldati, che porsero subito la mano alle reggenti. Fleur nemmeno la strinse, lanciando subito un'occhiataccia a Vuxta, dietro di lei.

La sua presenza non faceva che innervosirla. Non le piaceva come la guardava e sgridava per ogni comportamento, come da giorni la seguiva e provava invano a spiegarle una cosa piuttosto che un'altra; si sentiva limitata nella propria libertà e in trappola, più di quanto non si sentisse già prima. Fleurdelys aveva accettato di partecipare a una delle prassi mensili della madre, nonché il controllo della Primaria e della Secondaria, solo perché Vuxta le aveva promesso in cambio un giorno di pace. E lei non era così stupida da lasciarsi sfuggire un'occasione simile.

Dentro sé, Fleur sperava solo che quella giornata passasse in fretta. Non aveva alcuna voglia di seguire per tutto il tempo Dionne nelle sue noiosissime attività. Per quanto sapesse che prima o poi quel ruolo sarebbe spettato a lei, era più ostinata che mai a non ricoprirlo.

Ejel e Michael si inchinarono, indicando loro la strada. Sorpassarono le pesanti porte di metallo, ritrovandosi così nel corridoio che li avrebbe condotti al cortile centrale. Grandi finestre di vetro si estendevano su una delle pareti, una miriade di quadri, rappresentanti i generali che anni orsono avevano servito la famiglia reale, ricoprivano invece l'altra. I loro passi riecheggiavano nel più assoluto silenzio, silenzio interrotto solo dall'ormai vicino cozzare delle spade. Con la fine del corridoio, arrivò anche la luce. L'enorme giardino presentava una moltitudine di soldati impegnati nel proprio addestramento: c'era chi optava per un allenamento individuale, chi preferiva correre o duellare con un compagno e chi invece seguiva le istruzioni dei capitani, cimentandosi in faticosi esercizi per aumentare la resistenza fisica e mentale sul campo di battaglia.

«Perché non mi hai mai portata qui, madre? Avrei sicuramente apprezzato gli sforzi dei nostri uomini» disse Fleurdelys, studiando i corpi sudati dei soldati con occhi lascivi.

«Perché non ci sei mai voluta venire»

Dionne si rivolse allora ad Ejel, non accorgendosi del suo volto intristito, i grandi e vecchi occhi scuri che riflettevano tutto il suo amore.

Era da anni ormai che amava la sovrana da lontano, che la contemplava e serviva in silenzio, soffrendo in solitudine per quel sentimento non corrisposto. Avrebbe dato la vita per lei, avrebbe tradito per lei, avrebbe ucciso per lei, eppure si era ritrovato a rinunciarvi, sposando la donna con cui, quando era molto giovane, aveva avuto un figlio. Una regina alla fine non poteva che sposare un uomo di considerevole importanza e un generale era niente a confronto di un re o di un uomo ricco quanto un principe.

Ejel Sorgüt conosceva Dionne Skysee da quando lei aveva appena sei anni e lui diciassette: l'aveva vista crescere e l'amore fraterno che li univa si era trasformato, per lui, in qualcosa di più. Nonostante gli undici anni di differenza, Ejel non era più riuscito a vedere la regina come una sorella minore dal giorno dell'investitura, quando prese le vesti di sacerdotessa. Si ricordava alla perfezione di quel momento: Dionne indossava l'abito cerimoniale, aderente alle curve ormai da donna, i capelli ramati, ribelli nella stessa acconciatura, le incorniciavano il viso come fiamme, e nel suo viso, truccato con precisione, spiccava quel suo sguardo fiero e focoso.

Si rese conto di esserne innamorato quando la ragazza, appena diciottenne, lo chiamò in privato per dargli due grandi notizie. La prima lo rese l'uomo più felice del mondo: poter servirla come suo generale dell'esercito; la seconda l'uomo più sofferente del regno: in due anni avrebbe sposato un uomo sconosciuto delle Terre di Mezzo. Stare a stretto contatto con la donna che amava, ma non poter toccarla, baciarla, confessarle i suoi sentimenti, era una tortura. Dionne non l'aveva mai guardato con malizia, forse mai aveva guardato nessuno nel modo in cui Ejel, nella sua sofferenza, desiderava guardasse lui. Era una donna virtuosa, credente, che amava l'idea dell'amore ma che non si permetteva d'amare altri che non fossero i suoi dèi. L'amore romantico non faceva per lei e tantomeno l'amore passionale. Figuriamoci la sola e pura passione.

«Vorrei parlare con ogni capitano, potreste riunirli?»

