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40- Hypnos

Una dolce melodia riempiva le strade della città, accompagnando i passanti nel loro cammino: era la voce di un ragazzo, un giovanotto tanto smilzo quanto alto che, per due soldi, si accontentava di racimolare monete con un cappello sgualcito per terra e un vecchio strumento tra le mani. Non ne conosceva il nome, nessuno probabilmente lo ricordava, ma il morbido suono a cui il vibrare delle corde dava vita per lui era abbastanza. Non gli servivano risposte, era quanto di più importante aveva. Ogni tanto qualcuno si fermava, chiudeva gli occhi e si lasciava trasportare dalle parole lontane di una lingua inesistente e inventata sul momento, senza accorgersi dei ladruncoli che nel mentre aprivano svelti le borse e frugavano abilmente nelle tasche.

Una ragazza danzava leggiadra sulle melanconiche note, i capelli rossastri che vibravano nell'aria e come fiamme attiravano uomini e donne. Ballava libera, leggera, una foglia trasportata dal vento con estrema delicatezza. Erano fratello e sorella. Non conoscevano la propria età, tantomeno i loro veri nomi: quelli erano morti, dimenticati nell'incendio che aveva coinvolto la loro prima e unica casa. Ora si facevano chiamare Reijo e Reira, ma solo perché così erano stati registrati dalle autorità locali anni prima.

Le luci delle case e dei locali illuminavano le strade dell'intera città, urla di gente ubriaca, canzoni improvvisate e loschi affari conclusi con strette di mano: Hypnos non si spegneva mai. Nonostante fosse notte inoltrata, erano pochi coloro che osavano davvero dormire, concedendosi il lusso di sognare di vivere in un luogo diverso, più gaio, più sereno, semplicemente più. Svegliarsi da un sogno tanto bello, spesso e volentieri non era possibile. C'era un detto in città che le madri raccontavano ai figli al posto di favole spensierate; così faceva: "Dormi e muori e se non muori dormirai avendo niente". Più che un detto era una sorta di avvertimento. Hypnos era una città pericolosa: violenza, prostituzione, inganno e frode erano i suoi pilastri. Non di rado la gente spariva e quando qualcuno spariva si dava per scontato fosse ormai perduto: se incontrava il Dio Luna allora era stato anche abbastanza fortunato. In una città come quella non era la morte il vero male.

L'unica legge presente era quella della sopravvivenza.

Reijo intonò una precisa parola, alzando il tono e toccando note più alte. Era il segnale per i bambini, un invito a fuggire con il bottino. Anche lui e Reira scapparono, perché la fuga repentina degli orfani e le loro risate traditrici ridestavano puntualmente la gente dall'incantesimo della musica; se li avessero acciuffati per loro sarebbe stato un enorme problema. Finire nelle mani delle autorità, forse il peggio del peggio, equivaleva a indebitarsi in cambio della libertà, scambiare favori o farsi uccidere. Erano loro i predatori più forti -dopo i ricchi mercanti- in quelle terre abbandonate dagli dèi.

Dall'altra parte della città, verso la campagna, sorgevano ville dai cancelli dorati, un succulento invito per i ladri meno esperti; i più furbi non si permettevano di oltrepassare il sottile confine che separava i ricchi dal popolo. I quartieri commercianti non erano presidiati a dovere dalle autorità locali, ma nessuno si azzardava a spingersi così in là: il potere bastava loro per difendere il proprio denaro e la dimora in cui dormivano beati. Si sapeva, tutto ciò che accadeva a Hypnos ai ricchi mercanti non sfuggiva; le fedeli spie, che occhi e orecchie avevano ovunque, avrebbero riferito senza alcun indugio quanto visto e sentito, e se ciò ai loro padroni non andava bene allora erano guai per tutti coloro immischiati nella questione. La gente preferiva non interferire con gli affari dei ricchi perché la miseria in confronto non era poi così male.

Tornando ai bassifondi, dove la maggior parte della popolazione viveva quasi schiacciata da se stessa, erano i bordelli, luoghi di evasione e di estrema avarizia, il vero centro di Hypnos. Denaro, prostituzione, assassinii, tutto passava nelle camere del piacere e della violenza, e sebbene gli abbienti mercanti non avessero il bisogno di recarsi personalmente nel cuore del peccato, anche quelli erano in realtà sotto la loro minuziosa giurisdizione. Niente apparteneva al popolo, neanche la propria vita.

«Dovremmo averli seminati» dichiarò Reira, il vicolo in cui lei e il fratello si erano nascosti a proteggerli.

Reijo posò lo strumento per terra, riprendendo fiato e sedendosi.

«Sette» disse, mettendo in fila le monete guadagnate e contandole nonostante in realtà non avesse mai imparato a farlo.

«Quelle sono cinque» sbuffò la ragazzina «Magari ai bambini è andata meglio»

Reira si affacciò sulla strada principale, guardandosi intorno sospettosa e studiando la situazione. Nessuno sembrava essere sulle loro tracce.

«Rei credo possiamo and...»

L'urlo di Reijo, stridulo e strozzato, la fece voltare di scatto. Due uomini si trovavano nel vicolo, uno che si rigirava le poche monete tra le dita e l'altro che teneva le sue le zozze manacce intorno al collo di suo fratello.

«Lascialo andare!» gridò subito Reira, la voce ferma che nascondeva la sua paura «Lascialo andare, bastardo!»

Si gettò sull'uomo senza pensarci, aggrappandosi alla sua schiena e mordendogli le spalle. Questo reagì, liberandosi di lei con una gomitata sul viso, e Reira cadde, picchiando il naso sul terriccio.

