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39- Tradimento

L'ora del coprifuoco era ormai passata e tutto sembrava procedere secondo i piani. Così come Henry aveva riferito, la maggior parte dei soldati si concentrava sull'unico ingresso presente e i pochi sulle torri di vedetta dormivano beati, ignari del sonnifero somministratogli ore prima dal loro stesso superiore. Rossana aveva fornito, tritata e lavorata a dovere, una particolare pianta ipnagogica, che necessitava di un largo intervallo di tempo prima di avere effetto, e il capitano, seguendo meticolosamente le sue istruzioni, aveva fatto il resto; era stata una dura prova di fiducia, tanto che Rossana si era preparata ad ogni evenienza, pronta a incassare una dolorosa pugnalata al cuore.

Non ci fu però bisogno di scappare o combattere, i soldati non le videro infatti arrivare e lei e Anne Sorgüt riuscirono a raggiungere l'isola volante senza problemi: per un breve istante la fiducia persa nei confronti di Henry minacciò di risvegliarsi, quasi come se anch'essa fosse caduta per un tempo indefinito in un sonno profondo e ora si stesse ridestando dal suo incubo di tradimento. Rossana la ricacciò prontamente indietro, obbligandola a dormire ancora e ancora, rifiutandosi quasi di riporla in qualcuno di cui poco sapeva e che sincero non era stato. Legarono il drago distante dalla prigione, da una parte per evitare di correre inutili pericoli e di essere avvistate dalle guardie non addormentate, dall'altra per essere più vicine alla bestia una volta uscite dal passaggio. Non sarebbero infatti entrate dalla porta principale.

Rossana conosceva tutto del regno e dei suoi passaggi segreti e, sebbene non avesse mai percorso gran parte di questi, ricordava perfettamente il luogo in cui sorgessero e il modo in cui si ramificassero nei palazzi e i loro sottosuoli. Quello delle prigioni si trovava poco lontano dalla fortezza, vicino un ammasso di rocce e pietre che lo nascondeva alla perfezione.

Durante la Battaglia dei Mille era stato utilizzato più volte da Keira Skysee per liberare prigionieri di guerra senza il permesso dei suoi consiglieri e l'aiuto di Jughead Clarkish era stato più volte decisivo. Era vero, Keira veniva spesso descritta e ricordata come la sacerdotessa più ambiziosa e sanguinaria delle Terre Volanti, ma molte delle sue scelte non erano dettate dal suo unico volere: il Consiglio, organo ora inesistente perché ucciso da Dionne, era stato per molti anni, secoli forse, il ragno che tesseva la tela, il sussurro assiduo e manipolatore presente in ogni singola decisione delle sacerdotesse. Ecco perché nel tempo l'esistenza di passaggi segreti come quello si era rivelata di fondamentale importanza: permetteva un raggio d'azione individuale in cui le Skysee potevano agire liberamente, seguendo il solo proprio istinto.

Anne Sorgüt rimase in silenzio per l'intero cammino, limitandosi a seguire Rossana e le sue direttive, il cuore che nel petto batteva più forte del dovuto. Le due donne avanzarono, entrambe attente e concentrate nel distinguere il proprio palpitare dai più piccoli suoni presenti, vicini e lontani. Se Rossana non riusciva a nascondere la preoccupazione e la rabbia che i suoi occhi urlavano, Anne non permetteva alla sua estenuante agitazione di prendere il sopravvento. Dopo settimane senza vedere e ascoltare la voce dei suoi cari poteva finalmente riabbracciarli e, malgrado una parte di lei fremesse, incapace di trattenersi davvero dal correre nella loro direzione, l'idea di rovinare tutto e non poterli dunque toccare, accarezzare, baciare di nuovo riusciva a frenare persino il suo istinto materno.

Presto le pareti rocciose iniziarono ad essere meno scivolose e più compatte, mattonelle di pietra incastrate perfettamente tra loro: erano quasi arrivate. Rossana si appiattì contro il muro, appoggiando l'orecchio sulla roccia liscia e fredda. Ascoltò, immobile, e quando fu certa che nessuno si trovasse dalla parte opposta, spinse con forza la parete rocciosa. La parete rientrò in se stessa, spostandosi e aprendosi alla roccaforte. Era una porta.

Rossana invitò Anne ad avanzare velocemente, poi incastrò nel passaggio un pezzo di legno, così che potesse rimanere aperto fino al loro ritorno. Proseguirono, l'attenzione lesta e lo sguardo vagante su ogni angolo dei tetri e lunghi corridoi.