Ejel annuì, lo sguardo afflitto che si soffermò un'ultima volta sul viso di Dionne. Cercando di nascondere il proprio dolore, si mescolò quindi ai soldati, il passo trascinato di chi amava e si dannava per quello stesso amore.

«Sai perché tua madre vuole parlare con i capitani?» domandò Vuxta a Fleurdelys, posando il braccio sulla sua spalla.

Lei si scostò, infastidita dal contatto non desiderato. «Perché dovrebbe interessarmi?»

«Dionne si informa di ciò che manca al suo esercito, cerca di fornire il più possibile a ognuno dei suoi soldati, non solo per quanto riguarda armi e salario, ma anche per le condizioni della struttura» le spiegò, indicandole la fortezza e ignorando la sua risposta. «Cerca di garantire una vita agiata e comoda e per farlo non può che prendere in considerazione eventuali lamentele o problemi»

Dionne, che aveva sentito ogni singola parola, non riuscì a non sorridere. La figura del Dio Luna non poteva che giovare all'educazione di Fleur che, volente o non volente, stava ascoltando qualcosa di utile per regnare. Il solo fatto che Vuxta fosse riuscito a portarla fino alla Primaria era per lei un grandissimo passo avanti.

«Michael»

«Sì, mia signora?» rispose lui, preso alla sprovvista.

Michael Sorgüt non arrivava neppure ai trent'anni e la stessa ingenuità di quando era un bambino continuava a stanziare sul suo giovane volto. Sebbene fosse figlio di Ejel e ricoprisse la carica da quasi un anno, a differenza del padre era molto insicuro di sé. Non si sentiva meritevole né pronto per rivestire il titolo che la sua famiglia ricopriva da generazioni e l'idea di non essere all'altezza del nome che portava lo terrorizzava. Per tutta la sua vita aveva vissuto con il peso della consapevolezza di non essere come Ejel, di non valere abbastanza; era impacciato, di certo non un buon leader e spesso e volentieri la sua autorità veniva schiacciata da quella dei capitani. Di questo suo padre non sarebbe mai stato a conoscenza.

«Ejel vi ha spiegato il ruolo dell'esercito?»

«Certamente, mia signora»

Era stato educato per comandare l'esercito dalla tenera età di dieci anni. Michael sapeva tutto del suo compito, forse troppo, ma nonostante ciò, per quanto desiderasse essere un buon generale, sapeva di non avere né la stoffa né il carattere. Trattenne un sospiro amareggiato, gli occhi che si fissarono sulle sue mani, mani non in grado di uccidere o ferire qualcuno.

«Allora saprete bene perché per la corona la sua esistenza sia un'arma a doppio taglio»

Dionne voleva che sia lui che Fleurdelys ascoltassero le sue parole. Dopo l'avvertimento della Dea Terra aveva deciso di mettere in guardia le persone a lei care: non sapeva quando, come o perché, ma era certa che, presto o tardi, sarebbe accaduto qualcosa di grave nelle Terre Volanti.

«Un'arma a doppio taglio? L'esercito è fedele a voi, mia signora» sottolineò confuso.

«Vedete, l'esercito è il pilastro più importante del regno. Una tale potenza va tenuta sotto controllo perché, se dovesse ribellarsi, potrebbe ribaltare, se non distruggere, la gerarchia monarchica»

«Per questo non gli fai mancare niente e lo finanzi con ogni tuo mezzo» si intromise Fleur, ragionando a voce alta.

Rendendosi conto del suo gesto impulsivo e soprattutto interessato, la sacerdotessa assunse un'espressione seria, spostando l'attenzione altrove. Si allontanò quindi da Michael e da sua madre, senza congedarsi come era consuetudine fare, e prese a girovagare tra gli uomini impegnati nel proprio allenamento. Vuxta, alle sue spalle, fece un occhiolino a Dionne e seguì la principessa fischiettando.

Solo nei giorni a seguire Dionne avrebbe compreso quanto fino a quel momento aveva ignorato: per quanto pagasse l'esercito, il vano tentativo di riabilitare il nome che portava, mai avrebbe avuto la sua fiducia. Quella era andata perduta trent'anni prima, quando sua madre aveva osato troppo, concedendo un potere che avrebbe dovuto tenere per sé.

Era bastata la morte della persona sbagliata e l'esercito si era preso la vita di chi troppo aveva preteso. La verità era una: da diverso tempo le Skysee non erano più considerate le sovrane delle Terre Volanti.

La lunga notte della Spada Rossa era alle porte. E a Dionne e Fleurdelys non restava che pregare.

Pregare degli dèi a cui era impedito intervenire a causa di un volere più grande.

Quello di Araw.

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