«Stupida cagnetta» sbraitò quando la vide soffocare un lamento di dolore e gattonare verso Reijo. Le tirò quindi un calcio e Reira si ritrovò involontariamente a urlare, lacrime di frustrazione ancorate agli occhi scuri.

Fece per tirarne un altro, quando il compagno lo fermò, una mano sul braccio muscoloso.

«Non colpirle il viso» lo rimproverò «Non è brutta e i suoi capelli sono rari, possiamo ricavarne un bel gruzzolo»

L'uomo che fino a qualche istante prima la stava picchiando annuì, afferrandole il mento per guardarla meglio.

«Zigomi alti, labbra sottili, spero solo di non averle rotto il naso» si avvicinò, osservandola a qualche centimetro di distanza «Scarna e zozza, ma carina. Prima di venderla dovremo farle mangiare qualcosa o sembrerà malata»

«Lasciami, brutto porco» rispose lei, prima di sputargli addosso e ricevere di conseguenza uno schiaffo.

«È il tuo giorno fortunato, non ti ucciderò» borbottò deluso, caricandosela sulle spalle tra urla e inutili calci «Cosa ne facciamo di lui?» chiese poi, rivolgendosi all'altro e indicando il ragazzino svenuto.

«No! Lasciatelo stare! Prendete me, ma lasciatelo stare!» li pregò Reira, gridando disperata, lo sguardo fisso sul corpo immobile di suo fratello.

Il secondo uomo, quello che tra i due era più alto e slanciato, la guardò enigmatico, piegandosi su Reijo e premendo due dita sulla giugulare. Aspettò qualche secondo, accendendosi il sigaro nel mentre, poi annuì e inspirò.

«È vivo»

Reira singhiozzò, le lacrime che sgorgarono di sollievo senza il suo volere e la preoccupazione che finalmente scemava. L'uomo che la teneva ferma sospirò scocciato e iniziò a camminare, addentrandosi sempre più nello stretto vicolo, e lei non capì perché l'altro continuasse a fissarla, fumando quasi con disinteresse, fino a quando non lo vide poggiare la scarpa lercia sulla fronte di Reijo.

Non riuscì a gridare, ogni genere di suono le si mozzò in gola.

Spinse la testa con violenza contro la parete su cui poggiava e il sangue schizzò sulle mattonelle, imbrattando senza alcuna pietà di rosso il vicolo e i biondissimi capelli dell'unica sua famiglia. Guardò la scena con gli occhi spalancati, l'uomo che lo prendeva a calci e rideva, rideva e rideva, il suono che via via si faceva sempre più distante.

Smise di divincolarsi, di lottare, ogni forza l'abbandonò e si ritrovò presto a penzolare come un cadavere sulla schiena del primo uomo. Il viso gentile di Reijo era lì, davanti a lei, sorridente, e cantava spensierato la sua dolce melodia; il sorriso mutava però in una smorfia di dolore e la melodia si trasformava in un suono sordo: era quello del cranio che veniva spaccato contro il muro una, due, tre, quattro, cinque e sei volte, lo strumento che Reijo sempre suonava e custodiva come un tesoro che veniva calpestato come se nulla valesse.

La melodia era morta, Reijo era morto, una parte di Reira stessa era morta.

Rimase ferma, immobile, la bocca e gli occhi ancora spalancati, l'immagine del fratello che veniva ammazzato impressa nella mente. Uscirono dalla città, poteva percepirlo dal suono delle onde, ma non le importava. Era debole per difendersi, troppo debole per reagire. Era questa la verità. Era colpa della sua debolezza se Reijo era stato ucciso, era sua la colpa se avevano trovato riparo in quel vicolo ed era sempre colpa sua se ora lui era morto e lei si trovava alla completa mercé di gente tanto crudele. Non era stata abbastanza attenta, abbastanza furba e ora ne stava pagando le inevitabili conseguenze.

«Guarda laggiù» indicò l'uomo dietro di loro «C'è qualcosa sulla spiaggia»

Nel vederlo sfregare il sangue dalla camicia di lino, Reira spostò lo sguardo, trattenendo altre lacrime. Era così debole da non riuscire neanche a combattere per la sua libertà. Ma che libertà l'aspettava nel fuggire e nascondersi, rubare e spendere quel poco che aveva in acqua e cibo? Aveva perso l'unica persona con cui la sua inutile vita le sembrava sopportabile.

«Un carico?»

«Vale la pena controllare»

Chiuse gli occhi gonfi, proteggendoli dalla sabbia nera che l'uomo alzava ad ogni passo. Non le interessava cosa i due avessero appena trovato, il dolore che provava era troppo intenso per concentrarsi sulla realtà e altro che non fosse la sua stessa sofferenza. Parte di lei non c'era più, Reijo non c'era più.

«Pare essere la nostra notte fortunata»

Non comprese il motivo di quelle parole finché l'uomo non caricò con estrema facilità qualcun altro sulla spalla libera: una giovane donna dalla corta chioma corvina. Aveva gli occhi chiusi, ma il suo petto si alzava e si abbassava veloce sotto la larga camicia da uomo, che bagnata era ormai diventata trasparente e non lasciava alcuno spazio all'immaginazione. Si trovava talmente vicina che ne riuscì a studiare i dolci lineamenti del viso. Era bella, molto bella, di una bellezza talmente particolare che venderla non sarebbe stato difficile. A Reira dispiacque per lei: approdare a Hypnos non era stato che un triste scherzo del destino.

Una volta sveglia avrebbe certamente desiderato gli abissi del mare, piangendo la morte per non averla portata con sé.

Era persa.

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