«Qui dobbiamo dividerci» la voce un sussurro appena percettibile «Sai tornare al passaggio?»

Anne annuì, le mani tremanti per l'impazienza di stringere la propria famiglia. Le rivolse un sorriso tirato, un muto ringraziamento, prima di dileguarsi svelta e silenziosa verso le celle di Michael e Ejel Sorgüt.

Rossana svoltò nel corridoio opposto, il pugnale stretto in una mano e la copia rubata delle chiavi della prigione di Dionne nell'altra. Deglutì, camminando con l'assordante suono del suo cuore nelle orecchie e con l'adrenalina nelle vene infuocate. In quell'ala della fortezza non c'erano guardie, forse perché pochi erano gli effettivi prigionieri o forse perché nessuno del popolo era ancora a conoscenza della reclusione della propria sovrana. Forse Vermund Crasteba non reputava necessario, data la fedeltà dell'esercito, presidiare un luogo oramai dimenticato dalla maggior parte del regno.

Rossana si guardò intorno circospetta. C'era qualcosa di innaturale in quel silenzio.

Si strinse nel mantello, un brutto presentimento che appiccicoso le si incollò addosso, un'ombra che non poteva da lei allontanarsi. Aumentò il passo, sempre più inquieta. Non c'era nessuno e nessuno la stava seguendo. Allora perché Rossana sentiva che qualcosa non andasse? Non sapeva cosa, ma più avanzava più quel qualcosa continuava ad aumentare, come se l'avvicinarsi alla sua amata regina non fosse contemplato dagli dèi e dal loro volere.

Quando giunse davanti alla cella di Dionne Skysee non indugiò oltre; infilò le chiavi nella toppa con decisione, spalancando la porta di legno che la separava dalla sua migliore amica. I loro occhi si scontrarono nell'immediato e quelli di Rossana si riempirono involontariamente di lacrime nel vederla in condizioni tanto pietose. Le si avvicinò tremando, liberandola dalle catene e cadendo con lei in ginocchio, un abbraccio carico di un amore incondizionato.

«Sapevo saresti arrivata» pianse Dionne, ricambiando la stretta con le poche forze ancora in possesso.

«Scusa se ci ho messo tanto» le accarezzò il viso, baciandole dolcemente la fronte «Riesci a camminare? Dobbiamo andare»

Sorretta da Rossana, Dionne si alzò, aggrappandosi quasi con disperazione alle braccia dell'altra. Le gambe, deboli come non mai, tremarono al peso del suo corpo, non più abituate a muoversi con la stessa facilità e naturalezza di prima. Minacciarono più volte di cedere, ma Rossana la sostenne ogni volta, non permettendole di cadere.

«Ejel» disse la regina, fermandosi «Lui e suo figlio» annaspò «Non possiamo lasciarli qui»

«Non ti preoccupare, Anne è andata a prenderli»

«Anne Sorgüt?»

Rossana annuì, invitando con gentilezza la sovrana a riprendere il cammino. I respiri affannati le seguirono lungo i vuoti corridoi, dove gli unici passi presenti erano i loro, stanchi ma intenti a proseguire. Il silenzio era l'unico accompagnatore, un silenzio così asfissiante da provocare in loro un sincero timore. Anche Dionne si accorse presto di quanto insolito fosse, lei che del silenzio assaporava ogni sfumatura non riuscì ad apprezzarlo, riscoprendosi quasi spaventata dalla sorta di oblio in cui erano immerse.

«Manca poco» riferì Rossana, speranzosa di lasciare le prigioni con la stessa facilità con cui era entrata.

Quando arrivarono alla parete rocciosa su cui il passaggio si apriva, Rossana imprecò. Era chiuso, il pezzo di legno abbandonato sul pavimento. Guardò amareggiata Dionne, scuotendo la testa e trattenendo un'imprecazione. Non fece in tempo a trovare una soluzione, un modo per fuggire in cui l'ingresso principale non rientrasse, perché da uno dei corridoi sbucò il capitano Guernset, la spada sguainata e il viso cosparso di sangue. Rossana indietreggiò, piazzandosi davanti alla regina con il pugnale puntato verso il soldato.

Nel momento in cui Henry si accorse di loro ripose la spada nel fodero, avvicinandosi preoccupato. Non si accorse subito della lama nelle mani di Rossana.

«Rossana...» sussurrò, gli occhi verdi carichi di stupore, schivando il primo colpo. Rimase poi immobile, fermo e incredulo, rifiutandosi di credere che la donna da lui amata gli stesse scagliando un'arma contro.

«Non dovresti essere qui» sottolineò Rossana, il tono tremante e ferito.

Quanto riferito da Anne allora era vero: di Henry non poteva fidarsi, ne erano la dimostrazione la sua presenza e il sangue che imbrattava i suoi capelli e i suoi abiti. Chi aveva ucciso? La famiglia Sorgüt forse? Era stato lui a far chiudere il passaggio segreto così da impedire loro la fuga?

«Non potevo lasciarti da sola» rispose il capitano, il corpo teso e la mascella contratta «Sei in pericolo»

Guardò poi Dionne Skysee, il modo familiare con cui si appoggiava alla sarta, realizzando che Rossana non fosse una semplice popolana come lei stessa aveva voluto più volte fargli credere.

«Siete in pericolo» aggiunse, Dionne che ricambiava il suo sguardo con un'espressione colma d'affetto.

«Rossana» la chiamò infatti, una mano sulla sua spalla «Il capitano Guernset è qui per aiutarci»

«Non possiamo fidarci» ribatté lei «È una spia di Vermund Crasteba»

Il volto di Henry si rattristò, ma prese comunque parola, la paura d'essere per sempre odiato che lo portò ad ammettere ogni sua colpa.

«Ho fatto cose orribili di cui non vado fiero, è vero, e le ho tenute nascoste per timore e vergogna» confessò «Ma ti ho anche protetta quando Vermund mi ha chiesto informazioni sul tuo conto, ho riportato il tuo messaggio alla regina, sporcandomi le mani del sangue di un mio fratello, e oggi non ti ho forse aiutata? Non ti ho forse appoggiata e non ho forse rischiato io stesso, la mia vita, per la riuscita di questo piano?» con gli occhi lucidi, continuò «Sono un uomo vile, lo so, dannato il giorno in cui mi sono inchinato davanti all'usurpatore per paura della morte, ma è da quel momento che provo e tento di riscattarmi. Non merito forse una possibilità?»

«Perché dovrei crederti?» domandò dura Rossana.

«Perché non farei nulla per metterti in pericolo» Henry sembrava sincero. «Nulla»

Una risata divertita riecheggiò nel corridoio. Vermund si trovava appoggiato a una parete, gli occhi di ghiaccio compiaciuti dalla scenetta a cui avevano assistito. Dietro di lui guardie dalla lucente armatura sghignazzavano per via della palese dichiarazione d'amore di quello che era un loro capitano, aspettando impazientemente l'ordine di sguainare la propria spada.

«Scappate» mormorò Dionne, stringendo apprensiva il braccio di Rossana «Il mio destino si è compiuto, ma voi potete ancora sopravvivere»

«Non dire idiozie» la ammonì «Non ti lascio qui»

Henry estrasse la spada dal fodero, parandosi davanti a loro con fare protettivo. Non avrebbe commesso lo stesso errore una seconda volta.

«È un piacere conoscerti, sartina» sorrise Vermund «Finalmente le nostre strade si incrociano»

Rossana fece per rispondere a tono, quando dall'altra estremità del corridoio arrivarono altri soldati, guidati dal capitano Boeder Rosdafh e seguiti da Anne Sorgüt e la sua famiglia. La nobildonna, che nel mentre sorreggeva il generale Michael, pietrificò quando i suoi piccoli occhietti incrociarono quelli di Rossana.

Fu Vermund a intervenire, beandosi del clima di discordia, carico di delusione e amarezza.

«Ecco la mia cara Anne, ti aspettavo!»

«Mi fidavo di te» ringhiò Rossana, la rabbia che diede parola ai suoi pensieri, comprendendo chi si trovasse realmente dietro quel triste tradimento. L'aveva ingannata, giocando sulla sua compassione, l'aveva manipolata, portandola a dubitare di chi invece avrebbe dovuto ascoltare. L'aveva presa in giro fin dall'inizio e lei era stata una stolta, cadendo nella sua trappola.

«Vi ho sempre avvertiti di non riporre la vostra fiducia in chiunque, me compresa»

Anne non distolse mai lo sguardo: farlo avrebbe significato sentirsi in colpa, ammettere di aver sbagliato. Le sue convinzioni rimanevano le stesse che l'avevano portata a scegliere la strada più semplice, meno pericolosa per lei e i suoi cari. Per questo, quando Rossana le chiese una semplice spiegazione, la fornì senza troppi giri di parole. La sua era stata una scelta, immorale forse, crudele sicuramente, ma rimaneva pur sempre una scelta maturata con fatica, presa dopo aver analizzato più situazioni e considerato benefici e svantaggi. Aveva valutato di tradire Vermund e non Rossana, non poteva negare che per la stessa nutriva un'inaspettata simpatia, ma la sola stima non bastava: erano le garanzie, l'utilità che una scelta comportava, a renderla superiore rispetto a un'altra.

«Perché?» rise afflitta Anne «Dopo aver liberato la regina e la mia famiglia quale vita pensi avrei condotto? Sai bene anche tu che Dionne Skysee non avrebbe riconquistato il suo trono. Non ho intenzione di condannare me, mio figlio e mio marito a una vita di fuga per il resto dei nostri giorni»

«Avrei preferito una vita di fuga a una di vergogna!» alzò la voce Ejel, rimasto in disparte fino a quel momento e facendosi largo tra le guardie. Come Dionne, anche lui si reggeva a stento in piedi, gli abiti insanguinati per via delle torture a cui aveva resistito per settimane. Si rivolse a sua moglie con ribrezzo, prima di voltarle le spalle.

«Mi disgusta aver sposato una donna tanto egoista»

Se Anne rimase ferita nel vedere Ejel arrancare verso la sua amata, non lo diede a vedere. Strinse a sé suo figlio, come a impedirgli di compiere la medesima scelta del padre, aspettandosi quasi che anche Michael iniziasse a disprezzarla. Aveva fatto tutto per loro, ogni sua azione era stata volta a proteggerli dai mali dell'uomo e del mondo, eppure, come sempre, per l'ex generale l'amore per la regina andava ben oltre la sua stessa famiglia. Non l'avrebbe mai capita, mai apprezzata, mai amata. Era sua moglie solo su carta.

Ejel Sorgüt non arrivò mai da Dionne Skysee.

Il capitano Boer Rosdafh si mosse rapido, seguendo il silenzioso ordine di Vermund.

Gli tagliò la gola.

Successe tutto così in fretta che i presenti non riuscirono a realizzare; solo l'urlo di Anne, un grido talmente carico di dolore da essere straziante, rese vero quanto accaduto. Corse verso il marito, imbrattandosi del suo stesso sangue mani e labbra, lo baciò, pianse, urlò di nuovo. Ejel giaceva tra le sue braccia in fin di vita, morente, dissanguandosi secondo dopo secondo, minuto dopo minuto.

E anche in quel momento, nonostante la moglie ad abbracciarlo disperata, le sue ultime parole non furono per lei.

«Dionne» mormorò infatti, la mano che si allungava verso la regina come a non volerla abbandonare.

Se un cuore già spezzato potesse rompersi di nuovo, quello di Anne Sorgüt si disintegrò ancora e ancora, calpestato in vita e in morte dall'unica persona che aveva amato. Continuò a piangere ininterrottamente e continuò a farlo anche quando i soldati la divisero dal corpo del marito, tirandola su di peso.

«Avevi promesso!» gridò verso Crasteba, dimenandosi dalla presa degli uomini «Avevi promesso!» scoppiò a piangere di nuovo, la sua compostezza ormai abissata dal cuore spezzato.

«Ho promesso che avresti rivisto la tua famiglia e così è stato» rispose Vermund, un sorriso amaro disegnato sul volto «Oh» si ricordò poi «Avevo anche promesso sareste stati al sicuro?»

Anne gridò di nuovo, l'odio che già provava nei confronti dell'usurpatore che aveva raggiunto livelli inimmaginabili. Le mancò il respiro dal dolore, un dolore così simile a quello provato con la morte dei suoi fratelli, di suo padre, così simile alla solitudine provata per tutta la sua vita, che si chiese se sarebbe riuscita a superare anche quello, quello che era stato il sentimento più intenso che avesse mai provato.

«Va' ora, prima che decida di far uccidere anche te e tuo figlio» Vermund scosse la testa «Che non si dica non sia clemente»

Anne si ricompose, le lacrime di rabbia e sofferenza che continuavano a sgorgare dagli occhi gonfi e rossi. Raggiunse Michael, sconvolto e muto, lo sguardo fisso sul cadavere del padre, e lo prese con sé, allontanandolo da quel luogo di sola morte. Non riuscì a non rivolgere una lunga e triste occhiata a Rossana, un grazie e un addio in un unico saluto. Non si sarebbero mai più riviste.

«E ora passiamo a voi»

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